Amianto, una storia operaia

Amianto, una storia operaiaPost breve, giusto un lampo. Molto “irrituale” per Giap, e deciso all’impronta. E’ che ieri sera ho finito questo libro e mi ha colpito durissimo, come non mi capitava da tanto. Mi avevano avvertito: lo diceva anche Evangelisti nella prefazione, l’avevo letto nelle recensioni, anche in quella del Chimenti, ma quando leggi e leggi e leggi e ti arriva la “botta”, non c’è preavviso che conti. Mi ha smosso ricordi di quand’ero feto. Nel volgere di una generazione ci hanno devastati. Io, guardate, sono anni che non scrivo una recensione, e non la voglio scrivere neanche adesso. Non mi interessa più recensire, voglio discutere. Ieri sera ho inviato una mail ad Alberto, un po’ tartagliando, non trovando le parole giuste (avevo scritto anche due o tre frasi su Twitter, roba da vergognarsi, il massimo dell’inadeguatezza), e gli ho detto, in sostanza: che roba che hai scritto, compagno. Che cazzo di libro che hai scritto, compagno. Così, senza dire un cazzo, te ne esci con una roba del genere, ti metti a “fare Monzon” con queste memorie? Lo faccio decantare, poi parliamone su Giap, ti va? Io, te e altri, ti va? Volentieri, mi fa lui, poi mi spiega che è ancora scosso da una presentazione che ha appena fatto, il pubblico era pieno di operai menomati da anni di lavoro di merda, e figli e parenti di operai menomati o uccisi da anni di lavoro di merda. Insomma, io vi dico solo: leggetelo. Ché poi se ne parla insieme. E’ un libro di quelli che si leggono per poi parlarne insieme. A me ha smosso roba dentro, roba particolare, perché pure io vengo da una famiglia di metalmeccanici che quand’ero piccolo era sospesa tra industria e campagna, fabbrica e orto in cortile, e pollaio. Qualcuno in officina, le donne (mamma ed entrambe le nonne) a fare le braccianti. Pure mio papà, prima di entrare in fabbrica, aveva fatto il cameriere. Poi ha fatto il dirigente sindacale, ma sempre “in aspettativa”, perché in fabbrica può capitare di tornarci. Anche l’aspettativa era una conquista del movimento operaio. Mio fratello è tuttora metalmeccanico iscritto FIOM, lavora in una fabbrica di componenti metallici che serve il grande indotto FIAT. Ogni tanto fa un po’ di cassa integrazione. Laureato e con tanto di master, mio fratello, e fa l’operaio, poi dicono che siamo “choosy” e pure ringraziare, perché oggi lavorare è già un lusso. Anche dalle mie parti c’è una lunga storia di nocività, e anche a Ferrara c’era la Solvay, non solo a Rosignano. Però Amianto mi avrebbe dato la botta a prescindere, anche senza tutto questo. E la darà anche a voi, perché se uno legge Amianto e non gli arriva la botta, vuol dire che ha la testa sbagliata e si è messo il cuore sotto le scarpe. Vuol dire che i padroni lo hanno lavorato bene, lo hanno “macinato fine”. Ieri sera piangevo, bestemmiavo tra me e me che sembravo un matto, e dopo che mi ha risposto il Prunetti c’avevo un cazzo di groppo in gola… Piangevo di rabbia, però anche d’orgoglio, orgoglio per i Renato che eravamo appena una generazione fa. Questo qui è un libro grande come una casa, ma è la casa che manca, la casa che non abbiamo. E’ un libro di noialtri “sfollati”, l’ho già scritto che siamo un popolo da campo profughi, perché quel mondo che ci ha cagati, col suo tanto male e il suo po’ di bene, quel mondo là non esiste più. Solo che non c’è nemmeno il campo profughi, purtroppo ognuno è profugo per conto suo, e quando scrive gli fanno pure male le braccia. Che cazzo di libro che hai scritto, compagno. C’ho ancora la gola strozzata, e partono altre bestemmie. No, sul serio: leggetelo. Poi ne parliamo. Ma l’hanno poi spedita una copia a Nada Malanima, dopo tutto ‘sto tirarla in causa? Perché secondo me pure a lei vengono i lacrimoni, e salgono dalla gola le imprecazioni, e telefona al Prunetti e lo chiama “compagno”.
Che sarebbe davvero una parola bellissima, “compagno”. – WM1

Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)

Print Friendly, PDF & Email

70 commenti su “Amianto, una storia operaia

  1. Non sarebbe, è. E’ una parola bellissima, compagno. Com’è bellissimo il Prunetti, che cava questa storia tra tutte e ce la regala, nemmeno ce la meritassimo. Anche a lui pensavo – a lui e a Renato – mentre
    “Ho trovato
    una nave che salpava
    ed ho chiesto dove andava.
    Nel porto delle illusioni,
    mi disse quel capitano.
    Terra terra
    forse cerco una chimera,
    questa sera, eterna sera”
    chiudeva il nostro ultimo spettacolo.
    Anche a lui, insieme al quale più di una volta ho mangiato pane. Compagno.

  2. Mi è capitato di trascrivere diverse udienze sui danni causati dall’amianto.

    Per meglio dire: sulle stragi causate dall’amianto.

    Per meglio dire: sulle stragi che si sono volute, perché già si sapeva dei danni che poteva causare l’amianto da decenni.

    Il Canada è attualmente la prima estrattrice di crocidolite che io sappia.

    Sentire parlare gli ex operai è stata una delle cose che più mi hanno distrutto.

  3. Confermo, è un libro “indispensabile”, proprio nel senso brechtiano degli uomini indispensabili che lottano ogni giorno. Quando ne riparleremo, ci sarò. Anzi, ci sono già.

