Speciale Stephen King: «Notte buia, niente stelle»

È in libreria a partire da oggi Notte buia, niente stelle, l’ultimo libro di Stephen King. Dopo l’anteprima dell’ottobre scorso, eccovi lo speciale.
Come ormai saprete, NBNS è una raccolta di quattro novelle, formato già proposto da King in Stagioni diverse e Quattro dopo mezzanotte. Il traduttore, anche questo lo saprete, è Wu Ming 1. Di seguito proponiamo estratti di rassegna stampa internazionale; riprendiamo l’intervista a WM1 pubblicata ieri, in esclusiva, dal sito Fantasy Planet; proponiamo l’audio di una conferenza sul tradurre tenuta da WM1 meno di un mese fa, al festival “Shakespeare in Town” di Savona; non contenti, spargiamo lungo il post pizzichi di materiali kinghiani (link, audio, video). Se aggiungiamo che, nelle prossime ore, La Repubblica dovrebbe pubblicare un’intervista rilasciata dal Re in persona a Loredana Lipperini, ecco una bella giornata campale per tutti i Fedeli Lettori.

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RASSEGNA STAMPA INTERNAZIONALE

«L’ultima novella, “Un bel matrimonio”, è forse una delle migliori opere scritte da King. Con la sua inquietante abilità nel mettere in scena personaggi credibili e simpatici mentre, senza farsi notare, piazza le mine che inizieranno a esplodere nella seconda parte del racconto, King ci presenta una coppia terribilmente normale: Darcellen (Darcy) e Bob Anderson […] Giunti a questo punto, sarebbe ridondante usare per questo libro espressioni come “non si riesce a metterlo giù” [unputdownable] o “si divora una pagina dopo l’altra” [compulsively readable], ma le cose stanno così. […] La forza propulsiva di quest’opera non ha mai un calo. Il vero dono di King è forse la capacità di infilare nelle storie dettagli domestici talmente azzeccati e attribuire ai suoi personaggi (mentre ne descrive il rapido degrado) tic talmente persuasivi da farti credere a tutto quel che leggi. Compreso un TomTom autocosciente.» (Toronto Star, 11 novembre 2010)

«Full Dark, No Stars è una raccolta straordinaria, da brividi, impietosa, e un momento alto nella carriera di King […] King definisce le novelle “molto dure”, e aggiunge che scriverle lo ha messo a dura prova. Non fatico a crederci. Ma, allo stesso tempo, dopo alcuni libri più leggeri, si sente che King se lo gode, questo ritorno alla parte (molto) oscura […] Alla fine della raccolta, King è sfogato e si dice contento di riaccompagnarci fuori, alla luce del sole. Io non gli credo: non appena gli avremo girato le spalle, tornerà giù in cantina coi suoi mostri, spegnerà le luci e metterà il chiavistello.» (The Telegraph, 7 novembre 2010)

«L’ultimo racconto è il più emozionante, e funziona benissimo come summa del tema che attraversa tutto il libro, anzi, che attraversa l’intera carriera di King: conosciamo quel poco che si può delle persone che amiamo; conosciamo quel poco che si può anche di noi stessi. Ogni cuore ha i suoi angoli oscuri, e nessuno sa illuminarli come King.» (Lincoln Journal Star, 19 novembre 2010)

«Quello che, in mani meno abili, sarebbe rimasto un consueto scenario di vendetta, qui diventa narrazione visceralmente efficace ed empatica riflessione sulle conseguenze della violenza maschile […] Grazie alla padronanza dei dettagli e allo stile ingannevolmente facile, King trasforma questi materiali sgradevoli in un libro disturbante e fascinoso.» (Washington Post, 27 ottobre 2010).

«Il genio di King non sta nella seppure grande fertilità della sua immaginazione, bensì nell’empatia che sa creare tra il lettore e un personaggio. Al di là di tutti gli orrori che contengono, i suoi libri sono accurate descrizioni di vite di lavoratori [blue collar life]. King è, ne sono convinto, il nostro Dickens, e non un Dickens nazionale, ma un patrimonio planetario. La sapienza del narratore è in bella mostra nelle ultime quindici pagine, quando King introduce un personaggio intorno al quale altri – e meno bravi – scrittori  avrebbero creato un’intera serie di romanzi, uno di quei personaggi di cui devi sapere di più e poi, puff!, il libro finisce e lui scompare. E com’è questo personaggio? Beh, così sarebbe dire troppo. Compratevi il libro. Fidatevi, non resterete delusi.» (The Scotsman, 31 0ttobre 2010)

[Il resto su Google News.]

