Sul sito di Internazionale, una sintesi della nostra posizione sulle ultime vicende bolognesi: street art, Blu, il potere a Bologna, la mostra Roversimonksy & Co. L’abbiamo scritta tenendo conto degli ultimi sviluppi.
Ringraziamo tutte le persone che da giorni stanno discutendo qui su Giap e in giro per la rete. I vecchi thread li abbiamo chiusi per evitare l’entropia, la discussione prosegue qui sotto.
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Visto che sempre di arte di strada si tratta… Bologna sta diventando la città dei paradossi. Non solo si staccano graffiti e murales dai muri per farci le mostre, ma, a quanto pare, si adotta anche il motto “colpirne cento per educarne uno”.
http://bologna.repubblica.it/cronaca/2016/03/18/news/artisti_di_strada_a_bologna_arriva_la_norma_anti-beppe_maniglia-135801138/
Precisazione, visto che detta così potrebbe essere fraintesa. Beppe Maniglia per me sta alla musica di strada come Allevi al grande repertorio pianistico. Il fatto è che, nell’impossibilità di frenare l’inciviltà straffottente di cotanto “simbolo” (sic) la giunta comunale pensa bene di colpire tutti gli altri musicisti di strada (quelli veri… in buona parte dei gruppi che suonano per strada a Bologna c’è uno strumento a percussione o uno strumento amplificato).
Già solo la dicitura “timpani o strumenti di percussione” la dice lunga sul livello culturale di certi personaggi. I timpani infatti *sono* strumenti a percussione (per cui la dicitura corretta sarebbe “timpani e altri strumenti a percussione”); e poi, per quel che mi riguarda, un artista di strada che suonasse i timpani meriterebbe di diritto l’esclusiva a vita su una delle famigerate “zone franche”, sia per l’originalità, sia per lo sbattimento di trasportarsi il set fino in zona pedonale… :-)
Questo tuo secondo commento era finito per errore nello spam, l’ho visto e ripescato solo adesso, nel frattempo su Maniglia ti avevo risposto sotto. La tua precisazione avrebbe reso superfluo il mio commento, ma in realtà sono contento di averlo scritto, ‘ste robe su Maniglia le volevo scrivere da anni :-D
Aspetta, Stefano: la situazione è un po’ più complessa. Distinguerei tra le parti vessatorie di questi provvedimenti, e la parte che Repubblica definisce “ad personam” e “antiManiglia”. Sono due cose diverse, quindi non userei nemmeno l’espressione «colpirne cento per educarne uno», quell’uno (Maniglia) e quei cento operano in condizioni diversissime. Qui purtroppo mi toccherà dire cosa molto bolognacentrate.
Sai bene che a Bologna gli artisti di strada da tempo contestano Beppe Maniglia per i privilegi di cui gode. Ci sono stati dei flash mob di protesta.
Maniglia è oggettivamente un prevaricatore. Di fatto, coi suoi 6000 watt ottiene il monopolio completo non solo di Piazza del Nettuno, ma di tutta l’area circostante in un raggio di almeno (almeno) trecento metri, perché non appena si installa lui nessun altro può più suonare. La sua amplificazione invasiva copre tutto, è una macchina “scacciamusicisti”. Artisti molto bravi ma non amplificati sono costretti a lasciare Piazza Maggiore e rifluire nelle vie circostanti, per lasciare spazio al dozzinale repertorio di Maniglia, invariato da più di trent’anni. È orrenda muzak da supermercato. “Carta da parati sonora”, come la chiamava Frank Zappa, e viene imposta a tutti, volenti o nolenti. Soprattutto nolenti. Prova a stare dentro la libreria Stoppani nei pomeriggi in cui Maniglia stupra canzoni dei Beatles.
Alcuni mesi fa ho visto in una via laterale, cagato da pochissimi, Vince Conaway, un musicista americano che suona il salterio e tra un brano e l’altro spiega (in ottimo italiano) le origini, l’evoluzione e i segreti tonali del suo strumento. Ascoltarlo è stata un’esperienza memorabile, mia figlia era a bocca aperta, ascoltarlo in piazza sarebbe stato bellissimo…
…ma in piazza non lo avrebbe sentito nessuno perché c’era la muraglia di suono melenso di Maniglia. Ci si fa tanto belli con i “T days”, che trasformano l’ombelico di Bologna in «un grande salotto» (cit. e bleah!), poi l’offerta musicale nella zona pedonalizzata non è nemmeno definibile da strapaese.
Io non so da chi o da cosa derivi la plateale condizione di privilegio nella quale opera Maniglia da decenni, ma se adesso finisce, io di sicuro non mi straccio le vesti. Quando costui finirà di inquinare l’aere, sarà sempre troppo tardi.
Fine della precisazione/digressione bolognacentrica :-)
Su Beppe Maniglia condivido anche le virgole di quello che hai scritto. E anch’io mi sono sempre chiesto da cosa derivi la condizione di privilegio di cui chiaramente gode. Il motivo per cui avevo segnalato l’articolo, appunto, è che con la scusa di Beppe Maniglia la giunta approfitta per attaccare la musica di strada in generale.
Conosco persone che suonando per strada riescono a mettere insieme il pranzo con la cena. E mi chiedo davvero come si possano mettere sullo stesso piano Maniglia con i suoi 6000 Watt e, per dirne una, le batterie in versione “minimal” del Balkan Jazz o della Banda Rei (che, in quanto composte da percussioni immagino saranno bandite). L’impressione è che, agli occhi di alcuni, la zona pedonale vada bene solo per fare le vasche e comprare, comprare, comprare. I musicisti, se proprio ci devono essere, che siano allora tappezzeria, arredo urbano, sfondo pittoresco.
Ciò fa emergere tutta l’ipocrisia di una città che pure tanto si vanta, rigonfia di orgoglio nazionalpopolare, dei vari Dalla e delle varie “Strade del Jazz” (tanto meglio se a presentare la kermesse, come nell’ultima edizione, c’è Pippo Baudo… questo Pippo Baudo: https://www.youtube.com/watch?v=-dj6POU9Qkg). Città in cui, per giunta, ad un artista di strada può capitare pure di essere malmenato – è capitato qualche mese fa ad un amico.
Insomma: “norma anti-Maniglia” un piffero.
Dunque in merito a questa faccenda street art, blu, mostri e mostre, è dal giorno dopo il grigio che mi ronza in testa una domanda che mi ha fatto una mia amica: ma noi, noi che siamo d’accordo con il testo di blu, che siamo tristi ma solidali, noi che i centri sociali li frequentiamo sporadicamente, che non siamo cresciute a felpa e bomboletta, ma che comunque crediamo nel valore delle voci divergenti, nel confronto e nel dubbio verso/contro il potere… Noi come possiamo partecipare? Come possiamo dare appoggio a questo gesto? Intendo, a parte parlarne, a parte assistere inermi alla sparizione dei disegni, a parte non andando alla mostra.. Come possiamo partecipare a tutto questo? Mentre lo scrivo mi rendo conto ancora di più che una parte del problema è visibile solo se facciamo un passo indietro e vediamo il contesto bolognese. D’altra parte, forse la mia è una domanda vuota, senza senso, perché la partecipazione sta nel vivere quei luoghi dove le potere sono nate. Ma resta sempre uno scarto che non riesco, non riusciamo a colmare. Argh. Gazie per l’articolo!
