Riprendersi le strade! Esempi da Madrid, Atene, Bologna

Madrid, due giorni fa: #25S contro il massacro sociale, marea umana di fronte al Parlamento.

Atene, ieri: sciopero generale di 24 ore e marcia di fronte al Parlamento.

Bologna, ieri. «Sono i primi, di sicuro a Bologna, forse anche in tutta Italia. Luca Molon e Riccardo Merlin di Padova sono già accampati fuori dall'Apple Store di via Rizzoli in attesa di venerdì mattina. Con un corredo di coperte, scacchi. E l'immancabile biografia di Steve Jobs.» (da Repubblica - Bologna, 26/09/2012)

Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)

Print Friendly, PDF & Email

89 commenti su “Riprendersi le strade! Esempi da Madrid, Atene, Bologna

  1. eheh ci avrei giurato che con Bologna, si finiva lì :) (visto il post cancellato ghgh)

  2. Bè, voi lo dicevate da un sacco di tempo che non era più momento di grandi manifestazioni centralizzate, per una volta che vi si da retta vi lamentate?
    C…ate a parte, deluso quanto voi (e bisogna aggiungere anche il Portogallo http://it.euronews.com/2012/09/27/il-portogallo-fra-pressione-popolare-e-troika/). L’altro giorno su twitter @maurovanetti ad un mio tweet di tono simile al vostro post rispondeva “L’austerity vera in Italia non è ancora arrivata… ”
    Sicuramente ha ragione, ma quando arriverà temo sarà già un po’ tardi per muoversi. Forse bisogna aspettare che più gente non abbia i soldi per acquistare prodotti come quello per cui quei due si mettono in coda?

  3. oramai è da un paio d’anni abbondanti che la parola “rivoluzione” è evocata, a livelli sempre più alti.
    ma come per la pop art, e in generale per il postmodernismo, più si studiano definizioni, possibilità, cause ed effetti, (i “se”, i “ma” e i “perché”..) più debole è l’occorrenza delle cose.

    la paura è che nel nostro caso la frase più incisiva l’abbia detta Sallusti (sì, lo so ..) :
    “più che gli euro mancano le palle”

  4. Che dolore pazzesco.

    Però se ragionare serve ancora a qualcosa possiamo farci ancora più del male.
    Il movimento spagnolo è cresciuto enormemente nell’ultimo anno, si è stabilizzato eppure si ha continuato a rinnovarsi.
    Quello greco non lo conosco bene, ma anche ho l’impressione che le proteste derivino da processi ben sedimentati.
    E portano avanti un discorso generale, sistemico. C’entra poco il primo ministro o la maggioranza di turno.

    In Italia, non c’è né la sedimentazione, né il discorso sistemico. (Esclusa la Valsusa)

    Giudicate voi se ora fa ancora più male.

    ps. Qui Portogallo
    29 settembre: sciopero della CGTP e a seguire manifestazione popolare in sostegno in tutte le città.
    Può essere interessante, perché se va bene sabato tutta la penisola iberica sarà in piazza

    13 Ottobre: manifestazione nazionale del mondo della cultura, convocata dalla stessa piattaforma che aveva convocato la manifestazione del 15 settembre scorso

  5. Boh, oggi c’è stata la manifestazione di alcun* operai dell’Ilva. Hanno aderito Fim, Cils e Uilm, ma non CiGL e Fiom. Quest’ultimo sindacato ha chiesto persino lo scioglimento della manifestazione e la convocazione di un’assemblea generale con tutte le rappresentanze.

    Qui la diretta di oggi by Repubblica_Bari che titola Ilva, divisi sulla protesta”:

    http://bari.repubblica.it/cronaca/2012/09/27/news/diretta_ilva-43371638/?ref=HREC1-5

    ***

    Da quello che posso percepire qui a Roma, tutto quel sottobosco di movimenti spontanei e collettivi dello scorso anno si è un pò impaludato. Teatro Valle e Draghiribelli – traghettatori della scorsa stagione – sembrano assopiti (i Draghi direi svaniti) nelle loro aree di comfort. Nel mondo dell’arte e dello spettacolo le proteste stanno a zero: cane mangia cane e il primo che arriva, non solo *meglio alloggia*, ma se ne sta zitto e buono. Sul piano civile: Casapound fra un’aggressione e l’altra si candida alle amministrative con la giunta regionale che è letteralmente un porcile. Compaiono sull’Appia anche i manifesti dell’MSE – Movimento Sociale Europeo – che si vantano di aver occupato uno “stabile a Roma”.

    L’unica nota di merito ai lavoratori di Cinecittà, che hanno passato l’estate a sbattere chiavi inglesi sugli stabilimenti in fase di privatizzazione. Ma anche loro, durante i vari occupy, n’do stavano?

    ***

    10 anni fa andava di moda nel circuito hip hop underground, una marca d’abbigliamento americana: FUBU – acronimo di “For Us By Us”. Ecco il mood è un pò questo.

    • A taranto, per quel poco che ho capito, credo che lo sciopero di FIm e Uilm sia molto filopadronale (infatti contesta la sentenza che dice che non possono continuare a produrre) . Qui http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/09/27/ilva-sciopero-e-tensione-operai-bloccano-statale-appia/365188/ trovo segnalata la protesta di un comitato di operai non sindacalizzati contro lo sciopero, penso (ma è un’ipotesi mia) che sia lo stesso che aveva già contestato lo sciopero unitario dei sindacati di qualche mese fa.
      Insomma, mi sentirei di dire che stavolta la FIOM si è messa dalla parte giusta

    • #OccupyILVA!

      Il caso di Taranto è un po’ più complicato di quel che potrebbe sembrare. FIM e UILM sono sostanzialmente telecomandate da padron Riva e lo sciopero di oggi, come altre proteste di quest’estate, era a difesa dell’azienda “a tutti i costi” (cioè a costo letteralmente della vita degli operai, in questo caso). La FIOM è in difficoltà perché dopo l’irruzione in piazza del “comitato del 3 ruote” (Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti), avvenuta il 2 agosto, non ha più avuto la faccia tosta di accodarsi a FIM e UILM, ma neppure di schierarsi col Comitato o con soluzioni più radicali. Si barcamena con una posizione di appoggio alla magistratura che non è molto chiara, ed è dilaniata da contraddizioni interne.

      Oggi però all’ILVA sono successe anche altre cose, per esempio quelli del Comitato hanno cercato di bloccare la produzione. Dentro il Comitato convivono diverse idee, ne ho parlato qui: http://www.marxismo.net/metalmeccanici/taranto-ilva-esproprio

      Un’iniziativa che simpatizza per il Comitato ma che cerca di spostare in avanti il dibattito e legarsi anche ai lavoratori della fabbrica che giustamente vogliono difendere il loro posto di lavoro è questo appello, che ho visto nascere da alcune figure storiche della sinistra tarantina e che sto cercando di incoraggiare in tutti i modi sul web: http://www.occupyilva.org/ Credo che piacerà a molti lettori di Giap.

      Scusate il forse-OT, ma per motivi affettivi prima che politici mi sono interessato moltissimo a questa questione e al destino di quella stupenda ma disgraziatissima città.

  6. Da noi la tempesta perfetta dovrebbe arrivare nel 2013 perchè:
    a) l’architettura monetaria europea è insostenibile ed quasi inevitabilmente destinata ad implodere. Per quanto forzino “riforme” in deficit di democrazia attraverso il trucchetto politico del “ce lo chiede l’Europa”, che altro non è che il contraltare politico del vincolo esterno economico, il giocattolo è chiaramente sfuggito di mano anche a chi aveva programmato di doverci guadagnare su
    b) arriverà anche da noi perchè a quel punto arriverà per tutti.

    Siccome avremo al governo il PasokDe’no’altri ci possiamo serenamente scommettere il culo che il sindacato dirà che si tratta di sacrifici inevitabili, che sarebbe irresponsabile non accettare.

    In un paese nel quale si “ragiona per appertenenza” di bandiera ben più che per appartenenza di classe, non dico che la cosa filerà via liscia, ma quasi…

    Il punto di rottura, il rompete le righe a livello europeo, credo che potrebbe arrivare. Sono anzi convinto che sia piuttosto probabile che arrivi, ma non mi sento di dire con certezza da dove.
    La conseguenza sarà che per salvare la democrazia, e la possibilità di avere uno stipendio, riprenderemo ad andare a fare la spesa in lire, in dracme, in pesetas, in franchi etc. etc.

    Saranno in tutti i casi cazzi veramente amari, ma esistono due tipi diversi di “rompete le righe europei”, uno più auspicabile ed uno più pericoloso.

    Quello più auspicabile è quello che credo potrebbe arrivare dalla Francia ( per questioni economiche e conseguentemente politiche ), e bisognerebbe essere politicamente pronti su questo fronte ad accodarsi e a dar man forte a quella che, secondo me, è l’unica compagine politica europea DI SINISTRA che già un anno fa aveva capito i reali termini della questione insieme al Partito Socialista Olandese che però credo abbia meno peso in patria: il Front de Gauche di Melenchon ( nel cui programma il piano di fuga dall’euro di Sapir aveva avuto chiaramente un peso ).
    Purtroppo nell’ultimo anno nel mio ambiente l’ho ripetuto fino alla sfinimento ma credo di essermi spolmonato invano…

    Quello meno auspicabile è quello che potrebbe arrivare dalla Germania. In questo caso non sarebbe un “rompete” le righe ma un “rompiamo” le righe.
    Esso potrebbe essere motivato dalla valutazione che il governo tedesco ( tra quello presente e quello venturo credo che cambierà qualcosa a livello di politica interna ma non di politica estero, quindi per noi e tutti i paesi periferici in Europa sarà la stessa identica cosa ) potrebbe fare che dopo aver privatizzato in casa propria tutti gli utili che la moneta unica poteva dargli, a questo punto per contenere a tenere in piedi la baracca e continuare a drenare risorse dalla periferia europea, l’unica soluzione sarebbe socializzare parte consistente delle perdite.
    Siccome questa strategia avrebbe una evidente contraddizione interna è possibile che decidano loro di sganciarsi dalla moneta per non dover essere chiamati a restituire nulla a nessuno.

    In ogni caso dopo un tonfo simile si apriranno i margini per un drastico ricambio politico; non solo dei volti al governo ma anche delle filosofie dietro i governi perchè il segno del fallimento sarebbe innegabile.

    E intendiamoci, questo comporta qualche mese in regime di “corralito” e chissà cosa ci si dovrà inventare per mettere insieme il pranzo con la cena….non saranno rose e fiori e non invidio chi ha bimbi piccoli…

    Però sarebbe meglio dell’alternativa, cioè che in qualche modo puntellino il crollo e riescano a rendere crisi ed austerità una condizione destinata a proseguire indeterminatamente.
    Non restermo senza pranzo e senza cena di punto in bianco ma, mettiamocelo in testa, questo significherebbe dover riconoscere che altro non saremo che un bacino di mano d’opera a basso costo in una colonia.
    Quel che è peggio è che siccome alla realizzazione di questo progetto stanno lavorando innanzitutto i “centro-sinistra” europei, l’alternativa politica che potrebbe rimanere sul campo avendo più speranze di catalizzare il maggiore consenso sarebbe quella delle varie albe dorate sparpagliate per l’Europa.

    • Io non vedo un punto di rottura tanto vicino. Temo piuttosto un (relativamente) lento trascinamento verso il basso (d’altronde Berlusconi è stato sostituito con Monti proprio per evitare punti di rottura e concludere meglio la spremitura. O forse è solo più una speranza, perchè per un passaggio critico adesso proprio non siamo attrezzati.

      • Io non sono così pessimista, anzi, intravedo un orizzonte gravido di opportunità.
        Queste opportunità non saranno facili da cogliere, ma fino a qui non ce ne sono state affatto. Per questo bisogna essere pronti ad agire con intelligenza ed il primo passo necessario è capire cosa ESATTAMENTE stia succedendo.

        Intanto dicendo “punto di rottura” bisogna anche chiarirsi su cosa ci si aspetti e, personalmente, io non intravedo rivoluzioni all’orizzonte ma opportunità di altro tipo, comunque potenzialmente positive. Perchè in una fase instabile non è affatto impossibile ridefinire a proprio vantaggio i rapporti tra le classi, anche se questo non fosse una vera e propria presa della Bastiglia.

        Un errore di interpretazione della fase storica che stiamo attraversando che secondo me è importante non commettere è non rappresentare a sé stessi gli eventi come se essi fossero un duello a due con, da una parte, una tecnocrazia che rappresenta gli interessi di grandi interessi finanziari coesi e monolitici, ed un popolo che vuole riprendersi la propria sovranità ed i propri diritti ma che ancora non ha raggiunto la massa critica per riuscirci dall’altra.

        Anche questo c’è, ma non è tutto, e non è completamente esatto. Gli interessi sono in realtà meno coesi di quanto possa sembrare, da entrambe le parti.
        Nella crisi istituzionale ed economica europea, che secondo me c’entra solo fino ad un certo punto con quanto iniziato negli Stati Uniti 4 anni fa col fallimento di Lehman Brothers ( nel senso che quello è stato l’inizio, ma poi i problemi europei si sono sviluppati per motivi in buona parte propri e non sovrapponibili a quelli che han segnato l’inizio della crisi nel mondo ), non ci sono solo due parti, non è un duello, ma uno stallo alla messicana.

