Dal fronte della guerra del «decoro»: un aggiornamento sulla vicenda di #Monfalcone

La guerra del decoro a Monfalcone
[N.B. ➝ Il riassunto delle puntate precedenti è qui.]

La presentazione de La buona educazione degli oppressi si è fatta. Più di un centinaio di persone hanno risposto alla chiamata di Monfalcone Meticcia. Visto che mancavano le panche, abbiamo dato vita a una sorta di sit-in, ovvero a quello che amministratori decorosi chiamano «bivacco». E già questo possiamo considerarlo un successo.

Cliccando sull’immagine sopra potete leggere il resoconto uscito sul Piccolo il 31 agosto, a firma di Elena Placitelli.

Durante l’iniziativa sono comparsi – trattenendosi almeno un quarto d’ora – due poliziotti in divisa; sul finire anche la vigilanza privata ingaggiata dalla sindaca Cisint. Nello stato di polizia in cui ci troviamo, quindi, si ritiene che anche la presentazione di un libro debba essere occhiutamente controllata. Il che, se da un lato fa rabbrividire, dall’altro dimostra che alcuni libri servono anche a fornire occasione per addensare l’opposizione al decoro, al neoliberismo e alla fascistizzazione delle città.

Lo stesso 31 agosto la sindaca ci invita dalla sua pagina Facebook a metterci «il cuore in pace»: lei andrà avanti con il decoro «per i nostri concittadini che ci pregano di non mollare». Il messaggio tutto sommato pacato di Cisint funziona esattamente come quelli del politico colpito dall’attacco psichico: dice poco, ma indica il bersaglio per gli attacchi scomposti dei suoi. E infatti nei commenti veniamo definiti «penosi, non hanno altro da fare!» e «stomachevoli» (12 like). Un altro commentatore si propone di cucinare delle pantegane in umido per farcele mangiare.

Ancora, uno che non ha capito nulla del diniego di occupazione di suolo pubblico scrive: «Anna fagli pagare la tassa per occupazione di suolo pubblico, sono troppo cattivo???». Un altro, con faccina pensosa e riflessiva: «Quanti di questi, al termine, si son dati da fare per raccogliere cartacce in giro?», identificando la raccolta delle cartacce come l’unica forma di espressione politica possibile. Peraltro non c’era alcuna cartaccia da raccogliere in piazzetta al termine dell’iniziativa.

Un commentatore eccitato dal proprio caps lock pesta sui tasti «MA COSA I VOL QUESTI QUA», con cui vuole chiaramente etichettare Monfalcone Meticcia come esterna alla comunità (immaginaria), secondo quella logica organicista e fascista che vede nell’opposizione un corpo estraneo o la quinta colonna di poteri misteriosi.

Il 2 settembre il quotidiano Il Piccolo dà invece grande spazio a uno degli interventi dal pubblico durante la presentazione, quella della signora residente in piazzetta Montes che difendeva la scelta di mettere i cancelli. La signora ha parlato a lungo e dettagliatamente, e ha più volte sottolineato di non essere leghista. Ebbene: nel suo intervento essa ricapitolava, anzi interpretava in prima persona, tutti i luoghi comuni del decoro nella sua versione di «impegno civile», ampiamente analizzati nel libro di Wolf.

Per prima cosa la confusione tra tutti i piani: il rumore che saliva dalla piazzetta «anche quando cadeva un cucchiaino» e la mancata pulizia della piazzetta vengono posti in un continuum in cui si arriva allo spaccio, alle risse tra pusher, eccetera.

Ovviamente questa confusione tra piani è accompagnata a una confusione tra realtà e immaginazione: quali fatti sono veri e quali enormente esagerati? L’angolino della piazza era davvero un pisciatoio, oppure è successo una volta che qualcuno vi abbia pisciato, o semplicemente era un pisciatoio in potenza? Non è dato sapere. Certo invece è che quando si urla al degrado qualcosa rimane; l’accusa di degrado è un venticello, come la calunnia: «Nelle orecchie della gente s’introduce destramente», prende forza «poco a poco», poi «trabocca e scoppia» e «produce un’esplosione» che «fa l’aria rimbombar».


