Un giorno gli studiosi di storia locale si occuperanno della lunga decadenza di Bologna. E chissà che non dedichino qualche minuto del loro tempo al paradosso di questi giorni, come cartina al tornasole del livello di imbarbarimento che la città ha raggiunto. Parecchi anni fa, lo storico frontman degli Skiantos, Roberto “Freak” Antoni, pubblicò una raccolta di aforismi e poesie intitolata Non c’è gusto in Italia a essere intelligenti. Ecco, sembra che a Bologna questo sia vero due volte. Anche perché, nel caso specifico, si finisce a sbattere la testa sempre contro lo stesso muro, come i matti, con rispetto parlando. Lo si fa proprio mentre in provincia i muri sono ridotti a macerie e le preoccupazioni dovrebbero essere altre. In questo caso, il muro su cui si segna il livello di demenzialità è (ancora una volta) quello di Bartleby.
Dal settembre scorso la convenzione che Bartleby aveva con l’Università di Bologna è scaduta. L’Università vuole adibire quei locali di via S. Petronio Vecchio ad altra funzione. Con flemma degna di peggior causa si è avviato uno sbilenco tavolo a tre – Bartleby, Comune, Ateneo – per gestire il trasferimento in altro luogo, idoneo a portare avanti le attività culturali e politiche del collettivo.
Si tratta di concerti, reading, dibattiti, presentazioni di libri, assemblee pubbliche su temi d’attualità, insomma tutte quelle cose di cui Bologna tende a vantarsi in giro per vendere la propria immagine di “città della cultura”, ma di cui all’Università di Bologna non importa nulla, dal momento che ha sempre visto Bartleby come un problema anziché come una risorsa.
Non così l’Assessore alla Cultura, Alberto Ronchi, che – dopo un paio di false partenze – ha avviato un dialogo con Bartleby per trovare una soluzione al suo trasferimento. Soluzione che proprio in questi giorni sembra vicina.
Ecco, di solito questo è il momento in cui in una storia si profila all’orizzonte l’happy end e all’improvviso subentra un cattivo che lo allontana. Il villain di turno è il Rettorato, che da ieri annuncia lo sgombero dei locali di Bartleby. Urge cantierizzare subito, dichiara il prorettore Nicoletti, per non pagare penali che graverebbero sulle casse dell’Ateneo. In realtà, come si diceva, quelli di Bartleby se ne stanno per andare comunque, ed è prassi frequente aprire cantieri anche in momenti “di transizione”.
Ma non sarà proprio questa transizione a dare fastidio? E davvero l’Università è il solo “cattivo” di questa storia?
L’impressione è che ci sia un percorso che non va premiato in nessun modo, che va anzi punito, anche a costo di spaccature politiche e istituzionali: un percorso di autorganizzazione e autogestione che ha prodotto cultura e iniziative di qualità senza mendicare nelle anticamere dei poteri cittadini, né passare per le solite trafile burocratico-clientelari.
Da quasi un anno, una parte del blocco di potere locale – rappresentata dal PD – ha individuato in Bartleby il nemico, dipingendo quel posto come un covo di “violenti”, “facinorosi” etc. Questa è la vetta di assurdità sulla quale ci si è inerpicati: chiunque abbia una minima conoscenza della vita reale in città sa che descrivere quell’esperienza come un problema di ordine pubblico è platealmente ridicolo. Sarebbe bello se fosse solo idiozia: c’è anche quella, sì, ma con l’aggravante della malafede.
Sia chiaro: Bartleby non è certo l’unica esperienza di autogestione in città, e capiterà di doverne difendere altre, non meno meritorie. Ma Bartleby è in special modo una spina nel fianco dei Balanzoni locali per ragioni oggettive, per il terreno che ha scelto di praticare: l’intersezione tra produzione culturale e agire politico. Come diceva un compagno che quell’esperienza l’ha sempre difesa, Stefano Tassinari, a Bologna le contraddizioni più acute le illumini occupandoti di cultura, perché ciò tocca direttamente l’immagine e il modello socio-economico e produttivo della città.
