Anteprima: Wu Ming 1 su «22/11/63» di Stephen King

Stephen King, 22/11/63[WM1:] Tra pochi giorni, l’8 novembre, uscirà in simultanea mondiale il nuovo romanzo di Stephen King, 22/11/63.
In Italia l’ho tradotto io. Ci ho lavorato sopra molti mesi. Ho accettato una sfida e sono uscito dalla mia “zona di comfort”. Leggendolo, non vi sarà difficile capire cosa intendo. E’ un libro che mi ha gettato raudi tra i piedi, e mi ha posto svariati problemi (e non parlo dello stile). Problemi che non potevo scrollarmi di dosso alzando le spalle, dicendo: non mi riguardano. Perché me li ero scelti. E’ importante, per uno scrittore, uscire dalla propria “zona di comfort”.
22/11/63 è forse il romanzo più “filosofico” di King, e potrei anche togliere le virgolette. Stimola continuamente riflessioni sul tempo, sul corso della storia, su linearità e cicli, sul ricominciare da capo, sul nostro agire ed essere agiti, sul nostro essere soggetti costituiti che si pensano costituenti… e viceversa, in una scorribanda schizofrenogena, tra teoria delle stringhe e allegorie profonde.

Non vorrai dirmi che tu
sei tu o che io sono io.
Siamo passati come passano gli anni.
Altro di noi non c’è qui che lo specimen
anzi l’imago perpetuantesi
a vuoto –
e acque che ci contemplano e vetrate,
ci pensano al futuro: capofitti nel poi,
postille sempre più fioche
multipli vaghi di noi quali saremo stati.

(Vittorio Sereni, «Altro posto di lavoro», 1975)

22/11/63 è il romanzo più intenzionalmente politico di King. Ma forse lo è di più quando crede di esserlo di meno, e viceversa. Per ora, non posso spiegarmi meglio senza rovinare la lettura.
22/11/63
, questo posso dirvelo subito, ha un finale bellissimo.
Ma insomma, di che parla, ‘sto romanzo?
Qui sotto, il testo di un immaginario risvolto di copertina. Soltanto un esercizio di stile: sul vero risvolto c’è scritto altro.

«Se mai hai voluto cambiare il mondo, Jake, questa è la tua occasione. Salva Kennedy. Salva suo fratello. Salva Martin Luther King. Ferma le rivolte razziali. E forse fermerai anche la guerra in Vietnam.»
Non importa quante volte scendi nella “buca del coniglio”: sbucherai sempre nel piazzale di una fabbrica tessile di Lisbon Falls, Maine, ore 11:58 del 9 settembre 1958. E non importa se resti in quel passato per giorni, mesi o anni: al tuo ritorno, saranno sempre trascorsi due minuti.
La “buca del coniglio” è nella dispensa della tavola calda di Al Templeton. Puoi usarla per farti un giro… o per salvare il mondo. Potresti scongiurare una guerra civile, nientemeno: quella strisciante che dilaniò gli USA dopo l’uccisione di John F. Kennedy a Dallas, 22 novembre 1963. Escalation in Vietnam, omicidi politici, rivolte urbane, brutalità poliziesca, scandalo Watergate… Puoi impedire tutto questo, fermare la reazione a catena, se sei disposto a donare cinque anni di vita. E a lottare ogni giorno contro il passato. Perché è inflessibile: non vuole essere cambiato. Accetterai la missione?
Be’, dipende da come andrà un «esperimento»… in una città chiamata Derry.
Un quarto di secolo dopo It, monumentale opera sul passato che ritorna, e un decennio dopo Cuori in Atlantide, popolato dai fantasmi degli anni Sessanta, Stephen King ci sorprende ingaggiando un match con la Storia e regalandoci un ambizioso romanzo-fiume. O meglio, un romanzo-spartiacque nel quale il passato richiama il presente: l’America di Barack Obama, dei Tea Party, di nuove tensioni politiche e sociali.

POST CORRELATI

Speciale Stephen King: Notte buia, niente stelle

Su Anobii: Punto di raccolta delle critiche alla mia traduzione di NBNS (fondate e non)

Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)

57 commenti su “Anteprima: Wu Ming 1 su «22/11/63» di Stephen King

  1. Be che dire. Ogni commento prima di leggerlo potrebbe essere avventato o speculativo. Dalla premessa sembra uno dei migliori romanzi di Stephen King. Ma vedremo!

    Premettendo i complimenti per la sfida che hai accettato, ti chiedo solo alcuni chiarimenti se hai voglia: qual’e’ la tua zona di comfort? . E riconoscendo che un traduttore e’ uno scrittore, cosa hai messo di tuo nell’opera? Ti hanno scelto, dopo anni di un altro traduttore, proprio perche’ questo romanzo di King sembra diverso dai precedenti?

    Grazie

  2. @ ecogen

    non è la prima traduzione di SK che faccio. Ho tradotto il libro precedente, Full Dark, No Stars e la novella Herman Wouk Is Still Alive. Prossimamente ri-tradurrò On Writing.
    Sui perché del cambio di traduttore: innanzitutto preciso che io non sono *il* traduttore di SK in regime di monopolio. Già nel 2012 uscirà un romanzo non tradotto da me (The Wind Through The Keyhole). Sul resto, purtroppo è impossibile parlare delle motivazioni di Sperling & Kupfer senza dare l’impressione di criticare il traduttore precedente, Tullio Dobner. Cosa che non ho la minima intenzione di fare.
    Su come traduco King e cosa “ci metto di mio”, consiglio il primo dei link proposti in calce al post, dove c’è una mia intervista in proposito, ma soprattutto, c’è l’audio di una mia conferenza sul tema.
    Sulla zona di comfort, rimando a dopo la lettura del romanzo, quando tutto sarà più chiaro.

  3. Non ho letto niente di King, stupido snobismo, ultimamente osservo copertine leggendo retrocopertine aspettando la giusta ispirazione che mi porti al banco dei pegni letterari; questa è l’occasione attesa per una nuova avventura in un modo sconosciuto.

  4. Mi sembra uno spunto eccellente, simile a quello del film «Il giorno della marmotta» (che in italiano dovrebbe essere «Ricomincio da capo»). Non vedo l’ora che esca! (aggiungerei: in formato tascabile; gli hardback hanno raggiunto prezzi che non posso permettermi). On Writing l’ho letto in inglese, e ha decuplicato la mia stima per King.