Il fatto che la residente si dichiari non leghista rende ancora più potente la depoliticizzazione del decoro. L’amministrazione degli spazi pubblici viene così fintamente sottratta alle scelte politiche e consegnata a una dicotomia tra bene e male. Ovviamente la politica non scompare, e tantomeno la sua caratterizzazione di classe, ma essa viene nascosta. Così la scelta – politicamente assurda – di risolvere i problemi dello spazio pubblico eliminando lo spazio pubblico, cioè chiudendolo dietro cancelli, diventa una scelta legittima, e anzi apprezzata.

Questo apprezzamento è mosso inoltre da una rinuncia preventiva a pretendere qualsiasi cosa dallo stato e dal capitale, anche le cose dovute e promesse. La residente della piazzetta racconta che il progetto originale di quell’insediamento prevedeva una zona verde, e alberata, e non lo spazio pavimentato di oggi. Ma, aggiunge, quel progetto è stato abbandonato perché costava troppo realizzarlo. Ebbene, se le cose stanno così, chi ha consentito al privato costruttore di non mettere le piante? Chi ha accettato che i piani cambiassero?

Nella ricostruzione della signora la prima motivazione della richiesta di cancelli – a cui l’amministrazione Cisint ha acconsentito – era il rumore «se solo cadeva un cucchiaino». Ebbene: con più piante e più prato il rumore non ci sarebbe stato. Chiudere lo spazio pubblico diventa quindi una «soluzione» che consente di non predisporre il verde urbano di cui tutti hanno bisogno e diritto – compresi, e anzi per primi, i residenti. E consente di farlo con il loro consenso e anzi entusiasmo.

Altra motivazione della signora: nessuno puliva perché era uno spazio privato a uso pubblico, e quindi la nettezza urbana non passava. Anche qui: bastava farla passare, e si sarebbe interrotto il climax – immaginario – tra cartacce, lattine di birra e spaccio. Ma costava, ed è noto che – per far fronte alle esigenze sociali – «non ci sono mai i soldi».

Sullo spaccio, infine, la sola risposta sistemica è quella dell’antiproibizionismo, ed è quasi noioso darla ogni volta. La scomparsa dell’antiproibizionismo dal dibattito pubblico è chiaramente funzionale alla creazione di costanti allarmi sicurezza attorno ai pusher, ovviamente concentrati sul raggio dell’ultima ruota del carro della filiera delle sostanze stupefacenti.

Tutte queste osservazioni le abbiamo fatte nelle risposte che abbiamo dato alla signora. Peccato che lei non ci fosse più: un secondo dopo l’ultima sillaba del suo intervento, se n’era già andata dalla piazzetta.

Invece noi in piazzetta ci siamo rimasti, e alla fine abbiamo anche cantato una canzonaccia celebrante delinquenti – banditen – nemici del «decoro». E le genti che passeranno, o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao, e le genti che passeranno ti diranno: – Che degrado! ☹️

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2 commenti su “Dal fronte della guerra del «decoro»: un aggiornamento sulla vicenda di #Monfalcone

  1. Una mattina mi son svegliato
    E ho trovato l’assessor

    La presentazione del libro di Wolf Bukoswski, il tentativo di ostacolarci nell’iniziativa e la risposta imbarazzante data sui social ha segnato un momento importante a Monfalcone che ha permesso di coagulare l’opposizione a questa giunta ed alle sue iniziative.
    Ora abbiamo riportato il dibattito assembleare in quel centro cittadino che si dipinge come un deserto in cui ormai si troverebbero solo di beduini e tagliagole e si vorrebbe diventasse una specie di via Condotti o via Montenapoleone della città dei cantieri (come se le due cose non fossero in contraddizione)
    Il dibattito è innescato
    https://www.facebook.com/1maggioMonfalcone/photos/a.1203578373145411/1311507425685838/?type=1&theater

    O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao

    • Così si risponde all’ideologia del «decoro»: smascherando le scorciatoie e false soluzioni che portano sempre a sottrarre spazi alla vita pubblica, e rilanciando con soluzioni migliori, che portino a crearne di nuovi.