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INTERVISTA DI FABRIZIO VALENZA A WU MING 1
FANTASYPLANET.IT, 22 NOVEMBRE 2010

Che differenza c’è tra la scrittura di un proprio romanzo e la traduzione di un romanzo altrui in un’altra lingua?

Quando scrivi un romanzo, prima scrivi e poi leggi quello che hai scritto. Ovvero: sei prima scrittore e poi lettore. Quando traduci, è l’esatto contrario: sei prima lettore e poi scrittore. L’esperienza iniziale del testo è uguale a quella di qualunque altro lettore. Solo che, dopo aver terminato di leggere, devi porti il problema di distruggere e ricostruire da capo quel che hai appena letto.
Detta in altri termini: nel tradurre un romanzo altrui ti trovi di fronte a un testo già definito, «chiuso», con il cemento già inserito nelle fessure. E’ come avere il software ma non il codice-sorgente. Ti manca il «backstage» della storia che stai leggendo: il processo che dall’ispirazione iniziale ha portato al risultato che hai sotto gli occhi, le stesure provvisorie, le motivazioni di certe scelte, le discussioni coi lettori di prova etc. Devi ritrovare tutto questo con un metodo «indiziario», cioè: partendo da alcune caratteristiche del testo, cerchi di immaginarti quali possano essere state le scelte, perché questa parola e non un suo sinonimo più comune?, perché la scelta di far compiere al personaggio la tale azione quando al suo posto chiunque ne avrebbe fatta un’altra?, e la spiegazione che l’autore fornisce è una semplice «toppa» (perché ormai la storia era andata in una certa direzione e cambiare tutto sarebbe stato troppo dispendioso) oppure era prevista fin dall’inizio? Un traduttore ha bisogno di compiere questa «indagine», per poter interrogare il testo nel modo migliore e così trovare le risposte adeguate.
Invece, quando scrivi un romanzo tuo, queste cose le vivi in presa diretta. Il testo è aperto, i mattoni sono solo appoggiati, puoi ridisporli svariate volte prima di trovare l’assetto giusto.

Come ci si organizza per tradurre un gigante della letteratura occidentale come Stephen King?

Leggo King da tantissimi anni, da quand’ero ragazzo, e ho recensito diversi suoi libri, ho scritto articoli su di lui, ma non lo avevo mai tradotto. Prima di cominciare, mi sono ri-immerso nel suo mondo, ho consultato svariate fonti, letto molte cose su di lui, riletto alcuni libri di importanza capitale nella sua produzione. Dopodiché, mi sono messo di buona lena. Non c’è altra scelta che farsi il mazzo.

I libri di King conoscono una lunga tradizione di traduzioni italiane, essendo stato tradotto fin dall’inizio della sua carriera, e da più di un traduttore. Tu in che modo ne hai tenuto conto, soprattutto in riferimento al conosciutissimo Tullio Dobner?

Come ogni suo Fedele Lettore sa bene, i libri di King contengono sempre riferimenti ad altri suoi libri, è un mondo di continui riferimenti incrociati. Quando ne trovavo uno, cercavo il testo nella traduzione di Dobner. A volte ce l’avevo in casa, altre invece no, perché molti libri del Re li ho letti in inglese. In un modo o nell’altro, anche grazie alla Rete, trovavo quel particolare passaggio, vedevo come l’aveva tradotto Dobner e cercavo di tradurlo in modo che fosse coerente. Ad esempio, ho visto che non dovevo tradurre il toponimo informale «the Barrens», perché in italiano si è conservata la parola inglese, solo togliendo la «s» finale. Oppure, nel terzo racconto della raccolta un personaggio, inesplicabilmente, si trova in bocca una frase che ricorre nel ciclo della Torre Nera. Una frase semplice, ma che si poteva tradurre con diverse scelte sintattiche. L’ho ritrovata nella versione di Dobner, e ho usato quella.