Materiale ripescato dal sito di Luther Blissett. 17 anni fa.
Senza voler trovare nessuna costante o similitudine, eppure una parentela tra museo e manicomiocarcere sembra profilarsi.
Un link a un botta e risposta che sembra proprio dirla lunga in merito ai “critici” d’arte, il conservatorismo, la conservazione, la reclusione. L’arte come conflitto, il conflitto come rottura, la reazione come internamento.
“Non è l’opera d’arte che importa. Ma la vita e le relazioni che ci stanno dietro e che ancora sfuggono all’assimilazione alle logiche dominanti. La vita che resiste. E a volte perfino insorge.”
Piero Cannata ne sa qualcosa di colpi, arte, guerriglia e vita.
Un link a una pagina, ironia della sorte, con sfondo completamente grigio.
http://www.lutherblissett.net/archive/388_it.html
Salve, vorrei aggiungere se possibile un dato sulla questione che secondo me non va trascurato (io ho già avuto modo di argomentare una posizione fondamentalmente uguale a quella di Serra.
Tra i murales cancellati da Blu ce ne anche uno che era stato regolarmente commissionato e pagato, e decorava una scuola. Blu ha cancellato anche quello. E’ un dettaglio? Una trascuratezza?
E’ qualcosa che merita di essere discusso?
L’abbiamo discusso ad nauseam nei due thread precedenti. L’articolo che linki qui sotto, tra l’altro, è già vecchio. Persino l’ex presidente della Scuola di Pace dice che è una cazzata e un diversivo, ed è solidale con l’azione del 12 marzo.
Ah, mi era sfuggito.
Che “persino” l’ex-presidente appoggi l’azione di Blu è comunque un non-argomento: la sua opinione vale come quella di chiunque altro, ovvero vale solo in base agli argomenti che produce. Non è che “se lo dice lui”, cambi qualcosa.
La cosa estremamente interessante di questo dibattito è stato osservare la divisione netta avvenutatra i favorevoli e i contrari.
Mi pare che il 99% dei commenti provenienti dall’establishment siano stati di forte critica verso Blu. Un meccanismo conosciuto, quello di bombardare ogni gesto di ribellione con obiezioni diversificate, buone per diversi settori di pubblico.
Ricordiamo la potenza di fuoco sulla stampa suscitata dal notav che dice “pecorella”; più recentemente, il casino per i sindacalisti di Caserta che presuntamente (molto presuntamente) avrebbero criticato il direttore perché “lavorava troppo”, permettendo a Renzi di dire “la pacchia è finita”. ricordiamo i fatti di Colonia e il modo in cui la stampa ha riempito i giornali per settimane. Ci sarebbero altre decine di casi simili, mi sembra sia chiaro il meccanismo che anceh su queste pagine è stato evidenziato.
Ora, mi sembra che in concreto le critiche principali siano le seguenti:
-Blu è tale e quale a Roversi Monaco (Arttribune)
-Blu lo mette in culo al popolo (Michele Serra)
-Quella di Blu non è una protesta ma è un capriccio (Wired)
-ora, Blu ha cancellato un murales pagatogli da una scuola e fa piangere i bambini.
La scelta di Blu, a mio avviso, non è criticabile: un artista è libero di fare ciò che vuole con il proprio lavoro.
E credo sia proprio la limpidezza della scelta di Blu ad aver scatenato critiche così meschine e soprattutto così unanimemente di biasimo.
il link al corriere di bologna:
http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/cronaca/2016/16-marzo-2016/blu-fu-pagato-quel-murale-savena-chiede-lumi-avvocati-240181993492.shtml
Già linkato, già discusso. Trovi tutto qua:
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=24357#comment-29067
Questo smentirebbe i ricordi di Basile.
http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/cronaca/2016/18-marzo-2016/savena-murale-finisce-procura-acquisita-fattura-blu-240190107264.shtml
perché insistere su questo argomento? Blu si nutre come gli altri esseri umani e per alcune opere si fa pagare. L’unica opera commissionata sul territorio bolognese era quella della scuola, ma ha comunque deciso di cancellarla.
Se l’obbiettivo di questa critica è mostrare l’incoerenza di Blu, beh, direi che non ci siamo.
Semmai testimonia il coraggio di un artista che rischia conseguenze penali per affermare, tramite l’assenza, la carica politica della propria arte.
E a parte tutto, era un mero rimborso spese, e pure parziale. In ogni caso, è un argomento miserabile, che rende meschino chi continua a tirarlo fuori.
Mah, perché meschino? Sono tutti elementi del quadro. Blu fa un discorso anti-proprietario, uno ragiona di proprietà.
Parlare di meschinità significa in realtà volerla mettere su un piano estetizzante. Oddio, io penso che in quel gesto ci sia molto di estetizzante, in effetti. Ma non è una cosa bella.
Magari perché ridurre la questione di cui si sta parlando da una settimana in tre continenti a questa storia del contratto con il Quartiere Savena è davvero una cosa che rientra nella definizione n.3 della parola “meschino” nel vocabolario Treccani: “eccessivamente scarsa, insufficiente, inadeguata per quantità o qualità, o sostanzialmente povera, misera”.
Blu è stato rimborsato per un murale dipinto per il Quartiere Savena di Bologna. Blu ha cancellato il murale (ma è stato proprio lui materialmente? Boh, qualcuno sta impegnando i soldi con cui lo stipendiamo per scoprirlo ed eventualmente procedere penalmente). Ergo Blu ha cancellato un murale che non gli apparteneva.
E gli altri che ha cancellato gli appartenevano? Uno era sulla facciata del centro sociale XM24. Quel muro è del comune di Bologna. Uno era sotto il cavalcavia sotto il palazzo dell’Unipol. Uno era all’angolo di un edificio in via Tal dei Tali. Nessuno di quei muri è di proprietà di Blu. Tutti i murales che ha cancellato erano sul muro di qualcuno. E, udite udite, alcuni di questi erano stati dipinti senza chiedere il permesso ai proprietari dei muri stessi!
Una volta scoperta l’acqua calda – e cioè che l’azione di Blu è stata un’azione politica, come ampiamente evidenziato nel thread precedente e nel nostro articolo su Internazionale – cos’altro c’è da aggiungere?
Va bene l’amore per la polemica, va bene la serata solitaria da riempire (pure io sto qua), però non è che la discussione si muove di un millimetro se si pretende di valutare l’operato di Blu – ma direi di qualunque street artist – con parametri legalisti. Ormai la differenza di visuale è chiara a tutti.