  5. […] di genere. Per fortuna, non sempre e non tutti. Colgo l’occasione per postare una piccola anteprima di Wu Ming 1 sul nuovo romanzo di Stephen King. Soprattutto, è importante il passo dove il […]

  6. Grazie Wu Ming 1!!!
    Non vedo l’ora di leggere il romanzo!

  7. […] Antonio Monda intervista Stephen King sul nuovo romanzo, 22/11/63, in uscita per Sperling&Kupfer con la traduzione di Wu Ming 1: […]

  8. La discussione su Anobii (flame a parte) è molto interessante. A un certo punto uno dei commentatori (non ricordo quale, saran state le due di notte mentre la leggevo) nota come la querelle abbia spinto molti a comprare anche l’edizione inglese (fatto senza dubbio positivo) ma si domanda che senso abbia voler leggere l’originale se poi non si conoscono le sfumature della lingua. E’ una domanda che può suonare snobistica ma anche sensata, secondo come la giri: un testo lo leggo (cioè lo ‘ri-creo’) con le parole che so, ma anche con la profondità di significati che riesco ad attribuire loro.
    Per dire, io (che l’inglese credo di saperlo decentemente) ci sto mettendo anni per riuscire a “leggere” certi testi perché solo ora le parole in inglese continuano a suonarmi, e neanche sempre. Ora sto leggendo Sherwood Anderson in originale e mi suona, ma quando ho provato a leggere l’inglese di Les Murray, ho dovuto arrendermi. Ci ritornerò tra qualche anno, penso.
    Mi sembra di poter dire che, al di là dei meccanismi di “fedeltà” al vecchio traduttore, che sicuramente giocano un ruolo (cambiare il traduttore di King è un po’ come se al cinema “De Niro cambiasse voce” ), ci sia anche una sorta di letteralismo, una fedeltà percepita istintivamente dal lettore poco avvezzo all’inglese. Per dire, contro “babbo” si propone “Pa’”, che non ha affatto lo stesso suono dell’originale (se per suono intendi il ritmo, ad esempio), ma mantiene la “p” ed è apparentemente più simile. Contro “mestatore” si propone ‘connivente’ che non è altro che un calco lessicale (e come tutti i calchi lessicali, provoca collassi di significati). Credo che in questo letteralismo “al ribasso” non c’entrino molto né berman né meschonnic con la loro poetica del tradurre, ma una certa abitudine al calco, insita nella nostra cultura, e nella massa di roba che si legge. E’ un problema endemico nella letteratura popolare, come si sa, ma anche endemico nel nostro italiano e nella massa di roba che gira in rete (tempo fa sul sito di Repubblica ho letto che qualcuno era un «graduato» di una certa università americana. Ma per favore!). Leggiamo continuamente è una massa di traduzioni non dichiarate o traduzioni di “servizio”, come si dice solitamente. Ma al servizio di chi?

    (Preciso che non sono assolutamente addentro a king e non in grado di contribuire costruttivamente al merito della discussione. ma ho piacere di leggerla, e posso dire per esperienza diretta che nulla è più istruttivo del confronto tra originali e traduzioni, e possibilmente traduzioni di mano diverse).

  9. Mi sono auto-corretta e sono saltati alcuni nessi sintattici, spero si capisca. Altrimenti toccherà tradurre… dall’ugrofinnico (L.B.)

  10. A proposito di calchi, Eco ricorda sempre i bei tempi in cui per New York i gialli parlavano di “città alta” e “città bassa” come se fosse Bergamo:)
    Il discorsodi @fulgiva “un testo lo leggo (cioè lo ‘ri-creo’) con le parole che so, ma anche con la profondità di significati che riesco ad attribuire loro” è ovviamente giustissimo, ma vale per lo stesso italiano, sia nel senso che in “tanto gentile e tanto onesta pare” gentile non vuol dire gentile, onesta non vuol dire onesta, pare non vuol dire pare e (rilanciando oltre Contini) pure sul tanto ho qualche dubbio…; sia nel senso che non si può capire\godere di 54 senza aver visto alcun film di Cary Grant…
    Quando poi uno scrittore traduce uno scrittore queste “competenze” e “contesti” si incasinano ancora di più, e quindi, come avevo già scritto -con boutade certo facile ma non menzognera per Notte Buia-, il King di Wu Ming 1 crea i suoi precursori, ovvero Stephen King ha letto anche Rosa Luxemburg, Calvino, Fenoglio, Foucault e Deleuze (in lingua originale e in traduzione). E il King del romanzo politico 22/11/1963 *ha sicuramente letto* anche 54 e Q .
    Con questo non voglio liquidare la questione con fini considerazioni “borgesiane” né voglio far finta di ignorare che la scelta di Sperling & Kupfer ha anche ovvie e ineccepibili motivazioni commerciali (“si svecchia King”, perdendo magari qualche fan storico ma recuperando un pubblico “giovane e colto da libreria”), ma davvero mi rompe un po’ le scatole leggere paginate di pareri e flames su come viene resa più o meno “propriamente” la singola parola… Senza mai allargare un po’ lo sguardo, senza far mai respirare il testo. In questo modo non si rende giustizia a WM1 (che può sbagliare un termine, restando comunque grande traduttore) e nemmeno a King. E anche a Dobner non è che si faccia così un favore… Insomma in molti pareri mi pare che al posto di una discussione sulla lingua e la traduzione vi sia il solito giochetto internettaro sul pretestuoso e ingeneroso pwned, ti ho beccato. E questo lo trovo un poco avvilente…

  11. @ jumpinshark

    “il King di Wu Ming 1 crea i suoi precursori, ovvero Stephen King ha letto anche Rosa Luxemburg, Calvino, Fenoglio, Foucault e Deleuze (in lingua originale e in traduzione)”

    Beh, un esempio di questo è che in “1922” (primo racconto di Notte buia, niente stelle), il protagonista e io narrante, Wilf, dice:

    “Alla fine siamo tutti presi in dispositivi che noi stessi costruiamo. Ci credo veramente. Alla fine siamo tutti presi.”

    Leggendo, uno potrebbe pensare: Foucault??! Naaah, questo è proprio un intervento arbitrario di WM1!!!
    E invece no. Ecco la frase originale:

    In the end we are all caught in devices of our own making. I believe that. In the end we are all caught.

