Fanti e fate. Una risposta per immagini ai recensori di Stella del mattino

Dedicato a Saverio Simonelli, R. S. Blackswift, Monica Mazzitelli, Tommaso De Lorenzis.

di Wu Ming 4

L\'Achille di Britannia

C’è un’immagine significativa che apre una delle prime poesie di Robert Graves, The Poet in the Nursery (1916): il giovane poeta armeggia tra gli scaffali di un’oscura biblioteca, proprio sotto lo scranno del poeta antico, cercando di coglierne i fugaci borbottii.
Ovviamente Graves pensava a se stesso, ma novant’anni dopo i ruoli appaiono invertiti ed è proprio lui a starsene seduto in cima al seggiolone, al livello degli scaffali più alti, mentre noi ci barcameniamo là sotto.
Il fatto è che serve una buona dose di presunzione per mettere i piedi nel piatto altrui; pretendere di entrare nella mente di uomini che hanno attraversato il Secolo Breve col passo dei giganti; intromettersi a forza nelle loro vite private, relazioni, conflitti. Capita che a un certo punto una vocina nella testa ti dica: “Ma non ti vergogni?”, tanto ti sei intrufolato in casa d’altri, a rovistare nei cassetti e nel cestino della carta straccia.
Eppure – ti giustifichi – non c’è stata effrazione, la porta era aperta. Cercavi qualcosa, qualsiasi cosa, un filo d’Arianna, un indizio che riconducesse l’uno all’altro, come il detective privato di un romanzo americano. Hai camminato per le strade, nei parchi, ti sei inerpicato su per la collina, in mezzo alle mucche, per vecchi sentieri.
Alla fine ti ritrovi a leggere le parole di lettori acuti, rincuoranti, e capisci che il gioco è valso la candela.

Perché certo anche di gioco si è trattato, fondato su coincidenze reali e ipotetiche, su collisioni di senso e forzature del senno di poi. Anche se tutto potrebbe essere fatto scaturire da un’altra immagine, forte, terribilmente importante, contenuta nel memoriale di guerra di Siegfried Sassoon: “Quella notte avevo visto qualcosa che mi aveva spaventato. Era una cosa di tutti i giorni – una divisione che tornava esausta dall’offensiva della Somme – ma per me era come se avessi guardato un’armata di fantasmi. Era come se avessi visto la Guerra come potrebbe essere premonita dalla mente di un poeta epico fra cent’anni.” (Memoirs of an Infantry Officer, 1930).
Righe che si sovrappongono a poche celebri parole provenienti dal fondo della stessa trincea, ma da un’altra autobiografia, quella di C.S.Lewis: “Questa è la Guerra. Questo è ciò di cui scrisse Omero”.

Ecco l’Achille di Britannia. La foto è in bianco e nero, scattata il 10 dicembre 1928 dal tenente Smetham, nel campo base della RAF a Miranshah, in Afghanistan. Lawrence è a figura intera, di tre quarti, con una mano si regge il mento e con l’altra il gomito, la schiena leggermente arcuata. Intorno, una spianata arida fino all’orizzonte. In dicembre, sulle montagne deve fare freddo, ma lui è in maglietta. Guarda fuori campo, gli occhi socchiusi. E’ esile, piccolissimo, sembra un bambino. Il fisico, il viso, si potrebbe dire un incrocio tra Stan Laurel e David Bowie. C’è qualcosa di femmineo nella posa, nel modo delicato in cui se ne resta lì in piedi, in mezzo al nulla, a prendere freddo, come osservasse una colazione sull’erba o riflettesse su un enigma. C’è la sua essenza: stoicismo virile in animo femminile. Tenerezza e abnegazione. Come i queer warriors omerici, in effetti. Altrettanto incastrato nel ruolo, l’uomo più famoso dell’impero britannico dopo il re. Soltanto i Quattro Cavalieri di Liverpool raggiungeranno quella notorietà e libereranno la civiltà britannica dalla sessuofobia vittoriana e dall’oceano di sofferenza che ha prodotto.

Fra i ritratti appesi nella grande sala da pranzo del Christchurch College c’è quello di Charles Dodgson, in arte Lewis Carroll, matematico, fotografo, scrittore, prete mancato, pedofilo. Sulle vetrate istoriate delle finestre compare la figura della piccola Alice. Quella del libro, la stessa riprodotta da Walt Disney, non il modello in carne e ossa, la bambina discinta fotografata da Dodgson su uno dei prati nei dintorni.
La grande hall è anche la sala comune del castello di Hogwarts. Lì dentro e sulle scalinate attigue hanno girato alcune scene dei film di Harry Potter. Nel quadrangolo invece è stata girata una sequenza de La Bussola d’Oro, esattamente come sui tetti di All Souls College, dove Lawrence era solito passeggiare.
Oxford non smette di evocare mondi fantastici, ovvero paralleli, un al-di-là molto simile a dove ci troviamo e al contempo ribaltato. Quella di Philip Pullman non è nemmeno una metafora: Oxford è un tunnel spazio-temporale, un luogo dove ogni oggetto, dettaglio, angolo, è un potenziale passaggio segreto per l’altrove, una “passaporta”, direbbe la signora Rowling.