        Oltre a quello che vediamo pioverci in testa da Bruxelles per mano di governi come quello di Monti, di Samaras, di Rajoy etc. ( che stanno dove stanno perchè offrono ben precise garanzie ai creditori del centroeuropa, cosa che berlusconi invece non garantiva ed è per questo che è stato “sollevato”, non per evitare punti di rottura ) è in atto anche una guerra tra capitali.
        Nello specifico tra capitali del centro Europa e capitali dei paesi periferici.

        Quando dico che il punto di rottura prima economico e poi politico potrebbe venire dalla Francia intendo dire proprio questo: è in atto una strategia di natura essenzialmente imperialistica da parte dei capitali del centro Europa, tedeschi in primis, per comprarsi a basso costo il resto del continente, accrescere così il proprio potenziale produttivo garantendosi anche dei bacini di mano d’opera a basso costo nei quali esternalizzare le proprie produzioni a più basso valore aggiunto tenendosi in casa il resto.
        I Francesi, in questo momento, ne sono più e meglio consapevoli di chiunque altro ed anche in ragione di un antagonismo franco-tedesco con lunghi precedenti storici, ed in fondo mai veramente sopito, è prevedibile che non ci staranno a lasciarsi comprare e colonizzare commercialmente dai veri datori di lavoro di Frau Merkel ed Herr Scheuble.
        Tutti i francesi, anche i capitalisti francesi.

        Solo che quando qualcuno avrà finalmente l’ardire di dire alla Germania: “no, dentro questa moneta volutamente deflazionistica che ci costringe e subire i vostri attacchi sul costo del lavoro, a tenerci la disoccupazione alta a vedere andare in fumo i nostri posti di lavoro solo per poter permettere a voi di comprare tutto in seguito per un piatto di lenticchie per poterci comandare coi rapporti commerciali non ci stiamo più”, ecco, li avrà luogo l’effetto domino.
        Il Tabù sarà infranto, il “ce lo chiede l’Europa” non funzionerà più, anzi si conquisterà una meritata damnatio memoria chiunque ce lo abbia detto negli ultimi 15 anni ogni volta che ci facevano il culo dipengendocela per una scelta obbligata ed inevitabile, e si apriranno delle possibilità per promuovere politiche nell’interesse delle classi lavoratrici che fino a qui sono state rese strutturalmente impossibili ( ed adesso attraverso austerità, pareggi di bilancio e fiscal compact addirittura illegali ).
        Tornerà a governare la politica e non lo spread.
        Starà a noi inserirci con intelligenza in questo conflitto per decidere QUALE politica.

        Quel giorno un po’ tutti cercheranno di saltare sul carro dei vincitori, anche perchè il significato di quella moneta come strumento di lotta di classe dei ricchi contro i poveri e veicolo della centralizzazione dei capitali, era noto da prima che venisse adottata da tutti gli studiosi seri in giro per questo mondo che non fossero prezzolati da chi avesse diretti interessi in gioco.
        Sta alla sinistra non lasciare alle destra xenofobe e nazionaliste l’appropriarsi di queste tematiche in regime di monopolio ( con finalità naturalmente diverse da quelle che potremmo avere noi ).

        Ma molte cose, a breve, avranno la possibilità di poter cambiare.

        • Sostanzialmente concordo con te, sono solo poco ottimista sulla politica che dovrebbe tornare a governare. Perché alternative su quale politica (ossia chi votare) ne vedo, per ora, poche.

          • Su questo fronte tu stai effettivamente mettendo il dito nella piaga, questo è veramente un grosso problema. Ed è su questo fronte che io divento pessimista; perchè sono convinto che a breve delle occasioni per poter fare molto per via politica si apriranno, ma ho la sensazione che a sinistra nessuno si stia preparando per coglierle.
            Io mi impegno in prima persona in questo ambito, ma con molte delusioni ed essendomi ritrovato in minoranza.
            Allo stato attuale delle cose quello che mi sento di dire è che non credo ci sia un solo partito in Italia su posizioni meno che suicide; al massimo dicendolo in modo molto diretto e concreto credo che Rifondazione sia su una linea suicida ma con maggiore eleganza rispetto agli altri. ( ma il punto di arrivo, che sia una svendita o che sia l’irrilevanza la strada percorsa, è il medesimo )

            Quello che veramente mi avvelena è che in Italia ci sono, abbondano, le persone che stanno spiegando cosa esattamente stia succedendo e perchè, nei paesi europei che se ne stanno andando a gambe per aria. Credo che ci siano degli studiosi di economia che abbiano perfettamente chiari i termini della questione, e vedo anche che alcuni di costoro si stanno impegnando anche nella proposta di possibili soluzioni politiche uscendo dal seminato del proprio lavoro di meri analisti e studiosi, e che lo stanno facendo proprio perchè è la politica tutta che sta insistendo nel non fare e non proporre quel che dovrebbe.

            Purtroppo queste analisi non stanno trovando un peso ed una consequenzialità programmatica all’interno dei partiti, nemmeno nel caso in cui alcune di queste persone siano molto vicine ai partiti stessi…

            E’ questa la differenza che rimarcavo nel mio discorso di partenza parlando del Front de Gauche. Il Front de Gauche non ha lasciato che Sapir parlasse a vuoto, e questo ha contribuito a diffondere coscienza di quanto stia accadendo, coscienza diffusa. Soluzioni valide sono di pubblico dominio e stanno trovando un consenso, si inquadrano un po’ alla volta in una visione più ampia di società e la rispondenza tra quanto giorno per giorno accade e quanto queste persone avevano detto sarebbe accaduto, da prima, gli darà sempre maggior forza e maggior consenso.

            In Italia invece ci sono fior di teste in questo ambito, ma stanno sostanzialmente parlando a vuoto.

        • Prova a porre a vari compagni la domanda: -Qual’é la vostra posizione riguardo l’Euro, la sovranità monetaria, il libero movimento di capitali?
          Le risposte vanno dal “non ci riguarda” al “come possiamo incidere, sono processi troppo lontani da noi” fino a insinuazioni di criptofascismo. Pochi sono realmente interessati, almeno pochi ne ho incontrati.
          Eppure proprio i Wu Ming, in quel profetico Q, avevano intuito molto. Mi riferisco all’attività finanziaria di Gert dal Pozzo. Quel libro non ha ancora finito di dire quel che ha da dire…

          • Hai perfettamente ragione compagno/a rapa; hai colto esattamente dove volessero andare a parare i miei interventi.

            Posto che le lotte dei lavoratori hanno certamente il proprio senso e la propria sottoscrivibile ragione d’essere, esse sono destinate al macello come i contadini a Frankenhausen se non vengono accompagnate da una analisi e da un progetto politico, che potrebbe rapidamente coagulare intorno a sé grande consenso da spendere attraverso i normali canali della democrazia, per rigettare in blocco un sistema che è stato consapevolmente creato ad hoc per mettere le classi lavoratrici dei singoli stati le une contro le altre in un gioco al massacro a colpi di svalutazione dei salari ( che è poi l’unica cosa che ti resta da poter svalutare quando, a causa di una divergenza strutturale tra sistemi produttivi ed economie nazionali, un paese si ritrova con una moneta troppo forte per poter essere sostenuta ma non può rilanciare la propria produzione, la propria esportazione e quindi creare lavoro, svalutando la moneta ).

            Potremmo avere 5 milioni di lavoratori e lavoratrici in piazza domattina: stanti le regole che ci sovrastano a livello comunitario e l’architettura della moneta unica, per loro non ci sarà né ci potrà essere più lavoro, perchè sono inermi di fronte ad una dinamica di svalutazione dei salari in Germania rispetto alla quale lo Stato ha perso qualsiasi strumento di difesa. I lavoratori tedeschi, siccome in partenza erano messi meglio, potranno reggere il colpo della svalutazione salariale un minuto più a lungo ed il risultato inevitabile è che i capitali si accentreranno in centro europa dopo essersi comprate ed aver colonizzato le periferie al prezzo di un piatto di lenticchie.

            Ed ancora, in questi giorni si scopre che pochi mesi fa il governo e la sua maggioranza ha forzato una riforma della previdenza e delle pensioni da autentica macelleria, della quale non si capiva il motivo che non fosse infliggere una severa punizione a delle classi sociali che si desiderano escluse dal vivere civile, dato che, stanti gli ultimi bilanci noti dell’INPS ( in attivo di quasi 7 miliardi ), il precedente sistema previdenziale avrebbe potuto autosostentarsi tranquillamente fino almeno al 2040, o per sempre risolvendo il problema della precarietà e dei contratti di lavoro defiscalizzati, che erano la mancanza di afflusso di capitali che mandava in tilt i bilanci di previsione.

            Di questi giorni la notizia che….dopo la fusione tra INPS ed INPDAP il sistema previdenziale potrebbe definitivamente ed immediatamente implodere perchè….per anni, centrodestra e centrosinistra…si son fatti vanto di chiudere i bilanci annuali in avanzo primario solo perchè gli enti non versavano all’INPDAP i contributi dei lavoratori, e così si scopre un buco che potrebbe valere addirittura 15 miliardi in un sol colpo…

            Ma quanti compagni e compagne si sono veramente resi conto del fatto che la crisi presente NON è una crisi dei debiti pubblici, bensì una crisi di debiti PRIVATI e degli squilibri intraeropei in bilancia commerciale, e che il problema del debito pubblico NON è affatto l’eccesso di spesa corrente ma il fatto che nel 1981, con una autentica congiura, Ciampi presidente di Bankitalia e Andreatta ministro delle finanze si sono accordati per far “divorziare” la banca centrale dal ministero del tesoro sapendo benissimo che ciò avrebbe mandato il debito pubblico fuori controllo e messo il paese nelle mani della speculazione finanziaria?

            Le soluzioni politiche, senza bisogno di versar sangue per prendere la Bastiglia, sarebbero a portata di mano se solo le persone, i compagni e le compagne, capissero che oltre ad andare in piazza esiste “UNA VERITA’ DEI LIBRI CONTABILI” che bisogna studiare, analizzare con calma, e rispetto alla quale bisogna avere una strategia altrimenti le lotte in piazza avverranno invano….

            Che tristezza…..

          • A me questo scarso interesse per l’euro da parte de* compagn* in fondo non dispiace. La domanda infatti andrebbe rovesciata: cosa ne viene a noi, al 99%, se abbandoniamo l’euro? La migliore risposta che ho trovato è che ci sarebbe una recessione pesante ma di breve durata, seguita da una ripresa duratura di cui un giorno andremo tutti a beneficiare. Rimanendo nell’euro, mi dicono, finiremmo per avvitarci in una recessione infinita.

            Insomma meglio farsi fare una piccola puntura oggi che portare avanti una malattia lunga e dolorosa.

            Boh, si capisce che in un calcolo costi/benefici corretto dovrei scegliere la puntura, ma addirittura scendere in piazza e rischiare le botte per ottenere questo?

            Siccome poi sono piuttosto marxista mi chiedo se questi conti non siano fatti senza l’oste della recessione mondiale, che non è mica finita e che sicuramente non è stata causata dall’euro. Nella mia visione l’unica via di uscita dalla crisi è tornare a fare profitti, più specificamente distruggere il capitale in eccesso come si usa fare nelle guerre, e ridurre i salari. Quindi uscire dall’euro non risolverà la crisi, e la sovranità monetaria non cambierà le cose.

            Quindi la questione è cosa ci guadagna il 99%. Se la risposta è che, non subito ma sul medio periodo, andrebbe a perderci di meno, si capisce perché l’interesse è così scarso.

  7. Qualcuno mi spiega perchè la Fiom non sciopera a Taranto??

    • credo perché sta cercando di riparare alle cazzate che ha fatto lì, ultimamente. Chi sciopera, in questo particolare caso, è a favore del padrone Riva….

  8. hola…. / veramente, credo che sarebbe piú utile “riprendersi le urne”…, eventualmente con argomenti (ma dimentico che voi amate la rivoluzione).