    La mia traduzione non è arbitraria, e al contempo il riferimento filosofico me l’ha servito King su un piatto d’argento. “Device” è una delle parole più usate per rendere in inglese il francese “dispositif”, in italiano facilmente tradotto con “dispositivo”.
    Analogamente in 22/11/63, lo vedrete, ricorre la parola “risonanza”, molto familiare tanto a chi ha seguito le discussioni degli ultimi mesi su Giap, quanto a chi conosce il Comité Invisible (già Tiqqun etc.)
    Una mia scelta arbitraria per far sembrare King in… “risonanza” con certa teoria radicale?
    Assolutamente no. Come vedrete leggendo, anche in questo caso la scelta terminologica era servita su un piatto d’argento.
    E’ probabile che un altro traduttore avrebbe scelto altri vocaboli. Ma io, avendo l’opportunità di aggiungere al testo un’ulteriore… risonanza (seppure esoterica, comprensibile a pochi), avrei forse dovuto rinunciare alla parola “risonanza”? :-)

  12. @jumpinshark sì, e infatti in aggiunta all'”Esercizio di interpretazione su un sonetto di Dante” ricordo che Steiner nel suo “After Babel” parla di traduzione da un’epoca storica all’altra, e contestualmente di invecchiamento delle traduzioni, e dice che il problema non è “fedele/infedele” ma che una buona traduzione risuona (risonanze…), vibra nel suo contesto e proprio per questo è condannata a invecchiare. Ora, so bene che quel saggio è stato criticato e demolito in molti modi, sia nell’insieme, sia nella globalità, ma *quella parte* secondo me rimane in piedi.

    A latere: secondo me c’è anche un atteggiamento particolare nel dire, “compro l’originale, mò che Amazon me lo permette, così ti sbugiardo”, anche se magari poi non sai abbastanza l’inglese e quindi ti fermi alla letteralità, alle connessioni più terra terra. Il che è ben diverso dal dire “Compro l’originale perché voglio capirci di più e imparare qualcosa”, o dal dire “Anche se non so l’inglese, esprimo un legittimo parere di lettore nel dire che questa frase non mi torna”. Qui c’è un problema culturale, di attitudine alla semplificazione, c’è poco da fare. E da dire, anche.

    Invece — rispetto all’ultimo commento di Wu Ming 1 – mi viene da domandarmi se un traduttore possa avere un suo “idioletto”. E questo non solo per quei traduttori che sono/sono stati a propria volta scrittori di romanzi, e che nel loro particolare “idioletto” traduttivo hanno sperimentato soluzioni che poi sarebbero entrate nella loro narrativa e più in generale nella lingua italiana, ma in generale per tutti quelli che si trovano a riscrivere un libro in un’altra lingua.

    Scusate, ho scritto un chilometro.

  13. Sperling & Kupfer sin’ora non ha ancora messo in vendita alcun ebook di King, con questa imminente uscita rivedranno le loro scelte?
    Considerando che l’autore ha un seguito di fan tra i più nutriti non passeranno cinque minuti prima che qualcuno piazzi il volume sotto una lampada.
    Per non parlare dell’entusiasmo che lo scrittore ha sempre manifestato nei confronti della lettura digitale.

  14. Già in “The Dome” la riflessione filosofica sul sistema spazio-tempo si innestava su quella politica e ecologica. Uno dei romanzi più complessi e godibili dell’ultima produzione di Stephen King.

    Non vedo l’ora di leggere 22/11/63.

  15. […] del re del terrore che uscirà domani contemporaneamente in tutto il mondo, in Italia tradotto da Wu Ming 1 per Sperling & […]

  16. […] del re del terrore che uscirà domani contemporaneamente in tutto il mondo, in Italia tradotto da Wu Ming 1 per Sperling & […]

  17. Be’, De Niro ha GIA’ cambiato doppiatore, da anni, eppure non è diventato meno godibile.
    Sono certo che sarà un ottimo lavoro, WM1.

  18. È diventato meno godibile, ma per questioni estranee al doppiaggio :-)

  19. ho cominciato a leggerlo ieri. a parte tutte le considerazioni politiche e filosofiche, c’e qualcosa che mi sta colpendo a tradimento e in profondita’, qualcosa che ha a che fare con i sapori, gli odori, il tipo di luce, i suoni, insomma la sensorialita’.

    mi sono disteso sul letto e ho provato a riacchiappare la luce del ’75, gli odori del ’75, ecc.. e’ una cosa struggente.

  20. L’ho iniziato e non ne parlo finché non sarò arrivato alla fine. La traduzione wuminguniana di Notte buia, niente stelle mi era piaciuta così come il libro, anche se forse un po’ troppo consolatorio. Volevo però approfittare di questo spazio per segnalare un paio di punti da rivedere. Da pagina 230 a pagina 240 si parla delle World Series di baseball e c’è qualcosa che stona nel racconto delle partite. Specialmente nella fine “pareggiarono 2-2 nell’ottavo inning, segnando quattro punti e vincendo le World Series.” All’inizio non mi suonava perché per pareggiare 2 a 2 basta farne due di punti e non quattro e poi nel baseball il pareggio non esiste e quindi i quattro punti dovevano essere arrivati dopo il pareggio. Mi sono andato a cercare lo score delle World series del ’58 e si vede che all’ottavo inning già pareggiavano e poi gli buttano dentro quattro punti all’inizio dell’ottavo e vincono 6 a 2. Quindi la frase giusta dovrebbe essere “Giovedi pareggiavano due a due all’ottavo, quando hanno segnato quattro punti vincendo le World Series” Vabbè, quanto la fai lunga, direte voi. Però è sabbia che si infila negli ingranaggi del lettore. E dallo score si vede pure che altre affermazioni del libro non combaciano. “Mercoledì 8 gli Yankees batterono i Braves 2-1” Wikipedia dice che gli Yankkes hanno vinto 4 a 3; e anche Gara 1 non è finita 1 a 0 come sta scritto nel libro. Adesso, non è che io a Wikipedia ci creda ciecamente, ma non credo che la Cia abbia interesse a sballare i risultati del baseball per coprire l’assassino di Kennedy… Probabilmente è sempre la stessa sabbia negli ingranaggi. Consiglio di far leggere le 10 pagine in lingua originale a qualcuno che mastichi di baseball per oliare il meccanismo.
    P.S.
    Anche a pagina 278 si parla di una “grande sfida finale” per definire le World Series. Se la locuzione è del Re in persona l’appunto va a lui perché di sfide finali negli States ce ne sono una sporta e vai a sapere se invece stava parlando del Superbowl o del campionato di basket…

  21. @ zaphod

    grazie mille delle segnalazioni.
    Almeno per quanto riguarda la prima frase che citi, credo di aver capito cos’è successo. Per farlo capire anche a te e a chi ci legge, devo prima spiegare il mio metodo di lavoro in casi come questo.

