"Il New Italian Epic è una baggianata. È solo autopropaganda."
link
Carla Benedetti, dichiarazione al quotidiano Libero

In libreria dal 27 gennaio

NEW ITALIAN EPIC
Letteratura, sguardi obliqui,
ritorno al futuro

pagg. 208, € 14,50

Contiene:
* la versione 3.0 (ancora inedita) del
memorandum sul NIE;
* il testo dell'intervento di Londra
"Noi dobbiamo essere i genitori";
* un lungo saggio inedito di Wu Ming 2 intitolato "La salvezza di Euridice".

Clicca l'immagine per vedere prima e quarta di copertina (pdf).
[Attenzione: il prezzo indicato nel pdf serviva solo per la prova di stampa. Quello vero è riportato qui sopra.]


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Giap #5, IXa serie
Contro la depressione vogliono la guerra santa

gennaio 2 0 0 9 , seconda settimana

In memoriam:
Donald E. Westlake
Harold Pinter
Freddie Hubbard


EDITORIALE

Collage del Luther Blissett Project, 1994
Dettaglio di un collage del Luther Blissett Project,
Bologna, estate 1994
CIELO DI PIOMBO

di Wu Ming 4

"Tenere i bambini e le donne incinte lontano durante l'uso."
(Fondere il piombo - istruzioni per l'uso)

Non c'è dubbio che le guerre abbiano il brutto vizio di togliere obiettività alle persone. Un intellettuale che possa scegliere e decida di restare in prima linea facilmente vedrà ridimensionato il proprio margine di ragionamento. Ragionamento sempre più ridotto a ossimoro o grottesco paradosso, come quello degli illustri colleghi israeliani link Yehoshua, Oz e Grossman, scrittori tanto più famosi e celebrati in Occidente per la loro "equidistanza", quanto più organici alla politica bellicista del loro paese.
E' la posizione di chi giustifica le reazioni di Israele limitandosi a criticarne l'intensità, di chi dice: "Dobbiamo difenderci, ma non troppo". E' quella che va per la maggiore anche in Europa, perché è gratis, non costa nulla. Nemmeno il Mahatma Gandhi e il reverendo King erano contrari alla legittima difesa. Proprio la legittima difesa è il cardine retorico della leadership israeliana, la giustificazione di fondo della sua politica.
Ora noi non ci permetteremmo mai di fare le pulci a chi vive in un paese bersaglio di strali politici e balistici, a chi ha perso figli in guerra, a chi dolorosamente, nonostante tutto, ha scelto di restare a vivere in Israele. Noi siamo qui, col culo al caldo. Eppure dalla postazione privilegiata delle nostre poltrone è difficile non accorgersi di una realtà autoevidente.
Negli ultimi due anni le reazioni di Israele alle provocazioni dei suoi vicini sono consistite nel bombardamento di Beirut e conseguente invasione di uno stato sovrano, il Libano; nel bombardamento di un sito in territorio siriano; nell'embargo imposto alla striscia di Gaza; nel bombardamento e nell'occupazione di Gaza City.
Tra gli attacchi subiti da Israele e quelli scatenati contro i suoi nemici esiste lo stesso rapporto che c'è tra la puntura di un tafano e una coltellata, o tra l'operato di Jack lo Squartatore e quello del boia di Treblinka. E se non è certo la quantità di morti a rendere più o meno grave l'assassinio, tuttavia è facile che ne determini l'incidenza storica. Inutile fingere che non sia così. Tanto più quando ormai anche i sassi sanno che le vittime civili (in questo caso pochi individui da una parte, centinaia dall'altra) non sono effetti collaterali. Non lo erano a Dresda e a Hiroshima nel 1945, non lo sono sessant'anni dopo. Quando si fa fuoco sui centri abitati - con missili Kassam o bombe che piovono dal cielo - i civili sono il principale bersaglio. Perfino l'ONU lo è, con le sue ingombranti scuole. Quando si bombarda una città in cui metà della popolazione ha meno di 14 anni, è evidente che le vittime saranno in prevalenza bambini. Il resto sono artifici retorici per intellettuali, intrappolati loro malgrado in una sottile striscia di realtà.
No, noi non possiamo proprio permetterci di giudicare dal nostro salotto, inchiodati davanti alle immagini terrificanti che passa la TV.
Perché ammettere che dietro una "reazione sproporzionata" si cela una precisa strategia colonialista e suprematista sarebbe un gesto di coraggio e oltraggio politico che renderebbe ancora più difficile per gli illustri colleghi israeliani la permanenza su quella prima linea.
E certo attenuerebbe la sontuosa accoglienza riservata loro link nelle fiere del libro d'Occidente.
Non si può esigere da scrittori di quel calibro di alienarsi dalla propria storia, da ciò che sono o hanno scelto di essere.
Però si può cortesemente chiedere loro di stare a casa, la prossima volta.

link Il più bel post sulla tragedia di Gaza che abbiamo letto in questi giorni.

link Dall'archivio: Razzismo, antisemitismo, sionismo (1992)
Che lezioni trarre dalla storia della reazione all'antisemitismo, e del perché sia rischiosa "una lotta al razzismo che si affidi principalmente alla reazione delle sue vittime immediate: l'irrigidimento identitario è appena dietro l'angolo, il metarazzismo cammina solo un passo avanti a noi."