  4. Questo libro è li sul mio comodino, pronto per essere letto. Avevo letto quando uscì su Carmilla la storia “in breve” raccontata da Prunetti, la storia di suo padre, da cui poi è uscito fuori “Amianto”. Già leggere quello mi scosse, smosse e rimescolò dei pensieri che da tempo – anni – incubavo nella testa, pensieri di cui per pudore – che (mio? solo mio?) limite! – fatico a condividere con altri, anche con amici e amiche, fratelli e sorelle, che sono cresciuti con me, che hanno perso i padri morti, in tanti modi diversi, di fabbrica. E adesso, dove sono nato e cresciuto, non ci sono nemmeno più le fabbriche, dico proprio fisicamente; sicuramente non c’è più quel mondo. Oppure anche se sono lì, svuotate o semi-vuote, sono invisibili, come sono invisibili gli operai che ancora ci lavorano, otto e più ore al giorno. E… e ora leggo le parole di questo post… e niente, mi sono emozionato e il groppone alla gola ora è lì che sale e scende, le bestemmie trattenute o dette spesso a bassa voce e i lacrimoni troppo trettenuti negli anni sono ancora intimamente dentro di me, anche se la diga tiene, ma io sono stanco e vvoglio ora aprire le chiuse e lasciare scorrere quei pensieri e quei vissuti in un fiotto che si unisca nei mille rivoli dei vissuti di altri e altre che hanno la memoria di quel mondo che non c’è più…

    Parliamone prima che resti solo il dolore, prima che resti solo rabbia, prima di scordarci di quella profonda dignità.

    Parliamone dopo aver letto Amianto e dopo averlo lasciato decantare per un pò – che io, già lo so, dopo averlo letto, sarò a pezzi per un bel pò…

  5. Letto a dicembre, appena uscito, anche se ne avevo già scritto prima di leggerlo, perché Alberto me ne aveva parlato l’estate scorsa:

    http://www.daeffe.it/amianto/

    @WM1, a me però ha scatenato una reazione diversa. Per usare le tue parole, quel libro non è grande come una casa, quel libro è la casa. E’ uno spazio di memoria che accoglie tutti, anche chi ha storie diverse. Mi spiego: i miei sono impiegati statali, mai navigato nell’oro, sempre faticato per arrivare al 27 del mese. Non c’è la fabbrica nella mia memoria, c’è l’ufficio. Ma io non la vedo tutta ‘sta differenza: rimane lo sfruttamento, anche se con dinamiche diverse, rimane la malattia – fisica e nervosa -, rimane la resistenza contro un lavoro alienante.
    Leggere di Renato, con tutta la materialità della sua storia, mi ha fatto conoscere un mondo che non avevo vissuto (tranne i campetti di calcio d’asfalto, quelli sì li conosco!), ma di cui mi sono sentito subito parte. Non solo: la storia di Renato è anche la storia di Alberto, e il libro è un libro al presente e del presente. Ecco perché secondo me è un libro-casa. E sì, è un libro che ti fa davvero venire la voglia di dire “compagno”.

  6. sì……
    propio una bella parola COMPAGNO-__ONGAPMOC …la sua riflettanza specularé=è.guale ma diversa
    -__- mi ricorda Pepe Mujica….a voce alta risuoniamo insieme……

    http://www.youtube.com/watch?v=rIQNk2O-VDE

    …per chi non sapesse chi è Pepe:
    http://it.wikipedia.org/wiki/José_Mujica

  7. Sara che non scrivi più recensioni, ma questa è una delle più belle recensioni che io abbia mai letto!

  8. «Il mio lavoro è qualcosa di simile alla ricognizione circa i particolari di un campo di battaglia: nella battaglia siamo coinvolti tutti (e dobbiamo sapere di esserlo) e l’atteggiamento che assumiamo o assumeremo nella battaglia trascende di gran lunga la nostra abilità di ricognitori circa le buche e le sporgenze del terreno in cui si combatte e si combatterà. In sostanza: il lavoro di ricognizione (i miei scritti, per esempio) è fondamentalmente secondario rispetto al combattimento. Certo, prima di combattere, è necessario conoscere il terreno […]; ma una volta indagato il terreno, si tratta poi di combattere. E questo poi lo si fa, come tu dici, nella “strada” e nella “fabbrica”, non certo scrivendo su Rilke».
    Furio Jesi a Giulio Schiavoni, 26 giugno 1972

    Appunto.

    • Come diceva il filosofo Roberto Dionigi, a Bologna, sostenendo che gli intellettuali dovevano andare davanti ai cancelli delle fabbriche: «Perché l’operaio non si sfoglia».
      (Sarà che poi a me Rilke m’è sempre stato un filino sulle palle: mica colpa sua, in fondo, ma dei rilkeani che passavano il tempo a farsi le seghe mentali sugli angeli)

      • Sempre meglio degli intellettuali che passa(va)no il tempo a farsi le seghe mentali sugli operai.
        Basta fare uno sforzino per guardare oltre gli angeli per accorgersi che Rilke è uno dei poeti più *umani* che si possa avere la fortuna di incontrare.
        Un saluto.

        • Guarda che esiste almeno un caso in cui l’intellettuale che si faceva le seghe sugli operai era lo stesso che poi se le è fatte sugli angeli. E ha cominciato a farsele sugli angeli per far vedere che non se le faceva più sugli operai.

