#Renziscappa. Note su ‘enzi come comunicatore e sullo stato del ‘enzismo

Raduniamo e riportiamo qui su Giap alcune considerazioni fatte su Twitter nelle ultime ore.

AGGIORNAMENTO 12/11:

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138 commenti su “#Renziscappa. Note su ‘enzi come comunicatore e sullo stato del ‘enzismo

  1. La butto lì, tanto per dire: io il racconto per un #tifiamoasteroide2 ce l’ho già in testa, nel caso: il primo ha portato bene (a noi: e sfiga a Letta, com’era giusto che fosse), metti mai…

    • Devo dire che leggere che ha portato bene, guardando a cosa succede adesso attorno a noi, mi suona un po’ strano… :)
      Capisco il senso limitando lo sguardo al governo Letta, tuttavia la scena generale ricorda l’aneddoto della vecchia cui chiedono come mai sia triste per la morte del despota e lei risponde che nella sua vita ad ogni morte di un tiranno aveva sempre gioito… per poi ritrovarsi con un sovrano peggiore del precedente.

      • Sicuramente ci ha “portato bene” come progetto letterario, nel senso che è stato un bell’esempio di cooperazione sociale e scrittura collettiva, ne è venuta fuori una antologia di una certa potenza, con dentro racconti beffardi che invitavano a non abbandonarsi allo sconfittismo e alla depre post-larghe intese. Antologia che è stata scaricata da svariate decine di migliaia di persone, e lo slogan “Tifiamo asteroide” è andato anche oltre il progetto, divenendo un modo di dire diffuso su Twitter.
        Niente di che, intendiamoci. Una piccola cosa. Ma è l’accumulo di tante piccole cose a produrre le catastrofi (nel senso della teoria delle catastrofi, René Thom ecc.).

        • Non intendevo sminuire in alcun modo il progetto, cui sono affezionato anche a livello personale, e quello che scrivi e’ senz’altro vero. Ne’ voleva essere una critica a girolamo, il suo inciso tra parentesi diceva tutto.
          Forse solo l’amarezza, che in questi ultimi giorni ha toccato l’apice…
          mi sa che uno solo non basta, qui ci vuole una pioggia di asteroidi.

          • Tranquillo, @gioco: credo che tutti quelli che hanno partecipato a quel progetto siano in qualche modo attivi e attivisti non contro questa o quella fazione del PD, ma contro il modello economico, sociale e culturale di cui Letta era la mascherina come lo è oggi Renzi. Nessuno pensava che l’asteroidizzazione di Letta avrebe comportato mutamenti radicali e/o strutturali: si trattava solo di provare a coniugare una lotta di lunga durata con un’opportunità per un oggetto letterario. Oggetto che, caso mai ce ne fosse stato bisogno, ha dimostrato che la “letteratura impegnata”, come si diceva una volta, è ancora possibile e potente. L’importante è continuare ad accumulare piccoli granelli di materia per produrre le condizioni di una possibile catastrofe, ciascuno con i mezzi che ha e che può mettere in gioco.

  2. capisco il percorso e condivido i commenti. un problema: appena lui cade arriva la Troika. i segnali già ci sono. finalmente sarà palese la prigionia dell’Italia nelle griglie coercitive europee. finalmente arriverà la ribellione popolare? mah…

    • “…può darsi che periremo tutti in una nera battaglia lungi dalle terre dei vivi, e che, quindi, anche se Barad-dûr soccomberà, non vivremo per vedere una nuova era. Ma tale, penso, è il nostro compito. Meglio, comunque, che perire ugualmente, ed è certo ciò che accadrebbe se rimanessimo qui ad aspettare, sapendo che non vi saranno nuove ere”. (Il Signore degli Anelli, libro V, cap. IX).

      Parafrasando le parole di Gandalf: dovesse anche finire nel peggiore dei modi, è comunque meglio finire combattendo con le unghie e con i denti che restare fermi ad aspettare la fine.

    • Quindi il governo ‘enzi sarebbe il solito “male minore”, dopo il quale ne verrebbe uno peggiore e allora tanto vale tenerselo e lasciare che compia i suoi massacri?

      A lungo si è risposto così a chi contestava le porcate del “centrosinistra”, perché era sempre meglio che avere Berlusconi ecc. ecc. Si è visto com’è andata a finire: nel paese le porcate peggiori *non* le ha fatte Silvio, ma l’altra parte, dall’introduzione massiccia della precarietà nel mondo del lavoro alle politiche contro i migranti, dall’avvio di colossali scempi come il TAV Torino – Lione al revisionismo storico neonazionalista (la “memoria condivisa”, i “ragazzi di Salò”) e via discendendo un lungo elenco.

      “Altra parte” della quale è espressione pure quel Napolitano che in questi anni ha garantito ogni politica di macello sociale.
      E oggi abbiamo il “Partito della Nazione”…

      Ma è proprio la premessa a non funzionarmi: a parte qualche increspatura di superficie buona per i canali di news 24h su 24 che qualcosa devono pur dire e quindi gonfiano e montano la panna dal poco spacchio che c’è, finora la “Troika” ha approvato nella sostanza ogni manovra e decreto del governo ‘enzi. In cosa la politica di quest’ultimo su lavoro, tagli alla spesa pubblica, liberalizzazioni, “stabilità” e quant’altro sarebbe incompatibile con l’austerity che BCE e Commissione Europea impongono a mezzo continente da anni e coi dogmi tardoliberisti che la ispirano?

      Se qualcuno ha paura di contestare ‘enzi per paura che arrivi la “Troika”, noi lo/la esortiamo ad aprire gli occhi: la “Troika” è già qui da un pezzo.

      La “Troika” “arriva” *comunque* e continua ad “arrivare” ogni giorno perché non viene “da fuori”, non è “l’Europa”, non è la Germania kativa personificata dallo spauracchio della Merkel. Una delle conseguenze peggiori del ripiegamento generale su un immaginario neonazionalista è la tendenza a descrivere il nemico come “esterno”, quando invece il capitale e lo sfruttamento non hanno frontiere. La vera “Troika” non è altro che l’interesse di pochi padroni coltivato a scapito degli interessi di miriadi di sfruttati. La vera “Troika”, per dirla come oltreoceano, è l’1% contro il 99%. Se solo quel 99% si rendesse conto che i suoi interessi sono diversi da quello dell’1%, saprebbe individuare correttamente il nemico, e anche la logica del nemico che ha introiettato, per sbarazzarsene.

      • #Wu Ming 4: sempre splendide le tue (spero di non offendere se uso il “tu”) citazioni tolkieniane, anch’io stavo pensando proprio a quelle parole di Gandalf. Credo si debba sempre ricordare che le azioni prive di effetto non sono per questo prive di significato.

        #Wu Ming 1: perfettamente d’accordo con il tuo ragionamento, soprattutto con l’idea che bisogna ricordarsi di vedere il capitale e le sue logiche come un processo storico costantemente *interno* alla società.
        Però volevo spendere due parole in difesa di conques, che non mi sembra (potrei sbagliare) voler difendere la logica del male minore. Piuttosto ho letto nelle sue parole un problema antico dei partiti e dei movimenti “rivoluzionari”. Esempio classico: se guardiamo al biennio che precede la scissione di Livorno, la differenza che emerge tra l’ala di ultra-sinistra (diciamo sovietico-bolscevica) del PSI e quella massimalista non sta in un disaccordo sulla prospettiva rivoluzionaria (anche i massimalisti, che erano in quel momento la maggioranza nel partito, volevano la rivoluzione); piuttosto, essa è da rilevarsi in un differente atteggiamento: i massimalisti, pur rivoluzionari, si limitavano per così dire ad *aspettare* la rivoluzione, in base a quella forma larvata di messianismo (comunque presente nel Manifesto) per cui in fondo sarà la borghesia ad affilare le armi della sua stessa distruzione; da cui la sostanziale inefficacia della loro azione politica.
        Tornando a conques, mi sembrava che nelle sue parole ci fosse un fondo di (a mio avviso) giustificato scetticismo circa il fatto che il denudamento delle logiche oppressive del capitale possa generare *di per sé* e spontaneamente un moto di rivolta e di lotta diffuso. conques dice:”finalmente sarà palese la prigionia dell’Italia”; dubita però che questa evidenza possa da sola accendere la miccia (e la storia non mi sembra dargli torto, purtroppo).

        • La premessa che porta a parlare di “prigionia dell’Italia”, la cornice narrativa *nazionale*, è proprio quella che contesto, perché inadeguata, deresponsabilizzante (per gli italiani tutto è sempre “colpa di qualcun altro”) e “impotentizzante”.

          Ma anche a prescindere: quella che non convince te e Conques è la vecchia logica del “tanto peggio tanto meglio”, cioè che con il precipitare della situazione “le masse prenderanno coscienza”.
          A volte è successo, in particolari condizioni. Spesso no, anzi: con il precipitare della situazione, si scatenano più guerre tra poveri. Perché quella regola non esiste, è frutto della doppia tara del determinismo e del mono-causalismo. Non solo non c’è alcun automatismo, ma se c’è una cosa certa, è che la crisi NON fa cadere il capitalismo, perché il capitalismo è la crisi, e non cadrà mai da solo.

          Detto questo, quel che rimane da capire è dove mai si trovi anche la minima traccia di “tanto peggio tanto meglio” nella nostra analisi delle prime, serie difficoltà di ‘enzi e dei possibili modi di accentuarle. A meno di non pensare che il “tanto peggio tanto meglio” sia la logica di *ogni* lotta, ma francamente, mi sembrerebbe abbastanza scema, come convinzione. Che c’entra col “tanto peggio tanto meglio” il difendere dalla precarizzazione e dalle privatizzazioni quel poco di welfare che rimane, i beni comuni, le conquiste sedimentate degli scorsi cicli di lotte? Boh.

          • Ancora una volta d’accordo sul tema della “nazionalizzazione” della crisi.
            Per quanto mi riguarda, non intendevo affatto dire che nel vostro discorso ci siano elementi di determinismo o mono-causalismo storico (anzi). Mi stavo solo sforzando di di applicare alla breve osservazione di conques quello che Putnam chiamò “principio di razionalità massima”, per tirarne fuori un problema (quello del passaggio dalla teoria alla prassi) che sento con urgenza. E’ ovviamente possibile che questa urgenza personale mi abbia portato a sovraccaricare il mio e l’altrui discorso. Se l’ho fatto, non era intenzionale.