Dall'archivio: il racconto di Wu Ming 4 Welcome To Israel (2002)
Nella primavera del 2002, durante un'offensiva dell'esercito israeliano nei territori occupati, i partecipanti italiani alla carovana "Action for Peace in Palestine" restano bloccati nel carnaio e non sembra esserci via d'uscita. WM4 è tra gli artisti, attivisti e parlamentari che prendono un volo per Israele con l'intenzione di mediare. Atterrati all'aeroporto di Tel Aviv, vengono presi a calci e manganellate dalla polizia, imbarcati a forza su un altro aereo ed espulsi dal Paese. Questa è la storia di quel viaggio.
link RTF + ZIP - 8 kb | link TXT + ZIP - 8 kb | link PDF + ZIP - 93 kb

Welcome To Israel messo in scena dalla Compagnia Fantasma
mp3, 160 kbps, 11:26
Registrato dal vivo al circolo ARCI "La Paresse" di Bologna, la sera del 7/02/2006. Attori: Daniele Bergonzi, Andrea Giovannucci. Musiche: Stefano D'Arcangelo, Alessandro Giovannucci. www.compagniafantasma.org
Light MP3, 64kbps, 11:26

NIENTE RESTA UGUALE A SE STESSO, OVVERO: NEWS
Copertina del libro di Gaia De Pascale
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IL LIBRO SU WU MING DI GAIA DE PASCALE


Il 6 febbraio 2009 arriva in libreria, per le edizioni Il Melangolo, il saggio di Gaia De Pascale Wu Ming. Non soltanto una band di scrittori.
Abbiamo anticipato la notizia nel numero scorso. Ci era stato inviato in anteprima il pdf, ma non l'avevamo ancora letto. Ora che lo abbiamo fatto, possiamo dire che ci ha molto colpito il rispetto con cui l'autrice si è messa all'opera sui nostri testi, dal romanzo più corposo all'articolo più occasionale, dai numeri di Giap alle interviste sparse qui e là per la rete. De Pascale ha individuato correnti sotterranee che attraversano in lungo e in largo il nostro lavoro, spesso a nostra stessa insaputa. Ha trovato riferimenti, oggetti e nomi ricorrenti, dal "Millwall Brick" [*] agli exploit di Alberto Rizzi.
Noi non possiamo che toglierci il cappello e ringraziare.
Dopo link l'introduzione all'antologia Giap! scritta da Tommaso De Lorenzis, il saggio di Marco Amici link La narrazione come mitopoiesi secondo Wu Ming (pdf) e il libro di Luca Muchetti link Storytelling. L'informazione secondo Luther Blissett, ecco un testo che aggiorna la ricognizione, fino a un passato talmente prossimo da essere ancora presente.
Abbiamo chiesto all'editore il permesso di pubblicare qui uno stralcio dell'introduzione.
Buona lettura.