          • Giovanni Lindo Ferretti? ;-)

            (scusate l’intrusione inopportuna, ma non ho saputo resistere)

            • Avrei pensato più a Massimo Cacciari, ma gli esempi si potrebbero moltiplicare…

              • @ Monsieur en rouge

                sei un genio ;)

                @ tutti

                non volevo bistrattare la categoria dei segaioli, per carità, ognuno fa quel che gli pare. Però gli angeli di Rilke lasciatemeli stare, s’il vous plaît, che non hanno mai fatto male a nessuno.

              • Sono infatti certi “rilkiani” ad avere fatto danni. Non Rilke.

              • Vero, ma purtroppo le parole fragili corrono sempre il rischio di essere fraintese, e c’è bisogno di maneggiarle con estrema delicatezza per far sì che non si rompano – e corrompano.
                Di qui la sgradevole necessità di spaccare il capello in quattro, di tanto in tanto.
                Un saluto.

            • Ferretti se l’è sempre fatte molto di più sugli angeli che sugli operai. Io ho pensato a Scalfari… ammesso che sugli operai se le sia mai fatte, io nel cretaceo non ero ancora nato.

              • Né Ferretti né Scalfari hanno mai scritto libri sugli angeli e Rilke. Girolamo, seguito a ruota da me, si riferiva a questo, come ha ben capito Salvatore:
                http://www.adelphi.it/libro/9788845908828

              • Ah, ora è chiaro. Credevo si parlasse in generale di personaggi di sinistra incappati in crisi mistiche col passare degli anni :-)

              • Ringrazio WM1 per la puntualizzazione, e faccio ammenda di eccessiva cripticità. Per i vecchietti come me è quasi banale rammentarsi di Cacciari, perché il suo salto della quaglia, ai tempi del governo di unità nazionale, lo abbiamo avuto sotto gli occhi (nel senso che il dibattito tra gli entristi nel PCI – Cacciari, Tronti, Asor Rosa – e gli intellettuali dell’autonomia – Negri, Bologna, ecc. – era pubblico, e un po’ di carta stampata la conservo ancora). Poi venne il libro sugli angeli, che in effetti non sorprese più di tanto. Ma non dovevo dare per scontato che i lettori di Giap capissero al volo. Però è sintomatico che a qualcuno sia sovvenuto in mente Ferretti. Poi, le Duinensi di Rilke le ho lette anch’io, e nella mia biblioteca ci sono: ma che ci posso fare se quando provo a leggerle mi sembra di sentire una voce veneziana che mi alita dietro le spalle? È un po’ come certe musiche nobili storpiate da Carosello, per cui a “sul ponte di Bassano” ti sembra sempre che debba seguire “un dì atterrò un marziano” :-;

              • @ Girolamo

                Ora capisco.
                Io di Cacciari ho avuto la sfortuna di leggere solo un’introduzione de “L’opera d’arte nell’epoca etc” di Benjamin e l’ho trovato insopportabile, spocchioso e fastidiosamente criptico – calcola che dopo essermi spaccato il cervello sull’introduzione, il testo di Benjamin mi è sembrato una passeggiata.
                Il risultato è che ora lo evito (Cacciari, intendo) come fosse la peste, senza bisogno di aver assistito in prima persona, per questioni anagrafiche, alle sue giravolte operaistico-angelologiche.
                Rispetto a Rilke, se non gliela fai con le “Elegie duinesi” mi permetto di consigliarti il “Malte Laurids Brigge”, che non parla di angeli ;) e di cui esiste tra l’altro una meravigliosa traduzione di Furio Jesi.

                Un saluto

  9. Confermo quanto ho scritto a WM1: molto volentieri. Vorrei parlare di classe operaia, come comunità reale, e di comunità immaginarie; di esposizioni all’amianto (dichiarazione passiva della sentenza) e di padroni assassini (come la vedo io); di malattie professionali e di quel cancro che è il capitale, di come logora i corpi dei lavoratori. Dei morti sul lavoro che sono come desaparecidos, che continuano a scomparire e tornano nei nostri incubi per farci dormire male. E di quanto era fottutamente divertente vivere nelle città operaie, di un nonno muratore che la domenica mattina ti portava all’Arci per la distribuzione del giornale del partito ma poi ti parlava solo di Pietro Gori e degli anarchici e delle partire di calcio di seconda categoria. Quando volete, secondo i ritmi di Giap, che è un motore che ronza con tanti pistoni ribelli sempre innescati.

    • Comprato e cominciato ieri sera, preso bene.
      Operaia mi sembra anche la scrittura, non saprei dire perché, così a pelle.
      Confermo: il ponte del diavolo è proprio a Lanzo, o meglio quello più famoso. A pochi chilometri da lì, a Balangero, c’è la cava di amianto più grande d’Europa:
      http://it.wikipedia.org/wiki/Amiantifera_di_Balangero
      Sono stupito da come il tuo libro sembra tenere insieme tutto. Magari come i sogni, senza volerlo.

      • Dimenticavo, su Balangero: ovvio corollario di morte.
        http://goo.gl/Ofj7N

      • Grazie! Sto completando molti ricordi… Avrò avuto al massimo tre anni quando siamo andati a Lanzo (e mia mamma non mi dava conferme sicure sul posto). Ricordo questo ponte e un cane nero che mi faceva paura. Non sapevo che ci fosse una cava di amianto e non so neanche di preciso in quale stabilimento industriale lavorasse mio padre da quelle parti (ogni tre mesi lo spedivano in uno nuovo, anche se poi nei cantieri lunghi ci rimaneva anche un anno…). Ci sono raffinerie? O forse c’erano, chissà… però le raffinerie stanno sulla costa, per scaricare/caricare il greggio via nave… Così eravamo vicini al minerale assassino… davvero “tutto tiene”… grazie ancora per la tua precisazione, la memoria non è mai solo una cosa personale.