    In primissima battuta, tutte le frasi su baseball e football le ho tradotte in modo “sporco” (con frasi che erano veri e propri calchi dall’inglese) e lasciate in grassetto per un controllo successivo, prima mio e poi eventualmente dell’editor.
    Avevo già lavorato così nel 2003 traducendo Tishomingo Blues di Elmore Leonard, romanzo in cui il baseball ha un ruolo importante, e a quanto mi risulta andò tutto liscio. Stavolta, invece, ci sono stati problemi, perché mi sono concentrato moltissimo su certi grossi rompicapi che il romanzo presentava, e alla fine ho negletto il baseball :-(

    Ti copio qui la versione originale della frase:

    On Thursday they broke a two-two tie in the eighth, scoring four runs and closing the Series out“.

    King usa il gerundio: “scoring”. E la mia traduzione è un calco della sua frase.
    Solo che quel gerundio in inglese, probabilmente si appoggia a un implicito “then”, come se in italiano uno scrivesse (metto l’aggiunta in corsivo):

    “pareggiarono due-due all’ottavo inning, segnando poi quattro punti e vincendo le World Series”.

    La mia svista deriva dall’essermi accontentato del calco. Se avessi ricontrollato bene tutte le frasi, come avevo fatto per il libro di Leonard, probabilmente mi sarei accorto che il gerundio di King non indicava contemporaneità, e forse avrei aggiunto quel dannato “poi”, oppure avrei reso la frase come suggerisci tu, eliminando il gerundio.

    E’ vero, il gerundio è un tempo verbale ambiguo, ma in questo caso è ambiguo per chi non respira football fin da piccolo. Certamente i lettori americani non si confondono.

    ***

    Per quanto riguarda le altre partite, ti sottopongo le frasi originali di King:

    On October first, Milwaukee beat the Yankees one to nothing

    On wednesday, the eighth of October, the Yankees squeezed out a two-to-one win over the Braves

    ***

    Riguardo a “grande sfida finale”, in effetti come superlativo funziona male, a tutt’oggi non ho ancora in mente una bella resa in italiano di “a heck of a Series“, considerato l’impiccio singolare-plurale e l’assenza di un corrispettivo in italiano. Ci sono molte altre cose che avrei reso meglio, in questo romanzo, ma dopo dieci mesi di lavoro, a un certo punto dovevo pur consegnare il testo.

  22. Tranquillo… so cosa significa dover consegnare entro la scadenza. I miei erano solo appunti di un lettore abituato a mettere bocca nei testi che legge e che crede che il “confronto pubblico” sia occasione di crescita per chi legge. In tutti i campi.
    Dunque: mi sono riandato a vedere lo score del World Series (http://en.wikipedia.org/wiki/1958_World_Series) e mi sono accorto che in tutti e due i casi la partita è finita al decimo inning. E i punteggi che indica King sono quelli del decimo. Spiego meglio per chi di baseball non sa niente: una partita di baseball dura 9 inning, se alla fine si è in pareggio si continua ad oltranza. Per quanto ne so in Italia (almeno tra le mie conoscenze, ma non sono un professionista del campo) quando una partita finisce con gli extra-inning nelle cronache si usa il punteggio complessivo. “Il primo di ottobre Milwaukee batté gli Yankees quattro a tre al decimo.” Probabilmente in America quello che conta è il risultato dell’inning decisivo, oppure dallo slang della frase complessiva (ma non mi sembra) c’è qualche cosa che fa capire che si parli del decimo inning.
    [Evidentemente gli americani hanno rispetto a me una scansione psicologica del gioco più marcata: l’accenno alla fine di pag. 231 al punteggio del sesto inning io non l’avrei mai fatto (e mi piacerebbe sapere com’era in originale) un inning di baseball è come un set di tennis, non sai quanto può durare, come faceva Amberson a usarlo come termine di paragone temporale proprio non lo so]
    Per quanto riguarda l'”heck of a Series” un paio di pagine più avanti riporti le parole dello stesso personaggio”Se Freddy non avesse detto che le World Series sarebbero state roba grossa…” magari si può usare la stessa locuzione, anche se rispetto all’originale potrebbe essere una forzatura…

    Vabbè, comincio a essere petulante.
    Alla prossima.

  23. Dopo un suggerimento arrivato via Twitter da Alessandro Lanni, capisco meglio l’inghippo della prima frase e l’uso del gerundio da parte di SK: la chiave è nel verbo “broke”, il gerundio ha funzione modale, indica *il modo* in cui viene spezzato l’equilibrio del 2-2! In pratica, ho confuso la funzione modale con una funzione temporale :-P

  24. Ooops… a volte ritornano.

    Mi sono riletto la versione originale della prima frase: “I Milwaukee hanno rotto un pareggio di due a due portando a casa quattro punti all’ottavo e vincendo la serie.”
    O giù di lì.

  25. …e il bello è che il post l’ho scritto prima di leggere quello di WM1

  26. @ zaphod

    nemmeno a me sembra ci sia nulla a segnalare che SK parla dei punteggi del decimo inning. Questo mi consola, almeno in quei due casi non si tratta di errori da parte mia, visto che ho tradotto fedelmente.

    Per quanto riguarda la frase alla fine di pag. 231, eccola in inglese:

    If things went as I hoped, I’d be done in Derry before Milwaukee scored what would prove to be the only run they needed in the sixth inning

    Però a me sembra chiaro che qui Jake/George sta ragionando col senno di poi, sapendo già come finirà la partita.

  27. Propongo:
    “Giovedì, superarono lo stallo di un 2-2 all’ottavo inning segnando quattro punti e vincendo le World Series”

  28. Rilancio:
    “Giovedì, superarono lo stallo di un 2-2 segnando quattro punti all’ottavo inning e vincendo le World Series”

  29. Approvata all’unanimità, allora. La segnalo a Sperling & Kupfer :-)

  30. Dalla casa editrice hanno risposto prima di immediatamente!

    “Grazie mille! Abbiamo appena fatto una seconda edizione
    ma spero proprio ce ne sia una terza. Qualunque altra cosa salti fuori fammela sapere subito. Sono preziosissime le segnalazioni dei lettori.”

  31. @ WuMing 1

    Una curiosità, anche se probabilmente si tratta di una stupidaggine o di un malinteso.

    Il protagonista del romanzo cita diverse volte un proverbio giapponese: “Se c’è l’amore, le cicatrici da vaiolo sono come fossette”. Il senso, più avanti, viene esplicitato: se si è innamorati, anche qualcosa di terribile può sembrare lieve.