L'uomo più stiloso del mondo"Ehi, ma quello è Cary Grant!".
Torna sui suoi passi apposta, il controllore dell'Intercity Torino- Siracusa delle 20.50. Appena imboccato il corridoio fa marcia indietro, infila la testa dentro lo scompartimento e indica la copertina di 54.
Ha voglia di parlare. E la fotografia in bianco nero dell'uomo più stiloso del mondo è l'incipit di un racconto che accorcia le distanze.
Ci sono storie nascoste dappertutto. Anche nella casualità di un incontro qualunque. In un giorno qualunque. Basta avere un orecchio per intendere – e l'altro per rimanere sordi ai simulacri di cultura venduti a basso costo nel supermercato delle idee dominanti.
E poi, è proprio vero, "la vita non è come nei film, non incontri Cary Grant sul treno che si innamora di te e ti porta in America". Però può capitare, su quello stesso treno, di incontrarci uno sconosciuto che con una semplice esclamazione mette in moto volti, epoche, narrazioni. Racconti disseppelliti dalla memoria che accompagnano a destinazione, battendo il tempo di un ritorno a casa.
Come a dire: oggi è questa la colonna sonora del tuo viaggio.
[...] C'è una scena particolarmente significativa in link Grand River, resoconto del viaggio di Wu Ming in cui gli autori vanno alla ricerca delle orme di Molly e Joseph Brant, protagonisti del romanzo Manituana. È quella in cui chi scrive si trova sulla montagna che dà il nome a Montreal e si mette a giocare come un bambino, indossando il vestito mentale dei personaggi che ha fatto vivere in boschi simili.
Trova "corpi di sogno, nemici e amici dietro ogni albero, sotto ogni masso scivoloso, in ogni fosso scavato dalla pioggia". E come un bambino comincia a colorare i tratti vuoti di quel volto senza volto. Il suo, quello che alla partenza non era più in grado di riconoscere, come se una profezia che lui stesso aveva messo in atto fosse sul punto di avverarsi: "La galleria di facce prosegue dentro la tua testa: care, note, sconosciute, dolenti, segnate, inespressive. Mescolata a quelle, la tua, sempre più sbiadita davanti allo specchio, meno familiare. La Rivoluzione non avrà faccia, hai detto. Ecco, Senzavolto, sei a un passo da quella profezia".
Ma ora no. Qui, in questo bosco, perdersi vuol dire essere con Joseph e Molly, e con tutti coloro che si sono trovati dalla parte sbagliata della storia. Di più: vuol dire essere loro. I senza nome e i senza volto che chiedono voce e occhi, per essere ascoltati, per poter di nuovo guardare; ieri, oggi, dall'altra parte dell'oceano o in quella struggle for life in cui si dibattono masse di esclusi nelle pieghe del rimosso delle nostre città.
Per questo la storia dei Wu Ming è una storia che vale la pena raccontare. Non tanto, o non solo, perché la loro scrittura ha lasciato segni ben visibili nel panorama letterario italiano [...] anche, e soprattutto, perché le storie che raccontano ci appartengono per davvero. Sono nostre, siamo noi.
[...] E non importa se questo racconto seguirà traiettorie disordinate, se gli eventi tenderanno sempre ad andare alla deriva: tutto ciò che è concluso, che ha trovato un suo punto di approdo, qui dentro non ha diritto d'asilo. La vita, come l'arte, non conclude.
Di tante parole, resterà forse solo un senso di incompiutezza, di non-finito. Scrittura-bambina, con tutta una vita davanti, persa in una selva di fantasmi e leggende.
Henry Michaux diceva che non c'è niente di peggio che essere giunti a compiutezza. Adulto significa arrivato, morto. Qui, invece, si tratta di partire. O di ri-nascere.
Narrazioni come eterni incipit di un futuro, un presente e un passato ancora a venire.
 
* Incordonati con me, sotto e dietro gli scudi, c'erano [Wu Ming 2, Wu Ming 3 e Wu Ming 4]. Subito dietro di noi c'era [Wu Ming 5], che 48 ore prima, durante il training, aveva detto: "Per prima cosa, i celerini cercheranno di strapparvi gli scudi di mano" (e così è stato, tanto che due scudi laterali se ne sono volati via) poi aveva tenuto una disquisizione sul link Millwall Brick, l'arma degli hooligans inglesi, un giornale arrotolato e pressato fino a diventare più duro e pericoloso di un manico di piccone. Peace & Love.
(Wu Ming 1, "Cronache da sotto la testuggine: Bologna No Ocse - Peace & Love!", 15 giugno 2000).

Se lo batte sul palmo con aria da intenditore: «Questo è un pezzo di storia del tifo inglese! Si chiama Millwall brick, per via che l'hanno inventato i tifosi del Millwall, 'na squadra scrausissima de Londra, però con degli ultras incazzati neri. Loro entravano allo stadio con il giornale, no? La polizia li faceva passare, tranquilli, poi questi lo aprivano, lo arrotolavano ben bene sul lato lungo, lo piegavano, et voilà, roba che puoi anche spaccare la testa a uno.»
Sono colpito, il risultato è un affare leggero e duro come pietra al tempo stesso. «Complimenti, Vasquez. Il miglior uso che si possa fare della stampa. Mi avevano detto che se impili per bene dei giornali, stretti stretti, puoi farci persino deragliare un treno…Adesso che ho visto 'sta roba, potrei quasi crederci.»
(Vitaliano Ravagli - Wu Ming, Asce di guerra, 2000)

Anche la corda per trattenere l'animale si poteva evitare. Le bestie non erano addestrate per il combattimento. Nel caso specifico: il dobermann del tabaccaio di Coriano Valmadero contro Cuoio, un gabberino di vent'anni, equipaggiato con la solita armatura, piú, per l'occasione, un giornale arrotolato stretto e piegato in due. L'arma micidiale dei tifosi del Millwall.
Il dobermann non mangiava da due giorni.
Il gabber aveva inalato pasticche.
(Wu Ming 2, Guerra agli Umani, 2004)

