Quindici anni di Giorno del Ricordo: veleni e antidoti

Clicca per leggere il post di Nicoletta Bourbaki. Qui sotto, una premessa di Wu Ming.

Il Giorno del Ricordo, che si celebra dal 2005, è una ricorrenza ideata e imposta dalla destra «post»-fascista in risposta alla Giornata della Memoria.

Lo scopo dei camerati era contrapporre alla Shoah una propria narrazione vittimistica. Una narrazione nella quale il collaborazionismo coi nazisti diventasse «eroismo» e «martirio» – con tanto di medaglie a veri e propri criminali di guerra – e scomparissero i crimini di guerra italiani nei Balcani.

La strategia consisteva nel trasbordare nel mainstream e – forti dello «sdoganamento» politico del vecchio MSI – nell’ufficialità istituzionale un insieme di narrazioni squinternate e odiose, ricostruzioni storiche infondate e vere e proprie leggende metropolitane che fino a quel momento erano rimaste confinate nelle cerchie di estrema destra. Una sorta di sottogenere letterario, la «foibologia», di cui su Giap abbiamo ricostruito le origini.

La sedicente «sinistra» – che nel frattempo aveva sposato la «modernità» neoliberista e un orizzonte degli eventi nel quale non aveva alcun posto legittimo il conflitto – ha lasciato che ciò accadesse, anzi, ha agevolato il processo in molti modi. Perché?

Per un misto di abissale ignoranza del suo personale politico, perdita di memoria storica, subalternità culturale alla destra, disponibilità a ogni sorta di «inciucio» e – last but not least – ignobili tatticismi: «Facciamo vedere che siamo equanimi, che siamo avanti, commemorando anche le vittime fasciste.»

Sul fatto che ciò implicasse attribuire agli antifascisti il ruolo di carnefici si è bellamente sorvolato, come si è sorvolato sull’inanità del ricordare con la lacrimuccia la Shoah il 27 gennaio se poi, di fatto, si celebra il collaborazionismo due settimane dopo.

Per la nuova ricorrenza si è scelta la data del 10 febbraio, e pochi si sono chiesti come mai.

Quel giorno, nel 1947, fu firmato il Trattato di Pace, che (ben comprensibilmente) dettò dure condizioni alle ex-potenze dell’Asse, Italia compresa.

A essere contestato, dunque, è nientemeno che l’esito della seconda guerra mondiale. Questo però viene sottaciuto, lasciato implicito, così la maggior parte delle persone non se ne rende conto. Mica si può dire tout court: «Il Giorno del Ricordo è la festa voluta dagli eredi politici di chi stava con Hitler»…

Solo che stanno esagerando.

Si pensi al terzetto che sarà oggi alla «foiba» di Basovizza: Salvini, Meloni, Gasparri.

I fascisti avevano introdotto il Giorno del Ricordo per far entrare «foibe» ed «esodo» nel racconto mainstream nazionale, quello condiviso da tutti o quasi, quello da discorso del Presidente della Repubblica. [Infatti, gli inquilini del Quirinale hanno enormi responsabilità nell’inclusione del canone neofascista dentro la cultura ufficiale.]

Da un po’ di tempo, però, i camerati hanno rinunciato al mimetismo. Le sparano sempre più grosse e fanno di tutto per ricreare l’associazione immediata tra quelle vicende e la loro parte politica. Ciò rende quell’immaginario respingente per chi non sta con loro – ergo, plausibilmente, oltre metà del paese – e soprattutto per chi non ne può più di vederli ovunque.

Abbiamo già visto che quando Salvini & Co., eccessivamente sicuri di sé, tirano troppo la corda, poi suscitano reazioni che non controllano, danneggiando il loro stesso schieramento.

Ma non c’è solo questo: segnali di insofferenza nei confronti della «foibologia» si vedono un po’ ovunque. Forse, dopo quindici anni in cui abbiamo portato avanti in pochissimi un lavoro di resistenza culturale e smontaggio delle narrazioni tossiche, andiamo assistendo all’inizio di un contraccolpo. Che non è ancora un contrattacco, ma è qualcosa.

Non è troppo tardi, anche se, in quindici anni, il Giorno del Ricordo ha sversato nell’ambiente ogni sorta di veleni.

A questo proposito, il punto della situazione lo fa il gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki nel post intitolato I veleni del Giorno del Ricordo (nei media e nella scuola).

→ Buona lettura.