      • La cava di Balangero è veramente inquietante. Ho telefonato subito a mia madre per chiederle se per caso avesse lavorato in quel posto. Renato ha lavorato anche in cava, ad esempio all’Elba: si occupava del sistema di tubi, di silos, degli impianti di frammentazione del minerale. Ma lei dice che a Lanzo c’era mia sorella appena nata (prematura) con le coliche e non si ricorda niente del cantiere, pensava solo alla bimba. Poi erano in albergo e non lavava lei le tute in quei giorni. Era un cantiere grande perché c’erano parecchi operai della ditta e non era proprio vicino all’albergo, ma a qualche chilometro, ma di più non sa dirmi. Farà qualche telefonata a qualche compagno di lavoro, ma non subito (di solito si deprime a parlare di queste cose…). Intanto andrò a cercarmi il racconto di Primo Levi ambientato nell’amiantifera di Balangero, nella raccolta “Il sistema periodico”. Proviamo però a andare per esclusione: sai se in zona ci sono altri impianti industriali grossi, o se c’erano a metà anni settanta?. Raffinerie (ma la vedo dura), siderurgico… perché può darsi che fosse davvero a lavorare lì…

        • Che io sappia l’unica (credo anche allora) raffineria in Piemonte è a Trecate, ma sta sul Ticino, quasi in Lombardia, lontano da lì.
          Il siderurgico non è escluso: il canavese è sempre stato indotto Fiat, ma per ora non saprei andare oltre il generico, cercherò meglio.
          Molto vicino a Lanzo (a Germagnano) c’era e c’è una grossa cartiera, ma non so se può essere il caso.

        • Un collega che è della zona e conosce persone che ci hanno lavorato mi dice che c’era uno stabilimento che frantumava e insaccava per poi inviare alla Eternit di Casale (Balangero-Casale sono un centinaio di chilometri)

  10. Nandropausa batte un colpo ogni tanto.

    Compreremo il libro del compagno Prunetti solo perchè la seconda categoria è fucina di bel calcio da sempre.

  11. Ehm… scusate @WuMing, so che forse non è il posto giusto…
    mi è arrivato un RSS con un post di @tuco delle 11:38 su questo post, con questo URL:
    http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=11052&cpage=1#comment-16576
    ma non lo trovo… tutto normale?

  12. Ecco un brano dal racconto Nichel di Primo Levi segnalato da Tuco (nella raccolta “Il sistema periodico”):

    “L’operazione procedeva in mezzo ad un fracasso da apocalissi, in una nube di polvere che si vedeva fin dalla pianura. Il materiale veniva poi ulteriormente macinato fino a ghiaia, essiccato, selezionato: e ci volle assai poco per appurare che scopo ultimo di quel lavoro da ciclopi era strappare alla roccia un misero 2 per cento d’amianto che vi era intrappolato. Il resto,
    migliaia di tonnellate al giorno, veniva scaricato a valle alla rinfusa.
    Anno dopo anno, la valle si andava riempiendo di una lenta valanga di polvere e ghiaia. L’amianto che ancora vi era contenuto rendeva la massa leggermente scorrevole, pigramente pastosa, come un ghiacciaio: l’enorme lingua grigia, punteggiata di macigni nerastri, incedeva verso il basso laboriosamente, ponderosamente, di qualche decina di metri all’anno; esercitava sulle
    pareti della valle una pressione tale da provocare profonde crepe trasversali nella roccia; spostava di centimetri all’anno alcuni edifici costruiti troppo in basso. In uno di questi, detto “il sottomarino” appunto per la sua silenziosa deriva, abitavo io.
    C’era amianto dappertutto, come una neve cenerina: se si lasciava per qualche ora un libro su di un tavolo, e poi lo si toglieva, se ne trovava il profilo in negativo; i tetti erano coperti da uno spesso strato di polverino, che nei giorni di pioggia si imbeveva come una spugna, e ad un tratto franava violentemente a terra.”

  13. in questo spezzone di documentario sul fiume soča (isonzo), prodotto dalle televisione slovena, tra i minuti 5.10 e 8.45 si parla del grande cementificio di kanal, in cui si produceva eternit fino a una ventina di anni fa. l’audio e’ in sloveno senza sottotitoli, ma le immagini rendono bene l’idea di come si lavorava in quelle fabbriche (quela di casale monferato doveva essere abbastanza simile).

  14. Fantastico! Non è passato poi tanto tempo dalle tue ultime parole “Leggiamo poco di quel che passa il convento e quindi segnaliamo poco” [WM1]. Qua nel giro di manco un mese avete segnalato una cosa come almeno 10 letture interessanti se non imprescindibili… ehm… scusate l’OT! E una cosa fra me e i Nandropausiani nella mia testa.

    • Confermo che di narrativa italiana attuale stiamo leggendo pochissimo. Se ci fai caso, abbiamo segnalato tutt’altro. Anche Amianto sta nella “terra di mezzo” che piace a noi, quella degli oggetti non-identificati.

      • uff… e vabbeh, è vero.
        Certo se ci piacciono le non identificazioni, perché fermarci al recinto della narrativa …Ok ok la pianto qui sono troppo OT.

