La nuova epica del tempo presente (“Il Manifesto” recensisce SDM)

di Mauro Trotta (da il manifesto, 7 agosto 2008)

Eracle indossa la pelle del leone di Nemea

Ancora un libro sembra essere alla base della prova narrativa solista di uno dei componenti del collettivo di scrittura Wu Ming. Se, infatti, in Guerra agli umani di Wu Ming 2, il protagonista era mosso alla propria scelta di vita da Walden ovvero vita nei boschi di H. D. Thoreau, in Stella del mattino, romanzo di esordio di Wu Ming 4, tutto prende le mosse dall’arrivo a Oxford di T. E. Lawrence, il leggendario «Lawrence d’Arabia», artefice della rivolta araba contro i Turchi, per scrivere il memoriale delle sue imprese, quello che poi diverrà I sette pilastri della saggezza.
Qui il mitico reduce, alle prese con il proprio lato oscuro, il suo sentimento di inadeguatezza, il rimorso per una rivoluzione tradita, entrerà in contatto, tra gli altri, con tre figure leggendarie della letteratura anglosassone, ovvero John Ronald Reuel Tolkien, Clive Stapes Lewis e Robert Graves, anch’essi reduci, in quanto appena tornati dall’immane macello della Grande Guerra e anche loro gravati da ricordi, fantasmi, esperienze indelebili. I tre cercheranno di indagare e capire il mistero di El Urens – come veniva chiamato dagli Arabi Lawrence – giungendo a conclusioni diversissime.

Incontri memorabili

L’incontro tra i quattro, comunque, avrà conseguenze fondamentali. Non solo Lawrence riuscirà a portare a termine il suo libro, ma anche gli altri si avvieranno a intraprendere la strada che li porterà a creare le loro opere. Così, tra ricordi e memorie del deserto, narrati con straniante stile onirico dalla penna di Wu Ming 4, e una miriade di altri personaggi – davvero memorabili in particolare Merlino, il vecchio professore di Lawrence, e Nancy Nicholson, moglie di Graves – la storia si dipana, coinvolgente ed emozionante, grazie anche alla capacità dell’autore di accumulare episodi e personaggi, disponendoli in un grande e vitale affresco.
Al di là del valore estetico e letterario, mi pare che l’importanza di Stella del mattino risieda soprattutto nella tematica di fondo affrontata nel libro, che sembra interrogarsi sul valore della narrativa, sul suo scopo, che sembra domandarsi, insomma, a che cosa serva la letteratura.
Nel fare questo, il romanzo si situa appieno nell’ottica che ha ispirato il saggio di Wu Ming 1 sul «New Italian Epic» (scaricabile da www.wumingfoundation.com), ovvero su quella nebulosa che raccoglie opere della letteratura italiana recente, accomunate dalla rispondenza a certi requisiti quali il loro essere, appunto, epiche «perché riguardano imprese storiche o mitiche, eroiche o comunque avventurose» e l’utilizzo serio e consapevole, non come semplice citazione o raffinato e ironico pastiche, di temi e stilemi provenienti dai settori più differenti, dal cinema, dalla letteratura di genere, dal fumetto. E, poi, la scelta di punti di vista narrativi obliqui, inconsueti o multipli, inseriti in tessuti narrativi ucronici, caratterizzati da what if (cosa sarebbe successo se…) attuali o potenziali, oltre che una propensione alla transmedialità, per cui i romanzi sono all’origine di spin-off, di narrazioni laterali o continuano in rete, oppure in brani musicali, espandendosi comunque tramite altri media. Infine, la scrittura sarebbe caratterizzata da una «sovversione “nascosta” di linguaggio e stile», per cui, dietro un’apparente semplicità, emergono stilemi sperimentali che sovvertono dall’interno l’usuale registro linguistico usato nella narrativa di genere.