    Ora, la prima volta in cui l’ho letto, il significato mi era sembrato tutt’un’altra cosa: se esiste qualcosa come l’amore, allora (al confronto), si può minimizzare anche qualcosa di terribile come le cicatrici da vaiolo.

    Probabilmente nella mia (errata?) interpretazione hanno giocato due fattori: un richiamo a livello inconscio a un’altra opera di King, “Il Corpo”, in cui c’era una frase del tipo “L’amore ha i denti, quei denti lasciano ferite, non si ferisce mai da tali ferite”, e forse anche una situazione personale.

    Volevo chiederti se nel tradurre il romanzo hai rilevato questa doppia chiave di lettura e l’hai resa, o se invece si tratta semplicemente di un mio errore.

    Ultima cosa: non ho ancora finito di leggere il libro.

    Grazie!

  32. Non sono mai stato un grande ammiratore di SK, davvero.
    E, lo giuro, ho comprato 22/11/63 il giorno della sua uscita in libreria solo perche tradotto da Roberto.
    Questo romanzo è una BOMBA! Davvero! Una di quelle che ti scoppia tra le mani se non sei lucido a decidere il da farsi ogni secondo che passa.
    Forse non leggerò mai altri romanzi di SK, ma questo si è scavato una buca nel mio cervello e mai se ne andrà da lì..

  33. Un chiarimento
    a pag 727 Jake parla delle auto e dice: Tutte quante esibivano adesivi rosa sui parabrezza, con la scritta a grandi lettere nere, visibile anche di notte: UN ADESIVO A DELLA PROVINCIA DEL MAINE PROCURA SEMPRE UN LIBRETTO ANNONARIO.

    a pag 734 Jake dice
    mentre ci pensavo su, ricordai gli adesivi sulle auto. “da quanto tempo il Maine fa parte del Canada?”

    Perche?
    cosa significa l’adesivo sul parabrezza? e perchè da quello si capisce che il Maine fa parte de canada?

  34. Perché è il Canada ad avere le “Province”.
    http://en.wikipedia.org/wiki/Provinces_and_territories_of_Canada
    Gli USA hanno, come dice il nome stesso, gli “Stati”.

  35. @ LiDongAn

    a dire il vero no, non avevo percepito la “doppia chiave” a cui fai riferimento tu, quindi non mi sono adoperato a renderla.

  36. Colgo l’occasione per augurare Buon anno a tutti i Wuming e agli amici Jumpingshark e El Pinta.

    @ Wuming 1

    Finito il libro oggi stesso, avrei molte domande da fare ma per farlo dovrei svelare particolari e finale del romanzo. Posso parlare liberamente? Aspetto risposta prima di farlo

    Solo due domande per ora:
    – Quando parlavi della tua zona di comfort ti riferivi al punto di vista di King sull’assassinio di J.F.K.?
    – Per tradurre il libro hai comunicato direttamente con King? Questa e’ piu’ una curiosita’, mi piacerebbe sapere come “funziona” la relazione scrittore-traduttore.

    Grazie

    Eco

  37. @ Ecogen

    puoi scrivere liberamente, ma in testa al tuo commento specifica che contiene spoiler.
    Ecco le mie risposte alle tue due domande:

    1) Sull’assassinio Kennedy sono agnostico, se qualcuno mi convincesse che è stato Oswald, non avrei problemi ad accettarlo. Di certo, il modo in cui King pretende di far piazza pulita delle ipotesi alternative (di “chiudere la finestra dell’incertezza”, come ripete spesso Jake Epping) non è granché convincente…
    Ad ogni modo, non mi riferivo a questo quando parlavo della mia “zona di comfort”. Mi riferivo a un aspetto ancor più politico.
    Io ritengo che molte delle cose presuntamente deliranti che King fa dire a Oswald… non siano affatto deliranti, anzi, le trovo piuttosto ragionevoli.
    Oswald parla bene della rivoluzione cubana, dice che a Cuba la sanità è diventata un diritto di tutti, dice che gli emigrati russi che compaiono nel libro hanno leccato i piedi ai nazisti, dice che il ragazzo che vende abbonamenti porta a porta è uno sfruttato e che il libro di Engels sulle condizioni della classe operaia in Inghilterra è una lettura illuminante.
    Orbene, cosa c’è di delirante in tutto questo? Se questi discorsi bastano a connotare Oswald come un pazzo, un illuso e un coglione, beh, allora sono un pazzo, un illuso e un coglione anch’io!
    Inoltre, nel romanzo c’è un’idealizzazione del kennedismo che viene in parte riequilibrata nel “what if” finale, ma che a me suona molto discutibile. Per lavarmi di dosso tutto quel miele, dopo la traduzione mi sono riletto un vecchio libro di Noam Chomsky, Rethinking Camelot, dove l’autore assesta poderosi, salutarissimi colpi al mito di JFK.

    2) No, non ho mai comunicato con King, che come autore è totalmente disinteressato alle traduzioni dei suoi libri in altre lingue.

  38. Grazie Wu Ming 1
    Premetto che questo commento contiene spoiler

    Avevo immaginato che quando parlavi della tua “zona di comfort” ti riferissi al punto di vista politico del romanzo. Io personalmente infatti ho trovato le spiegazioni di King abbastanza ingenue e superficiali ed infatti fino a quasi la fine del libro, ammetto che mi aspettavo il coinvolgimento di altri personaggi nell’assassinio di JFK. Devo chiarire anche che James Ellroy e’ uno dei miei autori preferiti da American Tabloid a Blood’s a Rover e quindi sono partito nella lettura con dei precocentti gia’ fissati, una specie di bias di lettura che probabilmente non mi ha fatto apprezzare appieno il romanzo. Poi personalmente penso la storia sia piu’ complessa di come ce l’hanno sempre disegnata. Comunque senza approffondire questa tematica, volevo solo dire che l’analisi politica e’ stata un po’ debole nel romanzo, il quale mi sembra quindi piu’ concentrato sul versante esistenziale-filosofico, e che l’assassinio di Kennedy alla fine era solo una struttura su cui costruire il personaggio, le sue scelte, il tema del tempo fra passato e futuro (mi sono molto piaciuti gli uomini con la tessera multicolore, originale).
    Il finale che a me e’ piaciuto (happy ending americano) sembra lasciare una morale, e cioe’ che il passato e’ meglio non cambiarlo o che non puo’ essere cambiato, anche se (nel rapporto fra il protagonista e la sua amata) il passaggio nella storia lascia comunque un segno, sottile, inconscio, ma un segno resta.