SCARICA GRATIS IL RACCONTO PREVISIONI DEL TEMPO

Previsioni del tempo
è stato scritto da Wu Ming 3 e Wu Ming 5, con la supervisione dell'intero collettivo Wu Ming, tra l'ottobre 2007 e il gennaio 2008, a cavallo di due continenti (la stesura è iniziata in Canada durante il viaggio narrato nel libro link Grand River). E' un racconto lungo, pensato per link la collana "Verdenero" delle Edizioni Ambiente.
Abbiamo scelto una via "indiretta" e obliqua per parlare di ecomafia. Nel racconto, il problema dei rifiuti è affrontato principalmente raccontando la vita quotidiana di "proletari" del business criminale. Qualcuno ci ha rimproverati perché non abbiamo "spiegato" la cosiddetta "emergenza-spazzatura" del 2007-08, ma non era nostra intenzione. Per quello esistono già molti saggi e reportages, scritti o filmati. Consigliamo senz'altro il documentario Biùtiful cauntri del trio Calabria-D'Ambrosio-Ruggiero.
Nei giorni in cui la coppia WM3/WM5 scriveva Previsioni del tempo, la coppia WM1/WM2 scriveva il racconto link Momodou (poi apparso link sull'antologia Crimini italiani, 2008) e la coppia WM2/WM4 scriveva il racconto link American Parmigiano (uscito nei "Corti di carta", allegati al "Corriere della sera"). In seguito, ci siamo resi conto che tutti e tre i racconti (più Grand River) descrivono le reazioni di due persone - don Antò e il Conte Piccolo; Carlo e Max; Ciaravolo e Tajani; i due viaggiatori fusi in un solo io narrante - di fronte a una situazione complessa: precipitare di eventi, missione da compiere, viaggio iniziatico etc. Sono forse allegorie di una fase nella vita del collettivo, una crisi di crescita durata alcuni mesi, conclusasi con un riassetto e link una ripartenza.
Previsioni del tempo è ora scaricabile in tre possibili formati:
link
PDF - 572 kb
link
ODT + ZIP - 119 kb
link
DOC + ZIP - 123 kb
GIOVANNI MARIA BELLU A "FANTASMI" DI RADIO TRE

Giovanni Maria BelluIl nostro link podcast ha salutato il 2009 proponendo agli iscritti la voce di Giovanni Maria Bellu.

Bellu è vicedirettore de "L'Unità" e scrittore, autore di due dei libri italiani più belli degli ultimi anni (l'inchiesta narrata link I fantasmi di Portopalo e l'oggetto narrativo non-identificato link L'uomo che volle essere Perón).

Qui discute con Lisa Ginsburg del suo lavoro, di scrittura e realtà, di fine del postmoderno e New Italian Epic. La trasmissione è "Fantasmi. Viaggia e racconta", la puntata è stata trasmessa su Radio 3 il 17 dicembre scorso.

Per ascoltare in streaming, cliccare sull'icona "play", per scaricare cliccare col destro e salvare (se avete un PC) oppure ctrl + click e salvare (se avete un Mac).
MP3 a 96k, 29'36", 20,4 mega.

DIALOGO A DISTANZA CON LUTHER BLISSETT (IL CALCIATORE)

Da "L'Unità" del 3 gennaio 2008:

LUTHER BLISSETT
Da calciatore a simbolo di un fenomeno letterario
L'attaccante inglese arrivò in Italia nell'83 per risollevare le sorti di un Milan in discesa. Ma "l'amore" durò poco. Luther sparì. Per rinascere poi come nome collettivo di scrittori.

MALCOM PAGANI
inviato a Londra
mpagani@unita.it

A Milano ricordano la mancanza di grazia, i movimenti goffi, i sogni evaporati in fretta. Arrivò tra fanfare e speranze nell'estate 1983. Il colpo di mercato di un Milan anteberlusconiano, l'attaccante capace di segnare oltre cento reti in Inghilterra, l'uomo che avrebbe risolto ogni problema. Andò diversamente. L'incomprensione reciproca si trasformò in vicolo cieco e il finale fu inglorioso. Prendeva palla e dagli spalti, costante colonna sonora della sua unica stagione italiana, i fischi diventavano cacofonìa. Ripartì tra gli insulti, stipando nella valigia la miseria di cinque gol in trenta partite. L'esperienza lombarda lo tramortì. Il talento scomparve e con esso la nazionale, i soldi, la fama. Lo scherno si fece internazionale. «Luther, miss it», cantavano. Sbaglia anche questo. Non si risollevò, ubbidì, sparì nelle serie minori, prima di rinascere a nuova luce a carriera conclusa. Simbolo dell'effimero. Il collettivo underground, l'opera aperta, l'uno, nessuno e centomila che si celava dietro una delle più interessanti operazioni culturali dell'ultimo ventennio, prese in prestito il suo nome. Luther Blissett, un progetto destrutturante. Obbiettivo i media, il vizioso circolo dell'informazione, la debolezza del sistema. Piovvero beffe, false notizie elevate a scoop, un corto circuito che colpì nel segno e lascio sul terreno più di qualche solone. Luther Blissett esiste davvero. Abita nei sobborghi di Londra, Fantòmas. Là dove la città multiforme diventa paesone ordinato. Monotono. Case a schiera. Due piani e giardino. La metropolitana che scorre a fianco. Cinquant'anni a febbraio, due figli, la stessa moglie di 25 anni fa. L'identità multipla ha l'ovale placido di un immigrato giamaicano di seconda generazione.