Le mi obiezioni non si sono limitate a quello. Ma anche questo conta. Se infatti si sostiene che che le opere di Blu sono di fatto di nessuno, visto che non erano state né richieste né autorizzate, far notare che erano invece state richieste e che c’è stato un passaggio di proprietà ha senso. E’ un conto della serva? E nella vita ci sono anche i conti della serva. E conferma la mia idea di fondo: Blu ha sfogato la sua rabbia prendendosela con cose di chi non c’entrava niente.
E’ come dire che siccome una volante dei Carabinieri mi ha tamponato, io faccio il gesto politico di spaccare i vetri alla macchina del mio vicino di casa. Non ha molto senso.
Il punto importante comunque è la defizione di “azione politica”: auto-dichiarare un’azione come “politica” per me non è sufficiente a giustificare nulla.
Chiunque qualifica la propria azione come politica e la sente legittima. Il problema è che così ognuno fa come gli pare.
Certo, ognuno è convinto che la sua ideologia sia talmente giusta e talmente solare da legittimare la propria azione. Ma siccome gli altri non condividono questa sicurezza, quel che ne deriva è sopraffazione. In Italia non esistono solo le azioni politiche di “sinistra”. Ne esistono anche altre, spesso dai toni foschi, e anche loro sentono di essere nel giusto.
L’unica soluzione è che nessuno faccia azioni politiche fuori della legalità. Fuori della legalità esiste solo l’arbitrio del più forte. Pare ovvio, ma l’ovvio è un sottoinsieme del vero.
le tue obiezioni si soffermano su un dettaglio che non sposta di un millimetro il giudizio sull’azione di Blu. come ti ha detto wm1, i muri erano stati dipinti nelle condizioni più diverse: nella “legalità” e nell’ “illegalità”. L’autore ha deciso di ritirare tutte le sue creazioni, e non si capisce dove stia il problema.
tu ti soffermi su un dettaglio, quello della scuola, e lo usi come pietra angolare del tuo ragionamento. con un punto di partenza così impreciso, le tue conclusioni non possono che essere confusionarie:
“L’unica soluzione è che nessuno faccia azioni politiche fuori della legalità.”
l’arte di cui faparte Blu è un’arte che nasce al di fuori della legalità, con un significato politico.
se non accetti azioni politiche fuori dalla legalità non accetti l’opera di artisti come Blu. e se non lo accetti, non si capisce perché perdi tanto tempo appresso alle ricevute emesse dal plesso scolastico del quartiere Savena.
uqbal, hai proprio sbagliato posto. Certe stupidaggini qui non si possono proprio sentire, “L’unica soluzione è che nessuno faccia azioni politiche fuori della legalità”?
La Costituzione italiana e la repubblica nella quale io e te viviamo sono “nate dalla Resistenza”. Ti do una notizia: i partigiani che hanno fatto la resistenza erano illegali. E quelli che hanno salvato gli ebrei dall’applicazione delle leggi razziali del 1938, sottraendoli alla deportazione? Trasgressori della legge anche loro.
Il feticcio della legalità è figlio dei tempi che viviamo, vuoti di politica, vuoti di senso, abbarbicati all’idea che la legalità sia un valore astratto, in sé, e non anch’essa derivata dalle circostanze storiche.
Adesso, per favore, con le tue scempiaggini, togliti dai piedi.
@uqbal
E anche oggi mi tocca leggere una delle più grandi idiozie che si possano dichiarare sull’azione politica: l’azione non dev’essere illegale, perché la legalità è un valore assoluto (seguita da quella che occorre un forte impianto ideologico su cui oggi sorvolo, per non mettere troppa carne al fuoco).
Ovviamente parto dalla mia esperienza personale:
Nel 1970 avrei dovuto partire per la “naja”, invece sono andato in Sicilia ad organizzare la renitenza alla leva dei giovani colpiti dal terremoto del ’69. Lì con altri 7 compagni ho costituito un gruppo di Obiettori di Coscienza, che ha trasformato l’Obiezione da gesto individuale in disobbedienza collettiva alla legge.
Questo ha provocato una valanga di adesioni, tale per cui, nel giro di un anno, gli Obiettori sono diventati 400 e, dato che le carceri militari avevano una capacità di 250 persone ed erano già strapiene per oltre 400 detenuti, fra “comuni” e Testimoni di Geova”, il parlamento si è visto costretto a promulgare una pessima legge sull’Obiezione di Coscienza, che dormiva nei cassetti dal ’48.
Ho violato la legge, ho passato oltre 9 mesi in galera e 14 in Servizio Civile, prima con Basaglia all’Ospedale Psichiatrico di Trieste, poi con l’equipe psicopedagogica della Provincia di Bologna, che sono stati impegni durissimi dal punto di vista emotivo.
Cioè mi sono “pagato” la mia illegalità, ma l’ho scelta come metodo di lotta politica e questo ha permesso a decine e decine di migliaia di giovani di fare un’attività utile alla società, invece di frequentare la scuola di obbedienza ed assassinio dell’esercito.
Nel 1974 ho cominciato a lavorare per fondare Radio Alice, che ha effettivamente cominciato le trasmissioni nel ’76, Facendo un’azione illegale, quale quella di violare lo schifoso monopolio della RAI.
Sono stato processato, ho fatto ricorso alla Corte Costituzionale, come le altre 6 radio processate in Italia quell’anno, e la Corte ha emesso la sentenza definitiva che, ampliando quella del ’74, decretava definitivamente la caduta del monopolio.
Per questa illegalità non sono andato in galera, per fortuna. Ci sono andato poi l’anno dopo, quando ero nella legge, mentre, per proteggere chi aveva assassinato Francesco Lorusso, Cossiga faceva approvare in parlamento una legalissima legge che decretava che la polizia aveva diritto ad uccidere durante le manifestazioni di piazza (difendi questa legge se ti riesce).
Nel 2002 ho fondato con altri OrfeoTv e il network delle Tv di Strada “Telestreet”. Qui non è chiaro quali leggi stessi violando, perché la legge Mammì, che Craxi aveva fatto votare per proteggere gli investimenti di Berlusconi, diceva che potevano occupare frequenze televisive solo coloro che ne avevano la Concessione, ma rimandava ad una definizione successiva l’assegnazione vera di queste frequenze e che 12 anni dopo non erano state ancora ufficialmente concesse.
Noi comunque non avevamo neanche concessioni provvisorie, quindi eravamo sicuramente illegali.
Anche qui non ho fatto galera, anzi l’impianto tecnico-giuridico che avevo creato era talmente solido che due tribunali italiani ci hanno assolti.
Per concludere: Il metodo della Disobbedienza Civile, teorizzato quasi 200 anni fa da Thoreau, è applicato da tanti che vogliono migliorare il mondo, proprio violando le leggi ingiuste (cioè quasi tutte quelle che non regolano aspetti, ma incidono sulle scelte di vita). Leggiti, ad esempio, cosa faceva Gandhi o gli scritti di Aldo Capitini.
Blu (e gli altri artisti di strada, se vogliamo chiamarli così) fa disobbedienza civile dipingendo fuori dalla legalità e, in questo caso, la duplica cancellando al di fuori della della stessa legalità (per altro “legalità dell’idiozia”, dove condanna sia l’opera, che la sua cancellazione).
