Il “doppio” di Doppelgänger di Naomi Klein, ovvero: disavventure di una traduzione

Doppelgänger di Naomi Kleindi Wu Ming 1

In una mia inchiesta in due puntate scritta per l’edizione on line della rivista Internazionale cito e commento passaggi dell’ultimo libro di Naomi Klein, Doppelgänger: A Trip into the Mirror World. L’ho letto in versione originale nell’ottobre scorso e lo ritengo un testo importante, con cui è utile confrontarsi.

Mi sembrava giusto, oltreché formalmente corretto, usare la traduzione uscita in Italia, pubblicata dalla casa editrice La Nave di Teseo (d’ora in poi LNdT). L’ho acquistata in edizione elettronica, ho cercato i passaggi da citare e… sono rimasto sbalordito. Ho fatto altri controlli a campione. Lo stupore è diventato malessere.

Ho deciso di lasciar perdere e di tradurre le citazioni direttamente. Anche perché nell’edizione LNdT alcune delle parti che avevo sottolineato… non ci sono.

Dopo aver finito di scrivere l’inchiesta, ho deciso di rendere pubblica la faccenda.  È giusto che lettrici e lettori sappiano.

Il libro intitolato Doppio è solo una pallida imitazione, o un parente mutilato, di Doppelgänger. Ne è appunto il doppelgänger, il riflesso in uno specchio deformante. L’ennesimo scherzo della sorte che a Klein tocca subire, dopo quelli di cui narra nel libro stesso.

Non intendo fare congetture su cosa sia accaduto esattamente, su quanto e in che modo c’entrino le condizioni di lavoro sempre più precarie e i tempi sempre più ristretti della produzione editoriale. Non faccio nemmeno i nomi di chi ha lavorato al testo. Additare persone non mi interessa. Quel che mi interessa è far capire cosa, comprando Doppio, ci ritroviamo tra le mani.

INDICE
1. Premessa metodologica
2. Frasi sparite nella versione italiana
3. Errori di senso, fraintendimenti, capovolgimenti
4. Passaggi rozzamente riassunti
5. Passaggi sostituiti con altri scritti ex novo
6. Passaggi allungati, appesantiti, enfatizzati
7. Toni enfatici assenti nell’originale
8. Adattamenti maldestri
9. Conclusioni

Premessa metodologica

I due testi messi a raffronto sono quello dell’edizione trade paperback britannica (Penguin Random House UK, ISBN 978-0-241-62131-8) e quello dell’edizione in formato ePub italiana (La Nave di Teseo, ISBN 978-88-346-1517-1). Quest’ultima è stata acquistata su IBS.it e consultata per mezzo dell’applicazione Kobo Libri.

Il raffronto è avvenuto a campione sui numerosi passaggi che avevo sottolineato, ed è limitato alle prime 200 pagine. Giunto a quel punto, non ce l’ho più fatta. L’edizione Penguin Random House, escludendo le note bibliografiche e l’indice analitico, conta 347 pagine di testo.

La rassegna è divisa per tipologie di errore o di resa problematica. In ciascuna sezione gli esempi sono in ordine di apparizione. Non di gravità crescente o decrescente: di apparizione. I numeri di pagina indicati sono quelli dell’edizione Penguin Random House.

Frasi sparite nella versione italiana

■ «Me treating Wolf like a branding problem would be about as off-brand as I could get» (p.47).

■ «Ahem.» (p.57)

■ «I am? I mean: she is?» (p.83)

■ «Once an issue is touched by “them”, it seems to become oddly untouchable by almost everyone else» (p.93)

■ «It seems the right time to reassess anyway.» (p. 94)

■ «He means it.» (p.99)

■ «If the claims are coming from the far right, the covert plan is for a green / socialist / Venezuelan / Soros / forced-vaccine dictatorship» (p. 101).

■ «He skates lightly over more traditionally conservative issues that he may care about but that are likely to alienate some of his newfound friends, including abortion and gun rights.» (p.127)

■ «Many gym owners took on large personal debts to keep operating under stringent new rules, only for the rules to continually change in arbitrary ways as the pandemic wore on.» (p.171)

Errori di senso, fraintendimenti, capovolgimenti

■ «The video was bananas» (p.35). Cioè stupido, ma anche violentemente sopra le righe, cfr. «Bananas» sul dizionario Merriam Webster.
Nella versione LNdT diventa:
«il video era banale».

■ «It’s a precarious line to walk» (p.50).
Vuol dire: «è una linea incerta da seguire», oppure: «un equilibrio difficile da mantenere».
Nella versione LNdT diventa:
«è un terreno friabile da percorrere».
Sono due immagini completamente diverse: al posto del pericolo di sbandare e di perdersi, si evoca un terreno che si sbriciola sotto i piedi.

■ «The angry, howling hordes arrived as real-life avatars» (p.59).
Vuol dire: «le orde rabbiose e ululanti sono arrivate come avatar usciti dalla rete», oppure: «come avatar capitati nel mondo fisico».
È riferito ai seguaci di Trump e QAnon che hanno invaso Capitol Hill. Klein sta dicendo che dopo una radicalizzazione vissuta prevalentemente on line, quelle persone si sono comportate come se il loro agire fosse ancora virtuale e non avesse conseguenze tangibili.
Nella versione LNdT «real-life avatars» diventa:
«veri e propri avatar».
Il senso si perde completamente.

■ «the government» (p.79)
Nella versione LNdT diventa:
«il governo USA».
Ma qui Klein sta parlando dell’Australia.

■ «We can have legitimate debates about the decisions of governments» (p.80).
Nella versione LNdT diventa:
«Possiamo discutere sulla legittimità della decisione dei governi».
La legittimità del dibattito diventa la legittimità dei governi.

■ «Wait until they hear about cell phones» (p.86).
Vuol dire: «aspetta che sentano parlare dei telefonini».
È una battuta diffusa tra i liberal americani e riferita da Klein, con cui si vuol dire che i “complottisti” si preoccuperebbero del QRcode nel pass vaccinale ma non della sorveglianza digitale diffusa.
Nella versione LNdT diventa:
«Mi aspetto che da un momento all’altro dicano: “il mio telefonino mi ascolta, ho le prove”».
A parte la sostituzione arbitraria di una battuta di sette parole con una sorta di parafrasi che ne conta ben diciassette, mettendola così sembra che quell’affermazione – un’autentica ovvietà – sia da folli o da idioti. Il senso del passaggio ne risulta capovolto.

■ «They know all about cell phones. They just don’t know what to do about cell phones» (p.87). Notare l’enfasi su «do».
Vuol dire: «sanno tutto dei telefonini. Solo, non sanno cosa fare», oppure: «non sanno cosa fare al riguardo».
Klein sta dicendo che quelle persone sanno della sorveglianza diffusa, ma non sanno come agire per contrastarla.
Nella versione LNdT diventa:
«Sanno tutto dei cellulari, ma non sanno che cosa farne».
In questo modo sembra che non li sappiano usare. Nella frase inglese quelle persone sono disperate; in quella italiana sono solo incapaci.

■ «Barely submerged fears» (p. 90).
Vuol dire:«paure appena sotto il pelo dell’acqua», ovvero paure che possono manifestarsi in ogni momento. Paure reali, stati d’animo sempre incombenti.
Nella versione LNdT diventa:
«paure superficiali».
L’aggettivo è sbagliato, perché queste paure sono sommerse, dunque sotto la superficie; inoltre, l’aggettivo «superficiale» è usato più spesso nei suoi sensi figurati, cfr. 2a e 2b nella definizione del De Mauro. La scelta lessicale sminuisce le paure di cui Klein sta parlando.

■ «The result is a troubling dynamic» (p.93).
Vuol dire: «ne risulta una dinamica preoccupante».
Nella versione LNdT diventa:
«Si tratta di una dinamica esiziale».
Cioè rovinosa o letale. A differenza di troubling, «esiziale» è un aggettivo ricercato. Oltre al cambio di significato, dunque, c’e un immotivato alzarsi del registro.

■ «Extreme historical analogies» (p.104).
Vuol dire: «analogie storiche estreme».
Qui Klein sta parlando delle similitudini tra il tale o tal altro fenomeno e il nazismo ricorrenti nei discorsi di Naomi Wolf. Le cosiddette reductiones ad Hitlerum.
Nella versione LNdT diventa:
«parallelismi storici inauditi».
Inaudito significa «di cui non si era mai sentito parlare», mentre la caratteristica principale dei paragoni tra qualunque cosa e il nazismo è di essere triti e ritriti.

■ «This, obviously, is gonzo stuff» (p. 112)
Il riferimento è alle affermazioni più estreme di Naomi Wolf sugli effetti delle vaccinazioni.
Nella versione LNdT diventa:
«roba da gonzi».
L’aggettivo inglese gonzo non c’entra con l’italiano «gonzo». Gonzo significa sopra le righe, eccessivo in un modo spregiudicato e bizzarro, come in gonzo journalism, il sottogenere inaugurato da Hunter S. Thompson.

■ «And there is something else that I have noticed while listening to Bannon – he sticks, fairly judiciously, to the issues where there is common ground: hating Biden, rejecting vaccines, bashing Big Tech, fearmongering about migrants, casting doubt on election results. He skates lightly over more traditionally conservative issues that he may care about but that are likely to alienate some of his newfound friends, including abortion and gun rights. He doesn’t ignore them, but they don’t take up nearly as much airtime as one might expect.» (p.127)
Vuol dire: «C’è un’altra cosa che ho notato ascoltando Bannon. Si concentra, con buona capacità di giudizio, sui temi dove c’è terreno comune: l’odio per Biden, il rifiuto dei vaccini, gli attacchi a Big Tech, la paura dei migranti, i dubbi sui risultati elettorali. Pattina con leggerezza sui temi più tradizionali del conservatorismo, come l’aborto e il diritto di portare armi, che forse ha più a cuore, ma con cui probabilmente si alienerebbe alcuni nuovi amici. Non ignora quei temi, ma in onda gli dedica meno tempo di quanto ci si aspetterebbe.»
Klein sta dicendo che, pur di mantenere salde le nuove alleanze con persone che vengono da sinistra, Bannon è disposto a trascurare i soliti cavalli di battaglia della destra.
Nella versione LNdT il passaggio diventa:
«Ho notato anche un’altra cosa: Bannon tocca sempre con prudenza temi come l’odio verso Biden, il rifiuto dei vaccini, le critiche alle Big Tech, la fomentata paura nei confronti dei migranti, i dubbi sui risultati delle elezioni. Non è che li ignori, ma non occupano lo spazio che ci si aspetta.»
Non solo è scomparsa la frase-chiave, ma a Klein viene fatto dire l’esatto opposto di quel che dice nell’originale.