            • Ok. Però secondo me è molto più produttivo, anche per affrontare il problema di fondo, partire dalla concretezza di quel che sta succedendo al ‘enzismo nel momento in cui si è trovato di fronte un conflitto sociale non occultabile. Cioè una prassi, anzi, delle prassi. Non caveremo un ragno dal buco senza continue verifiche di cosa possa *fare* il conflitto sociale oggi in Italia.

              ‘enzi non è in grado di affrontare prassi che lo portano fuori dalla sua (ristrettissima) “zona di comfort”. Questo è un dato che stiamo acquisendo dopo la fine della “luna di miele”. Bene, vediamo cosa si può trarne.

              • Penso che tu abbia ragione. Purtroppo ho passato troppi anni accampato nei dipartimenti di filosofia, la qual cosa non ha verosimilmente giovato alla mia capacità di analizzare il concreto storico-sociale.
                Detto questo, mi allaccio alla tua ultima affermazione e te la rigiro sotto forma di domanda: cosa ne possiamo trarre? Non è una domanda retorica né polemica, sono veramente interessato a cercare una prospettiva. Cerco di uscire dall’incubo dell’eterno presente.

              • Provo a spiegare meglio il mio velato pessimismo (sempre aperto e bisognoso di sorprese e meraviglie!). stanotte ho chiesto a mio figlio, ricercatore di NS a NY, un commento a caldo sulle
                midterm elections USA. mi ha risposto così: “la questione è complicata, con il senato dem e la camera rep, la paralisi è assoluta, ma nessuno si prende la responsabilità: da anni entrambe le camere votano leggi che non hanno speranza di passare l’altra camera, solo per motivi elettorali. invece così finalmente i repubblicani faranno quello che dicono: smantellare la riforma sanitaria, abbassare tasse sui miliardari etc, e obama sarà costretto a mettere il veto, così i repubblicani gli faranno l’impeachment sui decreti pro-immigrazione (obama sta per passare un’amnistia per 5 milioni di clandestini sudamericani), e si scaveranno la fossa per i prossimi vent’anni. in più la clinton sara’ costretta a spostarsi a sinistra di brutto. speriamo vada cosi’…”. Bene, il nesso logico tiene tutto, salvo verificare alla fine, tra due anni alle presidenziali, che magari la Clinton vince davvero perché si è spostata un po’ a sinistra, ma poi la sua presidenza diventa un fallimento quasi inverecondo come questa di Obama. Non c’è nulla di automatico. Qui, nel Veneto, poco tempo fa infuriava la ribellione dei Forconi. L’estrema sinistra (roba mia) li ha schifati e snobbati definendoli a priori fascisti. Infatti, i fascisti veri (i professionisti come Casa Pound) ci andavano e facevano proseliti. Noi, invece, stavamo a guardare. Un comunista rivoluzionario con le palle ci deve stare nelle ribellioni popolari magari per guidarle a sinistra, verso la rivoluzione. Se invece le guarda – le ribellioni – specialmente in Italia finiscono in braccio al fascismo o al governo autoritario. Dove sono i comunisti con le palle? E’ una “razza” in estinzione, ahimè. comunque Adelante!

              • Però, Conques, abbi pazienza, fammi capire…

                Tu pensi che bisognasse stare nei “forconi”. A Torino qualcuno ci ha provato senza grossi risultati, perché quello era un fuoco di paglia, e comunque a Torino la composizione sociale sembrava in parte diversa da quella delle altre macchie di leopardo nel Paese, dove si trattava in gran parte di una rivolta (confusa e subito evaporata) corporativa di padroni e padroncini declassati, rancorosi e in cerca di capri espiatori. Non sto a riassumere la discussione fatta all’epoca, andremmo OT.

                Invece, di fronte alle lotte dei lavoratori contro il governo ‘enzi, che sono ben più estese, ben più radicate e *non* sono un fuoco di paglia come i forconi, la prima cosa che ti viene da dire è:
                “tanto dopo arriva la Troika”.

                Mah.

      • “Quindi il governo ‘enzi sarebbe il solito “male minore”, dopo il quale ne verrebbe uno peggiore e allora tanto vale tenerselo e lasciare che compia i suoi massacri?”

        Assolutamente no. (Se era riferito al mio commento).

        • No, Gioco, siamo in un thread diverso da quello dove hai lasciato il commento tu.

          • Rispondo qui a Wu Ming 1, ché sul suo ultimo msg non appare reply. Ovviamente il mio “mah” finale voleva esprimere non solo la grigia dose di pessimismo che ho addosso dopo 50 anni di lotte e di sconfitte, ma soprattutto la provocazione che un “nuovo arrivo” come me non può non fare in un blog interessante e intelligente come questo, proprio perché il thread che lo accoglie punta dritto sul “dopo Renzi” e come arrivarci. La mia radicalità è già espressa, ma la ripeto: in ogni pur ribellione ci vuole un bravo comunista con le palle che sappia orientare e guidare le masse nella giusta direzione. Così facendo, sistematicamente, poiché la statistica dice che una volta per secolo, massimo due, passa il treno della rivoluzione, quella tal ribellione popolare diventerà La Rivoluzione. Se il comunista con le palle non c’è, il treno sarà passato invano (e spero sia esplicita la metafora del treno..). Certo che i Forconi erano una porcheria infiltrata (da fascisti e leghisti al nord; da mafiosi e camorristi al sud), ma la partecipazione popolare c’era: in certe zone più, in altre meno. Se tu regali una piazza in subbuglio, magari confuso, alle destre sappiamo dove va a finire. Se tenti di guidarla verso l’estrema sinistra rivoluzionaria ed anticapitalista allora può cambiare tutto. Ma sempre: se ci sei conti; se non ci sei non conti una minchia. Adelante!

            • Al netto del fatto che “comunista con le palle” è un’espressione orrenda (molti tra i comunisti migliori che conosco sono privi di palle fin dalla nascita, credo dipenda dal fatto che non hanno il cromosoma Y), il discorso per me ci può anche stare ma detto così è davvero *troppo* rudimentale.

              «Stare là dove stanno le masse»: OK, ma dipende eh. Sono considerato uno di bocca buona perché dice che bisogna partecipare sempre ai movimenti di massa anche molto confusi o moderati *purché abbiano degli obiettivi progressisti*. Però ‘sti obiettivi buoni ancorché vaghi devono averli e una rilevanza numerica pure, altrimenti cosa faccio, vado in un movimento reazionario (per esempio, le Sentinelle in Piedi, che in certi posti è stato pure abbastanza grande) e cerco di convincere quei disgraziati che sono lì che invece di mobilitarsi a favore dell’omofobia bisogna mobilitarsi contro? Almeno un accordo di massima con gli scopi, magari anche solo dichiarati, di un movimento bisogna pur averlo. Se è così, si può provare a contenderne l’egemonia, altrimenti vai solo a far numero.

              Restando sul pezzo, però, perché non si sta parlando dei forconi ma di quel che capita oggi, che è una cosa completamente diversa sia per dimensioni sia per composizione sociale sia per obiettivi, per me è giusto starci, nonostante Susanna Camusso, ma starci da rivoluzionari e non da pecoroni.

              La cosa che trovo un po’ curiosa è che spesso gli stessi che sono per partecipare criticamente (?) a roba tipo i forconi, dove secondo me non si cava un ragno dal buco (ma si cavano molti topi dalla fogna) mi sembrano dogmaticamente ostili a partecipare criticamente magari a uno sciopero operaio convocato dalla FIOM. Forse c’è sotto un’idea radicalmente diversa dalla mia su quale ricomposizione di classe sia necessaria per combattere il capitalismo?

            • Conques, capisco il punto, ma io la vedo un po’ più complicata. Il punto non è come pilotare verso sinistra un movimento estemporaneo come quello dei Forconi, che mi pare davvero un’operazione improbabile, quanto piuttosto interrogarsi su perché Grillo guida una formazione politica tra il 20 e il 25%. Il punto è interrogarsi sul perché c’è bisogno che la polizia manganelli gli operai perché Landini dia voce a quello che pensano tutti sulla Leopolda (perfino quelli che ci vanno), quando, come fa notare Vanetti, non tanti mesi fa dialogava con Renzi per far dispetto alla Camusso (la quale, a parti invertite avrebbe ricambiato volentieri il “favore”). Il punto è domandarsi perché nessuno a sinistra si sia posto il problema di come interpretare l’incazzatura sociale diffusa in tempi di crisi, e si sia limitato a presentare sempre la stessa faccia bonaria e ragionevole (o a prenderne in prestito una dalla Grecia), quando invece negli ultimi vent’anni sono state ben altre le strategie comunicative incisive sull’elettorato. Il successo di Renzi è stato dovuto al suo presentarsi come “rottamatore” assai più che come salvatore della patria in veste trendy. E i Vaffanculo di Grillo hanno i loro prodromi nei ditaculo di Bossi degli anni Novanta, passando per la sbruffoneria berlusconiana.
              Ora, è evidente che non si tratta di assumere uno stile da “idiota in politica” (per citare un saggio sul tema) o da urlatore, o stare in mezzo ai Forconi, appunto, ma riacquisire il senso del conflitto che si deve consumare in questo paese e che può spezzare queste larghe intese infinite e la melassa ‘enziana. Bisogna chiamarlo per nome, senza timore. L’abbiamo visto: l’immagine di un leader sindacale confederale che insieme agli operai fronteggia gli sbirri (roba che non si vedeva dagli anni Sessanta, forse) e prende le manganellate e grida al digossino: “Che cazzo fate? Siamo lavoratori come voi, siamo gente come voi! Perché ci picchiate?”, è una roba che oltre a imbarazzare lo sbirro e a rendere inutilizzabile la solita citazione pasoliniana, manda in cortocircuito tutta la retorica “friendly” ‘enziana. Buca lo schermo e si stampa sull’immaginario.