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8 commenti su “Quindici anni di Giorno del Ricordo: veleni e antidoti

  1. Questo è un commento solidale al giornalista Mario Di Vito, convocato dalla commissione disciplinare dell’ordine dei giornalisti per un post su Facebook di Di Vito (fonte). La commissione agisce dopo un esposto dei fascisti di “Casapound San Benedetto del Tronto”.

    La commissione disciplinare scrive (cito Di Vito): “«qualora venisse riconosciuta la gratuità di tale intervento satirico» si ricadrebbe «tra le tipologie di gravi reati che Osce ha definito delitti d’odio», a cui si applica «la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento (…) si fondano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei reati di genocidio dei reati contro l’umanità e dei reati di guerra»”.
    Per darvi una cifra dell’insussistenza degli addebiti, l'”intervento satirico” è questa battuta che non fa ridere: «Hai spento la luce? Hai comprato il latte? Hai cambiato la lettiera del gatto? Hai portato la macchina dal meccanico? Hai messo il sale nell’acqua? Buona giornata del ricordo».
    I fascisti di Casapound hanno considerato il post come «frasi oltraggiose nei confronti delle vittime delle foibe».

    C’è da essere convint* che Di Vito saprà spiegare alla commissione quanto accaduto. Questo è un caso emblematico dei tanti di questi 15 anni, ma mi ha personalmente colpito come i fascisti diventino vittime, i partigiani carnefici, una battuta triste diventi oltraggiosa, e l’oltraggio alle vittime diventi istigazione/incitamento (a quali reati, poi? di genocidio, contro l’umanità o di guerra?). La livella della violenza nella società pacificata provoca questo e altro.

    • Possibilissimo, se l’assessorato competente è in mano a un’emula di Giorgia Meloni.
      Qui un’esortazione a muoversi contro questo schifo.

  2. Volevo segnalare il documentario presentato da Rai Cultura e diretto da Agostino Pozzi che si trova, ancora per una settimana, sulla piattaforma di Raiplay al seguente link: https://www.raiplay.it/video/2020/02/istria-terra-del-mio-dolore-f956ec2a-34c9-4c18-b6c3-087192ac67e8.html
    Ne ho visto finora un quarto d’ora scarso e si capisce subito il tenore dell’opera (basti l’apertura, come fosse una docufiction, su Norma Cossetto e un voiceover retorico intriso di patetismo) ma ci tenevo a segnalarlo perché mi sembra anche questo un emblematico punto d’arrivo di questo quindicennio, poiché la tv di stato firma e trasmette dapprima sulla rete tematica RaiStoria il 10 febbraio e poi, in replica il 16 febbraio, in seconda serata su Rai1, un documentario che lascia intravedere subito il modo di spiegare e l’orientamento molto parziale di lettura di questi eventi storici. Meno male che di alcune figure che compaiono (come Roberto Spazzali che commenta e spiega, o ad esempio un materiale d’archivio con la testimonianza Graziano Udovisi), di luoghi (la foiba di Basovizza) o di eventi trattati nel documentario ne avete già discusso obiettivamente in altri post del blog, ma chi ne sa poco rischia davvero di dare retta a questa versione dei fatti, purtroppo.

  3. Non so se sia colpa della bolla dei miei social, ma mi sembra che l’attivismo iniziato qualche anno fa sulla storia intorno alle foibe stia cominciando a dare i suoi frutti.

    C’è forse un ultimo elemento sul quale si potrebbe fare maggior chiarezza. Girano infatti su più o meno tutti i siti adriatico-nostalgici delle “prove” di un “genocidio” italiano fatto in epoca asburgica, prove che consisterebbero nel verbale di una decisione dell’imperatore Francesco Giuseppe espressa durante il Consiglio dei ministri il 12 novembre 1866.

    Il verbale inizia così: «Sua maestà ha espresso il preciso ordine che si agisca in modo deciso contro l’influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona…». Le conseguenze di tale ordine incarnerebbero il motivo di risentimento primigenio della popolazione italiana stanziata sul litorale. Con un gioco di specchio riflesso, questo argomento storico fa precedere *questo* trauma, per cronologia e di conseguenza per importanza, alle successive stragi di matrice squadrista e nazifascista.

    In altre parole gli “slavi” non avrebbero l’esclusiva della giustificazione morale per l’infoibamento degli italiani: anche il “risentimento” dei fascisti sarebbe storicamente fondato.

    Su questa faccenda aveva fatto chiarezza la ricercatrice Felicita Ratti in un suo post del 2012. Ne consiglio la lettura perché è molto interessante. Sarei comunque curioso di sapere cosa ne pensano gli storici di Giap.