La legalità non è difendibile e non è mai stata un valore. Una singola legge può avere un valore, ma la legalità nella sua integrità no, così come un’idea può essere un valore, ma l’ideologia no.
Questo non vuol dire che Blu od io possiamo passare con il semaforo rosso. Chi viola la legalità per affermare un diritto deve essere in grado di distinguere fra regola di esercizio e legge fraudolenta, ma affermare che legalità è un valore assoluto è un’idiozia assoluta. Le leggi vanno singolarmente analizzate ed affrontate.
Se no, si torna alla dichiarazione idiota di Lama nel ’77 (credo) che diceva che il lavoro è un valore comunque.
No. Lavorare è un valore, ma ci sono lavori utili e/o validi e lavori di merda e i lavori di merda si cerca di eliminarli, se no qualche imbecille è autorizzato a dire che trivellare l’Adriatico è giusto perché porta lavoro.
Anche fare il boia è un valore, perché è un lavoro. Non scherziamo.
“L’unica soluzione è che nessuno faccia azioni politiche fuori della legalità.”
Mai avrei creduto di leggere una frase del genere su Giap…
Wuming4 e vminnella ti hanno già risposto abbondantemente.
Io spero che questa frase sia dovuta ad un errore di valutazione, ti consiglio di leggere “Seven guidelines for civil disobedience” di Howard Zinn (qua il link in inglese http://www.newschool.edu/wpi/globalrights/usa/1968-Zinn-civil%20disobedience.html ), riporto una parte tradotta in italiano:
«Non vi è alcun valore sociale nel rispetto generalizzato della legge, non più di quanto ve ne sia nella disobbedienza generalizzata. L’obbedienza a leggi sbagliate, in quanto maniera per inculcare un certo servilismo astratto all'”ordine delle leggi”, può soltanto incoraggiare le già forti tendenze dei cittadini ad inchinarsi al potere dell’autorità, a desistere dal tentativo di mettere in discussione lo status quo. Esaltare l’ordine delle leggi come qualcosa di assoluto è il marchio del totalitarismo, ed è possibile creare un’atmosfera totalitaria in una società che ha molti degli attributi di una democrazia. Reclamare il diritto dei cittadini alla disobbedienza nei confronti di leggi ingiuste, ed il dovere di disobbedire a leggi pericolose, è la vera e propria essenza della democrazia, che assume che il governo e le sue leggi non siano sacre ma strumenti, al servizio di certi fini: la vita, la libertà, la felicità. Gli strumenti sono dispensabili. I fini non lo sono.»
«Mai avrei creduto di leggere una frase del genere su Giap…»
L’hai letta su Giap, ma scritta da un tizio che è venuto per buttarla in vacca. Ci ha provato, lo abbiamo sgamato, non verrà più.
@WuMing: sì, scusate, forse non si capiva dalla mia frase, ma non vi stavo accusando.
Più che altro mi meravigliava il fatto che qualcuno non solo l’avesse scritta senza un’argomentazione (daltronde non esiste un’argomentazione convincente per tale frase), ma in più l’avesse messa a conclusione di un ragionamento (piuttosto sconclusionato e fallace), in modo perentorio (“Pare ovvio, ma l’ovvio è un sottoinsieme del vero”). Quasi a voler dire “Con quest’ultima affermazione, ho chiuso il dibattito perchè inattaccabile”.
Un post del genere fa pensare che uqbal non abbia mai letto nè un vostro libro, nè un altro post di Giap, nè i commenti ai post di Giap e più in generale sia capitato qua per caso.
Tra l’altro nella mia risposta precedente ho copia-incollato due volte la traduzione, sorry
Alcuni nascono fortunati, chissà se se ne accorgono.
Ad esempio arrivano in un blog, buttano lì (inconsapevolmente?) un paio di banalità un po’ trollose, e cosa gli capita?
Gli capita di farlo nello stesso thread in cui sta scrivendo tra gli altri Valerio che, limitandosi alla sua esperienza diretta, gli elargisce al volo una spiegazione con esempi che dovrebbe stare sui libri di scuola. E anche tutti gli altri che, immagino pur nutrendo qualche dubbio, si mettono con buona volontà e pazienza a spiegare ed argomentare.
Per me questo thread merita l’International Award per pazienza, tolleranza e didattica.
Un bel colpo di culo, cascarci dentro per caso. Anche questo è un ascensore sociale, volendo si può provare a prendere anche questo, oltre a quello economico.
Giapsters, vi voglio bene.
E grazie a Valerio: sono uno dei tanti che qualche anno dopo, grazie a lui e agli altri che hanno lottato, hanno potuto fare obiezione di coscienza, legalmente.
Posso porre un dubbio? Passeggiando per il centro, ieri pomeriggio, ho potuto ancora una volta ammirare le “opere” di tanti writers. Piazza Maggiore sovrastata da fragore di Beppe Maniglia, mente qualche piacevole musicista deve allontanarsi se vuole farsi udire (non ascoltare, udire). Non equiparo Beppe a Blu, ma è proprio tra questi due estremi (il Trash e l’arte, il regalato e l’imposto con i 3000 watt) che (forse) si posiziona la discussione. Cosa dovrebbe fare un Comune? Decidere cosa è bello? No, deve tracciare una soglia di disturbo, una soglia di danno al cittadino (avete provato ad entrare in Sala Borsa, area bambini, quando Beppe “suona”?, trovate belli i portici insozzati da “artisti”?) un Sinistra che sconfina nel “laissez faire” (nessun vincolo, nessuna restrizione per chi si sente “artista”) ha come effetto la compressione dei diritti di chi vuole godere delle città e dei servizi di Bologna (tutt’ora ai vertici in Italia, non so cosa ne pensiate voi). Chi non vuole frastuono (sonoro e visivo) deve scappare dal centro, non tutti possono, anzi, solo alcuni possono e mangiano brioches. E non credo che le posizioni di Blu siano al di sopra di ogni critica (non lo è neanche il papa), ma se “vende” o “regala” cede la proprietà delle sue opere. Dire questo non significa dare ragione a chi se n’è appropriato indebitamente.
Il tuo commento riassume abbastanza efficacemente la ragione per cui quello delle occupazioni, visive, sonore o abitative è un male: semplice arbitrio. Per giustificare quelle che sono vere e proprie appropriazioni indebite serve un castello ideologico forte, convinto ed impermeabile, altrimenti il re rimane nudo.
Se pensi che «le occupazioni sono il male» e che – ad esempio – se famiglie buttate in mezzo alla strada per morosità incolpevole occupano immobili che una multinazionale lascia sfitti per motivi speculativi stanno commettendo «semplice arbitrio», getti luce retroattiva sulla natura reazionaria e perbenista della tua critica al gesto di Blu. Perfetto, perché prima fingevi di farla “da sinistra”, la critica. Adesso si è capito tutto. In ogni caso, qui dentro non hai più nulla da dire.