Quanto pesano le aspettative dei lettori del Re in un lavoro come questo?

Pesano tantissimo, ma uno deve scordarsele. Sai già che le tue scelte non potranno piacere a tutti. Sai già che molti aficionados delle traduzioni dobneriane rigetteranno il tuo lavoro a prescindere, o andranno a cercare peli nelle uova, e qualcuno cercherà di seminare zizzania, di mettermi contro Dobner, e mettere lui contro di me. Anzi, qualcuno ci sta già provando. Te ne fotti, e cerchi di fare un buon lavoro.

Tu sei un grande estimatore di King, di cui conosci presumibilmente l’opera omnia. Ogni nuova opera del Re costituisce una realtà a sé, pur essendo spesso collegata tramite riferimenti interni ad altri lavori precedenti. Notte buia, niente stelle sembra essere una raccolta atipica rispetto ad altri lavori, essendo completamente dedicata alle donne e ai loro mostri. In che modo la tua conoscenza dei lavori precedenti di King può influire sulla traduzione di quest’ultimo libro?

Mentre traducevo, mi è sembrato importante tornare con la mente alle atmosfere di alcuni romanzi «al femminile» di King, come Dolores Claiborne, Il gioco di Gerald, La storia di Lisey… Due novelle della raccolta («Maxicamionista» e «Un bel matrimonio») sono in quella linea evolutiva. King sta diventando sempre più empatico nell’esplorare la psiche dei personaggi femminili, è uno dei pochi scrittori maschi che riesce a calarsi a fondo nei meandri di quello che per molti colleghi è un «mistero doloroso», come quelli del Rosario, nella parte che va dall’arresto di Gesù alla crocifissione. Per molti scrittori, compresi noi Wu Ming, gli sforzi per rendere plausibile un personaggio femminile, per farlo vivere (e non solo vegetare) sulle pagine, compongono una vera e propria via crucis. Invece per King la scrittura «al femminile» è un mistero gaudioso, un po’ come l’Annunciazione dell’angelo a Maria. King trova sempre le soluzioni più felici, e ogni volta che sceglie una protagonista annuncia una crescita, un nuovo cambio di passo.

Sappiamo che King è anche uno sperimentatore. Soprattutto con le opere dell’ultimo decennio (ma non solo) ci ha spinti ad accogliere un linguaggio in evoluzione. Qual è il confine tra la novità linguistica che può essere rinvenuta in questo volume e lo stile già sviluppato in passato e ormai ben delineato? E quali sono le particolarità della lingua inglese usata da King?

La sperimentazione kinghiana è subdola, è un esempio di quel «sovvertimento sottile» della lingua, quella terza opzione tra sperimentalismo e lingua «di servizio» di cui parlavo nel libro New Italian Epic. Di primo acchito potrebbe sembrare una lingua piana, finalizzata unicamente a portare avanti l’azione. Invece è attraversata in lungo e in largo da piccoli «effetti» che la tengono in movimento, viva, pulsante. L’effetto «inebriante» che ha la prosa di King su chi legge, quel non potersi fermare, quella voglia di girare le pagine, di stare a lungo dentro quel mondo, non è soltanto una questione di ritmo, di passo narrativo, anche se King è un maestro del ritmo. Non è l’azione a portare avanti il tutto. Come hanno fatto notare in diversi, ad esempio lo scrittore Beppe Sebaste (altro «kingologo» di razza), le parti dei libri di King che leggiamo più volentieri sono quelle di «bonaccia», quelle dove apparentemente non succede nulla. Perché? Perché quelle sono le parti che io chiamo di «costruzione di mondo». Con una sapienza stilistica e descrittiva che i critici non sanno quasi mai riconoscere (peggio per loro!), pennellata dopo pennellata, gioco di parole dopo gioco di parole, in un gioco di inflessioni locali, riferimenti ultra-specifici e veri e propri «tormentoni» (battute che vengono ripetute più e più volte), King costruisce intorno a noi una comunità, e ci cala dentro di essa. E’ il suo lavoro sulla lingua a permetterci di entrare. Basti fare due esempi: la seconda novella di Cuori in Atlantide, con quel gergo incredibile legato a un arcano gioco di carte, e – soprattutto – La storia di Lisey, dove si intrecciano linguaggi «privati», si ammucchiano neologismi… Quanto al «tormentone», pensiamo a come parla Wireman in Duma Key, con tutti quegli «amigo», «muchacho», e le sue frasi ricorrenti etc. Chiaramente, per un traduttore è una faticaccia cercare di rendere tutto questo in un’altra lingua. C’è sempre il rischio di «sbracare». Il fatto che i libri di King tradotti sinora siano – come suol dirsi in inglese – «unputdownable» (cioè: non li puoi mettere giù) anche in italiano, testimonia che prima di me è stato fatto un buon lavoro, ed è il minimo che possa dirsi. Spero di aver fatto un buon lavoro anch’io.