        Ad ogni modo dopo che leggerò Amianto verificherò se posso sperare nella crescita della *UNO* *italiana* *di oggi*. :-))

  15. Il libro è in arrivo e non vedo l’ora di leggerlo, ma ne ho anche un po’ paura. Ho paura di rivivere i non proprio serenissimi momenti della mia infanzia, con uno zio deceduto nel giro di un mese e un padre con la salute rovinata (ma ancora vivo e felicemente pensionato, per fortuna), uno che le ha fatte quasi tutte, la Vynils di Porto Torres e l’ENI a Marghera.
    Attendo la “botta”. Per il resto… non bestemmio e non piango più, ho deciso qualche tempo fa di fare la cosa più incongruente, di fare il chimico, la ricercatrice, perché non è solo veleno quello che può uscire da un laboratorio, ne può uscire anche un modo per lavorare tutti meglio e per saper riconoscere il vero nemico, il padrone, quello che ai tempi oscurava la ricerca sull’amianto. Io invece sono stata choosy, dall’inizio fino ad ora, ma non riesco a pentirmene :)

  16. In attesa di leggere il libro, la cosa interessante è la riflessione di WM1: “Non mi interessa più recensire, voglio discutere.”; la letteratura deve ritornare a far discutere ed uno spazio nel web come questo è prezioso.

  17. Un profondo grazie ad Alberto per avere fatto lo sforzo di mettere sulla carta la storia di Renato.
    M’ha fatto sentire tutto l’orgoglio d’esse’ figliolo d’operai che hanno fatto studia’ i bimbi, ma che son riusciti a tirarli su in modo da non fargli mai scordare d’esse’ figlioli d’operai, e con la coscienza di riconoscersi anch’essi come operai, seppure d’un tipo nuovo e diverso, ma con meccanismi di sfruttamento che si ripropongono.
    In sovrappiù, a sottolineare la “botta emotiva” che m’hai dato, ci metto il linguaggio, che è lo stesso della mia infanzia e gioventù, e quei riferimenti tanto fulminei quanto sistematici e costantemente affettivi, a Livorno e alla bandiera amaranto, che acuiscono il dolore di non poter più incontrare Renato allo stadio o a bere un poncino dar Civili.
    Spero ti farà piacere questo link al forum di alelivorno (un forum di tifosi amaranto, dove in parecchi si cerca di scrivere in vernacolo), di cui sono abituale frequentatore, in cui ho segnalato il tuo libro; tu’ padre ci si sentirebbe di ‘asa, in quel forum, e anche te ti ci faresti du’ risate, son convinto:
    http://www.alelivorno.it/Forum/FAL3/viewtopic.php?f=20&t=14671&p=372740#p372740 .
    Grazie anche ai Giapsters e a WM1 (autore di una recensione emozionante, come quelle di Evangelisti, Rovelli, e anche altri che mi sfuggono, a testimonianza che questo libro, la “botta” l’ha data a parecchi…), punto di riferimento continuo per cercare di capire e di capirci.

    • Boia dé… Grazie, o Mastacchi, per il forum, ci vado subito a dà un’occhiata. Ho cercato di utilizzare nella scrittura alcune espressioni del mi’ babbo, ma non era facile perché io ho una calata di vernacolo maremmano (cosa che ogni volta che vado a Livorno e mi spaccio per mezzo livornese subito tutti mi rinfacciano), ma alcune cose insomma me le ricordo (e altre non l’ho messe, ma meritano, tipo quando diceva “sette tuo”, come a dì, “va bé, hai ragione te… prenditi il settebello e non rompe i coglioni, ce la vediamo al prossimo giro di carte…”. Mi stanno venendo in mente tanti ricordi, tipo che c’aveva detto che se faceva i soldi s’andava a mangià al Bambolo, un ristorante sull’Aurelia vecchia (e infatti ‘un ci siamo mai andati). Ora mi vado a vedè il forum labronico… bona. Alberto

  18. Finito la notte scorsa: futile ogni tentativo di dosaggio.
    Subito ho pensato che a me la botta non fosse arrivata (callo, cinismo, autocontrollo, “cuore sotto le scarpe”), invece ho dormito agitato, sognando confusamente fabbriche e operai, io che sogno pochissimo. Ma cos’hai messo nel caffè?
    Sarebbe utile parlarne, che da imparare ce n’è.

  19. Emozionante il fraseggio, musicale, che sgorga da questo post.
    Suona come una session di jazzisti. Però una ‘cosa’ rilassata, da sound check in un locale tre ore prima dell’esibizione notturna. Un giro intorno a un grande ‘standard’ dove ciascuno entra e esce per accordare tempi e stacchi, e però ricama con grazia, non a cazzo duro, e poi cede, e fonde i suoni suoi con gli altrui.
    Una di quelle ‘cose’ fortunate che talvolta hanno la fortuna di ascoltare un fortunato e solitario barista che sta pulendo e rassettando il bancone prima di caricarlo. O una fortunata, e solitaria, ragazza che sta dando lo straccio e s’incanta per qualche minuto appoggiata al mocio. E il fortunato, e solitario, fonico che garantisce l’essenziale.
    Sono giunto alla conclusione che per ‘discutere’ davvero, sia necessario un senso del “sonoro”.
    Essere capaci, anche in modo ‘fisico’, di comporre nella propria testa l”audio’ del dialogo che si va svolgendo, ascoltarne le pause, gli ingressi, le aperture, le uscite. Così le cacofonie diventano subito percepibili. Quello che ‘non c’entra’ è subito manifesto.
    In questi anni, tante volte qui sopra, si sono ‘ascoltate’ discussioni toccate dalla grazia.
    Il merito principale di un simile luogo è proprio questo.
    Tracciare una parte dei fondamenti di una comunità, senza proporre un “Programma”. Bensì un’attitudine. Una modalità possibile.
    Tenere una casa pulita, con dentro una stanza della musica. Con pochi, essenziali strumenti, e il minimo necessario di amplificazione. Frequentabile, anche per brevi soggiorni. Dove non è obbligatoria la consumazione, però un po’ di attenzione sì.
    E grandi “standard” sui quali improvvisare.
    L.