Il mio modesto parere è che non sia ‘di Sinistra’ tollerare le occupazioni, ma gestire e garantire l’emergenza abitativa. Se ammetti l’occupazione di un appartamento di una multinazionale, lo ammetti per anche per gli appartamenti di un privato. Il piccolo proprietario (quello con due appartamenti, per intenderci, quello dove vive e quello ereditato dai genitori o dalla zia, magari) dovrebbe quindi tollerare l’esproprio? Come distingui la “morosità incolpevole” da quella “furba” se non addirittura “colpevole”. Nelle pieghe di questo ragionamento andrebbe (e va) a rintanarsi il cialtronismo italico. Il ragionamento deve essere conseguente: se la proprietà è un furto, allora lo sia per tutti. A me sembra, ma smentiscimi senza pietà, un “homo homini lupus”, più che una posizione anarchica. Di Sinistra, no: ritengo (anche questo a mio modesistissimo parere) che proprio la Sinistra abbia fallito nel definire una struttura di regole, una propria (passami il termine forse improprio) “law & order” che offrisse protezione e vera inclusione. Le multinazionali, con i loro avvocati ed i loro fatturati, i garantiti con la villa sui colli, di writers, Beppe Maniglia, occupazione di un loro appartamento su 100, se ne stropicciano.
Completo: se io torno dopo una vacanza e trovo il mio appartamento occupato, sono rovinato. Non sono un proprietario seriale, sono un piccolo borghese che prova a capire cosa gli succede attorno. E di Destra, mi spiace, proprio no.
Hai, appunto, espresso un “modesto parere”.
A renderlo *qualitativamente* modesto, anzi, scarsissimo, è la totale, plateale assenza di base fattuale. In parole povere, la tua ignoranza delle istanze, delle logiche e delle prassi del movimento di lotta per la casa è assoluta. Non relativa; non solamente parziale: assoluta. La prova evidente che scrivi per sentito dire, partendo da dicerie di quinta mano e premesse inesistenti, è che ci propini la storiella di te che torni dalle ferie e trovi casa tua occupata.
Il movimento per la casa è una realtà organizzata che fa inchiesta tutti i giorni su entità e proprietà dello sfitto, studia le politiche abitative, denuncia speculazioni e gestisce sportelli dove chi è in difficoltà o addirittura già per strada può presentarsi e spiegare la sua situazione. Situazione che viene presa in esame e valutata con attenzione. Se il bisognoso è riconosciuto tale, entra nel novero di persone che entrerà nella prossima occupazione abitativa. Le case occupate sono gestite da assemblee di abitanti, nella piena coscienza che si sta forzando la legalità per sollevare una questione di diritti negati. La dimensione di vertenza con le autorità pubbliche è tenuta presente in ogni discorso e in ogni gesto.
Prima di esprimere pareri, sarebbe d’uopo informarsi. Per non esprimerne di troppo modesti (modesti, ripeto, nella qualità ma parecchio arroganti nella pretesa di sputare sentenze), consiglio di cercare su Google materiali su Social Log, ASIA, Action e altre realtà di lotta per il diritto all’abitare.
Guarda che non ho “sputato sentenze”, mi pare di avere messo la mani avanti. Ribadisco, sto provando a capire e credo di poter contare sul vostro supporto. O no?
Resta il fatto che, quando c’ero io in “emergenza abitativa” (ebbene sì, sono uno di quelli che l’ascensore sociale l’ha preso, dalla povertà all piccola borghesia), di sfondare una porta ed entrare in una casa altrui (senza chiedermi se fosse di una multinazionale o di un privato) non mi è passato per l’anticamera del cervello. Forse perché vengo dalla scuola PCI, per il quale le legge prima si rispetta e poi si cambia. I primi a soffrire se la legge non viene rispettata, questo l’ho imparato sulla mia pelle, sono proprio quelli che stanno al margine, al confine tra tranquillità e sprofondo. E, per (quasi) citare Totò, “e poi si stupiscono se uno si butta a Destra” (spero si colga l’ironia).
Quando il PCI a fine anni ’40 promosse le occupazioni delle terre lasciate incolte dai latifondisti, dal punto di vista concettuale faceva *esattamente* quel che fa Social Log. Ecco L’Unità del 27 ottobre 1949:
Il PCI, anche nei decenni successivi, appoggiò occupazioni di fabbriche, che erano illegali.
Dunque, anche quella della «scuola PCI, per il quale le legge prima si rispetta e poi si cambia» è una supercazzola buttata lì.
La legge prima si rispetta e poi si cambia? Ma davvero?
Ergo, stigmatizzi le donne che abbandonavano un marito violento e si mettevano con un altro uomo prima che fossero aboliti i reati di «abbandono del tetto coniugale» e di «adulterio». La legalità prima di tutto, perdinci!
Temo, inoltre, che cosa sia o non sia passato nell’anticamera del tuo cervello non sia esattamente il dato più rilevante di cui tenere conto quando si parla di problema della casa.
Le mani avanti le avevi messe, sì: per tirare schiaffoni. Noi te le abbiamo fermate.
Mi metti in bocca cose che non ho scritto.
Schiaffoni che non ho tirato.
Sto cercando un confronto per dubbi che ho, per cose che non condivido (nel metodo) e che ogni giorno vivo o che ho vissuto (nel merito).
Ma, giusto per chiarire meglio l’ambito: posso venire a commentare qui solo se sono d’accordo o è lecito anche se sto cercando confronto?
«Mi metti in bocca cose che non ho scritto.»
Ho virgolettato le tue frasi e chiunque può verificare.
«Sto cercando un confronto per dubbi che ho»
Se viene qui dicendo che non è di sinistra chi «tollera le occupazioni», giudicando lotte di cui vistosamente ignori tutto e propinando leggende metropolitane come «se io torno dalle vacanze e trovo il mio appartamento occupato», non stai cercando un confronto.
«posso venire a commentare qui solo se sono d’accordo?»
Ciascuno ha diritto alle proprie opinioni, poi però ci sono i fatti. Tu hai scritto cose che sul piano fattuale sono false, io ho risposto dimostrandolo. Hai proposto una fallacia logica dopo l’altra, io ti ho fatto le controargomentazioni. Se non puoi sopportarlo, aria.
secondo me, fabry65, quando si parla di occupazione, ma anche di murales come in questo caso, e si tira in ballo la proprietà privata, si fa spesso un errore di prospettiva.
La proprietà privata è un diritto, sancito pure dalla Costituzione. Nessuno lo nega.
Uno Stato di Diritto, come l’Italia, però dovrebbe saper distinguere il valore dei vari diritti e tutelare i più importanti.
Ad esempio, il diritto fondamentale di un’infanzia serena sotto ad un tetto è, secondo me, più importante del diritto di una multinazionale di tenere sfitto e vuoto un immobile.
Quando si viene a generare un conflitto di diritti, dovrebbe essere lo Stato o le Istituzioni che si prendono a carico quello del più debole.
Purtroppo invece c’è bisogno di Social Log e altre realtà come loro che si sbattono per difendere i diritti fondamentali.