C’è stato un punto del testo o un momento particolare della traduzione che ti ha messo a dura prova?

I giochi di parole sono infernali. Alcuni sono riuscito a renderli, con vere e proprie acrobazie di spremitura di meningi. Altri mi hanno costretto a rinunciare a certe risonanze, a vantaggio di altre. Nella quarta novella, «Un bel matrimonio», c’è un uso della parola «Links» che era impossibile riprodurre in italiano. A volte mi sono trovato in un’impasse e ne sono uscito con l’aiuto degli editor della casa editrice, in primis Elisabetta Ricotti.

Una delle principali caratteristiche di questo scrittore del Maine è costituita dal fatto di usare un linguaggio tipico della sua zona. In che modo hai risolto il problema del dialetto usato da King e, più in generale, dei numerosi riferimenti interni al testo e forse pienamente comprensibili solo da un americano?

In questo libro non c’è molto dialetto, rispetto ad altri della produzione kinghiana. Invece abbondano – cosa che è tipica del Re – i riferimenti ad aspetti molto specifici della cultura popolare e di massa americana, tutte cose che da noi non hanno corrispettivi: determinati alimenti e prodotti alimentari, programmi tv che i lettori italiani non conoscono, linee di arredamento… In quei casi, poiché non puoi cavartela con una nota a pie’ di pagina (la nota a pie’ di pagina è l’ammissione di uno «scacco», di una sconfitta, inoltre la Sperling & Kupfer non le usa), devi lavorare sulle parole che stanno intorno, in modo da far capire – pur senza fare il cosiddetto «spiegone» – di cosa si tratta. Un esempio: nella Postfazione della raccolta, King racconta di essere uscito da un autogrill con un Three Musketeers. Io ho dovuto tradurre: «una barretta Three Musketeers». Insomma, ho dovuto aggiungere una parola. Sembra una cosina ininfluente, ma 1) ho dovuto fare una scelta: aggiungere anche «al cioccolato» oppure no? Meglio di no, la parola «barretta» fa già capire di cosa si tratta. 2) Se questo genere di «esplicitazioni» ricorre nel testo troppo spesso, tutto diventa pedante. E allora ogni volta devi capire quanto lasciare al lettore e quanto invece servirgli su un vassoio.

Senza anticipare contenuti particolari, di cosa parla Notte buia, niente stelle?

Principalmente di vendetta. La vendetta è il filo conduttore di tutte e quattro le storie. E poi di violenza sulle donne, fisica e psicologica. Anche nel racconto dove in apparenza non c’è violenza sulle donne (niente stupri, niente torture, niente omicidi, niente dolorosi raggiri), all’origine di tutta la vicenda c’è comunque una contesa tra maschi su una donna, un istinto predatorio frustrato.

Circolano voci che anche King avrebbe un ghost writer, soprattutto negli ultimi romanzi. Tu ne sai qualcosa?

Se davvero circolano, non sono che tristi minchiate, offensive nei confronti di un autore che dedica tanto tempo, metodo e sforzi quotidiani allo scrivere come prassi concreta, «mestiere» serio e rigoroso.

Infine, vorrei chiederti quale è stato, secondo te, l’influsso della letteratura di King sull’arte di scrivere romanzi in Occidente (o, se lo ritieni, in tutto il mondo).