Fisico non lontano da quando il professionismo gli dava da vivere, sorriso pieno, doppio maglione e qualche capello bianco. Spunta da un angolo, si sbraccia, indica un anonimo bar, ordina in fretta, inizia a parlare. Un monologo non frenabile. «Ogni uomo può essere Luther Blissett, se solo desidera essere Luther Blissett. Così dicevano, vero? La prima volta che ho sentito parlare di questa storia, non volevo crederci. Pensare che qualcuno, un gruppo o una singola persona, potesse impadronirsi del mio nome, mi sembrava folle. Nella mia vita non ho mai voluto essere nessun altro che me stesso. Poi ho riflettuto e sono stato felice. Era come aver lasciato un segno del mio passaggio, un'impronta, un sasso abbandonato per la strada». Q, il tomo tradotto in più di dieci lingue, il successo internazionale che precedette il "suicidio" dell'avventura letteraria, lo ha letto. L'altrui trionfo non lo ha incattivito. «Come chiedere il copyright a gente che ha fatto dell'abbattimento dello stesso una delle proprie bandiere? In Inghilterra, la legislazione sul tema è diversa rispetto alla vostra ma voi italiani siete gente strana. Un'idea al minuto. Fantasia e ingegno, difficile volervi male». Divora un'omelette di dubbia fattura, trangugia birra, continua. «Sono nato in Giamaica, a Falmouth ma i miei parenti vennero in Inghilterra per lavorare. Trovare soldi per la famiglia era diventato essenziale e al principio del 1963, Londra offriva possibilità straordinarie. Partimmo come fossimo dovuti andare in Russia. Strato su strato, sciarpe e cappelli. L'arrivo fu uno choc. Provi a immaginare i Caraibi. Sole, caldo, mare. Ci ritrovammo al gelo, sotto un cielo ostile, a ricominciare da zero. Notai i cumuli di neve e dissi a papà. "Cos'è questa?". Non l'avevo mai vista. Poi lentamente mi abituai. Giocavo in mezzo alla strada, non sapevo nulla del calcio, meno ancora della tradizione inglese. In due anni colmai il gap. Inizialmente come terzino sinistro. La ragione? nessun altro voleva stare in quel ruolo. Lo stesso destino dei portieri. Poi a 14 anni, mi spostai in attacco». Un'intuizione filosofica. Otto campionati nel Watford, decine di segnature, la convocazione in Nazionale, i tre gol all'esordio col Lussemburgo, uno scudetto perso per un soffio nell'82 e l'aereo per Linate, assecondando l'inattesa piega degli eventi.

Per il fallimento italiano, Lutero non cerca indulgenze. «Se solo fossi capitato in un altro Milan, ogni cosa sarebbe andata diversamente». Storpia il nome di Sacchi, rimpiange il mancato incontro col vate del calcio spettacolo di fine anni '80. «Mi sarebbe piaciuto essere allenato da lui, invece ebbi in sorte Ilario Castagner. In squadra nessuno parlava inglese e a parte Baresi, il ragazzo che ancor oggi rammento con più affetto, mi ritrovai in un isolamento snervante. Mi mancò uno stratega, qualcuno che sapesse elaborare uno straccio di tattica. Che sfidassimo la capolista o l'ultima in classifica, impostavamo la partita sempre nello stesso modo. Mi stancai presto e nella primavera 1984, chiesi di essere ceduto. I soldi sono importanti ma il trucco, la formula per superare la salita che ognuno di noi è chiamato a compiere, è non intristirsi. A Milano stava accadendo e reagii. Non ero affatto scarso, anzi, ma in Italia non mi espressi che al 20% delle mie possibilità. C'era un'aria strana, giravano sciocchezze, dicevano che Farina, il presidente, si fosse confuso». Una delle mille leggende sul suo conto.