Non ho mai capito cosa voglia dire Destra o Sinistra e non mi ci ci metto, ma al mondo esiste il filtro della logica e dell’intelligenza; proviamo ad esercitarlo:
Se io occupo il tuo appartamento, faccio una sconcezza, perché non si può chiedere al singolo di farsi carico dei problemi del mondo.
Ma se io organizzo l’occupazione di un fabbricato “abbandonato” della Telecom, per dare casa a decine di famiglie sto facendo un’azione ben diversa.
La Telecom era l’azienda più ricca d’Italia ed era stata creata con i nostri risparmi di contribuenti ed utenti. Poi è stata svenduta a privati che l’hanno completamente svuotata e depauperata (e sfido chiunque a dire di no), ad un punto tale che sta impoverendo tutto il paese, perché non ha più capitali per investire sulle infrastrutture (il digital divide ci costa l’1,5% del PIL). Quindi sto praticando una riappropriazione di parte di ciò che ci è stato rubato, usando un’immobile inutilizzato per speculazione.
Mi dirai che fra questi due esempi, che sono cghiaramente bianco e nero, esistono 50.000 sfumature di grigio. Dove sta la soglia che divide l’azione “lecita” da quella “illecita”?
Non è dato saperlo. La natura sperimenta miliardi di alternative e noi possediamo un’intelligenza naturale e quindi anche fallace.
La sicurezza di essere sempre nel giusto non esiste, anzi la sicurezza non esiste (oserei dire per fortuna”.
Possiamo solo continuare a dibatterne onestamente e, intanto, agire dove il nero è chiaramente tale.
Aldilà delle considerazioni “ricchi&potenti” e “arte&popolo”, la questione centrale è la cronica mancanza di informazione sui dettagli della vicenda, e il vuoto giuridico normativo che, anche se meno appassionante dello scontro tra l’artista e il comune/mostra, è il vero cuore del problema, da cui si può partire per fare un discorso più ampio.
Parto con la famigerata Fattura/rimborso spese, che se alcuni hanno impugnato come prova di una presunta incoerenza di Blu, in realtà ne prova l’ingenuità: è naturale e ovvio che un artista si faccia pagare O rimborsare le spese per l’opera, ma quando lo fa accetta di entrare in un quadro giuridico dove ci sono diritti e doveri, uno dei quali è accettare che chi ti commissiona l’opera, ne diventa il proprietario(in teoria dato che non sappiamo che tipo di contratto ha firmato, o se hanno fatto aumaum, grave considerando che stiamo parlando di soldi pubblici); a quel punto il comune può disporre del murales come preferisce, e l’artista può al massimo criticare pubblicamente il comune per la scelta fatta, ma non di più, almeno per quanto riguarda quella singola opera.
Per gli altri murales in giro per Bologna immagino siano stati fatti a titolo gratuito e con il consenso dei proprietari dei muri, ma sempre in quel clima di vuoto giuridico che destina tutte quel tipo di opere d’arte ad un destino ambiguo: se il limite del significato di un quadro sta nella sua cornice, per un murales il luogo dove viene creato è essenziale per capirne il messaggio artistico, ma senza delle norme chiare è impossibile preservarle, lasciandole in balia o dei proprietari dell’edificio, quindi del muro, ad altri writers, o dello stesso autore che dal punto di vista legale ha semplicemente imbrattato per la seconda volta un muro privato, o magari ha imbrattato un muro dove in precedenza i proprietari avevano dato l’assenso per disegnarci un murales.
In conclusione, senza leggi chiare opere d’arte, e lo sono, come queste saranno alla mercè degli umori di singoli, o della spregiudicatezza di alcuni.
Questo spostare il focus sistematicamente sulla parte prettamente legale della questione è riduttivo, e paradossalmente presta il fianco a strumentalizzazioni da parte di coloro che hanno dato il via alla vicenda, ovvero coloro che hanno cominciato a staccare le opere dai muri.
Proprio perché Blu non era proprietario di quegli spazi, costoro hanno agito presumibilmente, scrivo presumibilmente perché non sono un esperto in materia, in maniera legale.
Mi pare che nonostante la legalità della rimozione delle opere da parte delle istituzioni coinvolte, nessuno in questo spazio sostenga le ragioni di quella azione.
Il fatto che fosse legale appropriarsi di quei disegni, ne fa un gesto accettabile eticamente e politicamente?
Il fatto che Blu abbia cancellato, tra le tante opere disseminate per Bologna, una che gli fosse stata pagata – o per i cui costi fosse stato semplicemente rimborsato – intacca la linea da lui intrapresa dal punto di vista etico e politico?
In entrambi i casi la mia risposta è un NO gigantesco.
Discutiamo di questo anziché ridurre il tutto ad una disputa legale, che ha altri spazi per trovare terreno fertile, a maggior ragione quando il nocciolo della questione è la street-art con la sua storia, la sua funzione/fruizione ed il suo impatto sociale.
In primo luogo mi viene da obiettare che per alcuni, me compreso ad esempio, la legalità non è una parentesi facilmente sgomberabile dal campo: la legalità è importante, anzi, fondamentale, e purtroppo non può essere troppo strattonata.
Poi Blu ha agito in difesa dell’arte rivendicando il fatto che fosse sua, e non alienabile. Non dovrebbe stupire che poi ci sia qualcuno che si chiede di chi effettivamente fosse.
La legalità non può essere strattonata.
Secoli di dibattito su ius resistentiae e disobbedienza civile buttati nel cesso in una riga scritta da uno che non sa più cosa dire.
E invece la intacca eccome: non puoi disegnare random in giro per la città e rimanere scioccato dell’utilizzo dei tuo lavoro.
Senza una base legale qualunque writer non avrà mai il controllo delle proprie opere d’arte.
Esempio: se ai proprietari dei muri dove lui ha disegnato gratuitamente avesse detto”guardate vi disegno gratis, però mi garantite che non lo fate staccare dal muro” ci sarebbero stati molti meno casini.
Quella legale non è necessariamente una base, un punto di partenza: potrebbe magari essere l’obbiettivo da raggiungere. La riduzione sia della questione legale che di quella etica a un accanimento legalistico (la cancellazione è suscettibile di denuncia?) e moralistico (ha fatto bene o ha fatto male?) è uno degli effetti più interessanti e più importanti del gesto di Blu, che ha mandato in tilt parecchie categorie e obbliga a ragionare su cose che normalmente viaggiano come sottintesi e impliciti, come l’orizzonte ovvio e fuori discussione da cui si comincia a parlare ma di cui non si parla mai.
Anche io ritengo la questione legale fondamentale, l’importante è affrontarla bene senza usare l’argomento legale per sviare il discorso dalle questioni macroscopiche aperte da questo gesto, che potrebbe diventare un precedente importante, anche in sede giuridica, per ragionare ed eventualmente ridefinire il campo dei diritti, sia in senso letterale di diritti d’autore e copyright sulle opere (riaprendo per esempio il discorso sul copyleft, concetto particolarmente amato dalle amministrazioni culturali colte e illuminate a patto di estetizzare pure quello e renderlo completamente inutile e inefficace) che in generale rispetto al tema del patrimonio artistico e dei beni comuni, fino alla delegittimazione sistematica di ogni forma di antagonismo.