  9. Con amici discutiamo di queste cose da mesi. Cerchiamo di capire come e perché in Italia l’encefalogramma sembri (e sia di fatto) piatto. Tanto più se si pensa che due anni fa (non dieci ma due) sembrava che la situazione fosse ben diversa.
    Secondo me c’è un problema di fondo: in Italia non esiste più il minimo tessuto sociale. Vige ed esiste solo ed esclusivamente un individualismo esasperato, un edonismo estremo. Questo comporta un disinteresse totale per la collettività e, dunque, per la lotta per qualcosa che non sia il proprio tornaconto personale immediato. E per realizzare questo si è disposti ad abbassare sempre più l’asticella dei propri diritti, si è disposti sempre più a cedere terreno, senza guardare al fatto che più si cede, più diventa difficile realizzare i propri desideri.
    Questo, a mio avviso, è un portato della nostra cultura televisiva, che ha di fatto lobotomizzato la maggioranza degli italiani, facendo loro credere che il “superfluo” è necessario, mentre il “necessario” è superfluo (esemplare la pubblicità della Vodafone di qualche mese fa sui tablet, con le persone felici che stendevano le coperte per prendere questi I-Pad che piovevano da cielo). Si arriva così all’assurdo per cui si fa la fila tre giorni per l’I-Phone5, ma non si perderebbe mai una giornata di lavoro o di studio per scendere in piazza e manifestare. Al massimo si spreca uno stato su facebook o su twitter, ma nulla di più.
    A questo disastro sociale e culturale si aggiunge il disastro politico del post-berlusconismo: l’antiberlusconismo ha sostenuto per anni l’attivismo politico di molti, i quali però erano tutt’altro che disposti a scendere il piazza e lottare seriamente (il 15 ottobre in questo è stato emblematico). Di fatto moltissimi erano “di sinistra” solo in funzione antiberlusconiana, ma non avevano alle spalle la minima solidità e coscienza politica reale.
    Infine è sorto un vero e proprio sentimento di scoraggiamento, dovuto alla mancanza di qualsiasi prospettiva politica alternativa a quella che abbiamo davanti. Sono d’accordo con chi dice che in Italia non c’è né la sedimentazione, né il discorso sistemico. Da noi si va avanti a fiammate isolate, spesso mosse da slogan impolitici quali il famoso ACAB (anche qui, il 15 ottobre insegna), ma poi mancano l’analisi e il lavoro costante. Sono pochi gli spazi come questo che offrono la possibilità di riflettere e, peggio ancora, ormai mancano intellettuali degni di questo nome (a parte rarissime eccezioni, come appunto Wu Ming) in grado di dare un contributo serio al dibattito culturale, sociale e politico.
    Questo crea chiaramente un vero e proprio deserto politico che permette a chi governa di imporre qualsiasi cosa senza incontrare opposizione o quasi.
    E l’impressione, purtroppo, è che, austerity o meno, le cose difficilmente cambieranno.
    Purtroppo vorrei dire molte più cose perché, ripeto, è argomento di discussione da mesi, me per il momento mi limito a queste osservazioni, sperando che nel dibattito si possano ampliare.

    • forse, sarebbe utile pensare che gli italiani hanno finito di capire certe cose; forse, ricordano i sacrifici postIIGM, quando la soluzione era proprio quella stupida-stupida di no spendere di piú di quanto si guadagna (individui e societá); forse, é arrivata l’ora della libertá personale, no piú quella garantita(?)dal “partito”, il “movimento”, o… la chiesa cattolica; forse.

      • Libertà personale? Secondo me spagnoli e greci sono molto più liberi di noi, però hanno ancora la voglia di mettersi insieme e provare a cambiare collettivamente le cose. Ma evidentemente sono indietro…
        La realtà è che siamo tutto tranne che liberi, viviamo un clima asfissiante come non mai dove i modelli di comportamento ci sono imposti in modo subdolo da messaggi che ci bombardano quotidianamente. Non ci saranno più la chiesa, il partito, il movimento ma tanto il comportamento giusto da quello deviante ce lo dettano i media. E se non sei dentro quel comportamento sei fuori. Secondo me viviamo il massimo del conformismo, altro che.
        Penso che non abbiamo capito proprio niente, se la libertà personale è fare 3 giorni di fila per un I-Phone.

    • A me sembra che il tessuto sociale sia invece ancora esistente, di maglie strette , ma come di pezze infinitesimali, per cui si è disposti, anche naturalmente e spontaneamente all’aggregazione, ma spesso solo per un fine unico e specifico, qualcosa di tangibile ed evidente ed in minimi gruppi. Oggi e ieri, ma anche domani, però fino al traguardo e solo con chi condivide un orizzonte dichiarato.
      Manca la volontà di ampliare ed includere, di andare oltre al riconoscimento totale, per cui essere dentro ad un gruppo vuole dire condividere non solo l’essenza ma la totalità del pensiero che vi è dietro (che diventa per forza di cose sempre più specifico ed escludente), per cui chi è vagamente distonico è fuori o nemmeno si sente invitato.
      E poi un terrore grande di dichiararsi agli altri, di condividere con gli altri, di mettersi in gioco e lasciarsi ogni tanto andare. Ed il diritto a sbagliare.
      Credo che abbiano minato le nostre vite molto più in profondità di quanto siamo disposti ad ammettere, se con una situazione come quella che stiamo attraversando, la maggioranza è chiusa in casa ed in tanti si lamentano che il ritorno dell’autunno è proprio una iattura.

    • Sono assolutamente d’accordo con te.
      In questo periodo sto leggendo gli articoli e i saggi di/su Pasolini e sto ascoltando e riascoltando storia di un impiegato di de andre che secondo me può entrare in pieno in questo discorso. Infatti , se negli anni settanta l’individualismo crescente portò Faber a immaginare e teorizzare un impiegato a diventare bombarolo (con scarsi successi), adesso l’individualismo porta a non compromettersi e a non rischiare il posto di lavoro. Con questo non voglio dire che il dissenso deve avvenire con la violenza e con le bombe (quando ci sono scontri sono sempre un po’ critico e non riesco mai a prendere una posizione a proposito) ma ci si deve mettere in gioco.
      Il problema principale é che in Italia la rivolta é disorganizzata o convogliata da personaggi dubbi: sindacati che ormai sono diventati la piattaforma per salire in parlamento, politici pseudo marxisti che di marxismo hanno solo il nome, studenti malinformati e di una ingenuità che fa sorridere etc….serve una presa di coscienza veloce

  10. Serve una presa di coscienza veloce… come non essere d’accordo con un’affermazione che sottolinea l’evidenza dei nostri problemi ma che nasconde al suo interno tutte quelle insidiose insidie che ne sono la causa, il punto è che dalle analisi non si arriva all’azione e per quanto si possano lucidamente formulare teorie sull’atavico individualismo italiano sono solo chiacchiere e lamentele che non portano a niente. Forse il nodo centrale, senza azzardare nessuna pretenziosa analisi sulle motivazioni “psicologiche” del nostro immobilismo, è proprio che non siamo neppure abbastanza individualisti da riconoscere la necessità di difendere almeno un interesse economico comune. Il “capitalismo italiano” è ben mascherato e non lo si identifica come il nemico da combattere. Contro cosa lottare allora???In Spagna non solo si è riconosciuto che il problema deriva anche dal sistema economico ma si è addirittura arrivati a postulare che la democrazia rappresentativa, come emanazione diretta del sistema capitalistico, non rappresenta più nessuno e quindi sono scesi nuovamente in piazza.

    • Con il “capitalismo italiano” è chiaro che come lavoratori e lavoratrici ( ed esclusi aspiranti tali italiani ) abbiamo tutta una serie di conti in sospeso.

      Ma il punto è che il senso della lotta di classe in Italia ( in Grecia, in Spagna, in Portogallo, in Irlanda…osp, guardacaso…abbiamo nominato i famigerati PIIGS ) ed in buona parte anche in Francia, ed il concreto agirla, è in buona parte sfuggito di mano agli stessi rispettivi capitalismi nazionali.

      In Italia, per motivi strutturali identificati i quali secondo me è anche relativamente semplice identificare il nemico da combattere, sta accedendo che così come il sindacato è andato incontro una ventina di anni fa ad una perniciosa mutagensi, oggi è “Confindustria” che si sta trasformando in “Senzindustria”. Ed in quel campo….qualcuno sta cominciando a rendersene conto e a sospettare che non gli convenga, anche se negli ultimi 10 anni hanno goduto del vantaggio di poter di fatto annullare il nostro potere contrattuale.

      Il nostro rischio è che loro lo capiscano prima di noi, e che corrano ai ripari ma esclusivamente a proprio vantaggio.

      Secondo me una parte consistente del problema nel nostro campo è che la sinistra, tutta, trasversalmente alle singole bandiere, è per cultura e tradizione internazionalista ma in Italia ha il vizio di declinare questa cultura ( essenzialmente giusta, perchè in tutto il mondo ci sono i ricchi e i poveri, gli sfruttati e gli sfruttatori ) in maniera essenzialmente anti-italiana, in ragione della presunzione diffusa che come italiani non saremmo all’altezza di governarci per conto nostro.

      Essere internazionalisti è cosa giusta; combattere il nazionalismo ed il fascismo ancor di più, ma degenerare come italiani in sentimenti anti-italiani è un errore.
      Errore secondo me, purtroppo, parecchio diffuso.

      In effetti questo atteggiamento a sinistra è stato interiorizzato non senza motivo: 45 anni di democrazia cristiana, 20 di berlusconismo in una condizione nella quale l’opposizione era fasulla ed esclusivamente nominale ha fatto essenzialmente le stesse cose – solo in modo un po’ meno volgare – nei periodi duranti i quali ha governato.

      Sta di fatto che di buon grado ci siamo sottoposti a tutta una serie di vincoli esterni nella presunzione che facendoci governare da fuori dei nostri confini, invece che una colonia, ci avrebbero portato forme di governo simili a quelli di altri paesi che magari ammiravamo più di noi stessi.

      Purtroppo in una logica ed in dinamiche mercantili se accetti vincoli economici esterni, e di fatto di farti governare dall’esterno, quello che ottieni può essere solo essere colonizzati.

      Ti interessa una lista di nemici, ancora parziale ma secondo me già abbastanza indicativa?
      io propongo questa: http://ec.europa.eu/commission_2010-2014/index_it.htm

      http://www.european-council.europa.eu/the-president?lang=it
      ( e naturalmente i mandanti, cioè i grandi capitali finanziari centro europei che costoro hanno alle proprie spalle )

      Il fatto drammatico è che se non creiamo questa consapevolezza diffusa nel nostro paese ed in Europa….a dire cose parzialmente giuste ma per i motivi più sbagliati, rimarranno solo i Nigel Farage e le Marine Le Pen, e se così dovesse andare a finire allora si che veramente salteremmo dalla padella alla brace ( altro che default, pfui, quello sarebbe quasi il più irrilevante degli spauracchi ) .

      Purtroppo proprio su questo fronte l’Italia è il paese più indietro di tutti gli altri.

  11. Chiedo scusa per la lunghezza del commento precedente.

  12. In Italia le lotte ci sono.
    Sono lotte locali che però mettono in questione tutto il sistema che le ha prodotte: Val Susa, Acerra, Università-scuola, Taranto, call center (atesia) fabbriche(fiat) e miniere varie.
    Scusate se metto insieme percorsi diversi che si sono svolti durante gli anni e scusate ne ho dimenticati sicuramente tanti.
    Il problema resta sempre la sintesi di tutte queste lotte dentro una piattaforma comune.
    Cosa difficile:
    1- viviamo comunque il tempo del cinismo e del disincanto, magari non chi scrive o legge qui ma questo non importa.
    2- partitini con vari interessi equilibristi su più fronti
    3 – movimenti e centri sociali ognuno con la Pravda in tasca che a volte è solo una maniera di marcare un’identità (autonoma, disobba, lisergica, anarchica et similia).
    4 – Evidentemente non brucia il culo. Chi precario della cultura, chi call center, chi cameriere, chi disoccupato, chi partita iva, chi operaio, c’è ancora il welfare familiare che tiene a galla in un modo o nell’altro che paga il dentista, a volte parte d’affitto o rate della macchina, nella speranza\disperazione che il figlio sfondi e diventi ricco.

    Chi nulla di tutto questo e si fa il culo perché è solo nel paese dei balocchi e non crede a una parola delle proposte della sinistra rivoluzionaria (?) e pensa a mettersi i soldi da parte per comprarsi l’Ipad o per fare vacanza l’estate.
    Perché per prendersi denunce, manganellate, carcere, ci vuole fede in qualcosa di grande che evidentemente non riusciamo a proporre.

    Però prima o poi si sbloccherà tutto (finisce welfare, cambia modalità sopravvivenza, cambia anche mentalità) e saremo noi che dovremo correre appresso a un sacco di gente inkazzata (e scusate il ragionamento avanguardista e spocchioso da militante: noi vs gente) che starà sotto i parlamento a tirare bottiglie.

    • Anch’io sono convinto che prima o poi si sbloccherà tutto, però bisogna vedere come, perchè non è detto che buttando all’aria tutto e lasciando che ricada così come viene ne esca qualcosa di meglio di adesso.
      In questo momento mi riesce difficile pensare che si possa arrivare a dare origine noi allo sblocco, però bisogna prepararsi per poter, in quel momento, dare una direzione alla corrente (o almeno ad impedire che vada in certe direzioni). Purtroppo sul come manco di idee.

    • assolutamente d’accordo. Finche’ ci sarà da mangiare, e in Italia c’è n’è ancora abbastanza, non si muoverà niente. e a chi vuole, come me, non resterà che impegnarsi nelle lotte locali o in movimenti che credono in un cambiamento più radicale. E, ricordiamocelo, questo Paese è fondamentalmente in maggiornaza un Paese di destra, di una borghesia grande o piccola e cui poco importa di quello che succede a quelli che gli stanno intorno. “BCE, Franza o Spagna purchè se magna…”

  13. Per errore abbiamo commentato su Twitter, non avevamo visto che lì c’è solo il feed. Il succo, in più che 140 caratteri per fortuna, era che secondo noi la brava gente in Italia ha subito un intossicamento rosso, rosso Stalin intendiamo, e rosso borghesia rossa, pesantissimo e inconcluso, ancora. Non è la situazione economica che fa differenza, ma la coscienza, appunto. Spagna e Grecia sono paesi che diversamente dall’Italia hanno vissuto molto di più le influenze culturali libertarie che non quelle comuniste. L’Italia è stata avvelenata dall’idea del ‘ci pensa il partito’, o ‘ci pensa il sindacato’, o ‘c’è solo un grande giornale’, e tutte queste espressioni di monopolio culturale e coscienziale direttamente instillate dallo stalinismo, non ne parliamo poi delle derivazioni estremiste che non hanno fatto altro che rafforzare il peso di questa logica, altro che ‘alternativa’.