L’Altrove. “Feeria è un paese pericoloso, pieno di trabocchetti per gli incauti e di tranelli per i temerari”. Cominciava così la famosa lezione del professor J. R. R. Tolkien sulle fiabe. Ed è proprio in quella landa che si avventura l’eroe-poeta. Come un “bambino solitario”, dice Graves, “sue sono la Primavera e la Terra delle Fate”. Che poi non è altro che la Terra di Nessuno, una striscia a tratti sottilissima, a tratti ampia come un deserto, intricata come un labirinto di trincee. E se proprio quello è il luogo di Stella del mattino, allora è un posto sospeso tra la vita e la morte, sovraffollato di fantasmi, passaggio di eroi che devono attraversarlo, vincere la sfida, e ritornare da questa parte.

Ecco, il ritorno, il poeta come reduce. “Posso cantare soltanto i frammenti / di fantasie dorate plasmate nel sonno, / la storia sussurrata alle braci morenti / di cose antiche che pochi cuori sanno”. (J.R.R.Tolkien, Il lai di Eärendel). L’atto accanito del ricordare contro l’istinto alla rimozione. Ma solo se si accetta l’ineludibilità della distorsione dello sguardo, della selezione inconscia; perché è così che funziona la mente e perché non possiamo sopravvivere senza la spinta a guardare avanti, senza l’idea di un oltre. Perché anche se nel passato seppelliamo parte di noi stessi, anche se il passato contiene “le nostre vite sepolte” (Fussel), esiste pur sempre una sfida del presente che fino all’ultimo non può essere rifiutata.
Il coraggio duraturo dell’ultima visione di Graves, la visione della stella del mattino, è tutto qui. La stella è uno specchio che rimanda al poeta la propria immagine, la tenue luce con cui affrontare la notte che ci circonda. Dopo Genova, dopo la guerra, dopo l’estinzione della politica, è ancora coraggio quello che serve. Abbastanza per restare in piedi davanti alla storia e cercare sentieri di parole che possano restituirci un barlume di senso, il calore della specie, e ci consentano di orientarci nella terra desolata, di riconoscerci. Consapevoli, come lo era Lawrence, che “il riflusso di quell’ondata, respinto dalla resistenza degli oggetti investiti, fornirà materia all’ondata successiva, quando, compiuto il tempo, la marea monterà un’altra volta.”

10 Responses to “Fanti e fate. Una risposta per immagini ai recensori di Stella del mattino”

  1. monica Says:

    Sì, vediamo la stessa persona.
    L’eroe oltre se stesso, senza orpelli, stravestito, sopravvissuto, ricucito, dolente; giovanotto pensieroso, testardo irlandese e raffinato oxfordiano. Chissà quante volte ha già riletto il tuo romanzo lì, nelle grandi praterie, quanto gli è piaciuto.

    Ci sarà molta Stella nella marea che monterà, se non saremmo troppo sfiduciati per aspettarla.
    Grazie.

  2. blicero Says:

    grazie mille. mi conforta sapere che la vediamo nello stesso identico modo.
    un abbraccio.

  3. MarkoKralijevic Says:

    Grazie di vero cuore, per l’immane lavoro e l’altrettanto impressionante dedizione-

    E un pensiero silenzioso per l’anima inquieta di Ned,
    che si perdeva proprio in questo giorno,
    73 anni fa-

  4. Paola Di Giulio Says:

    Fantastico. Avevo 19 anni quando andai ad Oxford la prima volta, nel ’72. Cercai un college dalle parti di Polstead rd e lo trovai sulla Banbury rd, a nemmeno 300 metri di distanza. Era d’ottobre e conobbi tanti studenti, inglesi. Andavo alla Oxford Union per seguire le conferenze, girellavo intorno a Polstead rd, andavo in bici in centro, a cena al Jusus college, ero di casa all’Ashmolean Museum, studiavo per la mia università italiana alla Radcliffe Camera. Ho ancora le foto dei daini del Magdalene college. Ero sulle tracce del mio mito. Ci sono tornata decine di volte da allora, una volta riportai una valigia solo di libri che pesava 20 kg. Gli amici hanno finito di studiare e si sono sparsi per l’Inghilterra, e quindi sono andata a trovarli, nel Dorset, a Whaeram, a Dorchester, ecc. Sempre un po’ gelosa e vergognosa di inseguire miti. Sempre a leggere biografie e studi su T.E.L.
    Sono molto contenta. ‘Stella del mattino’ ha la tenerezza delle pagine di E.Mack, le preoccupazioni e gli echi di altri scritti di Lawrence, ma soprattutto è uno dei pochi, pochissimi omaggi a un’anima – senza tradimenti. Complimenti sinceri.
    Paola Di Giulio

  5. Giampaolo Says:

    Solo per segnalare la recensione del libro sulle pagine del mucchio
    selvaggio di maggio ad opera di Alessandro Besselva, se già
    non l’ha fatto lui ;) No non sono il suo portavoce nè un addetto stampa
    del mucchio :) Solo un lettore della rivista e dei vostri libri ;)

  6. brutia street kid Says:

    grande libro . grazie!!!!