■ «I cannot believe this feminist chick actually went further than I ever would.» (p.130)
Klein sta immaginando un pensiero di Bannon mentre ascolta gli interventi di Naomi Wolf, ex-nemica ideologica che ora non solo collabora con lui, ma a volte lo scavalca in estremismo.
Chick (pulcino) è slang per ragazza, giovane donna, in genere attraente. Molte donne trovano il termine sessista e offensivo. Nei film e romanzi di una volta era tradotto con «pollastrella» o vocaboli del genere. Scelte così oggi suonano ridicole, nel tradurre non si cerca più di mantenere il riferimento ai polli ma si usa «ragazza», «tipa», persino «figa» o altre volgarità se nell’originale chick è molto connotato come termine sessista.
Di sicuro non va tradotto con «oca», come invece accade nella versione LNdT:
«Non posso credere che quest’oca femminista si sia spinta così in là, più di quanto io stesso avrei mai osato fare.»
Come dice il dizionario De Mauro, in senso figurato «oca» significa, «secondo una visione stereotipica, donna stupida». Naomi Wolf non è stupida, né Bannon la considera tale. È una bella donna, questo sì, dunque per Bannon è una chick.

■ «moving parts of education permanently on line» (p.148)
In inglese education non significa educazione ma istruzione, è un false friend risaputo, da brutto voto in prima media. Klein sta parlando della penetrazione di Google nelle scuole.
Nella versione LNdT si legge invece:
«definitivo spostamento su piattaforme online di buona parte dei programmi di formazione del personale da parte di istruttori in presenza».
Se per tradurre una frase di sette parole se ne usano venti è già roba da chiodi, ma qui non si è proprio capito il contesto, e se ne è inventato un altro, affollandolo di presenze – il personale, gli istruttori – che nell’originale non c’erano.

The Far Right Meets The Far-Out (p.159), gioco di parole intraducibile, significa, all’osso, «L’estrema destra incontra la New Age» e, sacrificando, si sarebbe potuto rendere così. Nella versione LNdT diventa:
L’estrema destra, l’estremismo.

■ «therapeutic work didn’t allow for social distancing» (p. 171)
Vuol dire: «nel lavoro terapeutico non era possibile il distanziamento sociale».
Klein sta parlando delle chiusure di palestre, centri benessere, studi di massaggiatori, fisioterapisti ecc.
Nell’edizione LNdT diventa:
«le terapie non possono agire se non vige il distanziamento sociale».
In quel contesto, una frase priva di senso.

■ «gender-marginalized people» (p.176)
Nella versione LNdT diventa:
«soggetti genderfluid».
Non è affatto la stessa cosa: essere gender-fluid significa non identificarsi con un genere fisso ma oscillare tra i generi; gender-marginalized è qualunque persona venga emarginata a causa del proprio genere, che può anche essere sempre lo stesso.

Passaggi rozzamente riassunti

■ «But here is what got my attention about this steep drop-off in Wolf’s Covid roller-coaster ride: what she was describing on Fox was actually not a vaccine passport at all.» (p. 79)
Una resa fedele potrebbe essere: «Ma ecco cosa, vedendo Wolf discendere in picchiata le montagne russe del Covid, attirò la mia attenzione: quel che stava descrivendo su Fox non era affatto un passaporto vaccinale».
Nella versione LNdT diventa:
«L’assurdità e l’ossessività di queste affermazioni mi hanno alla fine portato a pensare che il Suo bersaglio non fosse tanto il green pass,».
N.B. Sull’uso di «green pass» vedi sotto.

■ «What many of us who were cringe-following Wolf at the time missed was the extent to which her new messaging had struck a chord» (p.84).
Una resa fedele potrebbe essere: «Tra chi in quel periodo, con grande imbarazzo, seguiva le mosse di Wolf, in tanti non avevamo colto quanto i suoi nuovi messaggi avessero toccato una corda sensibile».
Nella versione LNdT diventa:
«Quello che a molti di noi sfuggiva era la portata delle iniziative di Wolf».

■ «in the name of getting back to business as usual» (p.81).
Cioè «in nome del ritorno ai soliti affari».
Nella version LNdT diventa:
«sempre in nome del profitto».
In ultima istanza è vero, ma qui Klein sta descrivendo un momento preciso: quello in cui i governi e i media hanno puntato tutto esclusivamente sui vaccini, e nel discorso pubblico è sparito ogni accenno a cambiamenti strutturali.

■ «As the climate crisis accelerates, with the land heaving beneath us and burning around us, I expect that many of us will continue to find comfort in whatever small bodily obeyances we can muster. There is solace to be found here.» (p. 173)
Vuol dire: «Mentre la crisi climatica accelera, con la terra che si solleva sotto di noi e brucia intorno a noi, mi aspetto che molti di noi trovino ancora conforto in qualunque piccolo modo possiamo trovare per farci obbedire dal nostro corpo. In questo troviamo conforto.»
Klein sta raccontando di come fare yoga l’abbia aiutata a combattere lo stress e addirittura a superare il periodo in cui ha avuto un tumore.
Nella versione LNdT diventa:
«Con l’accelerazione della crisi climatica e il pianeta Terra che sta collassando, penso che molti di noi continueranno a trovare conforto in pratiche di questo tipo».
Scomparsa la terra che brucia, e soprattutto scomparso il sollievo di sentire che il corpo obbedisce, riferimento diretto a quel che Klein ha appena raccontato della sua malattia.

Passaggi sostituiti con altri scritti ex novo

■ «I gently push back on this: Why should surpassing a certain follower count preclude the possibility of feeling real pain?» (p.63).
Vuol dire: «al che obietto con delicatezza: perché superare un certo numero di follower dovrebbe precludere la possibilità di provare vero dolore?».
Nella versione LNdT al posto di questa frase se ne legge un’altra inventata di sana pianta da chi ha tradotto:
«Non condivido quest’affermazione: quando hai superato un certo numero di follower non devi pentirti di nulla.»

■ «The words she was saying were essentially fantasy.» (p.86)
Nella versione LNdT diventa:
«Se dal punto di vista logico tutto ciò non aveva alcun fondamento […]»
Non solo il riferimento al fantastico è diventato un riferimento all’illogico, ma una frase breve e autoconclusiva è diventata una proposizione coordinata subordinata avversativa.

Passaggi allungati, appesantiti, enfatizzati 

Numerose sono le parafrasi e le aggiunte di elementi ex novo.

■ «I always know when she has been busy–because my online mentions fill up instantly» (p.26).
Vuol dire: «so sempre quando lei ha avuto da fare, perché le mie menzioni online si accumulano all’istante.»
Nella versione LNdT diventa:
«Purtroppo, ero sempre aggiornata sulla Sua attività: a causa della confusione che si era generata tra noi due, le menzioni online che (ahimè) mi citavano arrivavano sul mio computer in tempo zero».
No comment.

They Know About Cell Phones (titolo di paragrafo, p.75).
Frase già citata, Klein le conferisce un senso preciso e controintuitivo.
Nella versione LNdT diventa:
I nostri telefoni sono controllati.

«as all those clever jokes suggest» (p.90)
Nella versione LNdT diventa: «
come suggeriscono paradossalmente le battute intelligenti».
Senza che ce ne fosse alcun bisogno è stato aggiunto un avverbio.

■ «I […] am uncomfortable playing doctor» (p. 104).
«Giocare al dottore» si dice anche in italiano.
Nella versione LNdT diventa:
«non mi sento a mio agio nella parte del dottore che deve guarire qualcuno».

■ «with no concern for the irony that its intelligence operatives have meddled in elections and helped overthrow democratically elected governments the world over since the Fifties» (p.117)
L’ironia (della sorte) a cui si riferisce Klein è che oggi negli USA si temono interferenze elettorali da parte russa, quando gli USA interferiscono da decenni nelle elezioni di mezzo mondo.
Nella versione LNdT diventa:
«quando è fin dagli anni cinquanta che la sua intelligence – guarda un po’ – condiziona le elezioni di altri paesi e contribuisce a rovesciare governi democraticamente eletti ovunque nel mondo».
Mentre il riferimento all’ironia della sorte era misurato e understated, com’è nello stile di Klein, l’inciso fra trattini «– guarda un po’ –» è enfatico e suona puerile.

■ «their “question everything” led to many of us not questioning enough» (p.118)
Una formula concisa ed elegante, costruita su una ripetizione. Si potrebbe rendere con: «il loro “metti in discussione tutto” ha spinto molti di noi a mettere in discussione troppo poco.»
Nella versione LNdT diventa:
«il loro “mettere in discussione tutto” sempre e comunque ha portato molti di noi a dare sempre per scontate troppe cose.»
Scomparsa della ripetizione, aggiunta di avverbi assenti nell’originale.

■ «We defined ourselves against each other and yet were somehow becoming ever more alike, willing to declare each other non-people» (p.121)
Vuol dire: «ci eravamo definiti in contrapposizione gli uni agli altri, eppure per certi versi stavamo diventando sempre più simili, disposti a dichiararci a vicenda “non-persone”»
Nella versione LNdT diventa:
«Ci siamo dichiarati diversi da loro, ma in qualche modo, stavamo diventando sempre più simili, disposti a dichiarare gli altri soggetti inqualificabili».
È saltata completamente l’idea del definirsi in reciproca contrapposizione, sostituita da una generica diversità, e l’efficace «non-persone» è rimpiazzato da una fiacca parafrasi, «soggetti inqualificabili».

The Bad Births to Covid Conspiracy Pipeline (titolo di paragrafo, p.175), si potrebbe rendere con «Dal trauma da parto ai complotti sul Covid», lasciando implicita la pipeline, il metaforico condotto sotterraneo che porta dall’uno agli altri. Raro caso in cui la resa italiana conterebbe meno sillabe dell’originale.
Nella versione LNdT diventa:
Depressione post partum: cadere nella tana del Bianconiglio a causa del Covid.

Toni enfatici assenti nell’originale 

Sono ottenuti per mezzo di corsivi o di punti esclamativi.

■ A Naomi Wolf sono riservati, dall’inizio alla fine del libro, i pronomi «Lei», «Suo», «Sua», sempre scritti in corsivo e con la maiuscola. È in tutto e per tutto un’invenzione di chi ha tradotto, nell’originale è semplicemente «she», «her», senza alcuna enfasi.