E’ tanto più importante dire le cose fuori dai denti in questi giorni di terremoto. Il terremoto ha permesso di rispolverare i peggiori clichés su “emilianità” e “modello emiliano”. Gli emiliani sono terremotati di serie A; gli emiliani sono gente che si rimbocca le maniche; gli emiliani agiscono nella concordia in nome del valore del lavoro, senza distinguere tra operai e padroni; gli emiliani sapranno trovare il modo migliore e più rapido per ripristinare la “normalità”… Abbiamo letto articoli e visto trasmissioni televisive dove, all’improvviso, si dipingeva un’Emilia di trenta-quarant’anni fa, immobile nel tempo, fatta solo di tigelle, bonarietà e volontariato. Ci si è dimenticati in frettissima di tutti i discorsi fatti fino all’altro ieri: la penetrazione mafiosa nell’economia della regione, la cementificazione selvaggia, le devastanti grandi opere in Appennino, il malaffare nel mondo delle cooperative, la piramide di precarietà e lavoro nero su cui si regge l’imprenditoria locale, la crisi di legittimità della classe dirigente, gli exploit di Grillo come sintomo (o come effetto) della fine di un paradigma etc.
In particolare, Bologna è reduce da dodici anni di insipienza politica, scandali e commissariamenti. Eppure, la sua classe dirigente è più arrogante e vanitosa che mai: noi siamo sempre e comunque i migliori e non abbiamo bisogno che altri vengano a insegnarci alcunché. Cosa vogliono questi fuorisede? Dobbiamo impararlo da loro come si fa cultura? Che gli studenti paghino cinquecento euro per una stanza, stiano zitti e si godano il privilegio di esser morti di fame in questo bellissimo salotto.
Un comunicato di Bartleby sugli ultimi sviluppi:
Bartleby: la nostra forza è la vostra forza
Dopo la partecipatissima assemblea di ieri sera, e la notte trascorsa con centinaia di persone in via San Petronio Vecchio, questa mattina siamo andati al Rettorato dell’Università chiamando direttamente in causa il pro-rettore Nicoletti, che ieri ha pubblicamente annunciato lo sgombero di Bartleby. Abbiamo ribadito che siamo disposti a trattare, partendo però dal fatto che per Bartleby è importante e vitale poter portare avanti le proprie iniziative e garantire la continuità ai progetti, come il mantenimento del fondo Roversi (un’emeroteca composta da preziose riviste dagli anni ’50 ai giorni nostri). Abbiamo ribadito che esiste una trattativa concreta con l’Assessorato alla cultura e sarebbe responsabilità univoca dell’Università tentare di sgomberare Bartleby proprio in questo momento. Ma soprattutto abbiamo ribadito che saremo sempre in tanti a difendere questa esperienza. Perché Bartleby è soprattutto un luogo dove in autonomia si organizzano iniziative politiche per combattere il presente di miseria che governi tecnici, lobbies finanziarie e partiti che li sostengono, vogliono consegnarci. Miseria che passa anche attraverso le aule universitarie e il declassamento continuo dei saperi. Bartleby non pone solo il problema della necessità di spazi per la produzione autonoma di saperi dentro e fuori l’Università, in una città soffocata dal provincialismo e dal clientelismo. Pone il problema della precarietà e dello sfruttamento di chi rende ricca la città di Bologna. E su questa strada continueremo a batterci, per la sicurezza di un reddito, per sperimentare nuove forme di partecipazione politica, contro chi invece vorrebbe eliminarci. Lo faremo già a partire da questa sera alle 19, quando nei locali di via San Petronio Vecchio 30/a si svolgerà una tavola rotonda sulla precarietà nel lavoro artistico e culturale con ospiti Giso Amendola (Università di Salerno), il Teatro Valle Occupato e il Teatro Garibaldi Aperto di Palermo. A seguire la festa di autofinanziamento di Nation Of Arts.