  7. Wu Ming 4 Says:

    Be’, quattro mesi dopo il tuo primo viaggio a Oxford io nascevo. Ricevere i complimenti da una “lawrenciana” assidua da trentacinque anni, per me vale molto più di una recensione sul giornale. Lo dico senza piaggeria, è vero. Da narratore sono contento che anche una persona che conosce a menadito la vicenda di TEL (e quindi ogni suo segreto) abbia potuto appassionarsi al romanzo. Era uno dei tarli che mi rodeva… Grazie. Quando mi capiterà di andare nel Dorset, a Cloud’s Hill e a Moreton, penserò a questo scambio.

  8. tony sardi Says:

    il romanzo è delicato come le ali di una farfalla. il punto di vista multiplo crea all’inizio qualche perplessità, ma poi si dipana, appunto, delicatamente, e regge la struttura romanzesca.
    mi sembra poi una novel di “atmosfera”, che devi prima di tutto “sentire”, e poi seguire la trama, che a questo punto può anche non essere la più spettacolare, ma le sensazioni evocate dalla costruzione narrativa sono così profonde e durature che fanno del libro un sucesso.
    Quanti incontri del genere facciamo nella vita? forse qualcuno non ne fa mai. ma se hai il privilegio di incontrare una stella del mattino nella tua vita, diventa come una “sliding door”. e se ti guardi indietro le pui contare e ricordare una ad una. Questi incontri sono quello che ti hanno costruito la vita, e sei quello che sei per anche per loro, e per il coraggio che ti hanno dato di cambiare tutto, di cambiarti, di ricominciare da capo, di toglierti la vecchia personalità, di indossarne una nuova, di essere rinnovato nella forza che fa operare la tua mente (che concetti!!! non sono miei… me li ha forniti una mia stella del mattino…)
    spero in un futuro prossimo in un incontro face-to-face

  9. Antonio Says:

    Ciao. Prima di tutto volevo ringraziarti per il libro: vivo in un paese straniero molto lontano e quando riesco a procurarmi un libro in italiano, di un autore italiano, mi sento sempre più coinvolto di quando leggo in altre lingue.

    Poi, qualche considerazione sparsa:

    - Mi ha appassionato la costruzione della vicenda come se fosse l’indagine sull’anima di un uomo. Era un mito, un eroe, un assassino, un folle: credo che tu sia riuscito a rendere tutte queste contraddizioni.

    - L’indagine sull’uomo è anche un’indagine sulla costruzione del campione di un Impero: con che processi viene selezionata questa gente? Come si viene reclutati? E’ qualcosa legata strettamente non solo al periodo storico, ma anche all’eternità di certi tipi umani.

    - Manipolare personaggi realmente esistiti come figure da romanzo è estremamente pericoloso. Mi è piaciuto la profondità con cui lo hai fatto. Ho apprezzato particolarmente quando Lewis si consacra alla caccia della sua nemesi e quando Tolkien inizia a capire il processo con cui evocare i suoi mondi. Sono un tolkieniano accanito, e la relazione tra lui ed Edith mi ha commosso.

    - Gli indizi disseminati in tutto il libro sulla situazione politica internazionale, anche attuale, sono molto acuti.

    - “Fino alla fine ha covato la maledizione del dubbio di sé, che può diventare ostilità verso sé stessi e perfino rinuncia a tutto ciò che si ama e si stima”.

    Grazie, davvero,

    Antonio

  10. sergio Says:

    Ho finito oggi SDM. Da molto tempo non leggevo un romanzo così coinvolgente. Consigli per la lettura da un semplice:
    1. Prendere il libro e leggere in modo distratto fino a pag. 18
    2. Lasciarlo lì un pochino, tu lo guardi e lui pure per due tre giorni
    3. Iniziare di nuovo e, rigo dopo riga farsi trascinare da una storia incredibile, coinvolgente.
    Alla fine l’unica cosa che vorresi fare è partire, lasciare le convenzioni, far esplodere l’io. Quando ho riletto l’ultima pagina ero disperato…
    Lo rileggo da capo, ma purtroppo finirà di nuovo. Vorrei un seguito, una planata dolce, come quando sull’autostrrada ti avvisano di curve, pendenze e caselli…
    Scioglie i ghiacci delle anime…
    Ho impegnato tutta la sera a leggere notizie su Lawrence, Tolkien, ma anche Lewis…
    Adesso cosa leggerò?

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