■ Analogamente, ai “complottisti” è sempre riservato il pronome in corsivo loro, col risultato di rimarcare la loro completa alterità rispetto a “noi”, cosa che invece Klein mette in questione.

■ «Other Naomi» è sempre «l’Altra Naomi», con aggiunta dell’articolo e del corsivo. Così si perde il sottile straniamento dell’uso di «Other» come se fosse un nome, Altra Naomi.

■ «So, no,» (p.38) diventa: «Quindi no!»

■ «this is not true» (p.79) diventa: «non è vero!».

■ «But that is very far from the truth» (p.110) diventa: «Ma non è vero!»

«supposedly suppressed CDC reports» (p.119) diventa: «i rapporti del CDC (verosimilmente secretati!)»

È importante far notare che nei suoi scritti Klein non usa mai punti esclamativi, a meno che non stia citando frasi altrui. Non è davvero nel suo stile.

Adattamenti maldestri

■ Per tutto il libro viene messa in bocca a Klein l’espressione «green pass», ma Klein descrive il contesto nordamericano. In Canada e negli USA gli attestati di vaccinazione o di immunità non hanno mai avuto quel nome, e rispetto al nostro green pass i loro utilizzi e termini di validità sono stati in parte diversi.

Conclusioni

È una situazione da cui non si può uscire limitandosi a risolvere i problemi qui elencati, perché il raffronto è avvenuto a campione, solo sui passaggi che avevo sottolineato, ed è limitato alle prime 200 pagine. Ne mancano ancora 147, e soprattutto manca un raffronto tra tutte le parti che non avevo sottolineato. È altamente probabile che ci siano moltissimi altri errori, tagli e rese problematiche.

Ritengo questa traduzione non emendabile. Andrebbe ritirata dal commercio il prima possibile.

Un’ultima considerazione: il lavoro che ho appena fatto io – gratis – in teoria avrebbe dovuto farlo qualcuno della casa editrice.

Postilla

Ho spiegato la faccenda anche in inglese:

Naomi Klein’s Doppelgänger’s Italian Doppelgänger: Misadventures in Translation

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55 commenti su “Il “doppio” di Doppelgänger di Naomi Klein, ovvero: disavventure di una traduzione

  1. Complimenti per il lavorone. Ho letto la versione UK a Settembre e stavo aspettando la versione italiana per farla leggere a mio padre. Non mi ero accorta che fosse già uscita, e per fortuna.

    Hai ragione a dire che questa traduzione andrebbe ritirata dal commercio, è molto grave che il testo innacquato passi per la versione italiana di un libro potente, puntuale e necessario come Doppelgänger.
    Avete contattato Naomi Klein e la casa editrice USA?

    Butto nel calderone che anche da un punto di vista visivo c’è dello sbiadimento: la copertina finto specchio annulla l’effetto glitch dell’originale.

  2. Non dubito dell’infamia della traduzione nel suo complesso.
    È una di quelle operazioni editoriali che puzzano di marcio (riassumendo, “Noemi Klein è famosa, facciamo una traduzione veloce e vendiamolo negli ipermercati”).

    Tuttavia, vorrei spezzare una lancia per «It’s a precarious line to walk».

    Per contesto, la “line” figurarta qui può essere non una direzione, una linea tracciata col gesso, ma più comprensibilmente, la fune del funambolo (c’è anche lo “slacklining”, c’è “I Walk The Line” di Johnny Cash e c’è “I Walk The Thin Line” dei Queensryche).

    Cercare “Walking the line” con Google Immagini restituisce molte immagini di gente che cammina su una fune, oltre alle locandine della biopic di Johnny Cash.

    Se è precaria, è qualcosa che si può spezzare, qualcosa da cui si può scivolare e cadere, non troppo dissimile da “walking on thin ice” o dalla storia del “terreno friabile”.

    La traduzione della metafora retorica è infelice, ma forse non è pisciata del tutto fuori dal vaso.
    Non conoscendo il contesto, io avrei scritto tranquillamente “è un camminare su una fune assai precaria” o roba del genere, ma vabbè.

    • Però tutti gli esempi che fai e le immagini simili che proponi sono riferite a uno sbandare, cadere di lato, perdere l’equilibrio. Nel «terreno friabile» sprofondi anche se stavi andando nella giusta direzione. Quello del terreno friabile è un problema che non dipende da te, hai voglia ad avere chiarezza di direzione e senso dell’equilibrio, quello ti si può comunque sminuzzare sotto i piedi. È appunto un cambio di metafora infelice. Tra gli esempi di improprietà non è dei più gravi, ma l’ho trovato e mi sembrava giusto metterlo.

      • Quello che sto dicendo è che la “precarious line” può essere interpretata come una fune che può spezzartisi sotto i piedi anche se sei il funambolo più esperto del mondo.

        Non è l’equilibrio ad essere precario, è la fune che fa schifo, è “precaria” in tal senso.
        Non è una “precarious walk on a line”, it’s a “walk on a precarious line”.

        In tal caso la storia del terreno friabile potrebbe essere accettata turandosi il naso.
        Certo è indicativo di una traduzione che punta alla sufficienza scolastica.

        • Capito. A me quel “precarious”, anche per il contesto del ragionamento che sta facendo Klein in quel paragrafo, continua a suonare di più nel suo significato 1 secondo il Merriam-Webster, cioè incerto, «dependent on chance circumstances, unknown conditions, or uncertain developments» e nel significato 3, «dependant on uncertain premises», dunque “precarious line to walk” lo interpreto come linea difficile da tracciare e mantenere. Ad ogni modo “line” nel senso di fune, del “camminare su una fune che potrebbe spezzarsi” può anche starmi bene, anche se come dicevo il contesto mi fa optare più per il mantenere o meno l’equilibro. Ma appunto, perché turarsi il naso? Sempre turarci il naso dobbiamo? Corda o linea che sia, da dove salta fuori questo «terreno friabile»? Perché cambiare metafora quando in inglese in questo caso si usano esattamente le stesse metafore che in italiano?

  3. Molto probabilmente si tratta di una traduzione affrettata, buttata giù in fretta per far uscire il libro in tempo per le feste natalizie. Ma una pulce mi saltella nell’orecchio. Quando gli errori vanno tutti nella stessa direzione, quando si percepisce un bias sistematico di fondo, non è che questo ci dice qualcosa, se non altro sullo zeitgeist? Gli errori sono sempre situati, questo l’ho imparato come insegnante. In questo caso la mia impressione è che questi errori tradiscano una rimozione di fondo, che impedisce di cogliere l’aspetto autocritico del discorso di Klein su se stessa e sui movimenti nel periodo pandemico.

    • Hai toccato un punto cruciale. Gran parte degli errori che ho segnalato vanno nella direzione di accentuare l’alterità dei “complottisti”, di prendere le distanze da loro, di dipingerli come degli idioti. Ai traduttori – forse anche per bias personale? Per esperienza diretta, so che dipende molto da come ci si è schierati ai tempi dei lockdown e poi del green pass – sono sfuggiti tutti gli accorgimenti e le sfumature che nell’originale NK adotta e calibra bene per impedire questa presa di distanza. In fondo Klein scrive rispettosamente anche della stessa Naomi Wolf. Quell’assurdità di dire sempre «Lei», «Suo» ecc. tradisce completamente quest’aspetto, e come fai notare contribuisce ad attenuare la critica e autocritica di Klein su come si è comportata gran parte della sinistra durante la pandemia.

      • Brevemente: credo sia proprio come dice Tuco.

        Il volume della Penguin è stato pubblicato a metà Settembre ‘23. Non vedo come la casa editrice possa aver pensato di poter riuscire a far tradurre in modo appropriato un testo di quattrocento e rotte pagine, mandarlo in produzione e distribuirlo in meno di tre mesi…e

        Quello che mi causa più perplessità però è rilevare che a livello editoriale non vi sia stato nessun tipo di “controllo” sul processo in se stesso, sulla qualità di ciò che veniva tradotto da un’altra lingua. Ciò è ancora più grave in virtù del fatto che in uno dei primi capitoli la Klein enfatizza in maniera molto chiara il rigore e il continuo lavoro di approfondimento e ricerca che esiste a monte del suo lavoro di giornalista investigativa e scrittrice.

        Chiunque sia responsabile sicuramente ammetterà di aver prodotto un «bodge job».

        • Beh, Dude, in realtà il testo alla casa editrice è arrivato molto prima della data di pubblicazione. I testi degli autori girano con mesi, se non anni, di anticipo. Personalmente, credo di averlo ricevuto a maggio. Quindi, nessuna scusa, da quel punto di vista. Mi sembra invece che ci sia stata sciatteria, e sicuramente anche un’incomprensione di fondo. In primo luogo perché il testo è molto ironico – anche se usa registri diversi. E in seconda battuta, come diceva un utente qui sopra, per ragioni ideologiche – una precisa volontà di allontanare i complottisti, facendone degli Altri.
          Ah, mi permetto di far notare, che government non è governo, in americano, ma statom nel senso di amministrazione statale, apparati, ecc.

          • Quello è senz’altro l’uso più comune negli USA, dopodiché vuol dire anche «governo» come lo intendiamo noi, cioè, tagliando con l’accetta, il gabinetto dei ministri (significati C del Merriam-Webster), di solito è con riferimento ad altri paesi. Non dimentichiamoci poi che l’inglese di Naomi Klein è il Canadian English, che rispetto all’American English è più vicino al British English, e in quest’ultimo, come da noi, si dice «government» per intendere quello che in American English è l’«administration» (Cfr. definizione del Cambridge Dictionary).

            Quando a pag.79 si parla dell’Australia, la frase mi sembra proprio riferita non allo stato ma al governo, il governo nazionale oppure quello statale della Western Australia, perché quella che viene descritta è un’iniziativa di governo. Ecco il passaggio completo:

            «There have been a couple of instances in Western Australia in which police accessed data from vaccine app scans as part of investigations into violent crimes. The government quickly introduced legislation to bar this kind of use, making it clear that the app was not a crime-solving tool.»

            È in questa frase che i traduttori hanno assurdamente inserito «USA», così quello che «introduced legislation» in Australia occidentale risulta essere «il governo USA».

            Anche il «decisions of governments» a pag.80, essendo riferito a decreti-legge et similia, mi sembra descrivere attività di governi, non semplici atti amministrativi e di apparato.