    • Suggestivo “volo d’uccello” sulla psico-storia nazionale, complimenti.
      Peccato per questa teoria che l’Italia abbia una storia ricchissima e variegata di lotte di massa autopromosse/autorganizzate, che hanno quasi sempre colto alla sprovvista “il partito” e “il sindacato”, ogni volta costretti a inseguire e “recuperare”. La casistica va dall’occupazione delle fabbriche del ’20 a quelle delle terre negli anni ’50, dall’Autunno caldo alle grandi mobilitazioni per i referendum degli anni ’70 (aborto, divorzio), ’80 (contro il nucleare) e recentissime (acqua pubblica e ancora contro il nucleare), passando per le mobilitazioni altermondialiste e contro la guerra in Iraq di dieci anni fa, che furono le più massive e partecipate di tutto l’occidente. Tutte lotte partite dal basso, da coordinamenti orizzontali, reti di comitati, lavoratori autoconvocati in polemica coi vertici sindacali etc.

      • Certo, questo è vero. Ma purtroppo poi a “recuperare” ci sono sempre riusciti, non puoi non tenere conto di questo particolare.

        • A parte che in diversi casi i burocrati si sono dovuti piegare alle spinte del movimento e battaglie importanti sono state vinte anche contro il loro disfattismo/moderatismo (vertenze operaie nazionali, referendum etc.), vorrei capire dove mai, in Europa, non ci sia stato “recupero” – ovvero addomesticamento – delle lotte. Possibile che i burocrati abbiano vinto solo in Italia e non altrove? Forse in Spagna e in Grecia (e in Portogallo, in Germania, in Francia) c’è stata la rivoluzione e non ce ne eravamo accorti?

          • se ho capito bene (sottolineo: se), bibliocartina intendeva dire che in italia c’è stata a sinistra una egemonia culturale fortemente orientata in senso “sovietico” che ha prevalso/prevaricato e ci ha condizionato (e ci condiziona ancora oggi) negativamente, nel senso che ha finito per diventare una sorta di limite “culturale” alla diffusione presso “le masse” di analisi politiche altre (insomma… ieri per mio zio ferroviere iscritto al pci qualsiasi cosa veniva dall’urss andava bene, compresi i carri armati a praga… e oggi molti “compagni” disprezzano chi va in galera per aver criticato putin e la chiesa ortodossa… boh)

            e, sempre se ho capito bene, intendeva dire anche che in spagna e grecia le influenze libertarie hanno avuto maggiore diffusione e radicamento nelle “masse” rispetto all’italia, contibuendo a stemperare un poco questa “egemonia sovietica”

            messa così la cosa avrebbe anche un senso… e semmai ci sarebbe da discutere sull’entità e i rapporti di “peso” di questi fenomeni in italia come altrove

            forse bibliocartina sta un poco esagerando, in assoluto, il peso dell’influenza libertaria in spagna e grecia… mentre, rispetto al peso avuto in italia, probabilmente ci è più vicino

            e forse WM1 esagera di suo nel paradosso dialettico – pur se in tutt’altra direzione – sminuendo le differenze: Forse in Spagna e in Grecia (e in Portogallo, in Germania, in Francia) c’è stata la rivoluzione e non ce ne eravamo accorti?

            rivoluzione magari no…
            ma gli spagnoli hanno avuto il franchismo dal ’39 alla fine del ’75…
            e i greci hanno avuto la guerra civile fino al ’49, poi governi di destra pilotati dalla cia, e poi i colonnelli dal 1967 al 1974…
            e intanto da noi c’era la prima repubblica e proprio in quegli anni si parlava (sic) di compromesso storico (più o meno nel ’73, se ricordo bene)…
            ne deriva per forza un differenziale culturale/politico: non fosse altro che per la differenza di tempo trascorso da guerra e dittatura, la memoria storica di spagnoli e greci è sicuramente più solida della nostra

            • Temo che i piani del discorso si siano ingarbugliati, non certo per colpa tua, ma per come è andata la discussione.
              Il discorso di Bibliocartina, diviso in più interventi, era composto da un accenno di analisi storica delle lotte in Italia, Spagna e Grecia + una considerazione “antropologica” su italiani e spagnoli.

              Dell’analisi storica io e Mauro abbiamo contestato non la liceità ma la correttezza: secondo noi è proprio sbagliata. E’ scorretto dire che l’Italia non è un paese di lotte autorganizzate, indipendenti, autoconvocate perché la tradizione stalinista pesa di più e si è sempre delegato tutto al Partito, al Sindacato e alle loro burocrazie, mentre in Spagna e Grecia godono i frutti di un’egemonia anarchica di massa. Abbiamo ricordato che, al contrario, l’Italia è sempre stata un paese di lotte autoconvocate, che queste lotte sono state e sono tuttora studiate in tutto il mondo, che la burocrazia ha molto spesso dovuto inseguire e recuperare, che in Grecia la tradizione stalinista è molto più forte e che anche in Grecia e Spagna l’anarchismo (pur importante e da rispettare) è una corrente minoritaria.
              Bibliocartina mi ha risposto che però in definitiva in Italia la burocrazia è riuscita a recuperare le lotte. A quel punto io ho chiesto: – Perché, altrove no? In Spagna hanno fatto la rivoluzione? – Questo perché, almeno nel pensiero marxista, se una lotta non è stata “recuperata” dalla burocrazia (facilmente o con affanno, in poco tempo o nel corso di anni), vuol dire che c’è stato uno sbocco rivoluzionario che la burocrazia non è riuscita a incanalare. Il recupero burocratico delle lotte c’è stato in tutto l’occidente. Sovente, nel processo, si è comunque riusciti a ottenere conquiste fondamentali (tutto l’attuale stato sociale viene da lì); molte volte, invece, il recupero ha portato a sconfitte cocenti.

              Anche a me sembra che oggi, in Italia, il problema dei movimenti sia un certo “spontaneismo inconcludente”. Che è proprio la tara opposta rispetto a quella descritta da Bibliocartina.

              Quanto alla considerazione antropologica, io ne ho contestato proprio l’utilità, alla radice. Dire che gli spagnoli sono diversi da noi e basta parlare con uno studente Erasmus per capirlo, secondo me non ha alcuna utilità né attinenza al discorso sul perché lì ci siano mobilitazioni di massa e qui no. Non spiega niente, è un vuoto culturalismo da barzellette (“Ci sono un italiano, uno spagnolo e un greco…”), né mi sembra collegato all’altro piano del discorso, quello che ho riassunto sopra. A meno di non pensare che gli spagnoli (in primis gli studenti Erasmus) sono “diversi da noi” perché son tutti anarchici…

            • @simulAcro

              Il fatto delle guerre civili perse in Grecia e Spagna, mentre la nostra l’abbiamo vinta, forse è già una differenza più interessante. Forse paradossalmente la vittoria della Resistenza in Italia, che ha portato alla schifosissima Prima Repubblica, ci ha reso più diffidenti e pessimisti sulle grandi lotte liberatrici. In Grecia e in Spagna è più facile pensare che sarebbe bastato vincere in quella grande occasione perduta per cambiare il corso delle cose.

              In Spagna alle manifestazioni i compagni portano una “bandiera alternativa”, quella rosso-oro-viola, che parla di una Spagna repubblicana che sarebbe potuta esistere. Da noi il 25 Aprile i tromboni che parlano dal palco delle commemorazioni ufficiali portano lo stesso tricolore su cui giurano i fascisti.

              Lasciato un grande punto interrogativo sugli effetti culturali di questa differenza storica, vorrei però tornare più terra terra sull’ultima argomentazione che porti. Dici che a metà anni Settanta in Italia si parlava di compromesso storico, mentre greci e spagnoli erano appena usciti dalla dittatura militare. Vediamo un attimo cosa succedeva lì nello stesso periodo.

              In Spagna c’era al governo, democraticamente eletto dopo la caduta del franchismo, il fascista ripulito Adolfo Suárez. Il PSOE all’opposizione prenderà il potere a inizio anni Ottanta, con Felipe González, dopo una svolta moderata simile alla Bolognina.

              In Grecia era tornato Konstantinos Karamanlis, già primo ministro prima dei colonnelli e fondatore del partito di destra Nuova Democrazia. Il Pasok vincerà le elezioni nei primi anni Ottanta, mettendo a capo del governo Andreas Papandreou, padre di quel farabutto che governava la Grecia l’anno scorso (e farabutto egli stesso).

              Entrambi i partiti socialisti dall’opposizione fecero campagna per l’uscita dalla NATO negli anni Settanta, ma ci restarono quando vinsero alle elezioni. Intanto, in Italia, il Partito Socialista svolta nettamente a destra e si apre l’era Craxi.

              C’era davvero tutta questa differenza?

          • (vi rispondo qui perché il cms non mi dà modo di farlo sotto… forse il thread è troppo “annidato”, boh)

            @WM1

            in effetti la discussione s’era abbastanza intorcinata, ma direi che l’hai riassunta bene
            come forse si era capito, concordo sull’analisi storica nel senso di quanto di non “corretto” c’è nelle affermazioni di bibliocartina
            concordo anche sul fatto che in italia come in spagna e grecia l’anarchismo è stato ed è “minoritario”, anche se però mi sembra si possa dire che il peso che ha avuto in questi paesi è maggiore che in italia, sia come esperienze che come radicamento sociale e “formazione” culturale (in *questo* senso bibliocartina non ha del tutto torto)
            concordo con te anche sul discorso riguardo il capitalismo che è riuscito sempre (con modalità e in misura diversi a seconda dei casi) a “recuperare” le lotte: è successo in italia, come in spagna e in grecia, e mi pare che si possa dire lo stesso su scala ben più ampia… ma di qua si entra ancora su altri discorsi (ed evito di andare oltre)
            in ultimo, sullo “spontaneismo inconcludente” (bene lo spontaneismo, meno bene l’inconcludenza) la mia sensazione è che la “tara” sia essenzialmente dovuta a carenza culturale, nel senso che ai più difetta la capacità di analizzare in modo critico il passato e il presente in cui ci si muove (sia a livello “micro” che “macro”) per cui è anche difficile che si formi quella minimo di consapevolezza individuale e sociale che sarebbe bene affiancasse lo spontaneismo… che e quanto questa “tara” si origini e sostanzi di quanto descritto da bibliocartina (cosa di cui dubito abbastanza) o che sia invece l’opposto (come suggerisce WM1) non saprei dirlo, anche perché credo che le “cause” vadano ben oltre questo livello di lettura (per esempio, qualsiasi azione rischia di diventare inconcludente se si articola entro una realtà più “virtuale” che materiale, se ha come riferimenti dei feticci e dei simulacri più che veri soggetti e oggetti dei rapporti di potere… ma sto di nuovo andando OT, per cui mi fermo)

            riguardo la parte antropologica, d’accordo con te che questo tipo di approccio alle differenze non sia di per sè molto utile o sensato… come ho già cercato di dire si potrebbe semmai parlare di differenti percorsi culturali rispetto agli accadimenti storici: da una analisi storica comparativa tra italia, spagna e grecia che segua in parallelo la linea del tempo (diciamo dalla prima guerra mondiale a oggi) probabilmente verrebbe fuori anche qualcosa di interessante…

            @maurovanetti

            beh… vedo che siamo in sintonia proprio sull’approccio di cui ho appena parlato (l’analisi storica comparativa in parallelo tra italia, spagna e grecia)…

            concordo sulla ricostruzione che hai fatto e sul fatto che, pur con percorsi e modi diversi (ma sotto sotto anche molto simili, penso per esempio all’influenza “sottotraccia” degli USA), dalla metà degli anni ’70 in poi, in italia come in spagna e in grecia c’è stata una sorta di “restaurazione” fortemente orientata verso destra: in questo senso non c’è poi stata grande differenza

            credo però che le differenze storiche di cui si è detto (le guerre civili perse in spagna e grecia e vinta da noi) – se non in termini di effetti culturali (cosa su cui tu hai lasciato un grande punto interrogativo, e che non so né mi sento in grado di mettere in discussione) – abbiano però un “peso” sicuramente rilevante quanto meno in termini “socio-psicologici” agendo più fortemente sull’inconscio collettivo, e questo per una semplice questione di tempi: la “nostra” guerra civile è molto più lontana nel tempo (e nelle generazioni) di quelle spagnola e greca, mentre da noi il revisionismo storico abbonda e la memoria collettiva si fa sempre più labile, in spagna e in grecia il ricordo è più vicino (anche come generazioni) e le ferite sono più fresche… del resto anche lo stesso esempio che hai fatto delle diverse bandiere che si portano alle manifestazioni si inquadra perfettamente in questa prospettiva…

      • Mah, mah e poi mah.