  39. Ho finito il libro sul finire del vecchio anno, e ho avuto bisogno di un po’ di tempo per meditarci sopra. Provo a riassumere qui: qualcosa potrebbe essere SPOILER.
    Capisco che cosa dici sul versante politico e zona di comfort, ma nello stesso tempo da un lato non mi sembra che questa parte della questione sia (come in American Tabloid e per certi aspetti anche in Libra) l’asse portante della costruzione romanzesca (voglio dire: la parte politica del sistema ucronico viene lasciata scopertamente in sotto fondo, non a caso King recupera il modello originale di Alice mentre apparentemente cita Matrix e pure Ritorno al futuro in maniera quasi ‘accademica’). Dall’altro mi pare che la volontà di King sia tutta spostata sul life-plot individuale (se vuoi, alla Peter Brooks si Trame): libero arbitrio, paura, desiderio, rimorsi e rimpianti. E in questo mi pare molto laico: viaggiare nel tempo è per i vili, mi pare la giusta e finale parafrasi, perché la vita che ci giochiamo è qui e ora, nothing else, nothing more (ed è già molto). In questo senso mi pare che il giudizio su Oswald come ‘pazzo’ non sia mediato così tanto dalle opinioni politiche (che sono riportate secondo me in maniera abbastanza asettica, o comunque senza un così marcato giudizio ideologico: in questo il fatto stesso di giocare con una realtà [non verità] che si ri-cita due volte, quella della storia e quella di Al, mi sembra significativo), ma nelle azioni singole, e non necessariamente sempre e solo pubbliche, del personaggio. Inoltre mi pare che il parallelismo con It possa aiutare a comprendere molto, sia perché in qualche modo è come se racchiudesse una chiosa allo stesso On Writing, sia, per quanto riguarda il discorso più immediatamente politico, perché alla fine, del Depository, Oswald diventa l’It personale di Jake, e come tale dunque è spostato filosoficamente a simbolo del male dell’America, direi, come a dire (e dunque questo poi media il what if, necessario, dell’ultima parte) che la questione non è (solo) il metamorfico ‘chi’ dell’assassinio di Kennedy, ma il ‘cosa’.

  40. @ povna

    sono abbastanza d’accordo sul fatto che l’aspetto politico in senso stretto non sia quello più importante… per noi lettori. Nel post qui sopra non ho scritto cose dissimili: è un romanzo politico (lato sensu) dove non si sforza di esserlo. Detto ciò, dalle interviste che King rilascia, dal modo in cui è costruita la postfazione e dalle vicende extraletterarie recenti (comizi contro i repubblicani, trasmissioni radio contro i Tea Party etc.), mi sembra di capire che per lui quell’aspetto contasse parecchio, in fase di ideazione e stesura. E, da lettore, io credo che sia quello meno risolto… scene di sesso a parte :-P
    E’ vero, Lee è connotato parecchio dagli episodi della sua vita personale e famigliare. Ma, appunto, è connotato più che altro come pazzo. A me sembra che a connotarlo come illuso e coglione contribuiscano – o meglio: nell’intenzione dell’autore dovrebbero contribuire – anche i suoi discorsi politici. Altrimenti l’autore non darebbe loro tutto quello spazio, penso. E siamo sicuri che sia così “neutro” il modo di metterli in pagina? L’episodio con il giovane venditore porta a porta non ti sembra costruito in modo da screditare quel che Lee sostiene (e che a me invece pare sensatissimo)? Il dialogo origliato su Cuba non ti sembra avere in sé dei “marcatori di senso” che vorrebbero segnalarlo come delirante?

  41. Su tutta la parte di 22/11/’63 che riguarda Oswald, la vita di Oswald, le opinioni di Oswald, sorvegliare Oswald etc. (che a mio parere, ribadisco, è la parte meno riuscita del romanzo), mi trovo molto d’accordo con il collega Tommaso Pincio, che in questa recensione (forse quella che più condivido tra quelle che ho letto sinora) scrive:

    «[…] al momento di entrare concretamente in scena, Oswald è ormai un intruso, un ospite sgradito di una storia ai margini della grande Storia. E pensare che sarebbe anch’egli un piccolo uomo. In Libra, romanzo che fatalmente torna alla memoria, DeLillo lo descriveva come la pedina inconsapevole di un disegno più grande di lui. Lì non poteva certo aspirare a diventare il nostro eroe, ma restava comunque una persona la cui vita, per quanto sbagliata (o forse proprio perché sbagliata) esigeva di essere capita. Qui, invece, è il personaggio meno credibile nonostante sia il più reale di tutti. Ma soprattutto: è quello che meno ci interessa. Difficile dire quanto lo stridore, l’incompatibilità di Oswald con un mondo ricostruito siano voluti. In parte, di sicuro lo sono, perché il piccolo mondo americano, il passato fittizio alla Madmen, è davvero la parte più riuscita, quella da cui mai vorremmo essere distratti. Ma tant’è, Oswald ci distrae. Egli è la grande Storia che ci sottrae a una storia che ci eravamo abituati a considerare nostra. Ci sottrae alla fase preparatoria e come capita in amore, consumato l’atto, si finisce per preferire e rimpiangere i preliminari.»

  42. Provo a rispondere, di nuovo premetto che potrei far riferimento a qualcosa che potrebbe essere SPOILER.
    Vado per punti non per secchezza ma per aiutare me stessa a essere più ordinata.