              • Landini ha fatto un capolavoro!! Con poche centinaia di operai AST in corteo e 3-4 all’ospedale manganellati è riuscito a soverchiare mediaticamente di un bel po’ la grande manifestazione Cgil del 25/10. Appunto: un apologo della Società dello Spettacolo!
                Basta con questi Forconi! Non li cito più. Ma li ho citati perché è stato il fenomeno “ribellistico” degli ultimi anni che è riuscito ad impaurire almeno un po’ l’establishment. E quindi lo usavo come esempio di popolo che va in strada e in piazza, per lo più confusamente (piccoli artigiani e commercianti e coltivatori diretti falliti + disoccupati + cassintegrati, ecc.ecc.). Tutto qui

              • Ho bisogno di sollevare un paio di questioni (lo so, mi sto accollando, come si dice dalle mie parti):
                1. che cosa si intende esattamente per “conflitto che si deve consumare”? Se capisco bene, si tratta di un conflitto che deve passare dalla fase latente o potenziale ad una fase attuale. Cosa che mi trova anche d’accordo ma che si porta dietro un interrogativo: come faccio ad attualizzare il conflitto in una realtà sociale in cui, almeno secondo la mia esperienza, non si riesce nemmeno a far ammettere ai più che *esiste* un conflitto, e che l’idea di nazione come un tutto omogeneo e in sé pacifico è un’invenzione (e puoi citare tutti gli Hobsbawm e i Wallerstein che vuoi, ma ti diranno sempre che alla fine tutte le opinioni sono valide)?
                2. (a caduta da 1) le manganellate bucano lo schermo e si imprimono nell’immaginario. D’accordissimo. Ma non è possibile che questo sia uno dei problemi? Ovvero: non è possibile che certe vicende siano destinate a restare nell’immaginario, senza arrivare mai alla razionalizzazione? Chiaramente con il presupposto, che sono pronto a discutere, che nessun vero progresso si possa compiere se si resta sul piano dell’immaginario e non si passa alla razionalità.

              • Non capisco bene. Cert, in questi anni la comunicazione politica efficace è violenta e volgare quanto basta, ma cosa si intende per riacquistare il “senso del conflitto”. Non faccio retorica, solo mi chiedo davvero come intercettare quella ribellione di migliaia di persone, che saranno pure ex padroncini rancorosi, ma in effetti non mi andrebbe di regalare quel rancore a Grillo. Forse anche una certa lettura della struttura sociale di questo paese ha contribuito a rendere impermeabile il senso del conflitto a quelle persone.

              • Il motivo per cui Grillo prende un quatro dei voti dipende dallo stesso vuoto che fa scendere in piazza la CGIL per difendere l’articolo 18. A sinistra non si sono posti il problema di come rappresentare milioni di persone per incapacità, perché nel tempo uno si aggrappa alla sua posizione acquisita. E il successo di Renzi come rottamatore dipende dal fatto che questo paese non funziona, ha una pubblica amministrazione inefficiente, ha una giustizia lenta, ha pensioni distribuite male, non ha ammortizzatori sociali universali (e la Camusso ha ammesso l’anno scorso di non essersi accorta dei precari), ha contratti di lavoro folli, ha un’economia ingessata dalle corporazioni di memoria fascista, ha una classe di piccoli imprenditori non competitivi sul mercato, eccetera. Il successo di Grillo non è la rabbia, è l’inefficienza, è che ci sono milioni di persone che non hanno rappresentanza politica dei loro interessi. Tanto è vero che dopo il primo successo elettorale, molti non lo hanno rivotato perché si è limitato a sbraitare come sempre. Se una forza a sinistra vuole cominciare a rappresentare queste persone deve mettere sul piatto proposte concrete per i loro interessi. Grillo ha messo sul piatto qualcosa ed è stato votato.

      • Condivido poiché ho praticato anch’io in passato questa pratica arrogante e stronza del “preferisci Silvio?” Buona per acquietare la coscienza sotto un mare di merda di
        centro-sinistra e avvallare ogni stortura e imbroglio.
        Da un po’ rifletto su questa consapevolezza e vorrei aggiungere, non so quanto condividerete, che in quel 99% ci stanno anche migliaia di artigiani,piccoli commercianti(come me) e cosiddetti ‘imprenditori’ (una parola, un disastro sociale) che pagano molte umiliazioni e purtroppo ancora credono, molti meno oggi, che i loro interessi siano diversi da operai, precari, famiglie in difficoltà. Renzi sta fottendo anche noi!!

    • Ma poi la Troika che dovrebbe “arrivare” se cade Renzi, come fa ad arrivare? Ha bisogno di un governo italiano per fare le sue politiche, perché non esiste uno Stato europeo vero e proprio. E il governo che c’è adesso è – dal loro punto di vista – molto efficace.

      Tra l’altro sarebbe il caso di far notare che la Troika non è espressione di fantomatici “interessi anti-nazionali”, è espressione dell’interesse in larga parte convergente della classe dominante italiana con le classi dominanti egemoniche nella UE, a partire da quella tedesca. Ci sono attriti e contraddizioni tra le varie borghesie nazionali? Sicuramente sì, e così forti che l’UE rischia continuamente di esplodere (“da destra”). Ma se c’è una cosa su cui sono d’accordissimo, ed è in fondo il cemento principale che li tiene insieme, è nell’attaccare i ceti bassi e medio-bassi e nel collaborare allegramente allo sfruttamento e all’oppressione dei popoli dei Paesi sottosviluppati.

      Hanno un bottino da spartirsi e quel bottino siamo noi.

      Ha molto più senso considerarli come una banda unica piuttosto che fare dei distinguo su base nazionale e tentare contorte astuzie tattiche per metterli uno contro l’altro (per anni la sinistra salottiero-girotondina cercava di aizzare la tecnocrazia dell’Unione Europea contro Berlusconi… si sono visti i bei risultati). Ci aiuterà anche a evitare di prendere dei brutti granchi quando a licenziare, bastonare, sfruttare, precarizzare non sono le cattive multinazionali tedesche o americane o la malvagia finanza internazionale ma proprio i bei padroni e padroncini italiani DOC, sempre pronti a sventolare tricolori e frignare perché l’Europa, le banche ecc. li affamano.

      • Commento qui PorcoRosso (sotto il suo post non c’è reply). Lui conclude così: “Chiaramente con il presupposto, che sono pronto a discutere, che nessun vero progresso si possa compiere se si resta sul piano dell’immaginario e non si passa alla razionalità”. Ma caro mio, nella società dello spettacolo globale la RAZIONALITA’, così come l’abbiamo conosciuta fino al secolo scorso, si è trasferita armi e bagagli nell’IMMAGINARIO. Se ciò che dici e/o fai colpisce l’immaginario e lo occupa, lì poi trovi la razionalità dell’attore e dello spettatore: congiunte ed in armonia se attore e spettatore condividono; in un conflitto assolutamente inconciliabile se attore e spettatore non condividono. Con l’entrata dei cosiddetti nativi digitali nei cicli scolastici superiori ormai si va completando la mutazione antropologica che l’età digitale ha consumato. Un esempio clamoroso. Sabato scorso era la giornata globale di solidarietà e appoggio ai curdi del Pkk resistenti a Kobane contro l’invasione dell’Isis. Bene: molte associazioni, centri sociali, partiti dell’estrema sinistra, sindacati di base hanno manifestato, volantinato, ecc. Chi di voi l’ha saputo? Quanti vostri conoscenti lo sapevano? Pochissime persone, e sempre le stesse, hanno aderito materialmente a sit-in e convegni. Male. Nella prima pagina del Corsera di ieri, c’era una bellissima foto, enorme a centro pagina, di una leggendaria soldatessa curda, narrata nelle pagine interne come una vendicatrice invincibile e terrore per l’Isis. Quella prima pagina è rimbalzata in chissà quante rassegne stampa in tivù e radio. Per la causa curda di resistenza a Kobane ha contato più la giornata globale di migliaia di persone sabato scorso, oppure la prima pagina del Corsera? Un fantastiliardo di più il Corsera, ovviamente! Nella giornata globale di sabato scorso c’era tanta razionalità in stile novecentesco; nella prima pagina del Corsera una valanga d’immaginario, come un apologo esemplare della società dello spettacolo. Ma nell’immaginario invaso dalla foto del Corsera risiede da ieri tutta (o almeno un buon 90%) la razionalità riguardante i curdi resistenti di Kobane…

        • Conques, va ben tutto, però è la seconda volta che vieni a farci il Bignami di teorie dei media e dello spettacolo degli anni ’60, come se fossero chissà quali verità da far capire. Sei su Giap, un blog frequentato da persone che certe cose le danno da tanti anni per implicite e predigerite e persino un tantinello passées (sicuramente sono un poco passés i tuoi esempi: il Corsera tra un po’ se non chiude baracca mancherà poco, le rassegne stampa dei giornali in TV le guardano solo “tossici di notizie” sempre più residuali e sempre meno rappresentativi). Un blog messo su da persone che erano nel Luther Blissett Project. Su, ché non c’è bisogno :-)))

  3. Quando mi hanno chiesto di usare #TifiamoAsteroide per un reading, ho detto: basta sostituire “Letta” con “Renzi”. E funziona benissimo.

    Di più: porre l’accento sul fatto che siamo ancora nel dominio del governo di “basse intese”, aiuta a smontare ulteriormente questa retorica del “nuovo” a cui ‘enzi tanto si aggrappa.

    Qui un commento sull’adattamento del reading/racconto: http://nexusmoves.blogspot.it/2014/03/its-like-jungle-sometimes.html#.VFnybPmG-2w

  4. ‘enzi mi sembra l’ennesima reincarnazione della “biografia della nazione” (italiana). Che è l’attitudine alla rivoluzione passiva, non tanto al fascismo. Il fascismo ne è l’esempio più forte, ma è un caso specifico di un genere più ampio.

  5. ‘enzi è il volto della troika. Comincia a usare la retorica della nazione brava vs germagna e commissione, come dice WM1 poco sopra, con annesse polemiche-siparietto tipo quella con Van Rompuy che…lo sputtana, dicendo in sostanza che lui (ma anche altri governi di “sx”) in privato sostengono quelle politiche *condivise* di distruzione della domanda (Monti) ,poi coi media nazionali fanno le vittime. Ve lo ricordate Guzzanti/Tremonti e il gemello st’onzo?
    Politici, 1% e corifei stanno sfruttando il frame della deresponsabilizzazione fino in fondo. Prima hanno imposto ue e cambio fisso perché forzassero le loro porche riforme, convincendoci che non esiste un interesse nazionale, nemmeno alla democrazia tanto siamo un popolo di mandolinisti. Poi “signora mia, è cattiva la germania, avevamo un bel sogno europeo, l’hanno rotto… intanto facciamo ancora… riforme…”
    D’altronde è l’unica possibilità di sopravvivere politicamente e nn solo al protrarsi della crisi.
    È un posizionamento necessario

    • (concludo ché avevo cliccato a caso)
      …necessario per tutto l’arco parlamentare e massmediatico. Questo ovviamente è un brodo di coltura pericolosissimo, il che non significa che qualsiasi riferimento allo stato nazionale e ad un interesse nazionale sia da condannare a priori.