L’eccellente azione

Tutti questi elementi si ritrovano in Stella del mattino che è appunto ambientato subito dopo un evento storico fondamentale come la Prima guerra mondiale, immagina una serie di relazioni fra i quattro scrittori, è narrato attraverso i punti di vista diversi dei personaggi principali, non può non richiamare alla mente film – prima di tutto il Lawrence d’Arabia di Lean interpretato da Peter O’Toole – e fumetti, come quelli incentrati sulla crisi di ruolo e di identità dei protagonisti, ad esempio lo splendido Watchmen di Moore e Gibbons. E, infine, per quanto concerne lo stile, basti citare l’allitterazione foscoliana di una frase come «notarono la fronte aggrottata», con quell’insistenza di dentali e liquide, che, soprattutto per quanto riguarda l’uso insistito delle “r”, sembra essere una costante della lingua di tutto il romanzo.
L’importanza di Stella del mattino sta nel suo riuscire a far emergere in piena luce quella che è un po’ la traccia nascosta del saggio sul «New Italian Epic» ovvero l’utilità e la funzione della narrazione. In questo senso, una frase del romanzo — una citazione o, meglio, una traduzione da Aristotele – potrebbe servire da epigrafe al libro e da compito alla Nuova Epica Italiana: «Qui tratteremo del fare nel suo insieme e nelle sue forme, quale finalità abbia ciascuna di esse, e come si debbano comporre i miti affinché il fare vada a buon fine». Si tratta, insomma di comporre i miti, ovvero di narrare, per fare, ovvero agire sul mondo. La creazione di nuovi mondi, la letteratura, dunque, deve mirare sempre all’azione, alla possibilità di influire sugli eventi umani, facendogli prendere una direzione, piuttosto che un’altra. Non semplice entertainment, né pura contemplazione della bellezza, ma intervento, impegno, insomma politica. Si tratta di lanciare «una sfida agli uomini senza immaginazione, che da sempre affliggono il mondo con la loro crudeltà». Tutto questo, però, tenendo sempre ben chiaro che «le cose accadono. Noi possiamo solo fare del nostro meglio per restare in sella».
Insomma, il compito della nuova epica – come di ogni epica – può essere rintracciato parafrasando quella vecchia frase di Marx che recitava: «finora i filosofi hanno spiegato il mondo, ora si tratta di cambiarlo».

3 Responses to “La nuova epica del tempo presente (“Il Manifesto” recensisce SDM)”

  1. Paola Di Giulio Says:

    Un articolo esauriente, sulla scia di tutte le recensioni positive uscite fino ad ora, e che sottolinea l’intenzione dello scrivere e del raccontare per costruire mondi e cercare di cambiare la società e l’ambiente in cui viviamo. Per fare questo SDM ha riportato l’attenzione su T.E. Lawrence come personaggio storico e come essere umano. Un mito sfuggente, scomodo, ambiguo, tormentato ma non incoerente. Su cui sono state scritte parecchie pagine di biografie e saggi (soprattutto in lingua inglese) per cercare di spiegare, giustificare o demolire. Io non sono mai riuscita a ‘leggere’ la vita di Lawrence solo nei testi più o meno biografici scritti su di lui, per questo ho fatto un salto sulla sedia, letteralmente, perché stavo su un panchetto piuttosto instabile, quando ho avuto tra le mani SDM. Una personalità in cui è affascinante guardare come in un caleidoscopio. Nel caleidoscopio vediamo elementi che si frammentano e si ricompongono in continuazione, sempre diversi. E’ un gioco di specchi, apparentemente incoerente. Come TEL, apparentemente incoerente, non più di quanto non lo siano tutti gli esseri umani, perché la coerenza con se stessi può non essere conformità logica col resto del mondo o col proprio tempo. Nel libro il lettore può allora riconoscersi e immaginare i modi in cui si possono cambiare le cose. Riconoscere nella nevrosi di Lawrence la flessibilità, le contraddizioni che irritavano e irritano ancora chi ha bisogno di inscatolare definitivamente il mito e fermarne il percorso. Non ce la si fa a costruire mondi se non si è rigorosi e ostinati, ma anche se non si è elastici e generosi di sé stessi, se non si ama la vita che vorremmo avere. Come è già stato detto, ci vuole coraggio. E perseveranza, così che ci siano sempre cose da indagare e storie da raccontare.

  2. monica Says:

    Bel pezzo, sembra quasi voler pagare un debito di silenzio del Manifesto su tutta la produzione Wu Ming, dandogli così tanto respiro. Meglio così.