            • Premetto che non scrivo ne traduco di mestiere e non è quindi mia intenzione to teach my grandmother to suck eggs.

              Avendo però letto tutto della Klein (in inglese) ed essendo a metà di Doppelganger pensavo di aver risolto il problema di cosa regalare a Natale ad un paio di persone, qui in Italia, a cui farebbe un gran bene. Non saprei quindi se essere più cheesed off con WM1 o con la NdT.

              Riguardo a government, usato 78 volte nel testo in lingua inglese, il significato è ambivalente (either/or) come dice WM1. Si potrebbe quindi tranquillamente affermare che it was easy peasy to translate/spot for any translator/editor worth his/her salt. And yet…

              Già che ci sono esprimo un parere anche sulla «precarious line to walk»: io lo traduco esercizio rischioso.

      • Mi accodo qui, perché mi sembra il punto della discussione più appropriato. Ho letto il libro nella traduzione italiana, alcune cose segnalate nel post mi puzzavano, così a sensazione – i punti esclamativi, i pronomi in maiuscolo quando Klein si riferisce a Wolf –, ma poi non sono andato a controllare l’originale. Quindi, prima cosa: grazie per il post. Anche la traduzione del titolo mi ha lasciato perplesso, per non dire della sovvracoperta con la dicitura bella in evidenza “Dall’autrice di NoLogo” [sic!]: ancora, nel 2023 quasi 4, come se Klein avesse scritto solo quel libro, nonostante la problematizzazione di Klein sul personal branding a partire da quel che seguì (a lei) dopo la pubblicazione di No Logo proposta proprio nelle pagine di Doppelgänger. Ma fino a qui, ho pensato, marketing straccione, indigesto ma amen…

        Detto questo, secondo me è un libro importante e fa arrabbiare che l’edizione italiana sia uscita così, “depotenziata” (ma non disinnescata): personalmente trovo che esplorare, anche obliquamente, il concetto di “ambivalenza” (“antica” categoria sociologica) oggi sia di centrale importanza per comprendere i processi sociali e anche le esperienze individuali. E Klein lo fa, risuonando con l’approccio di Wu Ming 1 in La Q di qomplotto.

        Sappiamo che ogni traduzione ha una forte impronta soggettiva, per le scelte che vanno compiute e che discendono dal singolo bagaglio di letture e studi, sensibilità e gusto, ma che necessariamente sono anche influenzate dal contesto culturale generale nel quale si opera. E se possiamo sperare senza chiedere troppo che chi traduce professionalmente abbia ben chiaro che tradurre è scrittura e non mera traslazione, più difficile è pensare che venga sempre tenuto conto e si abbia consapevolezza – anche perché non è cosa immediata, conta molto anche “l’allenamento” a farlo – che ci si sta muovendo in quell’acqua che è, appunto, il contesto culturale generale del tempo presente e della società specifica nella quale si vive (largamente corrispondente a una matrice globale, ma con le sue specificità): polarizzazione, predominanza del “pensiero disgiuntivo” (questo o quello) su quello “congiuntivo” (questo e quello), ecc.. Se poi si tratta di tradurre un libro come questo di Klein (ma per la ricezione mi pare che le cose non stiano poi così differentemente) di critica socioculturale e politica, ad alto grado di riflessività, tutto questo si presenta, come si dice, all’ennesima potenza e non dovrebbe, in seconda battuta, stupire per nulla – ma la cosa è grave, non solo per il caso specifico ma anche per il quadro generale di cui è sintomo – che succeda quel che è successo.

        • Condivido l’analisi di mr mill ma divergo parzialmente sulle conclusioni. La mia premessa è che se è vero che tradurre non è «mera traslazione» non è però neanche «scrittura».
          In Italia (non so bene all’estero) negli ultimi anni c’è una deriva insopportabile sulla traduzione considerata come “autorialità” e non come “resa” e sulla sovrapposizione (preoccupante) tra chi traduce e chi scrive. Il picco sono i/le traduttori/rici che vanno in giro a presentare i libri da loro tradotti come se ne fossero gli autori (ci manca solo che ritirino i premi al posto loro).

          La traduzione è un mestiere tecnico. Certo, con picchi molto alti di creatività, ma pur sempre un mestiere tecnico che agisce su lavori altrui e non creando ex novo. Direi alto artigianato, ecco.

          Questo per dire che essendo un mestiere tecnico chi traduce professionalmente dovrebbe non solo 1) non tradire significato e stile (contenuto e forma), 2) renderli il più possibile nella lingua di arrivo, 3) ma anche documentarsi su cosa traduce e chi lo ha scritto.
          Questo documentarsi serve proprio a evitare che le proprie idee/convinzioni politiche o morali/contesto storico-culturale/ecc. causino quei bias cognitivi e le influenze del contesto culturale di cui si parla in questa discussione.

          Così facendo la giusta impronta soggettiva della traduzione rimane (traduttori diversi effettueranno scelte diverse) ma in nessun caso queste scelte comprometteranno cosa intendeva dire l’autore originale.
          Che «tradurre» derivi etimologicamente da «tradire» è una cazzata colossale diffusasi nella vulgata. «tradurre» deriva da «trasportare» (da una lingua all’altra).

          Semmai mi si potrà obiettare, coi ritmi frenetici e le basse paghe dell’attuale editoria non sempre chi traduce ha il tempo di studiare e documentarsi. Ma questa non è una giustificazione per casi come quello di questo post. Una cattiva traduzione di un testo complesso può sbagliare nella resa di un termine tecnico o scientifico, di una categoria filosofica, ma non può stravolgere così a fondo il senso del libro.

      • Qua su giap per due anni si è discusso del fatto che la colpa specifica della sinistra nell’esplosione delle fantasie di complotto sia quella di aver abbandonato rovinosamente la critica al capitalismo della sorveglianza, la critica alla speculazione finanziaria sui prodotti farmaceutici, la critica alla tecnicizzazione dei saperi, la lotta per la salute come bene sociale e collettivo, la lotta per l’autodeterminazione, la lotta per la libertà di movimento delle persone, e molti altri cavalli di battaglia, abbracciando invece la filosofia essenzialmente liberale, borghese, meritocratica e autoritaria della responsabilità individuale e del rispetto delle regole in quanto tali. Il vuoto lasciato dalla sinistra è stato riempito da fantasie di cospirazione, spesso calate dall’alto, che rispondono in modo storto e manipolatorio a domande reali di persone disperate. Queste fantasie cospirative si possono anche vedere come il doppio deforme e oscuro della critica dell’economia politica, che la sinistra ha abbandonato di corsa per chiudersi in casa a cucinare biscotti. Su questo cumulo di macerie politiche pascola ora quasi indisturbata una nuova/vecchia destra, che appare incomprensibile e inafferrabile solo a chi ha chiuso gli occhi tra il ’20 e il ’22. [Dove ’20 e ’22, a pensarci bene, possono essere 2020 e 2022, ma anche 1920 e 1922: pure il fascismo sorse come doppio oscuro del socialismo in seguito all’implosione della seconda internazionale per la faccenda dei crediti di guerra eccetera eccetera.]

        Certi ragionamenti autocritici di Klein mi paiono in forte risonanza con molte discussioni sviluppatesi su giap a suo tempo. Viste le reazioni che le nostre discussioni sistematicamente provocavano nei social network di area, non mi stupisce che gli errori nella traduzione del libro di Klein siano orientati da bias che, tra le altre cose, depotenziano anche e proprio quella risonanza.

      • La scelta del corsivo e della maiuscola che arriva a coprire anche cose come Se stessa è veramente inspiegabile e va pesantemente nella direzione dell’«alterizzazione» come dice WM1. Un intervento così invasivo lascia veramente perplessi: che cosa si vuol ottenere con una strategia simile, che difficilmente può passare inosservata anche a chi non ha sottomano l’originale?
        Tra l’altro, è anche fatta a macchia di leopardo: in cinque righe c’è un normale «Suo padre» dopo il punto, un corsivo «Suo padre» nella frase e un altro «suo padre» poco sotto (nella versione ebook parzialmente disponibile su un noto servizio web, in cui però non si vede la pagina. È nel capitolo Occupy, comunque).

    • Se posso permettermi di fare da squassa maroni ingarbugliando ulteriormente i fili di questa “retro-traduzione”; soltanto un dettaglio… I swear pal, I’m only tryin’ to help!

      Riguarda una delle «Sentences that were misunderstood, misinterpreted, and/or turned upside down», la terza:

      «We can have legitimate debates […]»
      NdT version: «Possiamo discutere sulla legittimità della decisione dei governi»
      [We can discuss the legitimacy of the government’s decision]

      Essendo la parola «governi» al plurale nella traduzione della versione NdT non andrebbe forse spostato l’apostrofo dopo la S: governments’?

  4. Tralascio il fatto che qui si mettano in dubbio le scelte autoriali di chi traduce, altro elemento che forse meriterebbe un po’ più di rispetto, ma mi chiedo se chi ha fatto la traduzione non abbia semplicemente lavorato su un testo che non è quello finale, ma una bozza semi-definitiva nella quale poi sono state modificate alcune frasi. Chi traduce sa benissimo che queste cose capitano spesso, soprattutto con libri per i quali c’è grande attenzione e che escono tradotti pochi giorni dopo la (o addirittura in corrispondenza della) versione originale. In pratica lavori su un testo che poi viene cambiato leggermente prima di essere pubblicato, e questo testo definitivo arriva a traduzione già terminata. Forse, prima di mettere alla berlina chi traduce, bisognerebbe valutare le condizioni in cui si è trovato/a a lavorare, e capire se dietro non ci sia molto più banalmente la fretta e la mancanza di cura della casa editrice, piuttosto che un oscuro disegno per screditare i complottisti.

    • Per prima cosa, qui non si è messo alla berlina nessuno. Si sono messi in fila errori, tagli e stravolgimenti che un testo ha subito. È oggettivo che questa traduzione è disastrosa, e oggettivamente lo si è spiegato, con dovizia di esempi.

      Anch’io ho fatto il traduttore per anni. Ho tradotto per Einaudi e Sperling & Kupfer. So bene che spesso si lavora sui testi prima ancora che escano nell’edizione originale, è quel che ho fatto anch’io traducendo 22/11/63 di Stephen King, il cui testo mi è arrivato quasi un anno prima dell’uscita negli USA e, contemporanea, in Italia. Nel corso di quell’anno il testo mi è stato rispedito un altro paio di volte, con le modifiche che King stava facendo nel frattempo, e a me toccava tornare indietro a sistemare passaggi già tradotti.