      • Mah. In un ipotetico uso dello “stato nazionale”/”interesse nazionale” come riferimento, che spazio potrebbe trovare la soggettività migrante che è parte integrante di importantissime lotte oggi (cfr. ad esempio, le lotte della logistica in Emilia e non solo)? Non mi convince molto questa cosa.

        • Stavo mettendo a fuoco la strategia comunicativa “nazionalista e antitedesca” prossima ventura di tutto l’arco parlamentare, e la sua schizofrenia. Aggiungevo come cautela che non per questo bisogna negare l’esistenza di un interesse nazionale: lo aggiungevo perché siccome nazione suona simile a nazionalismo molti compagni hanno un’idiosincrasia innata per questo concetto. Ma confondendo le cose facciamo il gioco dei padroni e delle destre: la soggettività migrante ha un interesse a che ci siano prosperità, tutele sindacali, sanitarie, pensionistiche, nel paese dove ha deciso di vivere? E allora perché non dovrebbe trovare spazio e partecipare?

          • @rapa tutele sindacali, sanitarie e pensionistiche non hanno niente a che fare con la “nazione”, ma con cio’ che i nostri nonni sono riusciti conquistare con le loro lotte e a far scrivere nero su bianco dai parlamentari che avevano votato. per te l’interesse nazionale include le suddette tutele. per ‘enzi e confindust’ia l’ “inte’esse nazionale” consiste esattamente nello smantellamento di quelle tutele. quindi l’ “interesse nazionale” non esiste. e per quanto riguarda i migranti, c’è un’armata di sonnambuli in italia e in europa che ritiene che l’ “inte’esse nazionale” consista nell’ ammazzarli prima che tocchino terra. quindi e’ ovvio che i migranti, se sentono parlare di “inte’esse nazionale”, come minimo si tocchino le palle.

            • Accendo il tiggì e cosa ti vedo? Zio silvio che parla proprio di interesse nazionale per continuare il balletto con ‘enzi… Mi sembra che siamo ancora on topic, per fortuna (rapa si accarezza il collo).
              Comunque Tuco non riesco ad essere d’accordo con te, anche se capisco benissimo i tuoi timori.
              Però ti prego, seguimi un attimo senza pregiudizi: dici che io, confindust’ia e salvini non siamo d’accordo sul significato della parola “interesse nazionale” o “nazione”, QUINDI quel significato non esiste.
              Come a dire che se io chiamo porchetta la pietanza romana, uno specista chiama porchetta un animale, e un sessista chiama porchetta una donna, ALLORA la cosa carnosa che si mette nel panino non esiste.
              Non so come si chiama questa fallacia logica ma non mi convince.
              D’altro canto hai ragione anche tu, occorrono tante cautele visto che in italia il concetto è stato usato malissimo. Ma un marxista dovrebbe riconoscere che le lotte che hanno portato a quelle tutele di cui sopra, le lotte del proletariato contro la borghesia, sono in un primo tempo NAZIONALI, se non sostanzialmente certo formalmente. Che lo stato nazionale è il mezzo (non il fine, il mezzo) tramite il quale le lotte han potuto sancire quelle tutele (una legislazione nazionale, l’impegno dello stato nell’economia ecc.). Che tutti i movimenti anticolonialisti hanno affermato senza peli sulla lingua patria o muerte, la patrie ou la mort, perché vedevano che senza autodeterminazione dei popoli le lotte non funzionano.
              Ed eccoci al fondo dell’incomprensione. Ovvero: io penso che l’italia sia, e non da oggi, una colonia. Una colonia-vetrina fin quando il fattore K l’ha permesso, ora una colonia tout court. Quindi mi ispirerei volentieri (per fare un nome) a Thomas Sankara, e direi che un buon discorso inclusivo e di classe sull’interesse nazionale sia necessario per contrastare i discorsi tossici di cui sopra. Naturalmente però se tu contesti le mie premesse, non mi sorprende che contesti le conclusioni. Ma quello che auspico più di tutto su questi argomenti è un discorso che sia razionale e lucido, e non viscerale.

              • Rapa, scusa, ma di che stai parlando?

                L’Italia è un paese che ha una storia ancora recente e terrificante di imperialismo e colonialismo, storia che non è mai stata affrontata, anzi, è stata in gran parte rimossa.

                L’Italia è tuttora un paese imperialista le cui multinazionali private o di stato/parastato devastano paesi del sud del mondo. Si veda, per fare un solo esempio, cosa succede nel delta del Niger, ma anche tutta la storiaccia dell’idroelettrico in Cile ecc.

                L’Italia è un paese che fa parte a pieno titolo di un blocco sovranazionale imperialista (l’UE), del quale è nazione co-fondatrice.

                In Italia è dominante una cultura fortemente impregnata di razzismo e imperialismo, pervasa di umori revanscisti resi possibili – ed esprimibili in modo subdolo – dalla rimozione di cui al primo capoverso. Basta seguire un minimo il dibattito sul confine orientale, le foibe, Magazzino 18 e quant’altro, oppure ripercorrere la genealogia del razzismo italico che porta diritti al “noi in Africa abbiamo fatto del bene, ad esempio abbiamo fatto le strade”.

                Descrivere l’Italia come “una colonia” (americana o di chi altri) senza descriverla al tempo stesso come paese imperialista, e soprattutto senza ricordare *perché* abbiamo “gli americani in casa”, non fa che confermare il discorso deresponsabilizzante e vittimistico nel quale già ci crogioliamo, quello secondo cui la colpa è sempre degli altri: dell’America, della Germania, dell’euro, della BCE, delle lobbies transnazionali, degli speculatori, e più in là del Bilderberg, dei rettiliani, della Skulls & Bones, del porchiddìo.

                E invece no, la merda ce l’abbiamo prima di tutto in casa, ed è nostra, non “di importazione”. Il capitalismo italiano è il più antico del pianeta, la nostra borghesia ha mille anni ed è la più logora, la più corrotta, la più vigliacca d’Europa. Non a caso è la borghesia che ha inventato il fascismo.

                Scusa lo sfogo, ma sono davvero stanco di tutti questi discorsi “esteroflessi”.

              • WM1 sfogati pure figurati, preciso solo che Del Boca l’ho studiato e Tuco l’ho letto con interesse, quindi non negherei mai quello che sottolinei.
                Però mi chiedi di cosa sto parlando (nel mio riferimento incidentale e cautelativo) quindi permettimi di spiegarmi: io parlo di interesse nazionale come interesse minimo comun denominatore di tutti quelli che vivono in questo paese, e lo identifico con un interesse all’autodeterminazione alla sovranità e alla democrazia.
                Cose che non abbiamo. E che passato o non passato ci meritiamo, primo perché è un diritto dei popoli, poi anche perché suvvia, alla fine non siamo così stronzi: il colonialismo italiano è stato deciso a suffragio universale? no, e nemmeno il fascismo. Dopo la guerra in iraq chi ha vinto le elezioni? Sbaglio o chi prometteva il ritiro delle truppe? (e questo nonostante un battage mediatico che ha rincoglionito tanti)…
                Insomma, perché dividere la responsabilità con l’1%? Sono loro gli antichi colonizzatori, e negli ultimi anni i controllori fiduciari di una colonia. La borghesia di cui parli è vigliacca e perdente, ed ha distrutto la sovranità di questo paese proprio per far sì che il vincolo esterno combattesse la sua lotta di classe “al riparo dal processo elettorale” (Monti).
                Insomma, quel paese italia che tu giustamente accusi esiste solo fino alla faglia sociale che corre fra altissima borghesia e classe media. Chi sta sotto quella linea è colonizzato dal superstato dei capitali che rimbalzano in tutto il mondo, anche se pensa di no. Ha interesse a smettere di esserlo, e se non lo sapeva lo sta scoprendo con la crisi.
                Concludendo e riassumendo: l’1% italiano (quindi non De Benedetti, che infatti invoca la patrimoniale) ha tutto l’interesse a mescolarsi con queste rivendicazioni e indirizzarle proprio per autoassolversi. Ma questo è motivo sufficiente per negarne la validità? Stringi stringi: la Resistenza si doveva fare solo con gli anticapitalisti, o peggio proprio per niente perché tanto “c’è una cultura fascista”?

              • Rapa, avevo risposto analizzando questo tuo commento ma mentre inviato è saltata la connessione, si è perso il testo… A più tardi.

              • ma guarda, se parliamo di resistenza, fa conto che la prima caduta della resistenza italiana fu la triestina alma vivoda, nel giugno del ’43 (quindi ben prima dell’ 8 settembre e anche del 25 luglio). solo che… era una staffetta dei partigiani italiani, sloveni e croati che combattevano contro l’esercito italiano (e non contro i tedeschi, non ancora) in istria.

              • «io parlo di interesse nazionale come interesse minimo comun denominatore di tutti quelli che vivono in questo paese»

                Questo punto di vista a me sembra lo stesso di un certo Matteo Renzi. Se togliamo la “casta” dell’1%, diventa lo stesso discorso di un certo Giuseppe Grillo.

                Anche quando nei Paesi oppressi si parla di “interesse nazionale” in un senso progressista, non lo si fa assolutamente in questa maniera – ed è comunque un concetto da maneggiare con estrema cautela. Ma il punto è che l’Italia non è affatto un “Paese oppresso” nello stesso senso in cui poteva esserlo il Vietnam o la Jugoslavia.

                Se non capiamo questa roba torniamo letteralmente indietro di cento anni, quando allo scoppio della Prima Guerra Mondiale l’idea balorda che l’Italia fosse una “grande proletaria” tra le nazioni condusse spezzoni di estrema sinistra confusa a pensare che ci fosse un interesse nazionale “plebeo” da difendere lungo il confine alpino. Uno che seppe sfruttare bene questa confusione fu un certo Benito Mussolini.

                Il patriottismo nella Resistenza italiana è un capitolo complicato da affrontare e non vedo cosa c’entri con Renzi che scappa. Ma ricordo soltanto che c’era letteralmente l’invasione nazista e che comunque dietro quel comprensibile patriottismo si nascosero proprio i vecchi ceti dirigenti che tramite il CLN cercavano di garantire che nonostante il rovesciamento militare e insurrezionale del fascismo il potere economico restasse nelle mani della solita, vecchia borghesia.

                Non sarà certo un caso se in questa nuova stagione di lotte sociali e mobilitazioni di piazza stiamo vedendo pochissimi tricolori e molte bandiere rosse, mentre la bandiera color pizza andava alla grande l’anno scorso quando c’era ancora il riflusso e scendevano in piazza i forconi.