        Che lo stalinismo sia una zavorra che ha sputtanato un sacco di lotte, rivoluzioni, partiti ecc. per me è assodato. Ma che in Italia lo stalinismo e la sua eredità siano più forti che in Spagna e in Grecia, dove l’anarchia regnerebbe incontrastata, mi sembra un’affermazione priva di qualsiasi base fattuale. Anzi, si potrebbe fin dire che sia proprio il contrario: in Spagna esiste una forte tradizione stalinista che affonda nella Guerra Civile (dove lo stalinismo diede il peggio di sé) e la Grecia è uno dei pochi Paesi occidentali dove un partito comunista di stretta osservanza stalinista abbia dimensioni di massa.

        Ma la cosa più importante l’ha detta WM1: l’Italia ha enormi tradizioni di lotta dal basso, intercettate in modo più o meno costruttivo da partiti e sindacati, e talvolta non intercettate per niente ma che si sono sviluppate lo stesso in autonomia o appoggiandosi su piccole organizzazioni.

        A volte mi chiedo perché così tanti compagni in Italia fatichino ad avere una visione un po’ “larga” del Paese in cui si trovano a vivere e lottare. Gli attivisti del resto del mondo ci guardano con ammirazione per la nostra storia e per quello che periodicamente le masse italiane sanno mettere in campo; sanno che quando arriviamo noi, trema il mondo. Ricordatevi qual è stata la maggiore iniziativa altermondialista del pianeta (Genova 2001) e la più grande manifestazione contro la guerra in Iraq (Roma 2003, la più grande manifestazione contro la guerra della storia umana).

        Spero di non sembrare troppo patriottico. :-) L’Italia è una merda ma noi no.

        • E’ che non si studia la storia, Mauro.

        • Lo stalinismo in Spagna diede il peggio di sé soffocando la rivoluzione nel ’36, ma non erano stalinisti spagnoli, erano stalinisti di tutta Europa e c’era Togliatti a guidarli, non ce lo scordiamo. Per la Grecia non ci metterei la man sul fuoco, ma l’anarchismo in Spagna ha avuto per decenni un’influenza di massa enorme, la CNT spagnola contava milioni di tesserati ed erano gli anarchici che giravano le campagne per insegnare a leggere e scrivere alla gente. Queste influenze non spariscono in breve tempo. Poi per qualcun altro sarà psico-storia, che devo dire. Grazie comunque per il confronto.

          • Insomma, sul 50% della tua affermazione così sicura, a distanza di pochi minuti, non metti più la mano sul fuoco. Sulla Grecia avevi generalizzato indebitamente, senza conoscere la storia di quel Paese. Hai fatto del “culturalismo”, ovvero della psico-storia.
            Qui nessuno nega le influenze anarchiche in Spagna e Grecia, ci mancherebbe altro. Si smonta l’argomentazione secondo cui Spagna e Grecia si mobiliterebbero più dell’Italia perché là c’è l’egemonia anarchica e non c’è lo stalinismo (!) che a noi ci ha rovinati perché qui si è sempre delegato tutto al partito etc. Questi ultimi sono luoghi comuni giornalistici e poco più.
            [Peraltro, la tradizione di marxismo occidentale più critica nei confronti dello stalinismo – cucù sèttete! – è quella italiana, con tutte le sue differenze interne, da Gramsci all’operaismo.]

          • @bibliocartina

            Mi stanno simpaticissimi gli anarchici spagnoli, ma dalla rivoluzione catalana a oggi è passata un po’ d’acqua sotto i ponti. La CNT oggi ha, nelle stime più generose, 50mila iscritti. Per fare un confronto con un altro sindacato di base, l’Unione Sindacale di Base in Italia dichiara 250mila iscritti.

            L’anarchismo vive in questi Paesi così come in Italia soprattutto in un network di collettivi autonomi più o meno influenzati da idee libertarie. Se c’è un Paese dove l’influenza dell’anarchismo ha un impatto davvero significativo sullo sviluppo di certi movimenti di massa (per esempio, #OccupyWallStrett), semmai lo cercherei fuori dall’Europa: gli USA.

        • Boh, non capisco scrivo cose e non le vedo, mi dispiace se mi ripeterò. Dicevo che lo stalinismo che colpì in Spagna nel ’36 era composto da gente di altri paesi, in primo luogo dall’italiano Togliatti emissario diretto di Stalin in Spagna. E che i sindacati anarchici in Spagna tesseravano milioni di persone. In Spagna l’anarchismo ha avuto un’influenza di massa molto significativa, di gran lunga superiore al comunismo, inviso a moltissima gente.

          • Ma chi lo ha negato che gli anarchici in Spagna fossero un movimento di massa? Se poi quell’influenza sia stata più duratura e determinante di quella (generalmente parlando) comunista, non saprei. Gli spagnoli hanno avuto una dittatura fascista durata quarant’anni, che ha avuto strascichi pesanti fino a ieri e in una certa misura li ha ancora. Nelle mobilitazioni di massa del 2011-2012 ci sarà sicuramente un filo che le lega ai movimenti e ai sindacati libertari di ottant’anni fa, ma è un filo tenue, dipanato da una minoranza di attivisti che conosce la storia della lotta di classe. Sinceramente, non cercherei il fattore principale dello scendere in piazza nella continuità con quel passato.

            • Ok. Grazie per la spiegazione e il confronto. Senz’altro c’è veleno ideologico ovunque. Secondo me in Italia ce n’è molto di più, ma magari mi sbaglio anche su questo.

      • P.S. Che la Grecia sia un Paese che ha vissuto molto di più le influenze libertarie di quelle comuniste (di qualunque tendenza stiamo parlando), con rispetto parlando, è falso. La tradizione anarchica in Grecia è importante e molto visibile, ma non è maggioritaria. Non si tratta di “tifare” per questo o per quello, ma di saper leggere quel Paese. La Grecia ha una tradizione terzinternazionalista/stalinista radicata ai limiti dell’incancrenimento, derivata dal ruolo del partito comunista nella Resistenza e sopravvissuta persino alla stagione dei colonnelli. Nell’immediato dopoguerra la Grecia conobbe un’insurrezione guidata dai comunisti che durò tre anni e fu repressa solo grazie all’aiuto americano. Oggi Syriza, un partito di chiara per quanto molteplice impronta marxista, è stabilmente sopra il 20% dei consensi. E il Partito Comunista Greco, nonostante il calo elettorale, orienta ancora gran parte dei lavoratori pubblici.

        • Ecco appunto grazie, infatti come dicevo più su “non ci metterei la mano sul fuoco sulla Grecia”. Sulla Spagna sì però.

  14. Tutto il pessimismo che leggo nei commenti di questo post mi convince molto poco, specialmente quando sconfina in curiose teorie sul nostro presunto carattere nazionale che ci renderebbe quasi geneticamente diversi da greci e spagnoli (capirei si parlasse di finlandesi e vietnamiti…).

    Che in Italia ci sia un ritardo rispetto ai nostri fratelli iberici ed ellenici mi sembra evidente, ma potremmo dire lo stesso della Germania o dell’Olanda. E non mi dite che in Spagna o in Grecia non esistono edonismo, consumismo, individualismo ecc. Questa mattina all’alba c’erano 300 persone in coda per comprare il nuovo iPhone *a Puerta del Sol* a Madrid; sì, proprio *nella stessa piazza* degli indignados: http://www.lavozdegalicia.es/noticia/vidadigital/2012/09/28/colas-madrid-comprar-primeros-iphone-5/00031348811542688204243.htm

    Se vogliamo trovare una spiegazione del ritardo italiano credo che si debba trovare qualche spiegazione più scientifica e meno impressionistica. Cos’hanno di speciale la Grecia, la Spagna e il Portogallo? A me sembra evidente: la crisi in quei Paesi è diventata particolarmente acuta spingendo il governo a sferrare degli attacchi molto forti che coinvolgono in un colpo solo milioni di persone. In Italia la crisi sta colpendo essenzialmente gruppi isolati di lavoratori che perdono il posto; questi gruppi spesso reagiscono, quando si tratta di gruppi ampi (come nel caso ALCOA) reagiscono in modo simile alle manifestazioni di massa dei Paesi più “caldi”.

    Se tanto mi dà tanto, quando il governo sarà costretto a fare attacchi più sfacciati di quelli che ha fatto finora, incontrerà una risposta di massa. Proprio per questa ragione sta cercando in ogni modo di evitarlo con attacchi subdoli e dividendoci; e non è solo Monti a temere che le piazze italiane si riempiano, c’è tutta l’Europa e forse tutti i potenti del mondo che ne hanno paura, perché l’Italia è un bubbone molto più grosso della Grecia e anche più grosso della Spagna, e quando scoppia sono cazzi acidi per tutti. Per questo l’hanno affidata a un esperto molto molto affidabile agli occhi della grande finanza mondiale come il cyborg Mario Monti.

    • Concordo in pieno. In Italia ci sono già diversi focolai di protesta più o meno organizzati. La protesta sarà sempre più forte man mano che sempre più persone saranno risucchiate nel vortice della crisi. E a nulla serviranno i discorsi per mettere i disoccupati contro i lavoratori, i precari contro i lavoratori a tempo indeterminato e i lavoratori del settore pubblico contro quelli del settore privato.
      Secondo me, e come scrisse tempo fa WM3, dobbiamo solo aspettare che, in una situazione in cui esiste una tensione sociale davvero enorme, i nostri governanti prendano delle decisioni così impopolari da provocare una protesta unica, compatta, energica e irreversibile. Insomma, la minchiata finale del governo. Non dimentichiamo che in Argentina, prima del dicembre 2001, l’economia andava male già da molto tempo, le privatizzazioni marciavano e quando il presidente vietò al Popolo di riprendersi i risparmi che aveva in banca (con il Peso che valeva un dollaro) e decretò lo stato d’assedio (le minchiate finali) sappiamo quel che è successo.

    • Non sono d’accordo con quello che dici. La crisi non colpisce gruppi isolati di lavoratori, assolutamente. La crisi colpisce masse enormi di persone che si ritrovano fuori dal mercato del lavoro (vuoi perché lo perdono, vuoi perché sono in cerca della prima occupazione o vuoi perché sono usciti dal mercato per un periodo) e non riescono a rientrarci in nessun modo, se non accettando offerte che hanno più a che fare con la schiavitù che con il lavoro. La maggior parte di queste persone non ha modo di fare alcuna esperienza di lotta, perché magari lavorava in aziende molto piccole in cui non è possibile né un intervento auto-organizzato né sindacale.

      Laddove le proteste ci sono, si vedono, è perché si tratta di circostanze in cui i lavoratori riescono ad auto-organizzarsi o lo fanno con il sostegno che è loro dovuto. Non è di certo perché quelli sono gli unici ad essere colpiti.

      La questione è invece proprio che ci sono masse enormi di lavoratori che non sono raggiunti, che vivono la crisi in solitudine, cercando di barcamenarsela. E non è certo perché noi italiani siamo più individualisti degli altri, ma perché mancano i punti di riferimento politici. E’ un problema immenso. La crisi da noi è arrivata eccome, ma i lavoratori sono nella grande maggioranza dei casi del tutto soli.

      • @Adrianaaaa

        Ottima descrizione della situazione. Mi sono spiegato molto male se ti ho dato l’impressione di credere che ad essere colpiti dalla crisi in Italia siano pochi.

        Ho scritto che colpisce “gruppi isolati di lavoratori” nel senso che questi gruppi sono spesso piccoli, quasi sempre privi di legami con altri gruppi. L’attacco crea talvolta una reazione e una relativa coesione all’interno del piccolo gruppo attaccato (perlomeno, questo è ciò che ho visto in alcune lotte e vertenze), ma non riesce quasi mai a creare una rete più ampia, ovvero a costruire “coscienza di classe” o anche solo un fronte di lotta vasto. Succede qualcosa di più quando il gruppo è grosso, ma comunque non si passa ancora la soglia critica che crea attorno a una lotta particolare una mobilitazione generale.

        Questo non significa che i gruppi isolati, complessivamente, non includano milioni e milioni di persone. Oserei dire che quasi tutti sono in questo momento colpiti dalla crisi, ma sono colpiti in modo diverso e per questo motivo restano divisi (e perdono).

        Di solito, il collante tra lotte isolate dovrebbe essere il sindacato, il partito, le organizzazioni di massa ecc. Questo in Italia funziona poco o non funziona affatto; ma badate bene che non è che in Spagna la situazione sia molto migliore e anche in Grecia le organizzazioni della sinistra sono divise e piuttosto piccole (solo nell’ultimo anno Syriza è assurta al ruolo di partito di massa).

        Mancando il collante tra di noi, il collante ce lo deve (purtroppo!) fornire il nemico, facendo un passo falso con un attacco che colpisce troppe persone in un colpo solo; un primo passo falso l’ha già fatto la Fornero con l’attacco all’articolo 18, e c’è voluta tutta la burocrazia della CGIL per impedire che questo suscitasse una risposta, ma l’articolo 18 “non si mangia” ed è più facile diluire la rabbia. In Grecia, in Spagna e in Portogallo sono stati sferrati attacchi che colpiscono immediatamente il reddito di milioni di persone e questo ha fatto sì che le masse colmassero di loro iniziativa gli interstizi vuoti lasciati dalle organizzazioni politiche e sindacali. Siccome ritengo che anche in Italia il governo non potrà fare a meno prima o poi di sferrare un attacco simile, credo che si produrrà lo stesso effetto.