A fronte di tutto ciò i lavori sono iniziati nello stabile a fianco di quello in cui si trova Bartleby, mostrando che quello che proponevamo da settimane è assolutamente realizzabile. L’università ha tentato l’ennesima, ridicola, prova di forza, come sempre respinta al mittente.
Da parte nostra la guardia resta alta.
Tutta la nostra forza è tutta la vostra forza: vi aspettiamo!
SI’….E’ PROPRIO COSI’……
“Tutta la nostra forza è tutta la vostra forza”………..
Vi segnalo lo storify Il nome di Bartleby · furiacervelli · http://goo.gl/c2ctn
Anche al gruppo di cui faccio parte è capitata una cosa del genere, con le dovute proporzioni (Da quel che leggo qui, Bartleby è una realtà molto più avanzata e strutturata). Fa specie vedere che ogni scusa è buona per inchiappettare i giovani propositivi, per poi lagnarsi che gli stessi non abbiano idee. Queste dimostrazioni di potere sono veramente imbarazzanti.
Massima stima per chi lavora in questo collettivo e il sincero augurio che la cosa si risolva con una soluzione che non ne snaturi i propositi o l’esistenza.
Hola a tod@s,
in questi giorni di caos non ho avuto il tempo di fermarmi a leggere. Lo faccio oggi e vi ringrazio, ancora una volta.
Quello che fa piacere in questo post e in altri articoli che sono usciti è la capacità di partire dal “caso Bartleby” per allargare la tematica. Meno male che è così, infossarsi sulle tematiche relative ad un collettivo, per quanto possa essere importante negli equilibri di una città, rischierebbe di chiudere tutto il discorso.
Ci si è concentrati invece, su quanto c’è al di fuori di Bartleby. Sull’università che ha scelto “la via kafkiana dell’insensato perché non ha più idee, parole e senso, ridotta ad essere un’azienda governata da interessi altrui” (dal comunicato del laboratorio Smaschieramenti, http://smaschieramenti.noblogs.org/).
Ci si è concentrati sui poteri cittadini che, sotto sotto, ben nascosti, ci stanno facendo guerra da mesi, senza mai uscire allo scoperto.
Ce ne siamo resi conto in questi giorni: Bartleby è in mezzo questioni che vanno ben oltre Bartleby stesso. C’è una sinistra che sta cercando di sopravvivere e in questo tentativo si dibatte come un drago abbattuto, dando colpi di coda folli.
Noi, per il momento, abbiamo resistito. Ad altri, in città, è andata peggio: ricercatori, asili, lavoratori del mondo della cultura… e di esempi ce ne sono altri.
Forse, e dico forse, per noi il 15 ottobre è finito venerdì scorso, umiliando pubblicamente il prorettore Nicoletti e ospitando, la sera stessa, gli artisti di Bologna, Macao, il Teatro Valle, e gli occupanti del teatro Garibaldi. E’ un piccolo passetto, tutt’altro che facile e lineare, e sicuramente è un passo ancora troppo parziale. Ma per noi molto importante. Dopo il delirio autunnale si torna a parlarsi fra tanti e in tutta Italia.
In questi giorni non ci siamo sentiti soli nemmeno per un attimo, anche grazie a voi wuminghi e giapsters. I telefoni scottavano, le mail si sommavano, gente che non avevi mai salutato ti incontrava per strada e ti diceva “domani mattina alle 6 arrivo da voi”.
Per il momento (e sottolineo, per il momento) si è vinta una piccola battaglia, Bartleby è ancora lì, la sua continuità è messa a salvo. Ma il difficile inizia ora, dopo che ti sei stabilizzato devi aprire le porte di casa e uscire.
La crisi è ancora lì e sarà piena di colpi di coda.
abrazos