              • Maurovanetti, puntodivistamente parlando mi stai citando a metà: “parlo di interesse nazionale come interesse minimo comun denominatore di tutti quelli che vivono in questo paese, e LO IDENTIFICO CON un interesse all’autodeterminazione alla sovranità e alla democrazia”.
                Converrai che questo, lo dicano Grillo o la sorella di Rapa, è un modo progressista di declinare il concetto, include l’antifascismo (di per sè, ma esplicitiamolo) e non ci porta al 1914 né al 1943 perché come noti anche tu questa non è una guerra guerreggiata. Siamo tutti persone civili e urbane. Che però stanno subendo delle “riforme” pinochettiane, converrai: il programma della P2 realizzato. Non c’è stata una consultazione su questo. Quindi fatte le dovute proporzioni (squadroni della morte : ak47 = austerità : civile protesta) sì, siamo oppressi e non è la Kasta ma è il partito dei creditori netti e dei delocalizzatori. A parte le ardite metafore mi sembra che non ci fossimo capiti. Secondo me il punto rimane: ‘enzi e zio silvio si nascondono dietro la “nazione”, lo fa anche l’altro matteo, mentre a sinistra (l’unica titolata a farlo secondo me) suona male parlare dello stato e dell’interesse nazionale degli abitanti a che esista e sia democratico.
                Solo ora mi viene un dubbio: se invece di “nazionale” avessi usato “del paese” o simili non ci sarebbe stata nessuna discussione, o magari una molto più proficua. Se è così mi scuso.

  6. Questo post è prezioso perché mette giù una sensazione che stiamo avendo in tanti: qualcosa è cambiato, ed è cambiato di colpo. Si tratta di quel momento che esiste in tutte le infatuazioni di massa, che è chiamato (un bel po’ impropriamente) “fine della luna di miele”. In termini più moderni, lo chiamerei “il terzo appuntamento”. :-)

    Capisco perché a molti dia fastidio riconoscerlo, ma mi sembra difficile negare che ciò che ha segnato questa svolta repentina sia stata la megamanifestazione della CGIL del sabato 25 ottobre, che ha creato una notevole figura d’interferenza con la quinta edizione della Leopolda. Penso che sarebbe sbagliato farsi accecare da una giusta disistima verso Susanna Camusso e la burocrazia sindacale che la sorregge fino al punto di sostenere che «non sta succedendo niente, le fabbriche riapriranno, arresteranno qualche studente» e che siano solo schermaglie interne al PD. Al tempo stesso, e anzi proprio per lo stesso motivo di fondo, sarebbe riduttivo pensare che sia merito dell’apparato CGIL se l’incantesimo del Gran Paninaro si è spezzato: si è spezzato essenzialmente perché è irreale, sganciato dalla condizione quotidiana di milioni di lavoratori, disoccupati, inoccupati, pensionati, giovani. Anzi, a dirla tutta l’apparato CGIL (incluso Landini che aveva cercato un rapporto privilegiato con Renzi nei mesi scorsi) per mesi ha tenuto bordone al sortilegio e addirittura ricordo dichiarazioni strampalate sul “superamento dello strumento dello sciopero generale” (Camusso), sullo “sciopero alla rovescia” (Landini) e altre minchiate simil-renziane per accreditarsi come rottamatori sui generis.

    Su questi temi da giorni sto discutendo (diciamola giusta: litigando) anche con tanti giapster e c’è tutta una gamma di posizioni diverse che non sarebbe giusto semplificare e che forse ci porterebbero fuori tema. Una cosa più pertinente però vorrei dirla: non si tratta di fare i pessimisti o gli ottimisti. Si tratta di non farsi ingabbiare mentalmente in una fase precedente che in questo momento è finita. Se vogliamo dire che era meglio quando nei discorsi da bar il nemico del governo era solo Grillo (o i forconi, sulla cui natura fondamentale sarei ancora più tranchant di Wu Ming 1), quando Renzi sembrava simpaticissimo e giovanissimo, quando i suoi hashtag idioti erano il tema del giorno su tutti i telegiornali, diciamolo pure: ma in ogni caso, ora la cornice del discorso politico italiano è diventata un’altra.

    Tra l’altro, in questa cornice nuova molti fenomeni prendono una luce e una consistenza diversa. Grillo dopo le cariche a Roma contro gli operai di Terni non trova altro da dire che prestare il suo blog al capo di un sindacato di polizia che in buona sostanza assolve in un colpo solo poliziotti, questore e Alfano (e, dunque, implicitamente, Renzi) dando la colpa… alla FIOM. Salvini e qualche altro squinternato scommette tutto sull’imminente epidemia di Ebola in Europa, ma il piatto piange. I forconi pare che vogliano riprovarci tra qualche settimana ma non credo che avranno lo stesso risultato, perché ciò che funziona nel vuoto non funziona più bene in un’atmosfera piena di vita.

    Renzi scappa e tace, resta uno spazio abbandonato e un silenzio da riempire. Inventiamoci i modi giusti per approfittarne (e anche per prenderlo per il culo).

    • Renzi è un campione mondiale nell’arte della comunicazione populistica e della demagogia. Lo si mette alle corde solo riempiendo le piazze (come la Cgil il 25 ottobre) o ci vuole ANCHE altro? Profeticamente, 47 anni fa, Guy Debord ci ha spiegato che siamo immersi – volenti o nolenti – in una nuova società, inedita: “La società dello spettacolo” (leggetelo, mi raccomando). Per mettere Renzi alle corde e defenestrarlo bisogna combatterlo non solo riempiendo le piazze (e da quelle piazze deve uscire un msg mediatico all’altezza del “nostro” campione mondiale), ma anche sul piano del contrasto mediatico costante. Per esempio assurdo, se ogni giorno una geniale vignetta antiRenzi di Vauro finisse in tutte le rassegne stampa, rimbalzando poi in tutti i telegiornali e raccontata in tutti i giornaleradio, ben, saremmo già arrivati ad un buon punto di cottura. Renzi sarebbe quasi “al dente”.

      • È il senso di #Renziscappa.
        Costringerlo a tirare pacchi di continuo, come già stanno facendo i “controcomitati di accoglienza”; spingerlo a uscire dalla gattaiola in ogni visita ufficiale in qualunque posto; associare a ogni sua trasferta una contestazione… Tutto questo è già rovinargli lo show giorno dopo giorno.
        Non solo perché ogni volta viene data una notizia che lo rappresenta in un contesto indesiderato o in un ruolo insostenibile (il tirapacchi), ma perché diventa sempre più nervoso e frustrato, la sua comunicazione si incupisce e sbaglia messaggi, su Twitter fa il “leone da tastiera” ecc.

        Questo, si intende, se gli lasciano in mano il furbofono.

        Se glielo tolgono, beh, meglio ancora. Sai che smacco, per Candido L’Innovazione!

        • P.S. ‘enzi non è un “campione” proprio di nulla. Come comunicatore è sopravvalutato (o almeno lo era fino a pochissimo tempo fa). In un ambiente informativo appena appena diverso (giusto un po’ meno acritico, superficiale e prono ai “nuovismi”, con più voci e meno conflitti d’interesse), non gli sarebbe stato concesso – non tanto a lui quanto al blocco di interessi che lo mandava avanti e che andava assecondato e riverito – nemmeno il 5% del margine di manovra che ha avuto: copertina di vànitifèir, continua amplificazione di minchiate come la comparsata con giumbotto di pelle ad Amici, ogni mezza frase pompata e pompata, ogni banale hashtag con calembour idiota presentato come fosse geniale…
          Bastava reggergli il moccolo la metà delle volte anziché proprio tutte le volte, ed era già sparito da un pezzo. E senza reggimento di moccolo, non sarebbe nemmeno apparso all’orizzonte.

    • Sono pienamente d’accordo a metà con il compagno @maurovanetti. Così come ha fatto lui, ho rilanciato le parole dell’ex-segretario della FIOM Giorgio Cremaschi sulla necessità di comprendere e accettare il livello dello scontro in atto: http://t.co/Gu6tSB4mV4. Livello che sono sicuro si alzerà sempre di più.
      Sono d’accordo anche sul fatto che “qualcosa è cambiato”: il pettine sta andando verso diversi nodi, primo fra tutti il Jobs Act, che segna l’ennesima tappa del lungo percorso di americanizzazione dello spazio politico e sociale in Italia. Prima di dire la mia, vorrei però chiarire che non ho in odio nessun sindacato o movimento o gruppo specifico, né credo di far parte di qualche corrente o tendenza (non me ne faccio un vanto, anzi probabilmente è un mio difetto), per cui non parlo per difendere o attaccare qualche specifica posizione più o meno egemonica. Ma non credo nemmeno di essere “neutrale”, la mia posizione è sicuramente determinata dal mio “rapporto di produzione” (dal mio essere un precario a tratti disoccupato senza tutele), dalla mia (scarsa) cultura politica e dalla mio seppur breve passato.
      Quindi non è perché “mi dà fastidio” che ho delle riserve nel ritenere la manifestazione del 25 ottobre come lo spartiacque, la mia analisi è semplicemente diversa su questo punto. Fa bene Mauro a distinguere tra dirigenza sindacale e base. La dirigenza per me ha fatto e continua tuttora a far di peggio che tenere bordone: continua un’opera di freno vera e propria senza soluzione di continuità, senza rotture, continuando così a tradire di fatto gli interessi degli iscritti e rappresentando un ostacolo per tutte e tutti. Se qualcosa è cambiato è stato per l’opera del governo Renzi che si appresta a dare l’ennesima mazzata sociale su lavoratori, disoccupati e sfruttati in genere. Se la luna di miele è finita è perché il governo Renzi sta per incassare i suoi obiettivi. Per quanta fuffa possa usare per imbottire il colpo, il colpo si sente. Anche gli iscritti al sindacato si sono accorti di questo, nonostante tutto, e la “megamanifestazione” del 25 è stata una reazione a questo. Una reazione tuttora contenuta e frenata dalla dirigenza che non accetta questo livello dello scontro, un po’ perché sono dei venduti, un po’ perché non ne sono in grado, avendo finora soltanto gestito un declino.