Il baffuto Giussy desiderava John Barnes ma avrebbe finito per ingaggiare il calciatore sbagliato. Quandò si intuì che l'affare l'avevano fatto in Inghilterra, Farina lasciò campo alla boutade: «Luther me l'ha consigliato un giardiniere di Londra». Giudizi che non agevolarono il compito. Blissett lo ripaga con la stessa moneta. «Farina era davvero uno strano personaggio. Non dimenticherò mai il nostro primo incontro. Mi convocò a Vicenza, nella sua villa. Una reggia a tre piani, poco fuori città». I quadri, le ceramiche, le statue a grandezza naturale. «Scese da una scala a chiocciola, vestito come un gangster. A petto in fuori, un gessato eccessivo, lucido. Sembravo capitato in un film di Scorsese, a un tratto pensai. "Adesso tira fuori la pistola"». Oggi Blissett ha cambiato sport. «Provai a fare l'allenatore ma le porte dei club più importanti non si aprirono». Allora approdò in ultima serie, tecnico del Chesam United. Un abisso da cui riemerse nell'Aprile 2007. Correre è sempre stata una passione, così Luther dismise scarpini e fischietto, sgonfiò il pallone per trasformarsi in pilota. Col suo team, il 48 motorsport, accarezza un pensiero stupendo. «Voglio partecipare a Le Mans nel 2010. Ho incontrato qualche resistenza ma con l'aiuto di un gruppo di amici, il progetto è più di un'illusione. Servono molti soldi ma non dispero. Conosco le dinamiche di squadra, l'affiatamento, le condizioni di fondo sono quelle della battaglia sociale. Combattiamo da sempre, in fondo». Luther si ferma, ordina un'altra media chiara, fa scivolare qualche rimpianto sottotraccia. Arriva un tifoso, gli fa firmare una maglia ingiallita. Lo abbraccia, lo bacia, scatta due foto. Come eravamo e come non saremo. Mai più.

***

Da "L'Unità" del 5 gennaio 2008:

L'EPICA DI LUTHER, IL "BROCCO" CHE ADERÌ AL BLISSETT PROJECT
I Wu Ming dopo l'intervista all'ex calciatore del Milan
Il suo nome, per motivi mai chiariti, venne trasformato
in uno pseudonimo collettivo negli anni Novanta


WU MING 1

Abbiamo letto, noi Wu Ming, l'intervista di Malcom Pagani a Luther Blissett (L'Unità, 3 gennaio 2009), ex-calciatore, "istigatore suo malgrado" del movimento che attraversò e colorò gli anni Novanta. L'abbiamo letta con ammirazione, per l'umanità e lo humour non derisorio con cui Pagani ha trattato l'argomento.
Per Luther avevamo già grande stima, da molti anni seguiamo a distanza le sue vicissitudini, i cattivi giochi a cui ha fatto buon viso.
In italiano c'è un'espressione, semplice ma ricca di connotazioni: "una bella persona". Che è diverso dal dire "brava persona". Un tempo, "bravo" era sinonimo di audace, coraggioso, ma oggi ha perso quel significato. Sei bravo quando fai bene quel che ci si attende da te: uno studente è bravo quando ottiene la sufficienza, un idraulico è bravo quando ripara il guasto. "Brava persona" richiama un'aurea mediocritas, un far bene privo di scosse. Intendiamoci: avercene, di persone brave. Però "bella persona" ha qualcosa in più, uno scarto, un surplus di valutazione etica... e di sorpresa. Si è sempre un po' stupiti di fronte a una bella persona, anche quando la si conosce da anni.
Paolo Piras dice che nello sport la vera epica è quella dei "brocchi". I brocchi sono protagonisti di storie meno scontate e più appassionanti, e rimangono nella memoria quanto e più dei campioni. Si pensi agli affettuosi rimbrotti che ancora si prende Egidio Calloni, ritiratosi nell'82.
La sfortunata stagione in un Milan raccogliticcio ci fa ricordare Blissett come un brocco, ma a casa sua non era affatto scarso. In un'Italia calcistica provinciale, che da pochissimo aveva riaperto le frontiere, Blissett si trovò male. Segnò quasi niente, sbagliò conclusioni facilissime, fu dileggiato e sbertucciato, ma scelse una linea che da noi lo fa sembrare un alieno: zero lamentele. Tornò in Albione senza gloria, ma lasciò in qualcuno una traccia, un'eco di sim-patia ("patire insieme"), di consapevolezza che il flop non fosse tutta colpa sua. Era il 1984.

LO SHOW IN TV
Dieci anni dopo, per motivi mai chiariti (ma forse proprio per vendicarlo), il nome di Luther fu preso in prestito da una congrega di strani figuri e trasformato in pseudonimo collettivo. Andò avanti cinque anni.
E lui, che nel frattempo si era ritirato e faceva il coach, come la prese? Le prime reazioni furono di perplessità, ma poi la cosa lo intrigò, fino all'apoteosi del 2004, quando apparve alla TV inglese, in una puntata dello show Fantasy Football, e non solo spiegò cos'era stato il Blissett Project, ma dichiarò la propria adesione al movimento, leggendo (in italiano) brani dal libro Totò, Peppino e la guerra psichica. Se volete vederlo, cercate su YouTube "Luther Blissett fantasy footballer".
Pensiamo ai calciatori italiani, al conformismo ignorante che quasi tutti mostrano nelle parole e nei comportamenti, e rallegriamoci che ogni tanto appaia non dico un santo pazzoide alla Maradona, ma uno come Blissett, o come Tommasi che in serie A giocava a salario sindacale.
Self-made man strapazzato dalla sorte, Luther non si è mai lasciato andare al risentimento e oggi ricomincia da un'altra passione, la corsa.
Noi lo sapevamo già, che Blissett era una bella persona. Il merito di Pagani è di averlo fatto capire anche agli altri.