      Solo che qui non stiamo parlando di «un testo che poi viene cambiato leggermente prima di essere pubblicato». Stiamo parlando di una resa che non c’entra quasi nulla con il testo di partenza. Gli esempi sono troppo numerosi, nemmeno l’aver lavorato su un testo non definitivo può giustificarne frequenza e gravità. Vuol dire che anche l’ipotetica versione transitoria è stata tradotta malissimo.

      Né di fronte a questa sequela di strafalcioni ha senso parlare di «scelte autoriali di chi traduce», dài, su, non siamo ridicoli. Le scelte autoriali si fanno una volta reso al meglio il significato, e si fanno per rendere al meglio lo stile dell’autore o autrice. Qui significato e stile sono stati massacrati.

      Che la colpa più grave sia comunque della casa editrice, qualunque cosa sia successa, è l’ABC. Nel post qui sopra questo è detto sia all’inizio – «le condizioni di lavoro sempre più precarie e i tempi sempre più ristretti della produzione editoriale» – sia alla fine: «il lavoro che ho appena fatto io – gratis – in teoria avrebbe dovuto farlo qualcuno della casa editrice.»

      Infine, è veramente sciocco dire che qui si evoca “un oscuro disegno per screditare i complottisti”. Nei commenti si è ipotizzato come possibile concausa un bias di fondo. I bias sono scorciatoie cognitive che tutti noi imbocchiamo in automatico, non intenzionalmente. Per accorgerci che lo stiamo facendo, serve un momento autoriflessivo. Nelle condizioni in cui si lavora oggi nell’editoria, senza il tempo per la necessaria autoriflessività, questo bias potrebbe aver agito incontrastato. È abbastanza chiaro che gran parte degli errori rilevati e delle scelte fatte vanno nella stessa direzione. Un bias di fondo potrebbe contribuire a spiegare perché.

      • La spiegazione “hanno lavorato su un testo non definitivo” non regge, perché anche fosse non renderebbe conto del fatto che in molti passaggi del libro a Naomi Klein viene fatto dire l’esatto contrario di quel che dice in inglese. Per quanto “non definitiva” possa essere stata la stesura consegnata ai traduttori, è impossibile che Klein vi sostenesse tesi opposte a quelle poi andate in stampa.

        Nell’esempio che segue, che estrapolo dalla lista qui sopra, la lunga frase centrale che in italiano non c’è potrebbe pure essere stata aggiunta da NK in extremis – anche se ne dubito fortemente perché è una frase-chiave – ma per tutto il resto che avviene nel passaggio da Penguin alla Nave di Teseo, l’unica spiegazione plausibile mi sembra la totale incomprensione di quel che NK stava dicendo. La cosa incredibile è che in casa editrice nessuno abbia fatto il minimo controllo, e che di schifezze del genere me ne sia dovuto accorgere io per caso tre mesi dopo.

        «And there is something else that I have noticed while listening to Bannon – he sticks, fairly judiciously, to the issues where there is common ground: hating Biden, rejecting vaccines, bashing Big Tech, fearmongering about migrants, casting doubt on election results. He skates lightly over more traditionally conservative issues that he may care about but that are likely to alienate some of his newfound friends, including abortion and gun rights. He doesn’t ignore them, but they don’t take up nearly as much airtime as one might expect.» (p.127)

        Versione Nave di Teseo:

        «Ho notato anche un’altra cosa: Bannon tocca sempre con prudenza temi come l’odio verso Biden, il rifiuto dei vaccini, le critiche alle Big Tech, la fomentata paura nei confronti dei migranti, i dubbi sui risultati delle elezioni. Non è che li ignori, ma non occupano lo spazio che ci si aspetta.»

        • Anche io penso che, al netto degli errori, delle interpretazioni “libere”, delle enfasi messe dove non ci sono, ci siano vari indizi sul fatto che sia stato un lavoro fatto di corsa (il fatto che i traduttori siano due, l’uscita ravvicinata) e su un testo non definitivo: a farmelo dire sono le parti saltate, decisamente troppe per essere sviste dei traduttori. È mancato clamorosamente, all’apparenza, un lavoro di revisione finale, sarebbe interessante capire perché, per un libro che sicuramente avrebbe suscitato interesse (vero è che per esempio un libro di grande successo come Open “di” Agassi nella prima edizione era infarcito di errori di traduzione, quindi un atteggiamento “sportivo” su quello che viene pubblicato non è raro).
          Sul possibile bias, di certo la tempistica delle lavorazioni incalzanti non favorisce l’autoriflessività.

          Un piccolo dubbio che mi è venuto: ma la versione cartacea di Doppio è identica all’ebook?

  5. Un tempo si diceva “salario di merda, lavoro di merda”… solidarietà ai traduttori, quindi, e che la vergogna ricada sulle case editrici e sulla loro incuranza per la qualità dei libri.
    A conferma della pochezza del settore, anche quando si parli di editori grandi, segnalo un altro esempio.
    Nei limiti di ciò che è possibili alla saggistica, L’alba di tutto di David Graeber e David Wengrow è un vero e proprio best-seller, nonché un’opera cardinale nella decostruzione dell’idea moderna di progresso.
    Ci si sarebbe aspettati, pertamto, che Rizzoli desse due spiccioli a un qualche scienziato sociale, anche alle prime armi, per una verifica scientifica della traduzione (in sé, peraltro, assai scorrevole). E invece no!, al punto che l’inglese caring relationships, ovvero “relazioni di cura”, diventa nella versione italiana “relazioni affettuose”. A seconda dell’umore e dell’ora del giorno, gli effetti possono essere esilaranti o deprimenti.

    • “A salario di merda, lavoro di merda” è un motto e una pratica ineccepibile, in linea generale e di principio. Ho studiato traduzione e c’è stato un periodo della mia vita in cui avrei voluto farlo di professione. Non è stato possibile, per l’impegno che mi veniva richiesto a fronte dei due spicci che i clienti erano disposti a darmi, quasi sempre in ritardo.
      Perciò mi sento di dire che c’è un limite. Un limite, oltre il quale accettare condizioni di lavoro inaccettabili diventa dumping, dannoso per i colleghi e svilente per il mestiere, oltre che disonesto nei confronti di autori e lettori. C’è un limite, oltre il quale si chiude la partita IVA e ci si ingegna a fare altro per vivere, a meno che non si voglia fare i crumiri.

      • Sempre ribadendo che di scempi come quello di cui stiamo discutendo i maggiori responsabili sono comunque gli editori, per i motivi già detti: pubblicano troppo (se ho contato bene nel 2023 La Nave di Teseo ha mandato in libreria 166 titoli, cioè 3,20 alla settimana, all’incirca uno ogni due giorni); impongono ai traduttori tempi mozzafiato; pagano due penny a pagina; esternalizzano il lavoro di revisione; invece di curare il testo impaginano e mandano subito in stampa…

        Sempre ribadendo questo, io mi trovo d’accordo con Zora: «a salario di merda, lavoro di merda» è giusto in un rapporto a due tra imprenditore e salariato, non se ci vanno di mezzo terze parti incolpevoli.

        Quel motto è riferito a un contesto in cui il lavorare male, arrecando danno al padrone, rientrava nel repertorio delle forme di lotta a disposizione della classe operaia. Era di fatto sabotaggio.

        Nel caso di traduzioni abominevoli, invece, si verifica tutt’altro: invece che danneggiare il padrone, il lavoro mal fatto danneggia tutte e tutti fuorché il padrone. Naomi Klein non ha colpa del fatto che le case editrici italiane siano messe così, e soprattutto è ingiusto scaricare a valle le deiezioni del processo editoriale, addosso a lettrici e lettori.

      • Devo dire: io non trovo che, in ultima analisi, fare traduzioni di merda sia una cosa così sporca e immorale.
        Se mi pagassero profumatamente per fare traduzioni di merda, nemmeno per un istante mi farei remore.

        Che il risultato ultimo si riversi sull’incauto acquirente non mi fa poi così inorridire: sinceramente, i lavori fatti alla bell’e meglio sono la norma in un sacco di settori, dove le conseguenze possono essere anche più pericolose di un bruciore di stomaco provocato al lettore.

        Vorrei però fare un applauso a zora per l’ultimo paragrafo.

        Mi spiace dirlo, ma so per esperienza di prima mano che nell’editoria (e nel copywriting, e nella grafica pubblicitaria, eccetera) si radunano badilate di dumper seriali e crumiri.

        Il settore è stato distrutto da almeno due generazioni affrettatesi a lavorare, a lungo, “in cambio di visibilità” una volta conclusi gli studi, spesso godendo di aiuti, appigli ed emolumenti di cui non hanno goduto altri che, come zora, sono andati a lavorare in fabbrica o roba del genere.

        Certo, gli editori, anche di quotidiani, ci hanno messo del loro per inseguire il minimo comune denominatore.
        Rimane che oggi dire “mio figlio fa il giornalista” alla festa del patronato attira sguardi… diversi rispetto a una volta, ecco.

        • Qui abbiamo un libro scritto da una “firma” rispettata nei movimenti di mezzo mondo che, senza predicare ai già convertiti (gli oppositori della gestione pandemica), anzi rivolgendosi a chi quei provvedimenti li appoggiò, critica il modo in cui gran parte della sinistra ha sostenuto le politiche del biennio 2020-2021: il pensiero binario in cui si è trastullata, la cecità di fronte alle conseguenze di certe misure, l’accettazione di capri espiatori, l’alterizzazione dei “complottisti”, eccetera.

          Non so te, ma io attendevo da tempo uno sviluppo del genere: qualcuno che facesse autocritica su quella fase. Ora ce l’abbiamo, ed è influente, un’autrice considerata e apprezzata per il suo rigore.

          Certo, la critica di Klein è più felpata di quelle che si sono lette, ad esempio, su questo blog. Nondimeno, molte cose importanti le dice.

          Ecco, a chi legge la traduzione mandata in libreria da La Nave di Teseo, tutto questo non arriva o arriva fortemente attutito, attenuato, annacquato, per via dell’effetto cumulativo di centinaia di scelte di traduzione, grandi e piccole, che proprio nei passaggi cruciali inficiano, guastano o addirittura invertono i ragionamenti di Klein. Questo è un problema serio: fa sprecare un’occasione preziosa, altera la percezione del ripensamento di Klein e delle sue posizioni, fa chiudere il libro senza aver capito, o avendo appena intuito, il senso dell’operazione.