    1) Sì, pare anche a me che condividiamo una lettura interpretativa di fondo, credo che la questione sia quanta importanza dare alla parte politica (che anche io non nego che esista, forse nel mio commento non l’ho detto chiaramente, se no non si spiegherebbe nemmeno una scelta di titolo così forte). A me pare che quel titolo così forte, inserito in una tradizione di letteratura americana così forte (ovviamente Ellroy e DeLillo, ma pensiamo lmeno anche a Stone), sia anche un volontario gioco con la storia, un’illusione. Nella mia recensione ho parlato di fake identity come quella dello stesso Jake/George, nel senso che secondo me il romanzo si rivolge (anche) a un lettore ideale che si aspetta qualcosa e invece trova qualcosa di altro. Per questo secondo me non è solo una geniale invenzione di trama e di capacità di autogiocare con il proprio ruolo di tessitore di intrecci l’inserzione di Derry e di It. In qualche modo è anche un manuale di istruzioni che dà il tono della lettura successiva (non a caso Jake dice che aspetta il verdetto di Derry per decidere che cosa fare, e poi la sua decisione è individuale, ma scopertamente spinta anche dalla morte di Al, e infine, come già accennavo, il parallelo tra il Depository e le Ferriere è un vero e proprio Leit-motif). Mi pare che lo stesso King in una intervista sottolinei che il romanzo va in una direzione diversa rispetto a quella proposta dal titolo, e questo mi dà l’aggancio al punto 2).
    2) Sulla questione delle dichiarazioni di King, premetto che non le ho lette tutte. In generale cerco sempre di separare dall’extra-testo (che mi interessa, ma penso che sia altro, ma questo lo sai meglio di me) e credo che comunque questo specifico romanzo offra di per se stesso una serie di strade interpretative intra-testuali abbastanza chiare. Come ti dicevo (devo ricercare il link, ma sono abbastanza sicura) ricordo di aver letto almeno una intervista (mi sembra sul NYT, ma forse sbaglio) in cui King ricordava che il romanzo era qualcosa di assai diverso dal filone storico-politico kennedyano tradizionale. Sulla postfazione invece faccio un discorso a parte, perché è un paratesto molto forte, e comunque ancora all’interno del libro. A me è parsa una risposta finale (appunto, già fuori ma ancora a proposito del romanzo) a chi si aspettava quello che il titolo annunciava (deludendo), e cioè l’opinione espressa dal cittadino americano King, da individuo informato e con una coscienza civica, sulla vicenda. Con l’affermazione chiara delle proprie idee ma nello stesso tempo senza nessuna pretesa che siano esaurienti, esaustive e soprattutto espresse in nome di una autonoma e originale visione storiografica. Insomma, in soldoni, come se dicesse: “volete la mia opinione su tutto questo? E’ chiaro che ce l’ho, come ce l’ha ogni americano. E’ questa. Però io non sono storico e nel mio romanzo ho fatto altro. Quindi quello che vi dico è, per quanto di ottimo livello, chiacchiera da bar”. E’ chiaro poi che mi puoi rispondere che comunque quella postfazione sta lì, ed è pesante. E hai ragione. Però insomma mi sembra che l’ambizione (letteraria, e in questo caso anche politica, allora) sia di lasciare tutto in equilibrio (mi viene in mente mentre scrivo la difficile terza via praticata da certi autori sul caso Moro).
    3) Sulla connotazione dei discorsi politici prima ti ho riportato l’opinione complessiva che me ne ero fatta e gli appunti che avevo preso mentre leggevo il romanzo. In generale quello che volevo dire è che mi pare che il giudizio di Lee come ‘pazzo’ mi sembra basato sul privato e sul giudizio (quello sì, sicuramente netto) negativo riguardo all’idea che una qualunque situazione negativa si possa risolvere con un delitto istituzionale. Da quel punto di vista, se vuoi mi pare che più ancora che le parole di Lee a essere pesanti dal punto di vista ideologico siano le reiterate professioni di nostalgia in praesentia di Jake/George per il mondo kennedyano. Vorrei però rileggere per risponderti al meglio perché, lo confesso schiettamente, la mia propensione non complottista in generale, non solo per il caso Kennedy, potrebbe avermi influenzato troppo nel sottovalutare i marcatori di senso che tu evochi. Purtroppo entrambe le mie copie (l’inglese e l’italiana) del romanzo sono in prestito dalla fine delle vacanze, e dunque su questo devo aspettare di recuperare se non altro almeno una sbirciata in libreria per poterti rispondere a modo. Però mi segno l’obiezione perché mi interessa (tra l’altro su queste cose un po’ sto lavorando). E se non ti scoccia ci torno sopra dopo che ho fatto i compiti in maniera appropriata.
    Grazie, e scusa la lunghezza immane (la sintesi non rientra tra le mie qualità).

  43. ps. (ho letto l’altro tuo commento con il link a Pincio dopo aver postato il mio). Anche io trovo che la sua recensione sia una delle migliori (almeno di quelle italiane). E condivido quanto dice. Ancora però una volta è questione di ermeneutica successiva, sul significato e l’interpretazione da dare a livello politico a questa estraneità di Oswald (semi)voluta.

  44. il romanzo non l’ho ancora finito (sono a pag.483), dico solo che mi sta prendendo moltissimo. Comunque prendo atto di essere uno dei pochissimi che trova tenera la scena del primo incontro sessuale di Jake e Sadie..certamente non è un momento di sconvolgente ed eccitante erotismo ma non vuole esserlo. Comunque King rimane, anche in questo libro, molto bravo a raccontare l’amore e i sentimenti (personalmente la storia tra Jake e Sadie mi sta quasi coinvolgendo di più della vicenda principale o che in teoria dovrebbe esserlo, del salvataggio di Kennedy)

  45. @ paolo1984

    attento, una discussione come questa non può che essere piena di spoiler!

  46. @Wu Ming 1
    Grazie! forse finchè non lo finisco dovrei stare alla larga dal topic, ma resistere alla tentazione sarà difficile

  47. a proposito di lee oswald e di cuba, mi e’ venuto in mente il (famoso?) episodio in cui bob dylan, allora ventiduenne, scandalizzo’ i liberals newyorkesi, pronunciando un discorso, un po’ sconclusionato, durante la cerimonia in cui gli venne consegnato un premio per il suo impegno nel movimento per i diritti civili. in quel discorso dylan parlava anche di cuba, e affermava di ritrovare qualcosa di se’ in lee oswald:

    “[…] So, I accept this reward – not reward, (Laughter) award in behalf of Phillip Luce who led the group to Cuba which all people should go down to Cuba. I don’t see why anybody can’t go to Cuba. I don’t see what’s going to hurt by going any place. I don’t know what’s going to hurt anybody’s eyes to see anything. On the other hand, Phillip is a friend of mine who went to Cuba. I’ll stand up and to get uncompromisable about it, which I have to be to be honest, I just got to be, as I got to admit that the man who shot President Kennedy, Lee Oswald, I don’t know exactly where —what he thought he was doing, but I got to admit honestly that I too – I saw some of myself in him. I don’t think it would have gone – I don’t think it could go that far. But I got to stand up and say I saw things that he felt, in me – not to go that far and shoot. (Boos and hisses) You can boo but booing’s got nothing to do with it. It’s a – I just a – I’ve got to tell you, man, it’s Bill of Rights is free speech and I just want to admit that I accept this Tom Paine Award in behalf of James Forman of the Students Non-Violent Coordinating Committee and on behalf of the people who went to Cuba.”

    io non conosco bene la storia dei movimenti in america, e nemmeno, piu’ in generale, la storia americana contemporanea. pero’ ho l’ impressione che nel libro di king manchi proprio il riferimento a quel che stava cominciando a ribollire gia’ in quegli anni, che poi e’ il contesto che da’ un senso ai discorsi di oswald. questo contesto invece viene fuori molto bene in “lybra” (ricordo ad esempio il riferimento alla canzone “talkin’ john birtch society blues”, sempre di dylan, censurata dalle radio americane).

    pero’ va detto che l’ambientazione “provinciale” del romanzo di king sicuramente ha un ruolo in questa “omissione”.