        Questa idea può essere considerata “ottimista” ma in realtà non lo è, perché il ritardo nell’organizzazione di strutture politiche e sindacali, anche se non impedisce che si creino dei movimenti di massa (come dimostra soprattutto la Spagna), non è comunque un problema secondario, lo pagheremo e lo stiamo pagando.

        È come la differenza tra avere un esercito oppure no quando si subisce un’invasione militare. Senza esercito, dopo che il nemico ti ha invaso, ha fatto i rastrellamenti e ha reso schiavo il tuo popolo, qualcuno comincerà comunque ad organizzarsi in clandestinità, a sabotare gli occupanti, a organizzare una resistenza. Ma se avessi avuto un esercito, forse non riusciva neanche a passare il confine, se ci riusciva ti potevi comunque asserragliare in qualche roccaforte, ma soprattutto al momento della riscossa avevi già pronto uno strumento per passare al contrattacco.

        Siamo senza esercito e ci stanno invadendo. Dobbiamo simultaneamente organizzarne uno e cominciare a esercitare una resistenza improvvisata per rallentare l’avanzata nemica. Buona fortuna a noi!

        • Caro Mauro, io penso che il collante dovrebbe essere un minimo comune denominatore (salve le specificità di parrocchia) in grado di mobilitare su diversi fronti (piazza, urne, consenso) una sorta di CLN con seri anticorpi antifa, ma il più largo possibile. Ovviamente, coordinato ad altri CLN europei.
          Questo mcd per me è la lotta contro i figli di troika, e dal lato positivo il keynesismo, in questa situazione (lo dico proprio a te che vuoi Keynes per giocare a freccette). Poche idee ma buone. Tipo, debito pubblico finanziato a interessi zero o negativi direttamente dalla banca centrale non più indipendente (eutanasia dei rentiers?). Nazionalizzazioni di tutto ciò che abbiamo pagato, compreso il culo di Marchionne, Riva e Profumo. Reddito minimo di cittadinanza. Programmi di piena occupazione con investimenti statali. Ripristino di una almeno minima democrazia (informazione inclusa). Fine della libertà di movimento dei capitali. Si può creare un grande consenso su questi punti. Chi otterrà queste cose, poi avrà un peso davvero importante per promuovere le proprie battaglie.

          • @rapa

            Devo dire che l’evocazione del CLN non mi dà proprio delle vibrazioni positive. Alla fine della fiera, il CLN fu l’organo della collaborazione di classe tra la Resistenza rossa e i gattopardi democristiano-badogliani, tramite il quale gli USA e il Regno Unito riuscirono a ingabbiare il movimento partigiano e l’insurrezione antifascista.

            Ancor meno mi convince la rappresentazione “patriottica” della lotta contro i “figli di troika” come una sorta di liberazione nazionale dalle maligne trame di Francoforte e Bruxelles. Non mi convince soprattutto perché assolve i potentati italiani (o spagnoli o greci o portoghesi) dalle loro responsabilità.

            Detto questo, molte cose che evochi alla fine del tuo commento mi piacciono e ci metterei la firma; resta la “timidezza keynesiana” (o meglio, “iperkeynesiana”) che sputtana tutto il discorso, per cui invece di chiedersi a chi portare via le risorse per far ripartire l’economia e la società in un modo completamente alternativo, si pensa di finanziare la rivoluzione con delle magie contabili (banca centrale che finanzia lo Stato, un modo gentile per dire “stampare banconote”). L’insistenza su questo punto secondo me è rivelatrice di una grande paura ad affrontare il tema centrale della rottura rivoluzionaria: espropri senza indennizzo (perché “nazionalizzazione” vuol dire molte cose… l’IRI lo fece proprio quello che venne mandato via dal CLN), rifiuto del pagamento del debito, non “eutanasia” ma morte aspra e dolorosa dei maledettissimi rentier.

            Francamente non penso che in questa fase storica ci sia bisogno di non spaventare le masse, semmai quando esploderanno bisognerà tenerle a bada.

            • Con l’espressione “figli di troika” non intendo certo solo i monti. TUTTI vanno inchiodati alle loro responsabilità, chi ci ha guadagnato certo ma anche i teorici da “sinistra” del vincolo esterno. Quelli che si sono venduti per una mancetta. Molti del Manifesto, per dirne una. Ovvero quelli che non vogliono Marchionne ma vogliono euro e movimento dei capitali.
              Riguardo l’iperkeynesismo… come dicevo, mi riferisco a un minimo comun denominatore, non a un ideale-guida. Perché la situazione è amara. E tanto più lo diventerà, perché l'”esplosione delle masse” è imprevedibile. Morti di piazza. Terrorismo. Svolte fasciste. Un (ahimé) CLN preventivo non è meglio di uno a posteriori?

    • Purtroppo l’acutezza della crisi secondo me c’entra fino a un certo punto.
      Non c’è un punto di rottura che segna il passaggio tra non-ricco e povero, è una discesa continua in cui al posto del punto di rottura ci sono quei dieci, venti euro in meno in tasca, a settimana. E’ così che si diventa pelati ed è così che si diventa disperati.
      In questo modo il punto di rottura è del tutto soggettivo (la distanza che c’è tra il commento di mauro e quello di Adrianaaaaa è un sintomo di questo) e molte persone fanno come il cavallo di Animal Farm, ripetono “I’ll work harder”, pensando che così si possa risolvere la situazione e alla fine va al macello.

      Ci sono tante piccole cose che funzionano più o meno bene, ma sono isolate una dalle altre. Ricordate il post di Wu Ming 2 su Macao? Quando il signore chiede ai ragazzi di Macao “ma tu lavori, voi lavorate?”
      Sembra che riconoscersi sia diventato impossibile. Non si è capito bene quando è successo, ma da noi l’ambizione di fare la rivoluzione significa avere il palato fino nei confronti di chi ti sta accanto. Salvo che non faccia parte di qualche organizzazione, struttura, centro sociale o sindacato, salvo che non si tratti di alleanze, insomma.
      Fatto sta che la linea tra ciò che è meglio fare e non fare non è mai stata così sottile.

      Per alcune cose è anche meglio così, si può sperimentare e ci si può prendere il lusso di sbagliare. Ma per la rivoluzione passiamo il turno.

      Può essere che sia una cosa poco politica, ma ciò che più emergeva durante le acampadas e che emerge qua e là nei movimenti europei è la voglia di stare insieme. Persino sfasciare la torre dei tories a Londra dalle immagini sembra una grande festa. Quando in giro per l’Europa si canta “il popolo unito non sarà mai sconfitto”, non solo ci credono (a noi sembra una cosa da liceali e, visto come siamo messi, da noi lo è), ma lo fanno, non si lasciano mai. Finita la manifestazione c’è ancora la voglia di stare insieme e diventa impossibile staccarsi, fisicamente. Avete visto, nei vari movimenti italiani degli ultimi anni, qualcosa di simile? Monti, Berlusconi, Bersani, Camusso o Sallusti: rilevare la differenza tra questi personaggi diventa veniale se si ha quella spinta.

      Sarà fricchettone, ma probabilmente gioia e rivoluzione sono ancora legati. E non c’è analisi di fase che possa sopperire a questa assenza.

      Scusate l’amarezza.

  15. @maurovanetti: le piazze non si riempiono mai per ragioni scientifiche, né per ragioni economiche; le piazze, da sempre, si svuotano o si riempiono per ragioni emotive, sentimentali, culturali, coscienziali, che possono avere a che fare anche con la scienza o con l’economia, ma in battuta secondaria. I motivi secondo noi vanno ricercati lì, nella coscienza, nella cultura, non nella scienza in quanto tale che peraltro andrebbe meglio spiegato che cos’è. Culturalmente, nonostante le superficialissime apparenze, noi siamo profondamente diversi dagli spagnoli, fattelo dire dagli spagnoli che vivono in Italia que flipan por nosotros, come dicono loro, pensando di trovarci simili a loro e scoprendo un altro pianeta. Dai greci poi, ci distingue persino l’alfabeto, la religione prevalente, tutto. La diversità culturale è impressionante.

    • Certo! Aggiungerei poi che i negri hanno il ritmo nel sangue e le bolognesi han sempre voglia di cazzo.

      • Uhm, posso sapere il motivo di tanto disprezzo in questa risposta? Perché a me non sembra affatto di aver tirato di luoghi comuni, luogo comune è quello che italiani greci e spagnoli si somigliano, casomai.

        • Diciamo che ho portato il “culturalismo” della tua argomentazione alle sue conseguenze, che queste ti piacciano o meno. Con generalizzazioni come quelle che hai proposto (“gli spagnoli si mobilitano perché sono diversi”… quali spagnoli? Tutti? Sono tutti diversi da noi? Noi chi? Tutti gli italiani? Quindi gli spagnoli si mobilitano tutti? Nessun italiano si mobilita?), è sempre lì che si va a parare, per quanto a lungo si meni il can per l’aia.

          • Intanto stai mettendo tra virgolette mie frasi che io non ho mai detto. “gli spagnoli si mobilitano perché sono diversi” non è roba mia, non so dove l’hai letta. Per il resto il mio accento non era tanto sugli altri, quanto su di noi, ovvero sul veleno ideologico presente in Italia.

            • Noi stiamo cercando di spiegarti, con esempi, che quel veleno ideologico è presente anche negli altri paesi, in Grecia anche più che in Italia. E che lo stalinismo nella guerra civile spagnola fosse tutto “allogeno”, importato da biechi burocrati stranieri, è una narrazione consolatoria e un pochetto squinternata.

        • Al di la delle differenze culturali, vere o presunte, che possono esserci o non esserci ( non mi sbilancio su una valutazione di questo tipo, non mi reputo all’altezza, non ne so abbastanza ) i popoli italiano, greco, spagnolo, portoghese, irlandese e quello francese – in modo per ora ancora meno grave rispetto agli altri ma che si sta aggravando velocemente, solo che i francesi, lo ripeto, secondo me hanno gli anticorpi – SI SOMIGLIANO in questa fase disgraziata innanzitutto perchè STANNO SUBENDO IL MEDESIMO FENOMENO.

          Vedo che le domande che si pongono le persone, i compagni e le compagne, si rivolgono soprattutto a cercare di capire perchè le persone stiano reagendo in maniera diversa nei diversi paesi. O meglio, la domanda è: “perchè altrove si rivoltano e da noi no?”.

          E boh, io non sono convinto che ciò sia veramente rilevante; ciascuno si rivolti pure a proprio modo, purchè si rivolti.
          Più importante sarebbe comprendere tutti insieme le ragioni di quanto stia accadendo, e sono convinto che si tratti di una questione continentale che ci accomuna.

          D’altra parte le periferie delle città spagnole si sono trasformate negli ultimi 3 lustri in autentiche città fantasma. La Spagna si è cementificata anche l’anima, questo è il frutto di un grande afflusso di capitali che venivano da fuori rispetto alla Spagna e di un grande indenbitamento ( privato, non pubblico. E’ il nemico che punta il dito sui debiti pubblici e quindi la necessità di “snellire” gli stati. Cosa che stanno imponendo ovunque…questo dovrebbe farci venire qualche dubbio in merito al fatto che non è una crisi dei debiti pubblici quella che stiamo vivendo ) che ha alimentato una gigantesca bolla speculativa immobiliare.
          Il credito che ha gonfiato a dismisura questa gigantesca bolla veniva elargito a piene mani dalla banche tedesche, che infatti ad oggi sono piene di “merda” e “carta straccia”, titoli e derivati spazzatura che corrono il rischio di non valere nulla da un momento all’altro, molto più di quanto non lo siano le banche italiane.

          Questi stessi istituto di credito hanno avuto una possibilità di farsi largo, perchè strutturalmente e legislativamente gli veniva permesso di farlo, in Grecia, dove prima hanno truccato i bilanci e poi hanno corrotto funzionari governativi per comprare far comprare alla Grecia a credito 4 sommergibili a propulsione nucleare dalla Germania. Ancora non sono ancora stati pagati…e c’è chi si domanda come mai tanto accanimento nel tenere vincolata la Grecia ad una moneta il cui valore troppo alto chiaramente non possono sostenere? Perchè c’è uno strozzino alle spalle di questa scelta politica che deve essere ancora pagato e vuole che questo avvenga nella moneta che a lui fa più comodo!

          Quando poi il giocattolo è collassato, prima Frau Merkel ha coperto il buco e mascherato la carta straccia, mettendo una montagna di denaro pubblico dentro Deutsche Bank e poi ha fatto mettere l’uomo che era presidente europeo della Goldman Sachs quando la Grecia truccava i bilanci per entrare nella UE direttamente alla BCE, in modo di essere assolutamente certa che a costo di ridurre un intero popolo alla fama i crediti che sono stati spregiudicatamente acquisiti nel suo paese venissero pagati e garantiti.
          Niente complottismi; i complottismi lasciamoli ai fascistucoli, signoraggisti ed altra morchia della stessa razza.
          Qua il paradosso è che TUTTO è stato fatto ALLA LUCE DEL SOLE.

          Per il resto: Italia, Portogallo….tutti con il lavoro che si perde, i disoccupati a spasso, i pensionati con un cappio stretto alla gola, i neolaureati a sbarcare il lunario dovendo accettare ogni sorta di degradande contratto-fuffa perchè….perchè tutti insieme sono stati messi nella condizione, insieme ai loro paesi, di dover accettare un gioco al massacro ed al ribasso sul costo del LORO lavoro, da parte di chi il ribasso del costo del lavoro era in grado di sostenerlo un minuto più a lungo ( soggetti che vengono da dove vengono gli istituti di credito che stanno strangolando Spagna e Grecia ).