          Se tu mi dici che fare traduzioni di merda non arreca poi ‘sto gran danno e che son cazzi dell’incauto acquirente, io ti dico che non hai capito di cosa si sta parlando e mi chiedo anche che senso ha avuto scrivere tutti quei commenti sull’incubo che stavamo vivendo se poi non sai valutare l’importanza di un’autocritica come quella di Klein, al punto di dire che non è importante che arrivi o no ai lettori italiani (incauti! chi se ne ciava de lori!)

          • Aspetta, non voglio togliere nulla ai meriti del libro (che non ho ancora avuto modo di leggere).

            Quel tipo di (auto)critica sta iniziando, piano pianino, ad emergere anche in altri contesti, e se arriva da una voce rispettata ed ascoltata come quella della Klein… la cosa mi fa felice, anche se non credo determinerà le sorti del mondo (se non altro per una questione di tempismo).

            Semplicemente In generale ritengo che, piuttosto che fare un lavoro salariato alla cazzo, sia molto peggiore contribuire ad affossare un intero settore facendo dumping (e renderlo così il feudo di chi è ricco di famiglia e/o masochista, con immediato nocumento al pluralismo).

            Figurati che è da decenni che le traduzioni maldestre sono una mia pet peeve, anche su argomenti più leggeri. Il traduttore infedele mente, e una traduzione infedele può essere peggio di “nessuna traduzione”, come in molti altri aspetti della vita.

            Ma è praticamente la norma, da decenni!

            Il mio secondo libro preferito è Cat’s Cradle (1969) e non ne esiste una traduzione italiana buona da cima a fondo.
            L’edizione Feltrinelli riesce a mancare una virgola e sbagliare catastroficamente l’esergo.

            Forse anche per quello è misconosciuto in italia.

            Ma la responsabilità non può essere esclusiva, o anche solo maggioritaria, del prestatore d’opera quando questo ci porti a casa pochi euro dichiarati come “redditi da lavoro dipendente”.

            Anche se questo prestatore d’opera fosse un incompetente, sciatto, incapace e i suoi bias personali trasparissero dalla traduzione fino a svilirne il contenuto.

            C’è una casa editrice che ci fa il profitto perchè si assume implicitamente un impegno (a che altro serve un editore nel 2023, quando posso autopubblicare in due click?), ci sono le riviste, i critici.

            Sopratutto ci sono 5 milioni di italiani che sanno l’inglese: sono più pericolose certe — fedeli ma letterariamente orrende — traduzioni dal cinese di Edoarda Masi, o discutibili traduzioni di traduzioni.

            La casa editrice faccia una seconda edizione, si scusi e vi ringrazi molto.

            Perchè, capiamoci, da qui a pochi mesi copiaincollare l’ePub della versione inglese in un LLM disponibile a tutti restituirà un risultato non eccelso ma comunque superiore ad una traduzione così dozzinale (a parte vanno fatte, ovviamente le considerazioni sul considerarlo un oracolo e sui bias che può iniettare).

            Le scuse finiranno davvero per tutti.

            • Nessuno qui ha detto che la responsabilità sia esclusiva di chi traduce, è stato più volte ribadito che quando avvengono questi scempi la principale responsabilità è della casa editrice. Tuttavia, in questo caso a salario di merda non dovrebbe corrispondere lavoro di merda, ma, una buona volta, rifiuto di fare quel lavoro. Non solo per evitare il dumping, che è basilare, ma anche per non compiere crimini culturali contro autori e lettori.

              En passant: Cat’s Cradle è il romanzo che Vonnegut scrisse proprio ispirandosi agli anni in cui aveva lavorato alla General Electric, agli esperimenti di cloud seeding di suo fratello Bernard (dipendente della stessa azienda) e a come i militari avevano scippato quella ricerca cooptandola nel Progetto Cirrus. Insomma ciò di cui ho scritto nella prima puntata dell’inchiesta. Nella conferenza di Bruxelles, infatti, mi sono soffermato sul romanzo e sul “ghiaccio 9”.

              • Ci sarebbe anche da aggiungere che non tutti i traduttori professionisti si occupano di letteratura, anzi, a naso direi che la gran parte campa grazie a traduzioni tecniche o comunque specialistiche. E qui va chiarito che l’ipotesi per assurdo ventilata più sopra da rinoceronte non regge: nessuno mai pagherebbe fior di quattrini per vedersi consegnare delle traduzioni di merda. Chi è disposto a pagare onestamente per un lavoro onesto ha un motivo per farlo, e sta ben attento a ingaggiare traduttori bravi e a metterli nelle condizioni di svolgere al meglio il proprio lavoro. Perché a sfornare traduzioni di merda non si rischia soltanto di compiere “meri” crimini culturali, come nel settore letterario, ma anche di mettere in vero e proprio pericolo i destinatari finali della traduzione fatta coi piedi. Si provi, per esempio, a immaginare il bugiardino di un medicinale pieno zeppo di errori oppure il manuale di istruzioni di un’affettatrice. Non credo proprio che al produttore convenga. La fregatura delle traduzioni letterarie sta proprio qui: se il testo di arrivo è scorrevole e leggibile, nessuno mai si prende la briga di controllare che sia anche fedele al testo di partenza. Mi azzardo a pensare che non lo avrebbe fatto neanche Wu Ming 1, se non avesse avuto bisogno di citare in italiano Klein. Sta ai traduttori scoperchiare il tombino di questa fogna, perché altri non lo faranno.

                • È vero, non l’avrei fatto, perché non avendone bisogno non avrei comprato la traduzione italiana.

                  • Chiedo scusa a zora in anticipo.

                    «La fregatura delle traduzioni letterarie sta proprio qui: se il testo di arrivo è scorrevole e leggibile, nessuno mai si prende la briga di controllare che sia anche fedele al testo di partenza.»

                    Dato che uno degli obiettivi di questa discussione si potrebbe dire sia evitare la formazione di bias cognitivi, a me pare che messa giù così può sembrare che tutte le traduzioni letterarie
                    in tutte le lingue siano delle fregature.. Insomma, suona come una generalizzazione e credo che, in questi termini, c’è il rischio di banalizzare la realtà di un discorso che invece è significativo.

                    Anche la frase: «nessuno mai […] di partenza» sembra un esempio perfetto, anche se involontario, di ”dumping”; lascia poi intendere che le case editrici tutte saltino a pié pari ed in maniera sistemica un procedimento che [immagino/spero] almeno alcune di esse svolgono invece con dovuta attenzione.

                    Forse può servire allora citare, oltre ai salari di merda, anche altre 3 parole scritte da SteCon nel commento sopra: relazioni di cura. (prese da un altro testo importante uscito quest’anno)

                    Siamo tuttx coinvoltx in relazioni di cura e, aggiungerei, ci sarebbe tanto bisogno di allargare il “raggio d’azione” di questi legámi. Da questa prospettiva quindi concordo sul fatto che il rifiuto di lavorare a certe condizioni (l’amico Bifo è da tempo che suggerisce la pratica del disertare) rappresenti certamente un ottima alternativa. Aggiungerei: a tutti i livelli e per tutte le categorie. Tieh.

                  • Condivido quanto scritto da Zora e Wu Ming 1 sul fatto che in questo caso a salario di merda non dovrebbe corrispondere lavoro di merda ma il rifiuto di fare quel lavoro, per evitare una lotta al ribasso tra lavoratori e non danneggiare chi legge il libro, e che la colpa principale (ma non esclusiva) sia dell’editore che sottopaga, impone ritmi frenetici e non revisiona il testo. Ma la riflessione non può prescindere dal panorama complessivo dell’editoria in Italia.

                    Che i salari sian bassi e i ritmi frenetici lo sanno quasi tutti ma bisognerebbe partire ragionando sulla figura dell’editore.
                    Storicamente è colui che ìdea e diffonde un progetto culturale specificamente connotato e garantisce al lettore, mettendoci la faccia, che i suoi libri siano in linea col progetto e abbiano un certo livello di qualità.
                    Come in molti altri settori, ovviamente.

                    Ormai questo aspetto di garanzia editoriale si è quasi completamente smarrito (a eccezione di vari editori indipendenti piccoli e medi) a fronte di un’editoria industriale di massa (quella dei grandi gruppi) che sforna decine di migliaia di libri l’anno come se fossero prodotti intercambiabili tra loro (mele e pere). Da qui tutte le storture lavorative condivise con altri settori produttivi.

                    I problemi di fondo sono sia che chi lavora nell’editoria non si mobilita per migliorare le condizioni (avrei molto da dire sul ruolo che il presunto “prestigio sociale” di lavorare nella cultura ha sulle mancate mobilitazioni e sull’accontentarsi) sia che – per diffusa mancanza di conoscenza su come funziona il dietro le quinte – chi legge fatica a rendersi conto delle problematiche del settore.

                    Chi legge un libro neanche si rende conto se è editato male, se è pieno di refusi, se è tradotto male o non revisionato, ecc., a volte perché inconsciamente si fida (editori dal marchio storico campano di rendita della loro gloria passata), a volte perché non ha tempo di verificare, altre volte semplicemente perché manca un giusto grado di esigenza critica (se compro una lavatrice esigo che funzioni, se non funziona chiamo il produttore e me la faccio riparare o cambiare, se non lo fa mi rivolgo ad associazioni di consumatori, in ogni caso non comprerò mai più le sue lavatrici e lo sconsiglierò a chi conosco). –>

                  • –> [scusate il doppio commento]
                    I grandi editori ormai sono imprenditori come gli altri e se ne fregano della qualità dei loro prodotti (figuratevi se oltre a un traduttore pagano un editor o un revisore per verificare la qualità del lavoro), così come se ne fregano di rispettare i diritti di chi lavora per loro. Il problema è che nessuno gliene chiede conto.
                    E se è vero che i libri sono dei prodotti come gli altri (marxianamente parlando) sono comunque prodotti particolari perché, a differenza di pere e mele, non hanno solo qualità materiale ma anche un contenuto culturale. Un libro veicola analisi critiche, immaginari, ecc., quindi un libro fatto male causa danni non solo materiali ma anche sociali e politici.