Simona VinciPrima parlo in generale: l’influenza di King sulla popular culture mondiale non è misurabile, ma si può presumere che sia stata enorme, dato che non c’è arte né medium in cui non la si senta di riffa o di raffa: cinema, musica rock, fumetti, videogame, giochi da tavolo, giochi di carte, videoclip, T-shirt etc. Per quanto riguarda l’influenza strettamente letteraria, non credo di essere in grado di rispondere, dovrei avere una conoscenza minimamente decente della letteratura di tante parti del mondo. Chi lo sa, magari in Perù, o in Sudafrica, o in Corea del Sud ci sono scrittori che devono a King la decisione di fare quel mestiere. Anzi, è probabile. King fa venire voglia di scrivere, di raccontare. Quel che è certo è che in Italia molti scrittori – e non solo di horror e thriller – devono a King tanto del loro stile e dell’immaginario che esplorano. Non credo che avremmo Niccolò Ammaniti o Simona Vinci, senza l’influenza del Re (soprattutto del Re di Stagioni diverse, mi viene da dire).

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TRADUTTORE E TRADOTTO: DIALOGO SU UN DOPPIO MESTIERE

Wu Ming 1 al festival “Shakespeare in Town” di Savona, 28 ottobre 2010.
Aneddoti sul tradurre King, sui rapporti tra scrittori italiani (Calvino, Eco etc.) e traduttori di lingua inglese (William Weaver e Shaun Whiteside), sulla duplice esperienza di tradurre ed essere autori tradotti all’estero (con letture da Manituana e New Thing e commenti sulle traduzioni).
Dialoga con WM1 il drammaturgo e regista teatrale Marco Ghelardi. Legge gli sproloqui dei Mohock di Londra l’attrice Silvia Quarantini.
La registrazione dura un’ora e tre minuti, il file “pesa” circa 60 mega ed è “monco”, perché negli ultimi minuti è finito lo spazio sul registratore.
Per ascoltare in streaming, cliccare sul link qui sotto. Per salvare il file e ascoltarlo con più calma, cliccare col destro (o ctrl + click per i mouse con un solo tasto).
BUON ASCOLTO
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LINK

Audio – Estratti dall’audiolibro di Full Dark, No Stars. Per chi volesse “verificare” la traduzione ascoltando mentre legge.

NBNS su Libreria universitaria

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30 commenti su “Speciale Stephen King: «Notte buia, niente stelle»

  1. […] bestseller senza però sacrificare al mercato la qualità del suo lavoro. Vi voglio segnalare, su Giap!, un interessante speciale proprio su Notte buia, niente stelle a cura di Wu […]

  2. […] This post was mentioned on Twitter by Angelo Ricci, Angelo Ricci. Angelo Ricci said: RT @Wu_Ming_Foundt Speciale Stephen King: «Notte buia, niente stelle»: È in libreria a partire da oggi http://goo.gl/fb/mqXPO […]

  3. Interviste illuminanti. Ho preso il libro da Feltrinelli poco fa e stasera mi immergo nella lettura :)

  4. […] può perdere questo speciale della Wu Ming Foundation sul Re del Brivido. Non solo riportano l’intervista, ma hanno creato un vero e proprio numero […]

  5. E stasera alle 17:30 circa sono a Fahrenheit, su Radio 3, in qualità di traduttore kinghiano.
    Si può ascoltare in streaming qui.