          Noi dobbiamo imparare a leggere dettagliatamente i passaggi di questo fenomeno, e capire che siamo uguali non necessariamente e non solo perchè uguali possono essere le culture, ma perchè stiamo subendo gli effetti dello stesso disegno politico-economico.

          Colti i dettagli ed i passaggi di quanto sta accadendo io penso che potrà arrivare anche la chiarezza di idee sul cosa fare e come.

  16. Riprendersi le strade…occupare le strade…poi magari le fabbriche, il parlamento…allora qui si tratta di prendere già confidenza con la presa del potere, o almeno con un suo parente potenziale…ma allora c’è da domandarsi chi sono oggi quelle avanguardie che usano queste parole d’ordine e chiedersi come renderle palesi, necessarie e logiche a più persone possibile.
    Chi è avanguardia oggi? Facendo un’ analisi materialista oggi è avanguardia chi per qualche motivo particolare lavora/studia/vive all’interno di strutture non atomizzanti: fabbriche, scuole, comunità, centri sociali ecc.. Quelli che vivono le contraddizioni assieme ad altre persone, trovano il modo di coalizzarsi per un obiettivo comune, in modo quasi biologico e naturale. Ilva Alcoa Fincantieri sono realtà sindacalizzate, Fiat è realtà sindacalizzata. Le lotte, più o meno riformiste, più o meno rivoluzionarie, (ora poco importa con il mio ragionamento), si hanno dove l’obiettivo comune è facilmente riscontrabile da chi ha la pretesa di rivendicare la propria emancipazione allo sfruttamento, l’intensificazione del lavoro, l’ipeproduttività e dove si ha già esperienza che coalizzarsi nella lotta paga.
    Ma come portiamo allo stesso tipo di coscienza l’artigiano, l’estetista, il barista, l’impiegato degli studi professionali, il precario, il commesso, l’operaio della ditta di famiglia da 5 dipendenti, il cameriere…
    L’Italia è un paese dove le aziende sotto i 15 dipendenti sono il 97% del totale e sono quelle meno sindacalizzate/meno permeabili alle narrazioni politiche.
    Per fare un esempio: se un’estetista (200.000 persone in Italia) vuole lottare per un salario dignitoso il suo iter sarà a dir poco impervio. O lotta individualmente con il suo datore di lavoro uscendone con le ossa rotta per via dell’esercito di disoccupati che aspetta alla porta per un’asta al ribasso, oppure si iscrive per esempio alla Filcams Cgil scoprendo che su 200.000 estetiste la percentuale di iscritte è veramente infima…direi non proprio una manna quando si tratta di contrattare il CCNL.
    Se le avanguardie vogliono essere accompagnate in strada dalla maggior parte dei lavoratori, devono, con un linguaggio semplice, dare risposte a questi problemi ultra-pratici. Del sindacato rivoluzionario, del partito di massa, di commonfare ecc ecc. se ne parlerà a tempo debito.
    Oggi l’esercito di disoccupati è enorme, l’asta al ribasso è uno dei fattori di controtendenza alla caduta del saggio di profitto.
    Oggi la prima parola d’ordine deve essere fronte unito dei lavoratori per la sindacalizzazione di massa.
    Se il partito oggi non c’è ma c’è un enorme sindacato, da lì bisogna partire per costruire il partito rivoluzionario.

    • edit:

      forse non si capiva bene dal mio post.

      Per fronte unito intendo sia quello dei lavoratori che dei disoccupati che dei precari…

  17. secondo me non esiste nessun ritardo italiano rispetto a spagna e grecia ma esistono modalita’ diverse e come dice @maurovanetti una tempistica della crisi diversa. la pecularieta’ italiana e’ la spettacolarizzazione della politica che e’ diventato puro entertainment, l’indignazione per i batman, formigoni e compagnia bella ha sostituito l’indignazione x le puttane e le gaffes di berlusconi ma lo scopo e’ sempre lo stesso intrattenere e indignare per legittimare gli scempi del nuovo corporativismo all’ italiana.
    il nuovo fascismo e’ questo, e’ l’asservimento della politica ai riva e ai marchionne (senza se e senza ma’) e’ adattare le leggi e la costituzione ad una realta’ materiale marcia esistente. Ma secondo l’ Italia e’ sveglissima e lo dimostrano tutti i focolai di antagonismo che nascono e durano in tanti angoli del paese, forse manca ancora qualcuno che federi questi antagonismi, ma ne abbiamo bisogno ? abbiamo bisogno di mettere a ferro e fuoco roma e spettacolarizzare la protesta e poi parlare x tre mesi dei disagi sociali der pelliccia di turno ? secondo me no ma abbiamo bisogno della resistenza in val di susa , di taranto della sardegna di movimenti spontanei che esaltino gli antagonismi reali che stanno emergendo. con tutto il rispetto x greci e spagnoli, ma noi quelle esperienze le abbiamo fatte e stiamo andando oltre, l’occupazione dei teatri a roma, macao a milano, le fantastiche persone che stanno lottando contro la tav da tre anni e ora taranto e la sardegna queste sono le insurrezioni che realmente possono minare il potere del pensiero unico e creare una dialettica con il potere costituente dell’ euro.

  18. Non l’ho scritto io, ma il livello di riflessione è sicuramente buono.
    http://uninomade.org/viva-la-costituente/
    Uno spunto per continuare a parlare.
    A proposito ma nessuno sta seguendo l’Iniziativa globalnoise del #130 13 ottobre?

  19. “Riprendersi le strade…occupare le strade…poi magari le fabbriche, il parlamento…allora qui si tratta di prendere già confidenza con la presa del potere, o almeno con un suo parente potenziale…”

    Riprendere il Parlamento per farne che cosa? Per lasciare senza stipendio la metà di popolazione attiva che vive di stipendi statali? Prima un progetto politico, poi l’insurrezione. “L’insurrezione è un’arte, come la guerra, e, come le altre arti, essa è subordinata a certe regole la cui dimenticanza conduce alla rovina il partito che si è reso colpevole di non averle osservate”, diceva Lenin, e aveva ragione. L’insurrezione ha una morfologia e una sintassi da rispettare, se non vuole essere solo una nuova scusa per politiche più repressive.
    Insorgere alla cazzo, così tanto per fare, pur seguendo sacrosante indignazioni, non dà migliori risultati che scrivere un libro alla cazzo o scrivere una sinfonia alla cazzo. Il problema è che alla miseria della proposta politica borghese non si capisce che cosa si contrapponga, se non una rabbia giustificatissima ma confusa, una richiesta di giustizia sacrosanta ma astratta. Non è una critica, eh, solo che vorrei capire il senso reale e pragmatico dell’espressione “riprendiamoci il Parlamento”.

    Quanto allo scambio di vedute tra Mauro e Biblio, sono d’accordo con entrambi: come Mauro, penso che ci siano circostanze sociali e economiche che aumentano la pressione della caldaia in modo tale da rendere molto più facile la sua esplosione; come Biblio, mi rendo conto che tale pressione, in Italia, non è stata raggiunta nemmeno nell’estate del 1943, con un regime infame e un Paese stremato e bombardato; e mi auguro che i tempi che ci aspettano non siano proprio così brutti.

  20. Non vorrei rovinare il filo logico, però questa è una foto di El Paìs sulle code notturne a Madrid per comprare l’iPhone 5…
    http://ep01.epimg.net/tecnologia/imagenes/2012/09/27/actualidad/1348765187_382720_1348816164_noticia_normal.jpg

    • Non vorrei rovinare il colpo di scena, ma l’immagine era già stata linkata e commentata (da Mauro Vanetti) ore fa :-)))
      Comunque, quel che volevamo dire nel post non era: “In Spagna non esiste gente come quei due” (ovvio che esiste), ma: “In Italia non si vedono scene come quelle di Madrid e Atene”.
      A Madrid, come in tanti altri posti, qualche centinaio di mentecatti fa la fila davanti all’Apple Store, ma qualche centinaio *di migliaia* di cittadini dà l’assedio al Parlamento. E’ il secondo genere di assembramento che da noi ancora non si vede.

  21. Credo non valga la pena farsi prendere dalla smania delle previsioni. Quelle lasciamole agli apprendisti stregoni, che in giro ce ne sono già tanti. Noi non sappiamo e non possiamo prevedere se ci sarà un “punto di rottura” in Italia e in Europa o se tutto svanirà in un paio di decenni di austerità ad oltranza. Lascerei perdere anche certe considerazioni alla Neil Young del tipo “it’s better to burn out than to fade away” applicate alla situazione economica e politica continentale.
    Cercare di capire la realtà complessa in cui ci troviamo, cosa fare e come lottare, sarebbe già tanto. Dei movimenti europei, mediterranei e non, ne parleremo a Firenze dall’8 all’11 novembre http://www.firenze1010.eu/index.php/it/
    Ci saranno gli spagnoli, i greci, ma anche i movimenti dei Paesi non PIIGS.
    Dobbiamo far sì che non sia un inutile revival del Social Forum del 2002 ma un primo momento di confronto dei movimenti a livello europeo. Almeno, un primo confronto in Italia.
    Non entro nel merito dell’organizzazione dell’evento, dei limiti che sono già evidenti o di certi personaggi di 10 anni fa che ancora “aleggiano” tra di noi. Voglio solo esprimere l’auspicio che quella occasione non venga sprecata e che si pongano le basi, oltre che di un dialogo, di una serie di azioni comuni. Cominciare a contrastare il finanzcapitalismo con un calendario concordato di lotte a livello europeo sarebbe già un primo passo.

  22. Su Taranto, Ilva e FIOM (mi permetto di parlare per conoscenza diretta, come altri commentatori qui, del resto):
    1. gli “operai in sciopero” sono telecomandati dalal direzione, e dal sindacato “giallo”, come si sarebbe detto un tempo, cioè dalla UILM, ch eè il primo sindacato in fabbrica (in un contesto di forte desindacalizzazione); agli operai vengono fornite bottigliette d’acqua (a luglio/agosto il sole picchia) trasportate dai furgoncini aziendali, che girano indisturbati senza targa in città e sulle strade; talvolta sono forniti anche di cappellini, fischietto (il “kit del bravo manifestante”), e giornata pagata nonostante siano “in sciopero”. Soprattutto, sono garantiti rispetto alle forze dell’ordine, schierate senza quegli orpelli (Tolfa, scudo, lacrimogeni) che invece gli operai dell’Alcoa ben conoscono;
    2. la FIOM a Taranto in passato ha promosso vertenze, ma MAI, in quindici anni, sul diritto alla salute; e ha sempre firmato gli accordi sindacali imposti dal padrone; ecco perché sulla questione ambientale non riesce a dire nulla: perché non ha mai detto nulla;
    3. all’interno del “comitato cittadini liberi e pensanti” (quelli del treruote, per capirci) ci sono operai che sono usciti dalla FIOM dopo anni di militanza, proprio perché non accettavano il muro di gomma sulla nocività; il portavoce del comitato è uno di loro, molto noto (anche se i vertici nazionali FIOM fingono di non saperlo);
    4. il comitato del treruote ha portato migliaia di persone in piazza, in pieno agosto, in assemblee pubbliche, cortei, o dibattiti (tremila persone che alle 21 di sera in pieno agosto vanno a discutere con Guido Viale sono qualcosa di diverso da tremila persone che vanno a sentire i comici di Zelig, mi sembra): Val di Susa a parte, anche senza usare il termine “accampata” o “occupy”, è la prima o seconda (mettiamoci le piazze di Parma del luglio 2011) a dare un’originale e autonoma versione italiana delle piazze spagnole;
    5. nondimeno, il mainstream giornalistico (complici anche alcune “note” firme locali – ogni rivoluzione ha il suo iscariota, a quanto pare) ha tutto l’interesse a minimizzare le pratiche del comitato e ad aumentare a dismisura quelle dei sindacati filopadronali, per far credere che la situazione è saldamente controllata dalle ragionevoli teste dei dirigenti sindacali e dalle autorità politiche regionali (leggi: Vendola), e a far credere che l’opposizione all’Ilva coincide con gl iambientalisti del partito dei verdi (che hanno candidato a sindaco il segretario nazionale Bonelli): che ci sono, ma non sono certo l’unica voce di opposizione, né i padrini del comitato;
    6. su quello che succede a Taranto ha scritto tre reportage molto belli (parere mio, eh….) Francesco Ferri: La lunga marcia del treruote, Il paradosso del treruote, Taranto, reddito vs lavoro: finalmente il cielo è caduto sulla terra; il comitato ha una pagina facebook, come pure il centro sociale Occupy ArcheTower, attivo all’interno del comitato;
    7. se mi permettete un filo di nostalgia vetero-, l’immagine di un operaio in piedi su un proletarissimo treruote affittato per poche decine di euro e guidato dal suo proprietario, un venditore di arance, che entra (a passo d’uomo, non certo sfondando o caricando) in piazza mentre migliaia di operai si aprono e lo fanno passare, e interrompe le vacue logorree dei dirigenti sindacali nazionali, è bellissima

    • @girolamo

      Ero presente all’assemblea con Guido Viale: un’esperienza davvero impressionante, piazza strapiena a metà estate, interventi a raffica, entusiasmo, voglia di cambiare radicalmente le cose e di prendersi in mano l’economia della città.