L'ARTE DELLA CITAZIONE E DEL REMIX
L'arte è un martello visto allo specchio (Wu Ming)
Dettaglio di un collage
dei Liberi Cittadini Transmaniaci, Bologna, 30 dicembre 1993
Nell'autunno scorso Tiziano Bonini, ricercatore alla IULM di Milano, ci ha rivolto alcune domande su cut-up, campionamenti, citazioni e riutilizzi creativi di opere esistenti. L'intervista serviva da base per un lungo saggio ("Wu Ming e l'arte del campionamento. Bit Generation e cultura del remix") da includere in un libro intitolato Drammaturgia multimediale: media e forme narrative nell'epoca della replicabilità digitale.
A distanza di qualche tempo, abbiamo riletto le nostre risposte, e ci sembra interessante riproporle qui su Giap.

Da lettore attento alle note in fondo al romanzo mi sono accorto che in New Thing e in Q avete utilizzato frammenti di altri testi e li avete riutilizzati all'interno della narrazione. Da qui alcune domande. La prima è: possiamo parlare in questo caso di "campionamento" e di "remix" letterario? Da sempre gli scrittori rimescolano frammenti di testi precedenti, ma la mia impressione è che la nostra generazione, cresciuta in epoca di musica elettronica, computer e software digitali abbia sviluppato una cultura del campionamento, del remix, del cut'n'paste, che sta applicando in tutti gli ambiti creativi, non solo più in quello musicale.

WM. Sì, molti pensano che la pratica della citazione/riutilizzo sia eminentemente postmoderna, mentre è vecchia quanto l'arte stessa. L'incorporare in un poema versi di poesie precedenti, per dichiarare qualcosa o alludere a qualcosa, è già una prassi ben radicata nella Roma augustea, e così vediamo Virgilio che riutilizza nell'Eneide versi dagli Annales di Ennio, con una logica non molto diversa dal sampling del primo hip-hop: uso come base un pezzo di James Brown per dichiarare, da un lato, che avanzo sulle spalle di un gigante, e dall'altro che quel che faccio troverà un posto nel "canone" come l'ha trovato James Brown, come l'aveva trovato Ennio prima di Virgilio. Merita un posto nel canone perché lo voglio io, perché lo merita. Io, Virgilio, cito Ennio per far vedere che mi pongo a quell'altezza, e al tempo stesso - poiché sto sulle sue spalle - miro ancor più in alto di lui. E infatti...
Un altro modo di "campionare" è quello che, all'opposto, "svaluta" l'opera citata, la piega e la domina in un riutilizzo che non fa più alcun riferimento diretto, ma soltanto obliquo e sarcastico, al contesto iniziale. E' il détournement teorizzato dai situazionisti. Nel Panegirico Debord prende le distanze da quella prassi, dice che funziona solo in tempi e contesti sociali culturalmente vispi, altrimenti ogni allusione cade nel vuoto. Wu Ming 1 ha usato quella presa di distanza nel suo New Thing, attribuendo però la frase di Debord a Sonia Langmut, la "protagonista assente" del libro. Di sicuro, dopo un certo lasso di tempo il détournement smette di essere riconoscibile, perché fatalmente si perde memoria dell'opera citata, e il frammento si scioglie del tutto nel nuovo contesto.
T S EliotIn quest'ambito, il parossismo non lo ha toccato nessuna opera "postmoderna", pur con tutto il citazionismo - sovente fine a se stesso - di cui quella fase della cultura si è resa capace. L'apice insuperato rimane The Waste Land di T.S. Eliot, dove praticamente ogni verso è o contiene una citazione da opere precedenti. Il ricorso al "remix" poetico da parte di Eliot si colloca a metà tra l'omaggio/autopromozione di Virgilio e dell'hip-hop e il détournement "svalutante". Dipende volta per volta dall'opera saccheggiata e dall'utilizzo che l'autore ne fa.
Spesso, poi, il riutilizzo è privo di scopo, una cosa viene presa semplicemente perchè piace, perché "ci starebbe bene". In Hanno ucciso l'Uomo Ragno degli 883 a un certo punto parte il riff di Locomotive Breath dei Jethro Tull, ma non c'è nessuna strizzata d'occhio, nessun riferimento diretto ai Jethro Tull, né per omaggiarli né per irriderli.
Ecco, come dici tu, quella che era una pratica degli artisti oggi è una prassi comune, "di massa", il mash-up, il remix e lo stesso détournement hanno trovato le tecnologie, le reti e i background cognitivi adatti, oggi c'è addirittura un overload di riutilizzi, basta andare su Youtube per inciampare in un qualche esempio. Nel momento in cui un comportamento si democratizza a tal punto da divenire una vera e propria "atmosfera", a quel punto diventa un'altra cosa (è la vecchia trasformazione dialettica della quantità in qualità). Forse è tempo di fare una nuova riflessione su queste pratiche.
 