  6. Su Ibs e su Amazon hanno deciso che si intitola “Notte buia, senza stelle”! ^_^

  7. Ieri ho iniziato a leggere il libro di King e mi sono ricordato perché non sono mai stato un suo lettore.
    E’ vero che negli anni Ottanta avevo letto una raccolta di racconti, mi pare fosse “A volte ritornano”, e non mi era piaciuta granché (troppe macchine impazzite e possedute, troppi padri pellegrini invasati, per i miei gusti), ma avevo visto anche “Shining” di Kubrik, e poi “Misery”, e il motivo della mia distanza in effetti ha forse più a che fare con la visione dei film tratti dai suoi romanzi che con quella prima delusione di lettore.
    Iniziando a leggere il primo racconto di “Notte buia, niente stelle” ho avuto un dejavù, un’anamnesi. Il fatto è che l’horror mi ha sempre fatto paura. Non mi riferisco allo splatter horror, tipo “Saw”, per intenderci, ma quello che crea vera inquietudine con pochi, efficaci elementi. Suppongo che sia in questo filone che King dà il meglio. Ma quel meglio, appunto, è spaventoso, perché parla di qualcosa che potenzialmente ognuno porta dentro di sé, qualcosa di infinitamente più intimo di una mietitrebbia indiavolata.
    Ieri sera ho solo iniziato a leggere il racconto che apre la raccolta, “1922”, e la sensazione è riaffiorata.
    Raccontare la violenza sulle donne, l’omicidio domestico, la coalizione maschile contro la componente femminile della famiglia, per reazione al potenziale cambiamento da essa introdotto, è raccontare spietatamente il presente (quello dei paesi islamici come dei paesi occidentali). Farlo senza rappresentare le donne come vittime e assumendo il punto di vista degli uomini omicidi, è impresa per un grande scrittore, non ci sono dubbi. Significa mettere sulla pagina una fucina di incubi ad alto potenziale, che scaturiscono dal sentirsi inclusi in quelle storie, per quanto lontane possano essere le loro ambientazioni. Per me almeno è così. E’ l’effetto che mi fanno certi film horror giapponesi – o americani tratti da horror giapponesi, come “The Ring” o “Dark Water” – che mescolano realismo psicologico e soprannaturale, Todorov e Tolkien, domestico e fantastico.
    Per leggere King, quindi, ho bisogno di sospendere non tanto l’incredulità, quanto l’istinto di conservazione. E sono cazzi.

  8. Interessante l’intervista e spettacolare la canzone conclusiva che mi ricorda la presentazione di Altai a Foggia!

  9. @Wu Ming 4: ok, allora non potrai mai leggere Pet Semetary… :)
    Comunque anche io ho iniziato e ho avuto le stesse tue sensazioni. Solo che io non vedo l’ora di continuare!
    Sulla traduzione ancora non so dire, se non che mi sembra buona, ma dovrei confrontarla col testo americano, che al momento non ho.

  10. @ Brendon
    abbiamo linkato gli estratti dall’audiobook proprio per consentire di seguire con le orecchie il testo originale e con gli occhi il testo tradotto. E’ una verifica facile facile, e anche divertente :-)

  11. @ Wu Ming 1
    Grazie, mi era sfuggito :)
    Allora apro le danze con la prima domanda di traduzione: com’è in originale il gioco di parole “tornerà ogni notte/tornerà ogni morte”? Forse everyday/everydie?

  12. Attenzione, rischio di spoiler
    Hank chiede: “Non verrà ogni notte […]”, ma Wilf capisce “ogni morte”.
    L’originale era completamente diverso, ed era al 110% intraducibile, perché basato sull’accento del Nebraska e la concitazione del parlato.
    Hank domanda a suo padre se sua madre tornerà a perseguitarli, e usa il verbo “haunt”, solo che lo pronuncia “haint”, e all’inizio Wilf capisce “hate”. Alla fine di quello scambio, constata che, in fondo, il verbo giusto era quest’ultimo.
    E’ uno di quei casi in cui il traduttore deve rinunciare preventivamente a qualunque tentativo di resa “fedele”, e concentrarsi sullo spirito del dialogo anziché sulla lettera. Qui “verrà ogni morte” diventa una profezia. L’accento si sposta non sul sentimento con cui Arlette si ripresenterà, ma sulle conseguenze del suo ripresentarsi.

  13. Ecco un’altra intervista, stavolta rilasciata a Luca Crovi per il blog di “Tutti i colori del giallo”:
    http://giallo.blog.rai.it/2010/11/25/wuming-1-e-la-traduzione-di-stephen-king/

  14. Se avete già terminato la lettura della prima novella, 1922 e siete iscritti ad Anobii, sul forum “Stephen King – Italia”:
    http://www.anobii.com/forum_thread?topicId=3153541#new_thread
    come promesso nel maggio scorso, ho iniziato a rispondere a domande sulle mie scelte di traduzione.
    Domande che, com’è ovvio e anche auspicabile, potete pormi pure qui! Anzi, Brendon ha già cominciato.