                    Ora, io non ho mai creduto nella logica neoliberale per cui il consumatore con le sue abitudini di acquisto cambia il mercato. Credo però che una azione collettiva combinata di lavoratori dell’editoria e lettori potrebbe, con pressioni dal basso come in ogni lotta, contribuire a cambiare qualcosa.
                    Se chi traduce non solo denunciasse le proprie condizioni di lavoro (come inizia a succedere) ma si rifiutasse di tradurre e comunicasse tutto con chiarezza ai lettori, e i lettori si rifiutassero di comprare i libri lavorati con le condizioni che probabilmente hanno causato anche la traduzione di Klein, forse i grandi editori inizierebbero a tremare un po’.

                    È un po’ sintetico, mi rendo conto che il discorso andrebbe allargato e approfondito, perché di mezzo c’è anche il fatto che in Italia si legge poco ed è un mercato asfittico con pochi soldi, per cui anche molti piccoli e medi editori virtuosi sono costretti a sottopagare chi traduce.
                    Ma se lavoratori dell’editoria e lettori si coalizzassero contro la “grossolaneria a scopo di profitto” dei grandi editori, forse una fetta di mercato di questi ultimi si sposterebbe sugli editori di progetto che magari avrebbero qualche soldo in più per pagare meglio chi lavora per loro.

  6. Mi fa molto piacere leggere una analisi così circostanziata di una traduzione in lingua italiana. Ma perché solo su questo blog si fa una critica così incisiva di una traduzione italiana pubblicata da una nota casa editrice senza che nessun altro sinora sia intervenuto? Perché in Italia a differenza degli USA non esistono più analisi critiche vere e stroncature. La maggior parte delle recensioni pubblicate dai supplementi letterari dei quotidiani italiani sono ormai assegnate non a critici professionisti (che pure esistono) ma a scrittori che non hanno alcun interesse a “rovinarsi” i rapporti con un potente editore pubblicando critiche e stroncature. Viceversa negli USA esistono riviste letterarie del tutto indipendenti come la “New York Review of Books” o il “New Yorker”, che pubblicano anche stroncature e anche di nomi famosi così come analisi attente delle traduzioni. In Italia è l’intero sistema che sta andando in rovina a causa dell’assenza di vera critica. In più qui noto l’ambizione di fondare una nuova casa editrice che pubblica molti titoli ma non sembra avere il personale per farlo. Come si legge in qualche commento sembra mancare il cuore di una casa editrice: la redazione, redattori competenti anche dal punto di vista linguistico che sanno rivedere una traduzione. Purtroppo il sistema editoriale italiano non sembra invogliare a fare questi investimenti perché ormai è un sistema chiuso, autocentrato. Chi è dentro non può permettersi di criticare e quindi qualsiasi magagna passa sotto silenzio. Qualche mese fa si commentava, argomento ricorrente, l’assenza di stroncature in Italia. Si leggeva: anche noi avremmo il diritto di leggere una stroncatura dei romanzi scritti da che so?, Nicola Lagioia per es. Esattamente come negli USA pubblicano stroncature dei romanzi di Hanya Yanagihara, come “Verso il paradiso” (in Italia pubbl. da Feltrinelli). Ma qui non succede. Per questo un editore italiano può permettersi di fare di tutto. E sempre per questo per i lettori italiani diventa sempre più vitale sfuggire a questa trappola fatta di false informazioni e di scambio di lodi a sproposito. L’unica soluzione è poter leggere i testi in lingua originale e le recensioni pubblicate oltrefrontiera.

    • Quello che scrivi è vero in generale ma è ancora più vero per l’esempio preso qui: nel mondo culturale ci vuole una certa incoscienza o almeno una schiena piuttosto diritta per criticare apertamente la direttrice editoriale e direttrice generale della Nave di Teseo, che è anche direttrice di MIlanesiana Letteratura Musica Cinema, produttrice cinematografica, influencer anche politica a vari livelli, e infine, forse conta di meno ma è la ciliegina sulla torta, sorella dell’attuale sottosegretario alla cultura. Prima di farlo ci pensano due volte e poi altre due volte, e alla fine lasciano perdere. Non si leggono mai, ma proprio mai, discorsi che non la incensino.

    • Pierfranco, tocchi un altro tasto dolente dell’editoria, cioè chi fa il lavoro redazionale nelle case editrici.
      Nei grandi gruppi editoriali, come in ogni grande azienda, è sempre più diffusa l’esternalizzazione, soprattutto del settore redazionale.

      Amministrazione, ufficio commerciale, ufficio diritti sono tenuti interni e sotto controllo, sono i settori considerati produttivi e che portano soldi. Anche la grafica e – un po’ meno – la comunicazione sono spesso appaltate ma quello maggiormente dato fuori è il redazionale, come se il lavoro sul testo fosse accessorio.

      Gli editor sono ancora più o meno interni anche se sempre più spesso a partita iva. E, se va bene, si limitano allo scouting e/o al macroediting senza invece quel lavoro certosino di microediting e text editing che si situa a cavallo tra la figura dell’editor e del redattore.
      Invece i redattori interni sono quasi spariti. Al massimo medi e grandi editori tengono uno o due caporedattori che coordinano il lavoro esternalizzato.
      Messa a norma, impaginazione, correzione di bozze, compilazione di indici e apparati, praticamente tutto il lavoro redazionale puro, non è gestito internamente ma appaltato e, spesso e volentieri, neanche revisionato quando viene consegnato.
      Ovviamente ci sono le dovute differenza tra editore ed editore, non voglio generalizzare, ma la tendenza è questa.

      Ciò è causa di scarsa qualità. Non per le competenze delle persone che lavorano free lance o nei service (spesso gran bei professionisti) ma perché (oltre a essere sottopagate e con ritmi assurdi) non possono specializzarsi sulle norme di uno specifico editore ma devono seguire regole di editori diversi.
      Soprattutto viene a mancare uno sguardo complessivo e unitario lungo tutta la filiera del libro.

      L’assurdità è che il testo dovrebbe essere il cuore del lavoro editoriale e invece è ciò che più viene sacrificato a scapito di commerciale, promozione, ecc.
      Situazione ben nota a chi è nel settore ma sconosciuta alla maggior parte dei lettori.

  7. Da non dimenticare però che il problema della scomparsa della “critica” in Italia non riguarda solo i libri di una certa casa editrice perché è la conseguenza di quell’atteggiamento ossequioso che nel mondo della cultura italiana c’è verso tutte le case editrici. È un discorso che è anche perfettamente in linea con l’analisi che fa la Klein sui limiti, anzi l’assenza di critica nella sinistra per quanto riguarda la gestione dell’emergenza Covid. Ritroviamo anche nel mondo culturale italiano gli stessi schieramenti influenzati da un’anima profondamente ideologico-politica. Quindi, per es., se vogliamo leggere una stroncatura dell’ultimo romanzo di un autore einaudiano già Premio Strega, la potremo leggere solo su un quotidiano della destra come per es. “Il Giornale” (è il caso per es. della stroncatura dell’ultimo romanzo di Cognetti pubblicata su “Il Giornale” da Massimiliano Parente al quale si devono anche qualche anno fa gustose rivelazioni sui lontani anni milanesi di Lagioia quando era amico di Parente e che cosa pensava allora degli scrittori che avevano successo). Comunque nulla di veramente nuovo. I rapporti tra letteratura, politica e giornalismo sono già stati perfettamente indagati da Balzac quasi 200 anni fa in “Illusioni perdute” e il film dell’anno scorso ce l’ha ricordato. Invece l’autocritica della sinistra continua a latitare.

  8. Il tuo primo intervento lo trovo condivisibile, poi, con questo secondo, a mio parere vai “fuori tema” (come avrebbe detto il prof alle medie, senza scomodare la critica letteraria); questa storia della sinistra che non fa autocritica comincia a stufare. Da quello che ricordo sono trent’anni, ormai, che la sinistra non fa altro che autocritica. Si è sbudellata a forza di autocritica. Non fa autocritica perché non stronca Cognetti? Perché non critica Lagioia che non è abbastanza di sinistra o è di una sinistra fasulla? Perchè non bastona scrittori che pubblicano con case che non sono la Editori Riuniti? Allora, a ‘sto punto, sbertucciamo pure WM che pubblica con Einaudi. E dovremmo, per questo, rivolgerci alla critica di destra, l’unica coraggiosamente antisistema? Basta dare un’occhiata alle frasi riportate a destra della home page di Giap per avere un’idea di cos’è la critica letteraria di destra.

    • Visto che è stato citato Massimiliano Parente, quest’esortazione che appare nel florilegio la scrisse lui sul Domenicale di Dell’Utri, giornale che non esiste più da molti anni.

      «I Wu Ming stanno con Al-Qaida, il cui obiettivo siamo noi e fa di Hitler un dilettante. Fate sentire la vostra voce, i vostri valori. E, se credete, mandateli affanculo.»

    • Secondo me Pierfranco non intendeva dire che la critica letteraria di destra è l’unica antisistema, ma proponeva un paradosso: siamo talmente malmessi, il sistema del consenso nella bolla letteraria è talmente coeso, il discorso è talmente mellifluo, che stroncature se ne trovano solo sulla stampa di destra, dove però si stronca non tanto per effettivi meriti e demeriti letterari, ma in maniera preconcetta, ideologicamente (come fa praticamente sempre Mascheroni) o per risentimento personale (come fa molte volte Parente), o entrambe le cose. Dico questo prescindendo totalmente dagli esempi fatti, cioè Lagioia e Cognetti, peraltro molto diversi tra loro, perché parlare qui di specifici scrittori e dei loro libri sarebbe fuori tema.

      Anche riguardo all’autocritica della sinistra che non arriva, mi sembra che il riferimento fosse specifico, alla pandemia, riguardo alla quale effettivamente di autocritica, dalle nostre parti, se ne vede ben poca.

      Detto questo, non confondiamo l’autocritica con l’auto da fé paraculo: la sinistra mainstream italiana si è dedicata moltissimo al secondo – per ottenere il patentino del pensiero unico neoliberale – e pochissimo alla prima, e per un motivo molto semplice: l’autocritica andrebbe fatta sull’auto da fé. Ma è impossibile, non accadrà.

      • Sull’autocritica della sinistra condivido quanto detto da Wu Ming 1.

        Sulla critica culturale in Italia, oltre a quanto già detto, il problema è che nel mondo culturale c’è una totale sovrapposizione tra figure. Le stesse persone sono sia scrittori che giornalisti e critici, sia conduttori radio-tv che editori-editor, sia organizzatori di eventi o direttori di festival che traduttori, sia direttori di giornali e riviste che autori di podcast, per non tirar dentro poi sceneggiature, regie, cinema e teatro, ecc.