  48. Esatto, Tuco! La mancanza del romanzo, secondo me, è proprio questa: King fallisce nel riaffermare il principio “nulla di ciò che è umano mi è estraneo”. Oswald siamo anche noi, c’è un po’ di lui dentro di noi. Oswald è tenuto alla distanza, reso in modo freddo e anaffettivo, sovente “mostrificato”. King non mostra alcuna comprensione per lui, a parte qualche cenno – tutto sommato banale – a una madre possessiva e invadente, e non mostra alcuna volontà di considerare le sue convinzioni minimamente legittime. E’ uno stronzo e un fallito, stop, e a un certo punto diventa l’espressione del Male.
    Certo, uno può dire che nei romanzi di King succede sempre, ci sono personaggi “posseduti” da forze maligne extraumane (in questo caso, dalla forza maligna del deposito di libri). Ma Oswald è un personaggio realmente esistito, è stato carne e sangue come noi, ha agito in questo mondo, sono ancora vive persone che lo hanno amato. In più, le idee che esprime nel libro erano e sono nelle teste di molte persone che non sono psicopatiche né malvagie, tutt’altro.
    E’ qui che King, secondo me, ha fallito, nella resa di Oswald. E’ rimasto in superficie, e non ha superato l’evidente livore che prova nei confronti del personaggio. Non è stato scrittore fino in fondo.

  49. Però si potrebbe rovesciare: si potrebbe dire che, proprio per questo, poiché è “posseduto da forze maligne extra-umane (in questo caso della forza maligna del deposito di libri)”, in realtà facendo il giro inverso Oswald siamo tutti noi ugualmente.
    La questione è (anche) di genere letterario: 22/11/’63 non appartiene allo stesso genere di Libra (in questo l’ambientazione volutamente provinciale, concordo con Tuco, sta lì a dimostrarlo), usa altri stilemi. Non è detto che questi stilemi non portino – per vie completamente diverse – a riflessioni non dissimili (anche nella forma) a quelle del discorso di Dylan.

  50. @ Povna

    posso solo dire che a me non le ha suscitate, queste riflessioni, se non “a contrario”, ovvero: mi è venuto da riflettere sul fatto che Lee è distante e King non mostra nemmeno il minimo sindacale di empatia nei suoi confronti.
    Però può darsi che il mio sguardo sul libro sia gravemente inficiato dal fatto che ci ho lavorato sopra per dieci mesi… Una “convivenza” lunga, che può avere accentuato idiosincrasie (mie) e condizionato di un bel po’ la lettura.

  51. Questo vale all’opposto anche per me: ho sentito risuonare in questo libro molte cose mie idiosincratiche sia su King in particolare, sia sulla letteratura politica e ‘del complotto’ in senso lato. Proprio per questo il mio sguardo può essere eccessivamente ‘buonista’. (Oltre al fatto che – pur avendolo letto con attenzione sia in inglese sia poi in italiano – sicuramente ci sto ancora lavorando, e il saggio è a uno stadio di estremo brogliaccio, e dunque su questo romanzo ne so sicuramente molto meno di te).

  52. Macché, suvvia… A volte, leggendo certe discussioni on line, mi sembra di essere quello che di ‘sto libro ne sa meno di tutti :-)

  53. That’s fishing for compliments, ma io abbocco volentieri, perché la tua è una grande traduzione e (scusa la modestia, funzionale al doveroso complimento) io King lo leggo di solito in inglese.

  54. M’inserisco, con un po’ di ritardo, nella discussione.
    Ieri ho terminato il romanzo, concordo con quanto scrive Pincio nella sua recensione, ribadito da Wu Ming, la marginalità latente di Oswald, ottimo come fantasma dell’eterno ritorno per un Jake/George ancora lontano dal momento spartiacque, ma scadente alla prova della Storia che invade improvvisamente il romanzo.
    Più ci si avvicina al momento fatidico, più il personaggio Oswald sembra perdere consistenza, insieme a chi lo circonda.

    Un indizio di questa debolezza, forse, risalta proprio nella scoloritura del ritorno al nuovo futuro, quello modificato dal salvataggio di JFK, che Jake apprende dalle parole di Harry Saltarospo.
    Efficace sì come simbolico monito a vivere il presente, ma troppo caricaturale nel racconto, rapido e insipido, del suo svolgersi alternativo. Come se King, arrivato al dunque, cioè il confronto con la Storia tout-court, quella del what if totalizzante, avesse ceduto di schianto, lasciando (come scrive perfettamente Wu Ming 1), tutto il peso dell’inquietudine ancorato ai preliminari perturbanti che Jake/George si era trovato a vivere, e noi con lui.

    La scarna paginetta dove King condisce di conseguenze fanta-politiche la rielezione di Kennedy, mescolandole ad un pianeta che si sfalda sotto i colpi di un tempo mortalmente ingarbugliato, mi è parsa quasi banalizzare la straordinaria aspettativa creata nel farci rivivere la provincia americana, attraverso gli occhi di un personaggio conscio di essere sul punto di segnarne la microstoria. Nel salto al livello superiore, quell’efficacia sbiadisce fin quasi a svanire.
    Quella post-fazione abbastanza inutile e semplicistica di analisi dell’evento spartiacque, sta forse lì a spiegare proprio quell’incapacità.

    ciao, m.

  55. per me il momento piu’ alto del romanzo e’ quello del primo viaggio di jake, quello durato solo pochi minuti.
    in quel momento magico il passato si manifesta come qualcosa di nuovo, attraverso lo sguardo di chi lo vive per la prima volta. in quel momento “siamo tutti il 9 settembre 1958”. forse dico una cavolata, ma il romanzo avrebbe potuto benissimo intitolarsi “9/11/58”.

  56. “9/9/58”, ovviamente.

  57. […] molto frequentato, e vi faccio solo quattro esempi per tutti: Back to the future, il recente 22/11/63 di Stephen King, Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban, (Potter salva se stesso grazie al […]