      Mauro dice che non si tratta di essere pessimisti o ottimisti. In questo la sua analisi differisce da quella di Cremaschi che invece ammette un certo pessimismo. Mauro si impegna da anni nelle lotte e lo leggo e seguo da un po’ di tempo, e mi sembra che un certo ottimismo sia quasi una sua cifra stilistica, sia un po’ l’effetto estetico di questo suo impegno costante. Però in questo caso sono invece ragionevolmente pessimista e penso che il pessimismo, anche di Cremaschi, sia solo un indice dei tanti problemi che dovremmo affrontare. Primo fra tutti il “disegno calcolato, studiato, progettato che vuole dividere il mondo del lavoro” (per usare le parole del Presidente del Consiglio, che usa il vecchio trucco di proclamare una verità deformandola per negarla). Un disegno ribadito solo ieri dalle parole atroci del Presidente della Repubblica http://bit.ly/1uvaYQ5 e quelle di Renzi stesso http://bit.ly/1okkiDJ, uniti nella promessa di non riconoscere e di reprimre duramente ogni opposizione sociale “antagonista”. Dove per “antagonista”, non facciamoci ingannare, non si intende tanto una certa pratica di piazza, ma di fatto ogni movimento di lotta, non intruppato dentro qualche burocrazia frenante e dietro qualche dirigente fidato: ogni lotta che non accetti la cornice neoliberista (tutte le altre sono “datate e insostenibili”). Sono ragionevolmente pessimista perché vedo come questo disegno finora sta funzionando, e non siamo pronti, tutte e tutti, non solo il sindacato, al livello dello scontro che si prepara, e non solo perché i lavoratori iscritti al sindacato sono ostaggio della loro dirigenza, non solo per le mire egemoniche inconcludenti e i “corporativismi”, che ci sono anche nei movimenti, ma perché non sappiamo dove andare. Scusate la banalità e l’ingenuità.

    • Son d’accordo con quanto scrivi però non parlerei di fine della luna di miele. Non è mai iniziata. Quello che è successo alla manifestazione, e dopo di essa, non ha cambiato la mia percezione del governo Renzi. Credo lo stesso valga per molti di noi. Renzi simpaticissimo non lo è mai stato. Già da prima che perdesse le primarie con Bersani si intuiva la vacuità della maschera da uomo di facciata, l’ennesimo prodotto da una rete di interessi e di potere sempre più radicata. Se vuoi dire che qualcuno ha aperto gli occhi grazie a quello che è successo bene, mi fa piacere, almeno a qualcosa è servito, ma io non riesco a trovare esempi convincenti. Su chi aveva presa l’incantesimo? E su chi non ce l’ha più?
      (Certo a volte capita persino di imbattersi in persone che parlano come se negli ultimi anni in parlamento ci fosse stata una qualche formazione di sinistra; ma devono essere sonnambuli, ci vorrebbe un folgoratore per risvegliarli…)

  7. ‘enzismo fenomeno onirico della contro’ivoluzione anti’68, ma quando la rivolta urla il sogno della contro’ivoluzione fugge,per ora.

  8. Per me che sto con un piede in Italia e l’altro dall’altra parte dell’oceano la parabola (a rapida caduta) del cazzeggiator toscano ricorda assai la stessa traiettoria dell’ex governatore dell’Illinois, mutatis mutandis. Oggi ho persino letto che il pd si è finanziato e si finanzierà con cene da mille euro. Americanismo senza America, come titolava un saggio dell’amico Serra anni fa. La vuotezza al potere, e sacco vuoto non sta in piedi, come dicono le nonne e le zie e le mamme.

  9. A proposito di #Renziscappa, qualcuno potrebbe fare una mappa interattiva?
    Una mappa di tutte le visite annullate e/o annunciate e mai fatte (Genova dopo l’alluvione), tutte le fughe, le visite con espediente (tipo visitare fabbriche i cui dipendenti sono stati messi in ferie obbligatorie per evitare situazioni spiacevoli)… Insomma, tutte le occasioni in cui una contestazione gli ha fatto cambiare piani, tirare pacchi ecc. Si potrebbe estendere la cosa all’amicone Farinetti (che giusto oggi ha annullato una visita a Genova perché erano annunciate contestazioni) e a tutti gli esponenti ‘enziani di primo piano – governativi e di partito – contestati in quanto ‘enziani.
    Qualcuno ne ha voglia?

    • pensavo che si poteva impostare una mappa interattiva con tableau

      I campi potrebbero essere:
      luogo (per provincia)
      data (meglio se ci focalizziamo sul mese)
      chi è scappato
      tipologia incontro
      cazzata detta in occasione
      chi lo ha fatto scappare (magari se diviso in classi: lavoratori; studenti; precari; etc)
      atto di repressione
      link

      fatemi sapere

      • per cominciare, indipendentemente dalla piattaforma che andremo ad utilizzare, potrebbe essere utile preparare i dati.

        il link che segue è editabile

        https://docs.google.com/spreadsheets/d/1vhviIgRcAs_1sVVpmPnH9D2WLSFNHNQSSu3chVvs64M/edit?usp=sharing

        • Oltre agli episodi ricordati nel post qui sopra, seguendo l’hashtag #Renziscappa se ne trovano altri: a luglio ha annullato una conferenza stampa a Strasburgo con la stampa internazionale, dove presumibilmente avrebbe dovuto rispondere a domande vere, e se ne è volato a Roma dove la sera stessa è apparso da Vespa, dove ha risposto a non-domande.
          Poi c’è Farinetti oggi (non) a Genova. C’era una fuga del ministro Boschi a Milano l’altra sera.
          Altri sicuramente aggiungeranno episodi, ma già questi sono un bel campione…

          Una cosa importante è la finestra temporale: mi limiterei al 2014, segnalando alcuni pròdromi di prima e durante l’estate e poi l’accelerazione recente. Anche prima probabilmente gli è capitato di svicolare di fronte a una contestazione o un confronto reale, sicuramente lo ha fatto più volte quand’era sindaco di Firenze, ma andare troppo indietro non ci dovrebbe interessare, questa non è un’analisi psicologica o “cardiosofica” sull’attuale premier, ma una panoramica delle conseguenze che hanno sulla sua vita pubblica le rotture della pace sociale.

    • c’è una cosa che – per quanto riguarda renzi e soci – mi fa – come si dice in quel di Roma – rodere il culo parecchio, ovvero il citare personaggi e fatti legati alla storia o all’identità politica della sinistra italiana per rafforzare le proprie prese di posizione e stabilire, inconsapevolmente o meno, l’assioma per cui chi si mette contro quelle prese di posizione è fuori da quella storia.

      In Farinetti noto sempre questo premettere insistentemente che il padre è stato comandante partigiano, come se volesse avvertire chi ha dall’altra parte che contestandolo ci si pone fuori o contro quella storia.

      Un esempio freschissimo:
      https://it.notizie.yahoo.com/farinetti-attaccato-perch%C3%A9-amico-di-renzi-125911455.html

      Secondo me sarebbe utile evidenziare anche questo uso distorto che fanno di certa storia e di certe tradizioni.

      Ogni volta che vedo Poletti penso sempre a mio nonno – contadino e socialista libertario emiliano – che negli utlimi anni della sua vita nell’osservare l’andazzo di cooperative e simili sconsolato diceva sempre “i cumpâgn ìn cumpâgn a tót chiêter”.

  10. su Landini (che poi purtroppo 2 giorni dopo il “fattaccio” è andato tutto sorridente da ‘enzi), penso che la cosa incredibile di tutta questa faccenda sia che si parla dell’ingiustificazione delle botte date dalle forze dell’ordine solo ed esclusivamente perchè le botte le hanno prese i capoccia dei sindacati e 4 operai (occhio al frame: operai in sciopero che stanno perdendo il lavoro!)…finchè le prendono quegli anarchici insurrezionalisti figli di papà dei no-tav o quei padroncini, che non pagano neanche le tasse, fuori dalle coop o quegli immigrati che magari sono pure clandestini chissenefrega, anzi…
    Quindi, oltre ad essere un’occasione per stanare ‘enzi, chissà, forse è la volta buona che qualcuno si ponga il problema di come le forze di polizia gestiscono le manifestazioni e la libertà altrui di esprimere il proprio dissenso.
    infine: tirate fuori l’elenco delle controiniziative, che sia resa pubblica l’agenda di ‘enzi e le risposte ironiche della gggente per bene che non ne può più.

  11. My 2 cents al thread, due centesimi di rame eh! Sicuramente qualcosa si muove, si percepisce e si “vede”. Io credo che lentamente il frame generale, quello della ggente per bene, stia mutando perche’ e’ cambiato il rapporto psicologico tra lavoratore e datore di lavoro.

    Oggi anche il piu paraculo dei leccaculo, a qualsiasi livello e in qualsiasi settore, non puo’ fare a meno di sentirsi minacciato dal “futuro” profetizzato nel Job Act.

    C’e un blocco psicologico che non permette la mesmerizzazione generale. Perche’ la strategia del PD in fondo e’ la stessa di FI di vent’anni fa: mesmerizzare. Solo che oggi non funziona perche’ non c’e’ il cash! Oggi c’e incertezza, paura e prospettiva di miseria.

    Roba che tiene la mente saldamente agganciata alla realta’. E che rende quella della lotta una possibilita’, una prospettiva, un mezzo.

    Per questo scappa, il ‘enzi. Non puo’ permettersi di essere ripreso in difficolta’, messo a confronto con chi sa’ benissimo che il gettone del telefono esiste ancora, anche se non si vede e non si inserisce, immateriale ma tabgibile.

  12. #Renziscappa da Bologna. Era il 21 ottobre scorso. ‘enzi annulla la visita al SAIE per paura di contestazioni.

  13. La quantità di fughe di ‘enzi negli ultimi mesi è impressionante, ma c’era come un incantesimo, per quanto scrauso…

    • …Solo nelle ultime due settimane è apparso evidente a sempre più persone che #Renziscappa.

  14. Purtroppo, per quanto importanti e partecipate possano essere certe manifestazioni, non sarà un sindacato a cambiare i destini politici di questo o quel governo. Potrà forse resistere riuscendo ad abolire qualche comma del futuro “jobs act”, ma certamente non invertire, rallentare od ostacolare il corso politico generale determinato dal PD. Anche perché c’è il sospetto che questa sovraesposizione mediatica della CGIL o della FIOM sia direttamente relazionata alle guerre intestine del PD, con una minoranza – la stessa minoranza che quando era maggioranza approvava tutte le porcate sopra ricordate su migranti, precarietà, Unione Europea, ecc – interessata a sfruttare il conflitto sindacale per tentare un’improbabile (ri)scalata del partito. E che non aspetterebbe un minuto a scaricare CGIL e ammennicoli vari una volta conquistata quella fetta di potere che richiede a gran voce. Non so, sembra un gioco con difficilissimi sbocchi politici concreti. Altra cosa sarebbe la nascita di un nuovo soggetto politico guidato da Landini. In effetti quello che manca nello scenario politico sarebbe proprio un “partito del lavoro”, anche riformista (con Landini non potrebbe essere altrimenti), ma che riproponga al centro dell’azione politica il lavoro salariato. Ma anche qui, se stiamo alle illazioni giornalistiche, il corpo di questo eventuale soggetto politico sarebbe costituito dalla solita classe dirigente legata alla sinistra PD unita ad altri micropartiti personali: soliti nomi, soliti programmi.