        Una conoscente, scrittrice importante, mi ha raccontato che da Radio3 le hanno chiesto un provino per farle condurre la rassegna stampa culturale mattutina. E lei, intellettualmente onesta, ha pensato: “Ma io di mestiere scrivo e traduco, già a volte faccio da critica culturale o da editor, non sono una conduttrice radiofonica, cosa c’entro? Pure questo devo fare?”. C’entrava che è un nome già famoso.
        E se questo lo fa Radio3, che in Italia spicca sopra la media, figuriamoci gli altri.

        Per carità, non è che io voglia fare l’elogio della iperspecializzazione. Uno scrittore può essere conduttore radiofonico così come un editor può essere giornalistica culturale. Il problema è che questa totale sovrapposizione di ruoli è l’unico modello “permesso”.

        Vuoi perché facendo un solo lavoro non ci campi, vuoi per narcisismo e voglia di visibilità (la moneta principale del mercato culturale italiano: se appari come firma sui giornali poi vendi di più il libro che hai scritto e viceversa), vuoi per nepotismo, raccomandazioni, amicizie e leccate di culo, vuoi per controllo della distribuzione di posti e ruoli da parte di chi dirige.
        Alla fine si riduce tutto a un ristretto numero di nomi che sono sempre quelli, un circoletto quasi totalmente impermeabile (a meno che non sei “figlio di” o fai gavetta per anni circuendo le persone giuste).

        Che poi questo circoletto è una bolla melliflua e piccolo borghese di amici appartenenti alla sinistra moderata che si fanno le seghe a vicenda complimentandosi tra loro per quanto scrivono bene. Un circle jerks. Da qui il consenso unanime per ogni cosa che fa il proprio collega.

        Da qui ciò che dice Wu Ming 1: pare che la critica arrivi solo da destra (per i motivi che già ben spiega lui).

  9. Torno un attimo sull’argomento.

    Ho fatto un esperimento di binge-reading.

    Doppio, versione italiana, subito dopo (o quasi) aver finito di leggere Doppelganger in versione originale.

    A dire il vero, ho scaricato (da-mazón, sorry) solo le pagine campione, “l’assaggíno”, perché i soldi costano ed il tempo scarseggia.

    Condivido quindi opinioni personali informate, non-professionali perché, citando la Klein che cita il Philip Roth di Operation Shylock: A Confession, mi sembra davvero

    «too ridiculous to take seriously and too serious to be ridiculous.»

    Potrei menzionare almeno quattro, cinque esempi trovati in poche pagine, da aggiungere alla lunga lista fatta da WM1. Mi limito a riportarne soltanto uno, quello più evidente nonchè significativo.

    Da pag. 4 della versione ePub, Penguin, in ínglish:

    «[…] feverish subterfuge.»

    è stato tradotto in:

    «[..] nevrotica resistenza.»

    Seriously?

  10. Probabilmente sono domande retoriche, ma, dalla casa editrice è arrivato un qualche segnale? Un brandello di risposta, di spiegazione? Questo articolo è circolato molto, l’ho trovato linkato e discusso in forum letterari con tantx iscrittx, e sicuro il fatto che fosse segnalato dentro la vostra inchiesta su Internazionale ha dato una mano a farlo conoscere… Possibile che la capitana della love boat di Teseo possa fare finta di nulla? Un’altra cosa, visto che le righe precedenti non superavano il limite minimo di cinquecento battute: qualcunx ha dato un’occhiata alle altre traduzioni del tandem che ha lavorato su Doppelganger?

    • Ecco le risposte, nell’ordine :-)
      No, non è arrivato.
      Sì, è possibile.
      Al momento io no, perché ne avevo abbastanza di questa. Non so se altre persone lo abbiano fatto.

  11. Ciao a tutti. Difficilissimo commentare dopo tanto tempo. Come entrare in una stanza piena di persone e prendere la parola all’ improvviso. Durante il covid questo luogo è stato un rifugio per tutti noi. Ora però mi sento come il protagonista di Great Freedom. Come se da un regime fossi passata ad un altro regime, come se tutto fosse normale e questa mancanza di chiarezza ( non da parte nostra, ovviamente )sul passato , sul presente e sul futuro mi uccide. E questa discussione su una traduzione mi riporta in contatto con quello mi sembra veramente importante: la cura o la solidarietà.
    Ho appena smesso di lavorare in un posto in cui creare legami di solidarietà tra i lavoratori è stato più difficile che respirare. In cui ogni gesto di cura è stato percepito con diffidenza e paura.
    La dialettica politica ed umana è talmente ridotta all’ osso e alla sopravvivenza che il marziano/ marxiano di turno che si presenta con il buon proposito di tendere una mano ad compagno di sventura è percepito come un “nemico”. L’ ondata di riflusso polarizzante del covid ha strascichi molto più profondi di quanto si possa vedere ad occhio nudo.
    Ho già trovato un lavoro migliore. Ma senza alcuna soddisfazione. Solo in quello sfruttamento mi sento “a mio agio”, perché sono più vicina a chi soffre. Con gente che però non parla la mia lingua e che soffre, senza neppure saperlo, per essere così sfruttata. “Per questo credo che se i lavoratori dell’ editoria e lettori si coalizzassero contro la “grossolaneria a scopo di profitto” dei grandi editori, forse una fetta di mercato di questi ultimi si sposterebbe sugli editori di progetto che magari avrebbero qualche soldo in più per pagare meglio chi lavora per loro.” Ma è proprio questo il nodo cruciale da mettere a fuoco fra le persone. Anche fra quelli “ colti” dell’ editoria. Perché il punto non è sapere di essere sfruttati ma sentire di essere sfruttati. Uscire da questo cortocircuito.

    • Dici una cosa molto vera: non limitarsi a “sapere” di essere sfruttati ma “sentirlo”. Un po’ come la differenza tra classe in sé e classe per sé.
      Purtroppo anni (decenni?) di retorica e grandi illusioni sulla classe media, il mito del realizzarsi nel lavoro, il lavoro culturale, ecc., fan sì che la stragrande maggioranza di chi lavora nell’editoria si senta invece “privilegiato” perché lavora nella cultura e con i libri.
      Tanto da accettare condizioni di lavoro tremende, paghe ignobili e ritmi assurdi – nonostante si sia più che consapevoli di queste condizioni –, perché si pensa che da quel lavoro derivi uno status sociale, un essere “fighi e appagati”, sentirsi realizzati o addirittura arrivati.
      Da qui la fatica a rifiutare condizioni lavorative indecenti e la relativa concorrenza al ribasso tra lavoratori pur di tenersi quel “posticino al sole” faticosamente guadagnato.
      Servirebbe un gran lavoro di immaginario per smontare queste retoriche tossiche (presenti anche in molti altri lavori ma tipiche del settore culturale in senso ampio).

  12. Parlando più in generale, io mi domando, anche considerando la fretta dei tempi ristretti e la sciatteria del “per quel che mi pagano”, come sia possibile incappare in certe enormità.
    Mi spiego: comprendo benissimo, giustifico e mi ispirano anche tenerezza i famosi errori in buona fede dell’ottimo Pavese che traduceva “moonshine” con “marca Luna” oppure di quell’incipit chandleriano che rendeva i “clocks” delle calze di Marlowe (decorazioni geometriche) con “orologini”; ma ricordo ancora con stupore e meraviglia la traduzione italiana di “IT” (quindi non il più oscuro dei romanzi), dove a un certo punto salta fuori la descrizione di un giocattolo con la testa di Pennywise* che “salta su e giù sulla sua primavera”…

    Ma cosa vuol dire?!

    Poi uno deduce che nell’originale, alla base di questa catastrofe, dovesse esserci uno “spring”…

    *sto citando a memoria, e non ricordo esattamente se la testa fosse effettivamente di Pennywise o di qualcun altro, ma l’errore è in sostanza quello

    E ora una domanda che vola basso ma pur sempre una domanda: in che modo “Se dal punto di vista logico tutto ciò non aveva alcun fondamento” è una coordinata avversativa? Non è piuttosto una subordinata condizionale? Non voglio per nulla fare polemica, sono solo modestamente incuriosito.

    • In realtà è una subordinata avversativa, «coordinata» è un mio errore di cui mi scuso.
      Non è condizionale, perché quel “se” iniziale è un “sebbene”. Si legga: «Sebbene dal punto di vista logico tutto ciò non avesse alcun fondamento…» Poi non ricordo come prosegue, dovrei recuperare l’ebook ma mi viene il vomito.

      • Ma allora (se quel “se” era in realtà un “sebbene”) dovrebbe essere una concessiva.

        Ora il mio intervento potrebbe chiudersi qui, o semplicemente potrei prendere atto che, magari dopo una giornata pesantissima, lo scivolone grammaticale può benissimo capitare a tutti; soprattutto nell’ambito della vecchia grammatica prescrittivo-descrittiva, che spesso mostra la corda quando si confronta con la comunicazione del mondo reale (soprattutto parlata) ma di cui non abbiamo ancora trovato un sostituto pienamente convincente. Però voglio sfidare il limite delle 500 battute per evitare che, in questo sito che apprezzo, l’errore rimanga lì sospeso.

        • Per spiegarmi meglio, faccio un esempio di un «se» che secondo me non ha valore condizionale né concessivo ma avversativo:

          A Mario è subentrato Franco. Ora, se Mario era intelligente, Franco è un idiota.

          Non è condizionale, perché che Mario fosse intelligente è chiaramente dato per inteso; non è concessivo, perché quel «se» dopo la prima virgola ha lo stesso valore che avrebbe un «invece» dopo la seconda:

          «Ora, Mario era intelligente, invece Franco è un idiota.»

          Il «se» della subordinata che si sono inventati i traduttori di Doppelganger l’avevo inteso in quel modo.

          Può ben essere che invece sia concessiva. Stiamo parlando di una frase sgangherata che si sono inventati i traduttori. Leggendola nel contesto di un periodare contorto e sempre sull’orlo dell’anacoluto, mi è sembrato che la intendessero come avversativa, cioè che il senso fosse: «Tutto ciò dal punto di vista logico non aveva alcun fondamento, ma…» Nella comunicazione del mondo reale il confine tra concessiva e avversativa è spesso sfumato. Insomma, alzo le mani :-)

          Il punto è che hanno trasformato una trase semplice e diretta nella subordinata di una reggente, e nel farlo hanno pure cambiato il senso.

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