Come detto e ridetto, qualunque compenso abbia ricevuto Blu, non è stato per un’“opera” intesa nei termini del mercato dell’arte (il cui costo è stabilito per metro quadro in proporzione alla quotazione dell’artista, e nel momento in cui è stato realizzato il murales Blu era già un artista rinomato), ma per la realizzazione di un progetto ad hoc, pensato per mura specifiche, per ragioni specifiche e in un contesto politico e culturale specifico: in questo caso, se c’è un contratto, implicito o esplicito, fra artista e “cittadinanza” è sul luogo e il senso dell’operazione più che sui suoi contenuti e la sua “bellezza”. Quel genere di contratto è stato rotto: il senso di quella performance è stato completamente stravolto e distorto, anzi peggio, proprio negato e rimosso, dall’operazione di Geniusboloniae&Co., senza che questo cambiamento sia stato concordato con l’artista.
Visto che in quella mostra Blu compare come autore (cioè qualcuno riconosciuto e legittimato dal mondo dell’arte come firma autenticante di un’opera), di quali diritti gode quest’autore rispetto al senso di quell’opera, al senso che per esempio lui accorda all’obsolescenza, alla contingenza, alla locazione, ai modi e le condizioni di fruizione di qualcosa che proprio quel mondo riconosce come “suo”? In che momento esatto una tag o un murales smettono di essere un atto vandalico e vengono giudicati “belli”, un valore aggiunto del quartiere e non un segno di degrado? Secondo quali criteri tratteniamo l’eventuale valore estetico (o commerciale?) di qualcosa che nasce in antagonismo verso l’ordine costituito, e giudichiamo non pertinente il contesto in cui è maturata, il tipo di cornice, in tutti i sensi, che l’autore ha stabilito?
Il “popolo” leso, è leso perché gli viene a mancare un pezzo di memoria, oppure perché gli viene sottratto il valore aggiunto, economico e di prestigio, dato da un muro griffato?
Nel primo caso, non vale lo stesso per gli abitanti dei quartieri da cui sono state rimosse le opere musealizzate? Se erano un bene comune, perché questo “diritto del popolo” non è stato chiamato in causa, per esempio immaginando una riqualifica per quegli edifici, vincolando i nuovi proprietari a precise regole di mantenimento e salvaguardia del murales, e via dicendo, adottando cioè tutte quelle tutele che il diritto prevede nel caso di edifici o beni considerati un patrimonio artistico?
Nel secondo caso, non è un bel paradosso del diritto, quello di una stesso soggetto autore che da un lato non può avanzare diritti sulla propria opera perché quell’opera è di tutti, e sta alle istituzioni, e non a lui, gestirne le sorti, e dall’altro si ritrova all’interno di un’operazione che snatura e stravolge il senso del suo lavoro senza consultarlo ma lo chiama in causa proprio in quanto autore, come marchio, griffe, godendo di tutto il prestigio e del valore commerciale consegnati dal nome, tutti quozienti ben quantificabili e che stanno al primo posto nelle proiezioni di impatto sociale e guadagno/sostenibilità economica alla base di operazioni alla “Bansky&Co.”, il cui titolo chiarisce molto bene che oggetto della mostra non è un movimento storico-artistico ma una collezione di nomi famosi?
In quale sede pubblica, istituzionale o meno, è possibile discutere di tutto questo? Non è esattamente questione di lana caprina: in questo momento arte, patrimonio artistico, bene comune sono parole chiave al centro non solo dei circuiti di musei e gallerie (e del numero impressionante di zeri che mobilitano), ma anche dell’economia turistica e dei bandi regionali ed europei (altra valanga di zeri) dedicati alla conservazione, al recupero e alla divulgazione/partecipazione del “patrimonio culturale”. Di che natura è il “bene” che ne deriva e quali sono le condizioni per accedervi? Come ricade la definizione del valore culturale nella distribuzione delle cariche pubbliche e private coinvolte nella sua produzione e gestione, nella ridefinizione delle professionalità vecchie e nuove legate al mondo della cultura, nella distribuzione dei fondi, nell’accesso ai finanziamenti? Come si articola il valore culturale con la sostenibilità economica? Quanto una concezione estetizzante (e quindi accessoria) del valore culturale inibisce lo sviluppo di modelli di sostenibilità alternativi alle logiche di mercato? Parliamo di legalità, parliamone molto, ma facciamolo bene. Bello sarebbe sfruttare la scossa discorsiva procurata dalla cancellazione dei murales per fare e farsi buone domande a beneficio di tutti.
Finalmente con questi ultimi sviluppi il dibattito è sceso al livello che mi è consono, cazzo.
Non ne potevo più. Ora sto meglio. Certo, un po’ sorpreso e travolto dalla realtà che supera l’immaginazione, ma molto meglio, grazie.
Un paio di settimane fa mentre alcuni preparavano i pennelli io, ignaro e appoltronato nella mia cameretta con la mia tavoletta, sono inciampato in una notizia su Banksy e l’ho inseguita.
Risalendo a fonti via via più professionali sono giunto all’origine e me ne sono fatta un’opinione. Forte al punto non dico da farmi uscire dalla cameretta, ma da farmi aver voglia di scrivere.
Mi disgusta la stupida ma astuta malignità del fatto, presentato asetticamente come “scientifico” dai giornali italiani (bisogna arrivare alla BBC per trovare qualcuno che manifesti qualche timido dubbio).
Scientificamente parlando (scusate il tecnicismo) trattasi di scoreggia: la Marketing Press Release di alcuni ricercatori ansiosi di posizionarsi nel mainstream dei finanziamenti più promettenti, che poteva ottenere la cercata attenzione solo tirando in mezzo con stupida e astuta malignità un grande nome, Banksy appunto.
Due settimane fa mi venne e tutt’ora mi resta la voglia di scrivere una farsa in tre atti:
1. Scienziati identificano Banksy applicando una metodologia studiata per i criminali seriali.
2. La procura di B. si candida per condurre la sperimentazione pilota in Italia.
3. Genus B. esprime il proprio interesse a sponsorizzare il progetto.
Se siete per la sintesi, era già tutto lì.
Ma provavo grande prurito alle mani, avevo voglia di ricamarci, pensavo “poi magari lo posto su Giap”, e così ho perso il tempo.
Avevo sviluppato il primo atto – col cuore in mano, come scrivessi per il Corriere di B. – ma non avevo ancora ben capito come condurre gli altri due, quando Blu ha fatto quel che ha fatto, ed immediatamente a seguire il comunicato bilingue del comitato politico, e tutto quanto ne è seguito.
Ed allora ho capito tutte quelle storie che fanno qui su Giap: il frame, la cornice, contestualizzare etc.
Non potevo postare quel che avevo pensato e scritto PRIMA, quando la notizia più rilevante era “tra due settimane apre la mostra dei graffiti”, DOPO quello che era successo, nella discussione in corso, dolorosa, con lacrime e groppo in gola?