  20. Da quando ho finito di leggere il libro di Prunetti, mi girano in testa un sacco di domande alle quali riesco a dare risposte solo parziali.
    Che cos’è Amianto? Un Non-fictional novel? Un Docu-fiction? Un oggetto narrativo? Conviene chiedersi cosa questo libro sia o è più utile guardare a come funziona? Da dove passa l’eticità letteraria di Amianto? Da una presa di possesso della realtà? Da una ri-presa di possesso della retorica? Quali processi memoriali innesca questa narrazione? Amianto ha qualcosa in comune con Timira? Di cosa parla Prunetti quando scrive queste parole?

    “Ho fatto così, con la penna. Ho cercato di rispettare la filettatura della storia, senza forzare il passo degli eventi, senza strozzature. Ho usato il mastice della fantasia e stretto senza cattiveria ma con decisione l’ordine del discorso.”

    Parliamone, se vi va.

    • Adesso che ho “decantato” un po’ la lettura di Amianto, posso provare a rispondere ad alcune tue domande.

      Secondo me sì, ha più di qualcosa in comune con Timira, e con altre cose che noi WM abbiamo scritto, e con altri libri di cui ci siamo occupati noi e te negli anni scorsi. Però io sono parte in causa e potrebbe sembrare che tiro acqua al nostro mulino.

      Secondo me la domanda “Cos’è?” va sempre sostituita con quella “Come agisce?”, di fronte a ogni cosa. Con l’ontologia ci si infogna in dibattiti sterili, con la descrizione di un funzionamento no.

      In ogni caso, oggi è questo il campo che mi coinvolge maggiormente: quello dei libri dallo statuto indefinito, sospesi tra narrativa, saggistica, giornalismo d’inchiesta, divulgazione storica, memoriale autobiografico etc.

      Dubito che Prunetti si sia detto: “Adesso scrivo un oggetto narrativo non-identificato”; le esigenze e le urgenze del ricordo e della denuncia lo hanno portato in quella “interzona”, dove poteva esprimersi al meglio.

      Da tempo mi sembra che vengano da quelle lande, più che da quelle del romanzo “tout court”, le prove più forti e convincenti.
      Non a caso i titoli che negli ultimi tempi hanno suscitato reazioni più vive sono stati “Open” di Agassi, “Limonov” di Carrère e in generale libri che non sono romanzi “puri” (si fa sempre per dire: il romanzo “puro” non esiste perché, come ci siamo detti tante volte, il romanzo è un genere cangiante, a sua volta frutto di un’ibridazione, e forma un canone mobile, che col tempo si allarga in molte direzioni).

      • Neppure io credo che Prunetti si sia posto il problema di scrivere un oggetto narrativo non-identificato. Questo è il fascino di ogni elaborazione concettuale: c’è sempre una certa dose di rischio, perché si tratta di tirare fuori dalle opere analizzate più di quanto esse non dicano da sole e, quasi di sicuro, più di quanto non fosse nelle intenzioni dei loro autori. Di questo Alberto non me ne vorrà.

        Come te, credo che vi sia un’interzona narrativa nella quale accadono cose mirabolanti. Non solo Timira (o Asce di Guerra), ma anche Voi, onesti farabutti di Simone Ghelli, Sappiano le mie parole di sangue di Babsi Jones, Il fioraio di Peron e Potassa sempre di Prunetti e un sacco di altri romanzi impuri usciti negli ultimi anni. Ciò che mi pare accomunare tutte queste narrazioni è che in esse la memoria non è mai inerte o neutrale e, soprattutto, non appartiene mai interamente al passato.
        Insomma, questa interzona ancor più che stilistica mi pare politica. Un’uscita del letterario dalla logica della museificazione, un invito a concepire la memoria in quanto presentificazione di qualcosa che non c’è più, un narrare storie che prende la doppia forma della dilatazione e della costruzione di uno spessore memoriale del presente.
        Come leggere le vicende dell’Ilva di Taranto dopo Amianto? Cosa narra il monumento di Affile alla luce di Timira?
        In una simile prospettiva, non stupisce che il libro di Prunetti metta in costellazione memorie tanto diverse (la tua e quella di Effe, per esempio). Il mondo storico narrato e rappresentato da Prunetti sembra definirsi solo in ragione del suo poter essere prolungato da ogni nuovo sguardo che su di esso si appoggia. Il ricordo si fa a futura memoria, scarto all’interno di un orizzonte di senso stabilito.

        • E’ sorprendente come, con perfetta sincronia, in due discussioni su Giap molto diverse tra loro (questa su Amianto e quella su Furio Jesi) si sia sentita l’esigenza di riprendere fili della discussione innescata nel 2008 dal memorandum sul NIE… Devo dire che non me l’aspettavo.

          • Perché, vedi altro in giro su cui valga la pena discutere? :-D

          • “Unire ciò che è diviso, dividere ciò che è unito” diceva un tale.

            Coincidenza per coincidenza: qualche giorno fa mi ha contattato dalla Francia un dottorando che sta lavorando sul NIE. Il mattino dopo, hai pubblicato questo post.

        • Dimitri, consigli di lettura: anche prima di Amianto (ma siamo su lunghezze d’onda davvero, e purtroppo, molto ravvicinate, anche se la forma è più “romanzesca”), c’è Vicolo dell’acciaio di Cosimo Argentina. E, sempre per rimanere in ambito operaio, 12:47 strage in fabbrica di Saverio Fattori, scritto “dall’inteerno”.

          • Grazie, Giro.
            Cerco di recuperare. Vedo comunque che entrambi i titoli sono recenti.