In quali altri testi/opere/romanzi avete usato questa tecnica e in che modo?

Sergio QuinzioWM. In tutti quanti. Tu hai menzionato Q, dove a un certo punto c'è un'amara considerazione sul lavoro fatta dal teologo Sergio Quinzio, e c'è una frase dello scrittore americano Don DeLillo (l'ultimissima dell'epilogo, un vero e proprio aforisma, è prelevata di peso da Rumore bianco).
Col tempo, il nostro ricorso alla citazione si è fatto sempre più "mirato", le parti da riutilizzare sono scelte con criteri più precisi, c'è meno casualità e maggiore coerenza con la poetica su cui stiamo lavorando. Per questo ha senso citare Erri De Luca in New Thing o H.D. Thoreau in Guerra agli Umani. In Stella del mattino ci sono versi degli stessi poeti che compaiono come personaggi. In 54 c'è una citazione da Jorge Luis Borges usata in modo "ostile", in un contesto che a Borges - grande fan di Pinochet e della giunta militare argentina - avrebbe suscitato orrore.

Quanto è "web 2.0 oriented" Wu Ming? In che modo? quanto le vostre opere vengono "remixate" dai lettori? quanto le vostre opere sono frutto della partecipazione dei lettori?

WM. Beh, se ne son viste di tutti i colori. Se l'autore rimane aperto, disponibile e in contatto con le comunità dei lettori dei suoi libri, si sviluppa un'interazione, che a volte diventa co-creazione. Per dire, se un lettore ti vuole bene e ha l'hobby della scultura, dedicherà una statua al tuo ultimo libro. Da Q, Asce di guerra e 54 sono nati dischi e lavori teatrali. Canzoni, fumetti, link giochi da tavolo e giochi di ruolo si sono ispirati ai nostri libri. Intorno al pianeta Manituana orbitano ormai tanti satelliti transmediali, e forse nel 2009 partirà una serie di albi a fumetti ispirati al romanzo. Abbiamo avviato progetti di scrittura comunitaria insieme ai nostri lettori, laboratori da cui sono nati romanzi come Ti chiamerò Russell, un altro collettivo di scrittori (Kai Zen) e un "racconto open source" (La ballata del Corazza) da cui a loro volta sono nate una partitura sinfonica e una graphic novel disegnata da Onofrio Catacchio. Sul nostro sito c'è un libro pressoché interamente scritto dai lettori, La prima volta che ho visto i fascisti. Diremmo che non c'è male :-)
Queste cose capitano anche a Valerio Evangelisti, pure lui coltiva a tempo pieno le relazioni coi lettori, e pure nel suo caso esiste una pletora di "opere derivate" che sorgono dal basso, vengono su dal maelstrom della repubblica dei lettori. Esiste anche un vino dedicato a Eymerich (*), noi a questo non siamo ancora arrivati...

Appunto, i vostri testi viaggiano su più media differenti. La storia è un mosaico i cui tasselli sono i media utilizzati. Il libro è solo una parte della storia. Intorno a una vostra opera nascono "prequel", programmi radiofonici, video, album musicali (54). Io definirei le vostre delle opere "mixed media", come si fa con gli artisti digitali quando usano più linguaggi, più registri per un'installazione. Quando concepite un'opera pensate anche alle sue possibili "mutazioni" mediali? alla sua transmedialità?

WM. No, mentre la pensiamo e scriviamo no, almeno non in modo conscio, tuttavia noi abbiamo un immaginario molto legato al cinema, ci troviamo molto spesso ad argomentare le nostre proposte facendo esempi di sequenze di film. L'immaginario degli scrittori di oggi è già in partenza multimediale, quindi è normale che un'opera nasca già aperta a una dimensione transmediale, di prosecuzione con altri mezzi e linguaggi. E' un bel paradosso che finora nessun nostro libro sia stato adattato per il cinema. Le nostre trame sono troppo complesse, e gli scenari sono troppo vasti, fare un film da Q, 54 o Manituana non è la cosa più semplice del mondo... E pensare che George Clooney sarebbe già perfetto per interpretare Cary Grant!

* O almeno è esistito qualche anno fa. In rete non ne abbiamo trovato tracce recenti. Si trattava del vino Lemeghettone, nella varietà speciale chiamata "Il Sangue di Eymerich", prodotto da Giuseppe Camminati in provincia di Piacenza.