Impossibile. Superato, irrispettoso, insultante.
Ma adesso, che finalmente siamo arrivati agli scontrini di Blu, si riapre uno spazio, torno a respirare e sento di potermi nuovamente esprimere. E chissà, forse in qualche settimana riuscirò a riprendere gli atti Due e Tre, ed a metterli d’accordo con tutto quello che è successo, che non stonino troppo.
Per il momento però ho un po’ da fare. Sapete che venerdì era la festa del papà: sono tornato a casa la sera, mio figlio mi ha dato il libro di matematica e mi ha detto “Abbiamo fatto la parabola. Per me non ha nessun senso. Martedì ho la verifica.” Così abbiamo un po’ da fare…
Per il momento dovete accontentarvi della fonte originale. Ma non è poco…
Potete assaporarvi la brochure (in questo contesto si chiama Abstract):
http://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/14498596.2016.1138246
Mi spiace per chi vorrà approfondire scientificamente la notizia: scaricare una copia pdf dell’articolo costa quanto comprare un’opera originale di Banksy a Central Park.
Chi compra il muro non compra comunque l’opera, perché Blu non l’ha mai ceduta, almeno così credo sia da un punto di vista formale. E’ come comprare un master di una registrazione (ovvero, un supporto fisico o dei dati digitali) senza averne acquisito i diritti, ci si può fare ben poco. E’ insolito come delle norme del diritto d’autore possano tutelare la street art, non dall’essere cancellata dai proprietari dei muri, ma da usi impropri e non autorizzati come questo. Blu può farne quello che vuole, il fatto che sia stata fatta abustivamente non fa decadere il suo diritto morale per sfruttamenti che non gradisce. E, come sempre, corporation che sono a favore dell’open source solo se si tratta di lavoro di altri…
Tomaso Montanari, oggi su “Repubblica”:
“[…] È in questo senso che la Street Art rifiuta l’eredità del moderno, cercando altrove. Per molti versi viviamo in un nuovo Medioevo: nelle nuove città torri sempre più alte separano la vita lussuosa dei nuovi signori feudali da quella della massa dei servi, non della gleba, ma di un mercato senza regole. A redimere la programmatica bruttezza dei non luoghi dove vive la maggior parte degli occidentali è nata un’arte che appare collettiva per natura, e generata quasi in opposizione simmetrica a quella mainstream. Se quest’ultima è un’arte privata per definizione, un’arte da interno che nasce per gallerie e per case di lusso, o per musei, simili a lounges aeroportuali, nei quali si paga un biglietto, la Street Art è un’arte pubblica, un’arte da esterno che si vede gratis perché aderisce come una seconda pelle ai luoghi dove vive e lavora chi possiede quasi solo la propria pelle.
La prima non puoi comprarla perché costa milioni, la seconda non puoi comprarla perché non è in vendita: e negare il nesso arte-mercato è un altro tratto che nega tutta la tradizione moderna, tornando al nesso medioevale arte-comunità. E anche per macchine tritatutto come il mercato dell’arte e l’industria delle mostre non è facile digerire la Street Art: perché quando la sradichi, ne uccidi anche il valore estetico.
In questo gioco di contrari, il divismo esasperato dei Jeff Koons, Damien Hirst o Maurizio Cattelan trova un corrispondente perfetto nell’anonimato di Banksy.
Dei writers – come di molti artisti medioevali – conosciamo solo le firme, e – proprio come accade per l’arte europea dell’alto Medioevo – non possiamo interpretarne l’arte alla luce delle biografie: non possiamo individualizzarla, e dunque siamo ‘costretti’ a leggerla come un’arte davvero collettiva”.
L’integrale è qui.
[…] più esperti e nemmeno delle polemiche che ne sono seguite, se vi interessa vi mando direttamente a Giap dei Wu Ming che da giorni gestiscono una conversazione che è ormai gigantesca e rispondono ai […]
Alcune riflessioni sulla poetica dell’alienazione di Blu e sulla Terra di Mezzo.
Cari Wu Ming,
Vorrei condividere con voi alcune riflessioni nate dall’opera di Blu che in questi anni bolognesi, quasi venti, hanno inconsapevolmente (per Blu, intendo) accompagnato il mio itinerarium mentis fino agli studi psicopatologia e psichiatria.
Un giorno di molti anni fa, camminando per via Fioravanti col mio amico Richmond, mi soffermo stupito di fronte ad un murales enorme: la genesi dell’uomo. Dalla scimmia alla modernità. Ero incredulo, sopraffatto e inquietato dal tratto grossolano ma definito, dalla trapasso della forma nel suo contrario che quell’immagine imponeva al mio sguardo.
“E’ di Blu.” mi disse Richmond
“Di chi?” risposi
“Di Blu. E’ il nome di un writer di Bologna. Un genio”
Non sapevo che dire. Vedere quel graffito mi disorientava. Possedeva una bellezza ambivalente che mi attraeva e respingeva allo stesso modo. Non era un complemento d’arredo urbano. Aveva un messaggio. Ma quale?
Mille altri giorni sono passati da quel momento. Soprattutto mille altri giorni bolognesi, in una città in trasformazione, sempre al limite tra tradizione e rinnovamento, tra cultura e contro cultura, tra sociale e personale, tra torri e caverne underground. Lentamente altri graffiti di Blu incrociavano il mio cammino di psiconauta: omini alieni, feti troppo cresciuti, specchi su una realtà dell’anima deforme, indistinta ma allo stesso tempo parte di tutti. I tempi della globalizzazione sono stati e sono tempi di omogeneizzazione, l’identità vacilla nelle sue innumerevoli possibilità di rappresentarsi e, nelle periferie, ancora di più. Sì perché era sempre nelle periferie che incontravo Blu. E alla fine era da lì che tutto nasceva.
L’alienazione dei luoghi al margine dell’integrazione era densa e umida come la nebbia di Bologna. Ma come faceva Blu a trasformare tutto questo in arte era un mistero. Un mistero finché non ho capito il potere che la creatività ha sull’angoscia e sull’alienazione. Il suo potere di relazionarsi con l’ombra.
“La follia” diceva F. Basaglia “nasce dallo stesso luogo dal quale nasce la normalità. La vita.” La poetica dell’alienazione di Blu lo stesso, nasce dalla vita dei nostri tempi. Solo in forma più sociale, collettiva e inevitabilmente in dialettica con la sua controparte: il potere oligarchico. Mordor.
Ominidi alieni, replicanti, cloni, feti adulti, sguardi senza occhi. Enormi, come i palazzi, giganti dal passo lento, Trolls! É così che ci vede Blu? Direi di sì.
Forse non tutti, e si tiri fuori chi non pensa così. Ma la verità e che sì, Blu ci vede così. Mordor è questo. É qui alle porte della città o fuori da essa. É dentro di noi o negli altri. Che facciamo?
Se Mordor vince non ci saranno più i murales di Blu, verranno dipinti di grigio o usati come pezzi di una vecchia storia.
Vincent Spinelli