  15. Salve, sono un “viaggiatore” e durante i viaggi leggo. King mi piace molto, mi tuffo e mi immedesimo nell’ambiente descritto come un invisibile spettatore. Attendevo con ansia il nuovo libro e mi aspettavo che uscisse il 9-10 Novembre in contemporanea con gli States. E invece no. L’ansia mi ha spinto a chiedere spiegazioni all’editore, ma ho trovato un muro di gomma. Che fossi abituato male!? A mia memoria usciva in contemporanea se non addirittura qualche giorno prima. Comunque l’ho finalmente acquistato ed ho iniziato la lettura con curiosità, visto il nuovo traduttore.

  16. […] questo argomento perché ho appena finito di ascoltare la registrazione audio di un’ intervista a Wu Ming 1, alias di Roberto Bui, scrittore del collettivo di scrittori Wu Ming, il quale conduce […]

  17. ciao viaggiatore, concordo, pur’io ero in trepida attesa del libro e mi sono spesso chiesta, ma come c. è che qui non è ancora uscito!? sta a vedere che il Dobner si è fulminato..e invece lo trovo 20 gg dopo con un nuovo traduttore, lunga vita al Dobner, e mo vediamo sto Wuming
    elaisa

  18. […] esclusiva a Wu Ming 1. Prossimamente, il sito accoglierà anche la mia recensione; – Wu Ming Foundation, con una serie di articoli e approfondimenti interessanti; – la trasmissione Farenheit, di Rai3, – […]

  19. @ jts

    gran bel post!

  20. La rivista internazionale Words Without Borders mi ha intervistato sulla mia esperienza di traduttore di King. Ecco qui:
    http://wordswithoutborders.org/dispatches/article/wu-ming-on-king-on-translating-stephen-king-into-italian/

  21. Approfitto di questa discussione su King per fare un commento che non feci in tempo a scrivere nei thread de “L’Eroe Imperfetto”: la famosa “Dea Bianca” che tanto appassiona WM4 è una vecchia conoscenza anche di King, che utilizza il suo archetipo in modo veramente esplicito per una deliziosa storia raccolta in “Skeleton Crew”, intitolata “La scorciatoia della signora Todd” e dedicata alla moglie. Non so se vi fosse già nota, ma in caso contrario non ho dubbi che WM4 la troverà molto interessante. (Tra l’altro, è un King molto atipico, dunque dovrebbe digerirlo meglio :) Così come non so se SK abbia mai letto Graves e soci, e se abbia deciso scientemente di utilizzare quell’archetipo o se la sua sia una “riscoperta autonoma”, ma penso che ci sia materiale per una analisi divertente e molto interessante in quel racconto. Sarei molto curioso di vedere cosa tirereste fuori su quella curiosa figura di protagonista maschile che non desidera altro che accompagnarsi a Ophelia Todd nei suoi viaggi…

  22. Su Language Hat, uno dei migliori blog dedicati a problemi linguistici e “traduttologici”, è in corso un’interessante discussione, partita dalla mia intervista a Words Without Borders:
    http://www.languagehat.com/archives/004076.php
    Sono intervenuto anch’io, con chiarimenti ed esempi.

  23. Su Anobii, punto di raccolta delle critiche (fondate e infondate) alla mia traduzione di FDNS:
    http://www.anobii.com/forum_thread?topicId=3156681#new_thread

  24. Grazie per l’opera di razionalizzazione, l’altro gruppo è diventato inavvicinabile…
    A me mestatore piace davvero tanto; babbo non mi ha turbato affatto (e sono di genova, non di san piero a sieve), maxicamionista non mi fa impazzire, ma capisco il senso (su anobii ho proposto camionistone, ma non è granché).
    Non ho letto i racconti in originale, ma nella tua versione mi sono piaciuti: si respira aria di casa King…
    Un bel matrimonio, in particolare, è bellissimo.

  25. […] di san Luigi”?) Ma intanto dove finiva il libretto poi “neoepico” di WM1 e Sonia Langmut tradotto dal “buinglish” all’italiano (con inevitabile codazzo polemico di villani dalla buia e […]