    Insomma, non per alimentare pessimismo (della ragione), ma stiamo vivendo il primo autunno senza alcuna mobilitazione politica significativa, senza – ancora – uno sciopero (tranne in effetti quello della logistica, però promosso dal sindacalismo conflittuale e boicottato dalla CGIL, guarda caso), e con il sindacato costretto a fare le veci di un vuoto politico che si trascina da più di qualche tempo. Un vuoto che ancora non è stato riempito da Salvini e dal suo progetto di FN all’italiana, ma che non è detto non diventi un problema – un grande problema a quel punto.

    Alessandro

  15. Non credo che ci sia bisogno di alimentare il pessimismo. Il bicchiere può sempre essere visto mezzo vuoto o mezzo pieno, ma quello che è certo è che contiene qualcosa. Le lotte non trovano una cornice condivisa, un progetto politico, un Partito del Lavoro (Landini andrebbe pure bene, ma, appunto, con quale personale politico?), tuttavia le lotte ci sono.

    Innanzi tutto c’è quello di cui stiamo parlando, cioè un diffondersi dell’insofferenza nei confronti di Renzi e di ciò che rappresenta, una reazione alle sue cazzate e un’aumento della consapevolezza che queste non allevieranno di un grammo il peso della crisi. E Renzi scappa. C’è la lotta dei facchini contro la co(o)rporazione che ha prestato a questo governo il ministro del lavoro. Ci sono decine di comitati sparsi per tutto il territorio nazionale che si oppongono a grandi opere, basi militari, ecomostri, Expo, ecc., che consapevolmente o meno si fanno portatori di un’idea anticapitalista di progresso. E poi c’è un pachiderma conservatore come la CGIL che per volere o per forza si sta mobilitando, e quando lo fa mobilita centinaia di migliaia di persone dalla Valle d’Aosta alla Sicilia.
    Chissà allora che non siano i nostri occhiali a essere fuori fuoco.

    Tra l’altro leggere l’attuale crisi/smottamento/passaggio (chiamiamolo come vogliamo) interno alla CGIL come una lotta tra cordate del PD mi pare non solo riduttivo, ma proprio un grosso abbaglio. Se non altro perché in questo momento il PD non è più niente (se non un piccolo comitato d’affari) e di certo la sua minoranza non è in grado di garantire alcun ritorno alla moina pre-renziana. Vae victis. Dunque qualcosa nella pancia del pachiderma sta succedendo e sarà soltanto la storia a farci capire se si tratta di una colica o di una parziale trasformazione. Comunque a volte anche le coliche possono essere liberatorie.

    Di sicuro le dinamiche interne a quel mondo non sono affatto semplici come vengono dipinte. Il quadretto di una perfida burocrazia sindacale che frena la voglia di insurrezione dei lavoratori è autoconsolatorio. La burocrazia sindacale è un tappo, senza alcun dubbio, ma se ci fossero schiere di lavoratori disposti a spazzarla via e a rimpiazzarla, avremmo già risolto metà del problema. Invece purtroppo certe dinamiche psicologiche, certe percezioni di sé, dilagano tra i lavoratori stessi, che oggi si concepiscono come individui assai più che come collettività. Così come ci sono le ultime ruote del carro che dal settore logistico fanno saltare tutti gli schemi concertativi e irrompono con la dovuta forza nel panorama delle lotte sindacali, allo stesso tempo ci sono certe categorie di precari che agognano a un prolungamento del contratto temporaneo pur di non rischiare di restare a casa e sono già nell’ottica renziana “il posto fisso non esiste più”. C’è una sfiducia generalizzata sull’efficacia di ogni azione collettiva, con la quale non si può fingere di non dover fare i conti.
    Di fronte a tutto questo non solo non si possono dare per scontate le vecchie dinamiche concertative, ma non si può nemmeno dare per scontata la sopravvivenza del sindacato per come l’abbiamo conosciuto. Nel bene e nel male.

    Qualcuno lo ha fatto notare: soltanto quando le manganellate le hanno prese gli operai italiani bianchi si è gridato allo scandalo. L’imbarazzo del digossino di fronte alle parole e alla persona di Landini non si sarebbe dato invece di fronte ai lavoratori “stranieri” o alle “zecche”. E per questo, dicevo, in un altro mio commento, quell’episodio è stato efficace, ha colpito l’immaginario, così come è evidente che rivela limiti enormi nella percezione collettiva delle cose. Tuttavia è un punto messo a segno che va a rompere proprio il quadro della rappresentazione in cui al vuoto vacuo renziano si oppongono gli idioti in politica (Grillo, Salvini, e simili), senza niente in mezzo.
    In mezzo ci sono le contraddizioni reali, che, guarda caso, si possono far scoppiare.

  16. Come altri hanno detto prima di me, io credo che la figura mediatica di ‘enzi non sia mai veramente entrata in contatto con le persone (per intenderci come il berluska). Io ho vissuto in Austria fino a qualche mese fa e ora vivo in Spagna, all’estero ‘enzi vale meno di zero e la sua immagine è nulla, però quando sono tornato in Italia quest’estate mi è sembrato che a nessuno venisse in mente che ‘enzi fosse un salvatore della patria, anzi la maggior parte delle persone con cui ho parlato lo consideravano zero.
    Più che altro quest’estate mi è sembrato di vivere in due mondi (in Italia): uno è fatto di luci, di bianco scintillante e di frivolezze da “belle epoque”, l’altro fatto dalla realtà che sempre più assomigliano ad alcune poesie di Baudelaire.
    Quello che si è rotto è l’idea che alcune persone o gruppi avevano di presentare ‘enzi come l’uomo nuovo.
    Ovvero credo che il fatto che ‘enzi abbia dimostrato di essere ben poca cosa cambierà qualcosa all’interno dei gruppi di potere che lo sostengono o lo oppongono ma non cambierà molto all’interno dell’opinione pubblica.

  17. ‘enzi se n’è appena andato di corsa dall’Alcatel di Vimercate, sull’auto blu impiastricciata di uova, dopo che lo hanno contestato gli operai.

  18. Sono d’accordo con molte cose che dice Wu Ming 4, anche se infine divergo su un punto. Questo governo, sostenuto in ciò dagli interessi padronali che rappresenta, dal Presidente della Repubblica e dal PD, vuole allo stesso tempo ridurre i diritti e il potere di rivendicazione dei lavoratori fissi/sindacalizzati e, per far questo, evitare una loro saldatura con precari e disoccupati. Possibilmente anche arrivando a una forte riduzione o un annullamento del ruolo dei sindacati. Per riuscire nell’impresa ha iniziato da giorni a battere la vecchia grancassa della divisione tra lavoratori buoni e sindacalizzati e tutti gli altri, additati come terroristi, contro i quali addirittura si fa balenare a scopo intimidatorio l’uso dell’esercito (vedi discorso del Presidente il 4 novembre) intimidatorio non solo per gli “antagonisti” ma, forse soprattutto, per chi volesse provare a unirsi a loro. Non a caso uno dei mantra è “evitare infiltrazioni” e cioè ogni tentativo di contaminare tra loro i soggetti e le lotte per unirle.
    Ha ragione Wu Ming 4 quando dice che il problema nei sindacati non è solo la dirigenza, ma che se questa è lì ed è quella che è lo si deve anche ad atteggiamenti e posizioni diffuse tra gli iscritti. Vero è però che per quanto diverse e a volte divisive rispetto ai non iscritti, le posizioni di tanti nel sindacato sono al momento molto più conflittuali della dirigenza che invece frena, e su questa differenza di passo se non di direzione si potrebbe tentare di giocare pur tenendo presente i nodi da sciogliere.
    Non nascondo, come ho già detto, il mio pessimismo riguardo alla situazione attuale e gli imminenti appuntamenti di lotta. Il fatto che si andrà divisi fa proprio il gioco del nemico, è un invito a nozze alla conferma dolorosa delle cornici che vogliono imporci. La FIOM che indice la manifestazione lo stesso giorno dello sciopero sociale senza nemmeno menzionarlo non promette nulla di buono. Non è un passo avanti secondo me. È un invito a nozze per mostrare ancora una volta come ci siano buoni e cattivi e ad acuire le divisioni con qualche nuovo trauma, un po’ di botte e magari qualche arresto. Certo non vedo l’ora di essere smentito dai fatti, ma ragionevolmente non penso che ignorare la questione e sperare in un’unione nella piazza sia la strategia migliore. Soprattutto visto che questa unione in tanti purtroppo non la vogliono. A complicare il quadro ci sono poi da diverse parti i vecchi tentativi egemonici per quanto mi riguarda semplicemente ridicoli in una fase come questa. Il 12 novembre poi, se non ho capito male, ci sarà pure il primo “tavolo permanente per la sicurezza” dove qualcuno si siederà con chi non esita a trattare da terrorista gli altri.