  21. Da quel poco che so su Amianto (non me lo sono ancora procurato), mi pare un testo che si avvicina a quello che da anni vorrei scrivere su mio padre, operaio all’Ideal Standard di Brescia (la stessa di Vogliamo tutto) dalla metà degli anni ’50 a quella degli anni ’70. Erano i decenni in cui lavorare in fabbrica significava morire ignorandolo, ma ancor di più rivendicare, scioperare, essere contro: una quotidiana rivoluzione, non sempre e non necessariamente civile, per fortuna. Per chi come me è cresciuto nella provincia democristiana, un’ epica. Se si fa partire qualcosa di collettivo, mi piacerebbe esserci.

    • Assolutamente. Col Prunetti e Girolamo stiamo facendo una “intervista a tre”, che poi su Giap diventerà una vera e propria assemblea. Un grande consiglio di fabbrica :-)

  22. Voglio solo dire che ho letto Amianto. Come ho twittato a Prunetti me lo sono “bevuto”, tutto d’un fiato, domenica. Le mie aspettative – che precedevano il post di WM1 – sono state pienamente soddisfatte, è un bel libro e merita di essere letto e fatto conoscere, ma soprattutto è un libro che merita di essere discusso.

    È stato più bello che tragico leggerlo – lo scrivo per “rassicurare” @Serenissima -, ovviamente non è mancata l’angoscia e l’incazzatura, ma ero preparato e a prevalere è stato l’orgoglio di “venire da li”. Aiuta in questo, tanto, il fatto che la narrazione è resa “col senso della risata tagliente livornese” (parole dell’autore).

    Aggiungo che sempre di Levi a me Amianto ha richiamato alla mente “La chiave a stella” e il protagonista Faussone, carpentiere e montatore trasfertista, orgoglioso di sé e delle sue capacità di “saper fare”.

    E per quanto riguarda la fase più tragica della ristrutturazione industriale e dell’attacco padronale al lavoro operaio – e non solo – mi ha fatto tornare alla riflessione amara seguita alla lettura de “La dismissione” di Ermanno Rea (si trova un commento/recensione sulla mia libreria di anobii, con un pò di spoiler http://www.anobii.com/mrmills/comments?public=0&sort=8&page=9 ) in cui tiro in ballo De Martino e il suo concetto di “apocalissi culturale” e “fine del mondo”.

    Lascio qui questi riferimenti sperando che possano tornare alla discussione che verrà… è tema complesso e scivoloso, io mi riprendo in mano un pò di cose e attendo l’intervista a tre…

    • “E per quanto riguarda la fase più tragica della ristrutturazione industriale e dell’attacco padronale al lavoro operaio” fin dalle prime righe mi si è ficcata in mente senza possibilità di controllo, e ci è rimasta per tutta la lettura, questa vecchia canzone http://goo.gl/ml7ri che non ascoltavo più da anni: basterebbe già l’introduzione parlata. Ed era il ’91.

      @Luca: non è jazz e chiedo scusa. Il fatto è che il jazz, anche quello più rude, a me fa salute… ;-)

  23. Ringrazio i giapster che sono intervenuti. Non intervengo ancora perché sto preparando l’intervista collettiva con WM1 e Girolamo che riaprirà il dibattito su “Amianto, unastoria operaia” e non ce la faccio a stare su due fronti. Risponderò comunque nel dibattito alle domande sollevate finora nei commenti (al di là del fatto che i lettori hanno titolo quanto l’autore ad esmprimersi su un libro e a rispondere, a partire da cose stilistiche e narrative). Abrazote, Alberto

  24. Esaurita la prima tiratura di Amianto del Prunetti. Sta per arrivare la ristampa. Buone notizie, se l’introvabilità del titolo non dura troppo a lungo…
    Dalla sera di domenica 3 febbraio, qui su Giap, conversazione tra Prunetti, WM1 e Girolamo De Michele.

    • Amianto,
      come facevi a sapere:
      dell’Università fatta in fretta;
      del giocare a calcio “dietro” perché dalla pedata potente;
      della domenica sintonizzati sulle partite di Eccellenza;
      del vivere in una zona 167, chiamata “Bronx”?

      Mi hai fatto piangere all’ultima, ultimissima pagina; perché ho trovato tanto (emotivamente troppo) del mio passato in tutto il libro, e lì in fondo, proprio alla fine ho trovato i Giorni Nostri, quelli del precariato intellettuale e dei tic all’occhio per troppo monitor.

      Grazie Amianto, non sai con quanto smisurato orgoglio posso umilmente dire di appartenere alla “famiglia” che hai raccontato.

      Sei e sarai la mia Questione Privata, non sai quanto ne avevo bisogno.

      Che sollievo averti letto, Amianto.
      Grazie, per la botta che non passa,
      Andrea

  25. […] le bestemmie col groppo in gola, il commento viscerale e la "decantazione" del libro, ecco la chiacchierata col Prunetti. Partecipa il collega Girolamo […]

  26. Mi perdonerete se scrivo ancora di qui anche se ormai la discussione è di là, ma di là i discorsi sono troppi e troppo alti, e ci metterò settimane a leggere tutto perché non si può correre via, e poi confesso che non mi sento degno di entrarci per un sacco di motivi che per rispetto non mi metto a elencare.
    Volevo solo dire che ho portato la mia copia di Amianto ai miei vecchi. Mio padre, 89, vita da meccanico a partire dai dodici anni (ma anche fabbro da bambino, e da giovane nel dopoguerra camionista in Sudamerica), deformato dalla vita di lavoro e anche lui con un problema ai polmoni (ma resiste), mi ha detto con *molta* naturalezza di essercisi riconosciuto.
    Mia madre, subito dopo, l’ha letto in tre giorni scarsi (ha ottantanni) e stasera mi ha telefonato per dirmi quasi con urgenza: “L’ho finito, è bellissimo, per le cose che dice e per come le dice, per come è scritto”.
    Le ho dato l’indirizzo dell’altro post, quello giusto, credo che ci proverà e non è escluso che ce la faccia.
    Grazie a tutti, con tutta l’anima.