      Il comitato del 3 ruote è un fatto esplosivo, la sua entrata in piazza durante i comizi sindacali ha sparigliato tutto e la rabbia calunniosa con cui si è cercato di raccontare quell’evento come un’azione provocatoria e prevaricatoria è semplicemente indice del terrore che le burocrazie sindacali e politiche hanno rispetto alla possibilità che tornino le contestazioni dal basso, le “autoconvocazioni”, il lancio di bulloni ecc. La FIOM non può utilizzare la nomea di “sindacato diverso”, che si è conquistata a Pomigliano e Mirafiori opponendosi alla dottrina Marchionne, come se fosse un titolo nobiliare che le permette di fare a Taranto esattamente quello che accusa altri di fare a Torino e a Napoli: cedere a un ricatto ignobile da parte del padrone.

      Stasera la trasmissione di Gad Lerner parlerà di Taranto in collegamento dal quartiere Tamburi, da quel che so avranno voce anche esponenti genuini del Comitato e di chi sta lottando in quella città; credo che sarà un’occasione per farsi un’idea del clima che si respira nelle assemblee popolari e per sentire la loro voce.

      PS: Ci si becca anche su Carmilla, Girolamo! :-)

  23. PS (ma non OT):
    per chi gravita nell’area bolognese, mercoledì alle 19 al Bartleby ci sarà una serata su Taranto e l’Ilva, con la proiezione del corto (veramente molto bello) Fireworks del regista tarantino Giacomo Abbruzzese

  24. @ Girolamo

    Questa tua panoramica sulla situazione tarantina fa capire quanto il ritardo culturale della FIOM-CGIL stia presentando il conto, con buona pace di chi negli ultimi anni ha preteso di vedere la FIOM come un’avanguardia delle lotte del presente. Purtroppo non lo è. E sia chiaro che con questo non intendo dire che le lotte operaie siano sbagliate, ma, al contrario, che proprio la loro implicita necessità obbliga a mutare il paradigma “lavorista” con cui il sindacato le ha interpretate nel Novecento. Se non altro perché l’opzione obbligata tra lavoro e salute è precisamente una di quelle per eliminare le quali nacque il sindacalismo. Ma era l’Ottocento, cazzarola.

  25. Ecco, appunto: era l’Ottocento. Anch’io ho partecipato a lotte indette dalla FIOM: la mobilitazione degli scrittori contro il rogo di libri si avvalse degli spazi all’inteno dello sciopero nazionale dei metalmeccanici, a Bologna come a Padova. Ma il paradigma della FIOM è sempre, solo, maledettamente “lavorista”, chi non lavora non fa l’amore. E le lotte sono tali solo se le indicono loro, extra ecclesia nulla salus! Che a Taranto la casalinga dei tamburi, il quartiere distante 15 passi dall’Ilva e altrettanti dal cimitero (guardate questa foto), scenda di casa ed entri nel corteo con le ciabatte ai piedi, mentre l’operaio sindacalizzato non sa che fare e il governatore regionale si arrotola nei barocchismi retorici («La Regione oggi ha posto all’Ilva un problema: la percezione dei riflessi lenti dell’azienda e il bisogno di dare segnali di maggiore tempestività anche su elementi che sono molto simbolici e contemporaneamente molto concreti», testuale) qualcosa vorrà dire: quantomeno che la casalinga sui Tamburi la sa più lunga di quella di Voghera!

  26. C’è poco da dire e (purtroppo) sempre meno da fare: chi dimentica il proprio passato è destinato a ripeterne gli errori.
    Io sono uno di quelli che si “sbattono” per la Politica (notare la maiuscola) fatta tra e con la gente, e credo in quello che faccio. Ma sempre più ci si rende conto che l’attivismo è solo quello del NIMBY o delle proprie tasche, e nemmeno con uno sguardo al futuro, ma proprio le proprie tasche qui e ora ed anche alla faccia di quelle degli altri.
    Mi hanno colpito le interviste a quelli che i soldi per l'”aifone” manco ce lli avevano, ma era importante essere lì.
    Se questa è la cosa importante che vuoi che conti se ti tagliano i diritti? Purchè rimanga quello di esserci alle cose “importanti”….

  27. in più CGIL non riesce a fare nulla per i precari, quindi una grossa fetta di lavoratori lì non si trova rappresentata, se in una azienda il 60-70% degli operai è precario il sindacato non può nulla. Il loro “modello di lavoro” ideale è 38 ore settimanali con qualche premio e tempo indeterminato, sbaddere l’ operaio una vita in fabbrica senza la minima formazione così che con il passare del tempo lui sa fare solo quello e se la ditta chiude l’ operaio non ha i mezzi per riniziare un nuovo lavoro. Concordo che la lotta non dovrebbe riguardare, per un sindacato che sia tale, solo l’aspetto “lavorista” soprattutto in questa situazione econimica che necessita pensieri più virtusi del vi assicuriamo un lavoro indeterminato

  28. Vista da un’altra angolatura, non ci si sarebbe potuti aspettare dalla Grecia, indubbiamente quella messa peggio, praticamente alla fame, qualcosa di più di uno sciopero generale e di una grande manifestazione? Penso, forse mi illudo, che a parità di condizioni vedremmo in Italia una resistenza molto maggiore. Non è un discorso di caratteristiche nazionali dei greci, è una questione di tradizioni organizzative che per quanto indebolite non si sono perse. Forse c’entra anche il fatto che da noi il partito stalinista non c’è più, forse il rovescio della medaglia è uno spontaneismo piuttosto inconcludente, ma insomma io mi sento di accompagnare le foto a una didascalia che dice solo che le piazze di Bologna sono ancora vuote e che questo produce gravi errori di campionamento.

    A proposito di statistica, con tutte le cautele del caso, non risulta anche a voi che la disoccupazione in Spagna sia molto più alta che in Italia? E soprattutto, che è cresciuta più velocemente dall’inizio della crisi? (@plv: non sottovalutare la velocità della discesa) Stesso discorso credo si possa fare per il potere d’acquisto dei salari. Non dico che stiamo bene, ma come dice Mauro il peggio nella forma di un attacco generalizzato e diretto deve ancora arrivare, e quando arriverà avremo da scontare ritardi enormi ma forse non più grandi dei proletari del resto d’Europa.

    • Però lo sciopero di 24 ore è solo l’episodio più recente di lotte che durano quasi incessantemente da tre anni, e che hanno avviato una ricomposizione della sinistra radicale (con forti componenti di classe) che appena ieri ha “rischiato” di portare al governo una coalizione con un programma elettorale inimmaginabile, addirittura *impensabile* in Europa fino a pochissimo tempo fa. Io non feticizzo le tornate elettorali, ma anche quelle bisogna saperle leggere, non c’è solo la piazza, e dopo settimane, mesi, anni di pratica di piazza e scontri e sommosse e scioperi e suicidi dimostrativi, è normale e del tutto prevedibile che i lavoratori spostino un po’ dell’attenzione strategica dal selciato all’urna. Dopodiché, secondo me la realtà greca di oggi si può capire solo nel frame della “corsa contro il tempo”: se tarderà ancora uno sbocco/sblocco a sinistra della situazione, potrebbe esserci una vera e propria guerra civile, con possibile affermazione di un nuovo nazionalsocialismo, già presente e sin troppo influente nella vita pubblica del Paese.
      Questo è quello che hanno fatto “i mercati”.

  29. Detto brutalmente [più per stimolare la discussione in una direzione nuova che per altro]: se uno dei grossi problemi è l’inconcludenza di molto spontaneismo, non potrebbe essere dovuto anche dalla mancanza di una rete trasversale che unisca molte sensibilità distinte in una lotta comune? Più precisamente, andando a ripescare nelle pieghe della storia rivoluzionaria, non è che manca il sottosuolo di una struttura come fu quella Carbonara prima e Mazziniana e Garibaldina poi?
    Con ciò non voglio certamente sostenere l’ipotetica bontà della causa massonica, anzi, ma mi trovo sempre più in dubbio sulla possibilità di strutturare una qualsiasi dialettica virtuosa che non sia basata sulla reciproca amicizia e fiducia, sulle orme di quanto ho letto fin’ora di Cattaneo. Qualsiasi attività di piazza, fosse anche la miglior lotta sindacale, tende a perdere il suo valore soggettivo di “mutuo soccorso”, con la conseguenza pratica che si difende l’interesse contingente,magari acquisito precedentemente, e non si lavora per un fine comune più elevato.
    Inoltre a ciò va aggiunto che la struttura dei principali sistemi di potere in italia è proprio quella capillare e “mutualistica” che tanto è così difficile vedere da questa parte della barricata. Affrontare sistemi così dinamici attraverso la “massa”, lo “spontaneismo” e la “burocrazia” mi sembra come affrontare l’Idra con un rullo da imbianchino.

    Sono spunti un po’ a caso, ma magari possono aiutare la conversazione. ^ ^

  30. Un piccolissimo contributo, a proposito di Francia. Non rivolte sociali, ma violenza giovanile diffusa. http://petrolitico.blogspot.it/2012/10/francia-il-picco-della-republique.html L’autore del blog ha un’impostazione malthusiana e non crede molto nel progresso, ma lo spunto su cui volevo soffermarmi è: cosa succede ad una società in crisi senza nessuna organizzazione di massa che incanali il dissenso? Vedo analogie tra l’Italia e la Francia, solo che da loro la disgregazione è più avanzata. Dopotutto la Spagna e la Grecia hanno davvero qualcosa in più di noi, lì le acampade si sono strutturate nei quartieri e Syriza sta diventando un vero partito di massa (ma prima c’erano già gli stalinisti ad essere fortissimi in alcuni settori).

  31. Intanto Raffaello Mariani, coordinatore di Forza Nuova per la Romagna, dichiara: “Noi ci stiamo preparando alla guerra civile che travolgerà l’Europa, guardate cosa sta succedendo in Grecia.”

    Infatti, guardiamo cosa sta succedendo in Grecia.

    Più di un anno fa, dopo l’arresto di Breivik e senza sapere nulla di Alba Dorata, scrivevo qui su Giap che l’Europa andava verso una crescita dell’ultradestra xenofoba, pro-Tradizione (ovviamente fittizia, inventata) e anti-movimenti sociali, e argomentavo:

    «I fascismi d’ogni sorta servono, perché deviano attenzione ed energie proponendo falsi conflitti (es. “Europei” contro “Stranieri” anziché sfruttati verso sfruttatori). In uno scenario di crisi continentale e conflitto sociale, all’inizio dell’ultimo grande assalto bipartisan ai diritti sociali e a quel che resta del welfare state europeo, chiunque fornisca diversivi e permetta ai padroni di tirare il fiato troverà pronti riflettori, truccatori, commentatori, “esperti” e tutta quanta la compagnia di giro. Le destre estreme non si faranno pregare, e si presteranno a operazioni sozze, autorganizzate e/o eterodirette. La lotta contro i fascismi e i “leghismi” è dunque più attuale che mai. Studiare quella brodaglia ideologica fa schifo ma è più che mai necessario. E quando l’ennesimo commentatore vi dirà che l’antifascismo è cosa “del passato”, pensate ai vermi brulicanti in questo momento nel ventre d’Europa, e sarà facile capire che quel “passato” è importante, perché la resistenza va fatta sempre, perché partigiani lo si è tutti i giorni, perché non importa quali “cocktail” ideologici siano di volta in volta à la page nei milieux fascisti: gira che ti rigira, volta che ti rivolta, i fascismi sono fascismi, e l’antifascismo li combatte tutti.»

    Forza Nuova non è Alba Dorata, ma un’Alba Dorata potrebbe sorgere anche qui. E’ nella logica delle cose. Che nell’estrema destra europea ci sia chi pensa a colmare quello spazio ed emulare quel successo mi sembra addirittura scontato. “Ci prepariamo alla guerra civile”, come dichiarazione, è la spia di un fenomeno più generale, continentale, al quale stiamo prestando poca attenzione.

  32. #eppursimuove #5ott Studenti medi stanno manifestando in più di 20 città d’Italia, in modo radicale, più volte caricati dalla polizia. Speriamo che l’estate delle lotte Alcoa e Ilva sia stato il preludio a un autunno di mobilitazione *seria*. E’ vero, lo auspichiamo ogni anno da anni, tanto che ormai sarebbe da vietare l’espressione “autunno caldo” se non strettamente riferita alle lotte operaie del ’69. Ma qui o la va o la spacca.

  33. #eppursimuove #5ott Studenti medi

    ….sì eppursimuove come una ***PERULA***
    un abbraccio a tutti*

  34. Siamo in una situazione assurda, ma come si fa a dire che Bologna resiste. In Italia nessuno sta resistendo, siamo passivi. Oggi studenti picchiati in piazza e nessuno dice nulla nessuno si incazza…Dobbiamo prendere posizione di fronte a queste cose. So che le prese di posizione non servono a nulla, e allora andiamo oltre PRENDIAMOLI A SASSATE…

  35. Inatteso e perturbante: incontro tra deputati tedeschi ed esponenti del movimento #15-M spagnolo
    http://www.eldiario.es/politica/diputados-alemanes-impresionados-variedad-argumentos_0_57044498.html