  3. Diego Says:

    Ho appena finito SDM, che si accinge a diventare uno di quei romanzi che si appigliano ai condotti del sistema digerente per restarci il più possibile
    e difficilmente venir giù per forza di gravità. L’ho apprezzato per due motivi, essenzialmente: come ascia di guerra dissotterrata (almeno per me la figura di Lawrence e dell’impero inglese in mesopotamia e arabia non era ancora così definita e definibile), e perchè ha toccato le corde di un sentimento, di un pathos che quasi quotidianamente vivo: il rimbalzarmi continuo e funesto dei nostri giorni, di una realtà così caotica e così sempre uguale a sè stessa. Questo rimbalzo, che tra l’altro in ottica si chiama riflessione, è qualcosa con cui tocca fare i conti, con sempre più difficoltà interpretative.
    Sono convinto, alla maniera dell’autore di SDM, che siamo davanti ad una difficoltà inesplicabile, e allo stesso tempo grandiosa: la nostra, singolare e di tutti, sensazione di duplicità, scontro eterno razionale-irrazionale, allontanamento definitivo da un’interpretazione degli eventi tracciata sul solco di un unica verità possibile, di una Storia piazzata su monorotaia.
    E’ costante, nel romanzo, la sensazione di sdoppiamento nei gesti nelle parole, nei movimenti dei personaggi: io vi ho ritrovato un’ansia incredibile, una fuga dalle contraddizioni che circondano la maggior parte dei personaggi – questo inforcare la bici e scappare nella notte -, e qui avviene l’immedesimazione, perchè la realtà che viviamo è qualcosa di cui conosciamo molto le dinamiche, ma che proprio per la sua ingiustizia e crudeltà di fondo ci appare intoccabile, e spesso indefinibile. Vi ho visto spesso gesti impulsivi, dettati da paure che sembrano provenire sempre da molto lontano, e questo è molto reale.
    SDM è l’apoteosi del presente, in questo senso: dopo anni passati più o meno a scandagliare e ad opporsi agli errori e gli orrori della piramide totalitaria del neoliberismo e del pensiero unico, ci stiamo accorgendo (scusate il tono “corale” del discorso, che è in parte anche una speranza di coscienza condivisa) ci rendiamo conto, forse, che v’è davvero qualcosa di irrazionale nel cammino attuale della società occidentale, che probabilmente sfugge anche alle pur esatte interpretazioni su guerre, economie, disastri ambientali ed umani in genere. In me Oxford e Londra si sono proiettati come i luoghi della nostra attuale difficoltà a comprendere il presente e ad intervenire su esso, e delle incertezze esistenziali che ne conseguono.
    Tutto questo, nonostante l’ambientazione si dipani tra biblioteche, sale colme di quadri, sale di lettura, elementi che teoricamente evocano protezione, calore, riflessione, studio.
    Gli unici momenti dove si riscontra qualcosa di davvero calmo, sono i flashback in terra di siria, e di mesopotamia, dove l’elemento desertico e onirico mi ha riposato l’animo, e questa polvere, questi falò mi hanno riscaldato, tra schioppettate e dinamiti.
    Un appunto sulle figure di Lawrence e di Lewis. E’ indubbia l’ambiguità che contraddistingue entrambi, ma vi ho trovato una profonda differenza. Lewis sarà pure la ragion critica, la voglia di andare a fondo per far emergere elementi che deturpano la coscienza, ma appunto, si tratta di una ricerca personale, quasi privata, dettata da turbe che riguardano la propria esistenza precedente. Lewis “utilizza” le contraddizioni di Lawrence, e se ne specchia, a scopi quasi del tutto vendicativi, di rivalsa mi viene da dire infantile. E’, se mi consentite, un sintomo del riflusso nel privato, nel problematico e oscuro privato che determina atteggiamenti irrorati di violenza. E’ sconvolto anch’egli dall’esperienza bellica, ma ne esce solitario , impregnato di egoismo.
    Lawrence non utilizza le proprie contraddizioni, non le scaglia contro singoli. Le vive. E’ sconvolto dall’apprendere di essere stato una pedina per giochi condotti più in alto di lui, ma la sua rabbia, la sua tristezza, sono per le moltitudini di laggiù, un mondo arabo che ha imparato a conoscere e del quale si è letteralmente innamorato. E’ un abbraccio impotente verso i popoli che ha voluto aiutare a liberarsi, è altruismo di guerra, questa sensazione di poter passare dal male bellico per qualcosa che in futuro potrà configurarsi come armonico, pacificato.
    Wu Ming ha configurato la proiezione del Mito come qualcosa di aperto, e non poteva essere altrimenti dopo la caduta del Muro. Ma il segnale che ho colto, è che alla maniera di Lewis non se ne esce, anzi, in qualche modo, esso è proprio un prodotto del “liberi tutti, libero nessuno”, falsa e nociva coscienza dei tempi che viviamo.

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