  27. VecioBaeordo, che storia anche i tuoi, eh. O di qua o di là, che importa, basta raccontassela e sperà di farcela… sono contento perché questo libro, stampato da una casa editrice con lettori giovani e antagonisti, se lo stanno leggendo anche gli anziani, e ci si ritrovano i vecchi e i giovani, alla faccia di tutti quelli che ci vorrebbero separati da fratture generazionali. Oh, abbraccia i vecchi da parte mia e ringraziali per aver dedicato un po’ del loro tempo a leggere questa storia.

  28. Sono in ritardo di due mesi, lo so, tempistiche mie e delle poste, chiedo venia. Ma sentivo il bisogno di dire una cosa ad Alberto: anch’io ho visto un’eclisse con papà col vetro da saldatore. Hai raccontato molto più di quello che credi. Sono banale, lo so, ma grazie. Appena vedo mio padre gli do il tuo libro, se vuole e se la sente.

    • Ti ringrazio e mi fa piacere che quelli che mi sembravano ricordi miei erano tutt’altro che sedimenti personali, tutt’altro che minimalismo, ma parte di una storia comune a tanti. Molti, davvero molti lettori mi scrivono per completare le storie, aggiungere dettagli. C’è chi mi ha raccontato la carriera dei giocatori del calcio di prima categoria e promozione che io cito in due righe; chi mi ha portato le fotografie dello strambo del paese a cui faticavo a dare un volto; e soprattutto c’è chi mi racconta i propri pezzi di memoria e di biografia in cui sono io quello che mi riconosco. Abbiamo tentato di romprere la crosta del terreno sodo, di riportare alla luce le biografie dei senza potere, per scrivere la storia di chi quasi non scriveva (Renato scriveva con gessetti bianchi sugli angolari di ferro, più di rado sulla carta). Sono io che ringrazio voi, perché nei dibattiti e nelle presentazioni mi avete aiutato a ricordare cose che non sono riuscito a mettere nel libro. Poi bisogna capire cosa fare perché non succeda mai più, perché non basta salutare la memoria dei morti, quando ognuno che muore ancora oggi è un affronto a quelle morti, alle nostre vite, alle nostre memorie.
      PS: un tempo avevo pensato di rottamare la vecchia Audi perché costa molto la benzina, sarebbe meglio un’auto a metano. Ma ormai non posso proprio farlo: c’è chi vuole vederla e la gente rimane delusa quando mi presento senza di lei alle presentazioni. Scrivendo, le ho allungato la vita: anche questo è un miracolo laico del sogno che racconto nelle prime pagine di Amianto.

      • Alberto non ti voglio trattenere qui perché so che c’è un altro post e che hai tante persone a cui rispondere. Però anche quella dell’Audi la capisco fin troppo bene! Quando sono partita per venire in Germania mia madre ha mandato a rottamare definitivamente la nostra vecchia Renault Clio (orribilmente verde metalizzato ovviamente, perché all’epoca era il must), quella che ci portava dall’entroterra veneziano fino a Piombino per prendere la nave (la Linea dei Golfi, chissà se c’è ancora) che andava a Olbia e poi da lì ancora con la Clio stracarica fino a Porto Torres, 2 giorni buoni di viaggio eh! Queste erano le vacanze mie e di mia sorella, perché i miei proprio lì a Porto Torres si erano conosciuti, quando papà era emigrato dal veneto (che tempi eh?)… poi Lombardia, Umbria (io non ero ancora nata, ma mia sorella sì) e alla fine Marghera, le malattie, il processo, gli scioperi. Mio padre è ancora vivo, mi sento fortunatissima. Certo, con un asma grosso così, un paio di tumori per fortuna non maligni, come avesse fumato per 50 anni 3 pacchetti al giorno.
        Che cosa fare? Non so dirtelo. Me lo hanno chiesto, in maniera un po’ diversa, quando ho deciso di fare il chimico. Credo inconsciamente anche per provare a cambiare le cose a monte, contribuire a trovare strade sicure che non mettano in pericolo la salute nostra e dei lavoratori. E dall’altra parte so bene cosa mi ha dato mio padre, l’orgoglio di far parte di queste storie operaie, la grande dedizione al lavoro, qualunque esso sia. Ricordo solo 2 anni fa, quando mio padre mi accompagnò a Marghera per cercare lavoro, il suo sguardo triste davanti ai cancelli chiusi, alle fabbriche senza lavoratori dentro, alle zone ormai dismesse o abbandonate al proprio destino. E lì ho visto il conflitto (di cui parli anche tu) fra l’attaccamento a un lavoro e la consapevolezza che quello stesso lavoro ti può anche uccidere, magari lentamente.
        Un caro saluto Alberto.

  29. Ciao, segnalo che si può sentire l’audio della presentazione di Amianto tenutasi a Bartleby il 20 Marzo. A discuterne con Alberto Prunetti, Wu Ming 1 e Massimo Vaggi.

    http://bit.ly/WVU6PK

  30. […] state dalla parte dei forti, dalla parte dei farabutti, dei furbi e dei ladri. O come ha scritto Wu Ming1 “se uno legge Amianto e non gli arriva la botta, vuol dire che ha la testa sbagliata e si è […]