    Su Landini invece divergo sia con Wu Ming 4 che con Militant. Non capisco perché WM4 dopo aver ben sottolineato come “soltanto quando le manganellate le hanno prese gli operai italiani bianchi si è gridato allo scandalo” dica che quell’episodio è stato efficace. Per me niente al momento lo lascia presagire. Mi sembra che Landini sia stato soltanto pacificatorio. Non so se avete visto il video. È stato un pompiere provetto, ha contenuto la rabbia operaia, ha urlato “non passiamo dalla parte del torto” e “ancora due minuti di pazienza ora ci fanno passare”. Ha detto ai poliziotti “siamo come voi, perché ci picchiate?” e per me questo in particolare è grave. Io non sono come loro. Gli operai non sono come loro. Spero di non dover spiegare perché. Quell’episodio non è stato un malinteso e non è un punto messo a segno dalle lotte. È stato un piccolo assaggio, un rimbrotto, uno “state al vostro posto” scandito dal potere. È stato uno stress-test brillantemente superato dal governo e, come gli stress-test delle banche italiane, una rappresentazione falsa di un rischio. Il tavolo permanente per la sicurezza subito pronto e accettato il giorno dopo è il primo effetto. Ed è una minaccia-promessa agli operai sindacalizzati che lotteranno quest’autunno: “ce ne sarà anche per voi, se andate allo scontro duro. Ma se invece non vi unirete ai terroristi e lascerete che i vostri capi concertino già da prima del conflitto i modi della vostra protesta, per voi andrà bene. Nessun arresto e nessun altra botta se vi limitate a sfilare e subire. Abbassiamo i toni.”. Insomma quell’episodio per me, visto nel suo insieme, non costuisce nessuna rottura della cornice governativa ma anzi è un’inglobamento del conflitto in questa cornice, che la rafforza. Lo dico con tutta la solidarietà possibile agli operai che pure hanno preso veramente le botte, e che credo siano e saranno quelli che subiranno di più in termini di perdita di diritti, di salari e di potere.
    Noi precari e disoccupati in fondo non abbiamo molto da perdere al momento, e questo può essere un altro problema, su questo sono d’accordo: se in gioco non sembra esserci la possibilità di avere un salario o un reddito garantiti perché, egoisticamente, dovremmo andare a prenderci le botte in piazza, e peggio rischiare l’arresto, le accuse di terrorismo e chissà cos’altro, per cosa, per solidarietà a chi nemmeno ci vuole? Non sarebbe meglio stare a casa o per chi ce l’ha andare al proprio lavoro in nero o precario ed evitare di essere licenziati? Io cercherò in tutti modi di esserci e magari rischierò il lavoro o peggio perché non mi voglio arrendere a questi pensieri, perché sarebbe la fine di tutto, e perché sono ancora convinto che questi pensieri siano sbagliati, che se riducono i diritti a chi ce li ha anche io che non ce li ho starò peggio e avrò ancora meno prospettive, e perché spero ancora ingenuamente di sbagliarmi ad essere così pessimista e di sorprendermi.
    Con Militant poi divergo sull’utilità e pure sulla possibilità di un soggetto politico riformista (a guida Landini o di altri). Se c’è uno spazio più chiuso che mai è proprio quello riformista e socialdemocratico. Al momento non c’è alcuna intenzione di lasciare questo spazio e anzi è proprio quello sotto attacco, ancora più che quello rivoluzionario/antagonista. Non solo, la socialdemocrazia secondo me non è più possibile per limiti che vanno al di là delle stesse crisi cicliche capitalistiche, per limiti ecologici. Per quanto mi riguarda l’unico orizzonte possibile è quello di resistenza in un’ottica rivoluzionaria a tutti i livelli. Poi nello specifico ho anche forti dubbi che sia questo l’obiettivo di Landini. Potrebbe anche simularlo, ma in questa fase non sarebbe altro che una stampella del sistema non tanto diversa da SEL, di cui il sistema nemmeno vuole aver più bisogno.

    • Cose su cui non mi ritrovo tanto con @diserzione (con cui dal 27 ottobre sto facendo un flame ogni giorno feriale su Twitter, seguiteci per partecipare alla rissa periodica):

      1. «Per riuscire nell’impresa ha iniziato da giorni a battere la vecchia grancassa della divisione tra lavoratori buoni e sindacalizzati e tutti gli altri, additati come terroristi». A me sembra che non abbia affatto trattato i sindacalizzati, e in particolare i sindacati in sé, da “buoni”. Anzi, ha proprio trattato i sindacati da terroristi, basta ricordare quando dalla Gruber ha detto che lui “non tratta coi sindacati”, frase che sappiamo tutti cosa rieccheggia. La propaganda sugli infiltrati serve proprio a preparare gli attacchi *alle stesse manifestazioni della FIOM*. Ed è questa retorica (con le conseguenti mazzate) che “non fa più distinzioni” che ha obbligato anche la burocrazia sindacale a un brusco risveglio.

      2. «La FIOM che indice la manifestazione lo stesso giorno dello sciopero sociale senza nemmeno menzionarlo non promette nulla di buono». Questa è una semplificazione, lo sanno tutti (addirittura anche il giornale piddino “Europa”, googlare per credere!) che sono in corso contatti tra le varie strutture sindacali e di movimento per capire fino a quanto si riuscirà a convergere, e nel dibattito interno della FIOM da settimane erano proprio gli esponenti più radicali e vicini alle istanze dello sciopero sociale a chiedere che si proclamasse uno sciopero di categoria il 14 (purtroppo, solo nel Centro-Nord). Ma al di là delle decisioni di vertice e dei distinguo (importantissimi) nelle rivendicazioni, è chiaro che c’è una convergenza di fatto almeno nell’immaginario di massa.

      3. Sulla gestione della carica a Roma da parte di Landini, anche a me sembra, come ha detto WM4, una clamorosa vittoria mediatica. Quei pochi secondi di sclero (pieno di turpiloquio) hanno creato una valanga. Si può dire che al posto di Landini avremmo detto frasi diverse, ma lascia un po’ il tempo che trova. Tra l’altro credo che provare a mettere in contraddizione dialetticamente i poliziotti non sia neppure sbagliato, una volta che si scende in piazza corazzati e pronti a difendersi, e direi che gli operai di Terni erano parecchio corazzati. Basta non fare come i forconi, ma non è quello che è successo. Dire che è stato un “pompiere” solo perché ha detto di fermarsi e non trasformare il corteo in una zuffa con gli sbirri, mi sembra confondere la politica con la boxe: la FIOM ha fatto per giorni e giorni una battaglia politica diretta contro la questura di Roma (!) e il governo, convocando anche scioperi di solidarietà, che è stata molto più efficace e leggibile per le persone a cui si rivolge. La polizia ha attaccato e il corteo si è difeso, poi ha riacquistato una disciplina ordinata e ha spostato la partita sul terreno politico nazionale. Tutto sommato, vedo più da imparare che da criticare in una dinamica di questo tipo. La sbavatura peggiore ai miei occhi è stata non aver chiesto le dimissioni di Alfano, certo non risolutive ma almeno utili a mettere in difficoltà il governo e a smascherare il PD; e non è un caso se Landini non le ha chieste, vuole mantenere i rapporti con Cuperlo e Bersani.

      4. Qui il disaccordo è più sottile ma c’è: «Noi precari e disoccupati in fondo non abbiamo molto da perdere al momento […]: se in gioco non sembra esserci la possibilità di avere un salario o un reddito garantiti perché, egoisticamente, dovremmo andare a prenderci le botte in piazza, e peggio rischiare l’arresto, le accuse di terrorismo e chissà cos’altro, per cosa, per solidarietà a chi nemmeno ci vuole?». Poi giustamente dici che però ci sarai lo stesso. A parte che il reddito garantito figura tra le rivendicazioni della FIOM proprio per il 14/21 novembre (la CGIL il 25 ottobre ha avanzato una rivendicazione molto più moderata, ma comunque migliorativa per i disoccupati, cioè l’indennità universale), ma non è un po’ una forzatura pensare che nella testa di “precari e disoccupati” ci siano pericoli di scontri e arresti al momento di scegliere se partecipare o no a una cosa solitamente tranquillissima come un corteo sindacale? L’identificazione del precariato con il cosiddetto “antagonismo” è un’aspirazione di un’area politica, ma non è un fatto compiuto (e dubito si compierà). Penso che il motivo per cui la CGIL farà parecchia fatica a portare in piazza precari e disoccupati abbia semmai molto a che fare con la linea politica fiacca delle sue rivendicazioni, molto a che fare con lo scarso sforzo organizzativo posto per anni nel raggiungerli, molto a che fare con l’essere stata pappa e ciccia per lustri con molti governi precarizzatori di centrosinistra, e un pochino anche a che fare con le difficoltà obiettive di quella condizione. Le dinamiche di piazza, il lessico ed esoteriche dispute ideologico-estetiche che appassionano quelli come noi penso siano lussi che per il grosso di quegli strati sociali abbiano scarsissimo senso sostanziale (ho allitterato di brutto in questa frase :-) ).

      • rispondo a Mauro per punti:
        1) In realtà la divisione buoni e cattivi è avvenuta,precisamente quando il governo (per riparare allo ‘scivolone’ di aver manganellato Landini, sulla cui importanza simbolica concordo) ha avuto l’idea di coinvolgere i sindacati nella gestione delle piazze. Tutto quello che non rientra nel loro alveo (leggi i movimenti) viene così delegittimano, si stabilisce chi si può manganellare e chi no Con il placet della CGIL.

        2) Lo sciopero sociale (di cui il 14 novembre è solo una delle tappe) non è una manifestazione contro il Governo Renzi, o non lo è solo. E’ una parte di una serie di iniziative su cui convergono le lotte di base, la lotta per il diritto alla casa, la logistica, i precari, gli atipici, le lotte contro il commissariamento di Bagnoli, per il reddito di cittadinanza, etc etc. E’ un momento di lotta contro tutte quelle politiche di riduzione dei diritti (non solo del lavoro) che da anni si stanno portando avanti (spesso con il placet della CGIL). Ma sottolineo, non sono lotte per il lavoro. Quelle lotte da cui Renzi ha iniziato a scappare ben prima della manifestazione del 25.

        3) al di là della retorica di Mauro, su questo punto sono abbastanza d’accordo con lui (tolta la messa in contraddizione dei celerini, che trovo una frase superficiale buttata lì così). Ma la forza simbolica di manganellare il capo di uno dei maggiori sindacati ha avuto, a mio avviso, l’effetto doccia gelata sulla platea delle “brave persone” che per un attimo si sono sentite messe in pericolo da uno stato aggressivo. E, forse, per un attimo, più vicine agli studenti o ai no TAV che avevano visto prendere le mazzate in televisione.

        4) A parte che mi auguro che Diserzione vada a corteo dello sciopero sociale, del no expo etc… il punto non è se il precariato si debba o meno identificare con l’area antagonista, quanto l’oggettiva impossibilità reale di identificarsi con il sindacato (se non in termini ideali di solidarietà a chi sta perdendo i diritti, come dice Diserzione molto bene). E ancora, non in è che non ci vogliono in piazza, non ci vogliono per tutte le politiche portate avanti in questi anni solo a favore dei già garantiti (per motivi che chi ha qualche idea di come funzionano i sindacati conosce molto bene) e a sostegno delle politiche di precarizzazione dei governi degli ultimi 20 anni. Ma soprattutto per l’idea stessa di società “fondata sul lavoro” che ha la CGIL che de facto esclude i precari. E non bastano più due frasi fatte buttate là in un comizio a far credere ai precari che la CGIL è con loro.

        Non c’è niente di esoterico in questo.

        • Ciao Eveline, ma sei sicura che le lotte che convergeranno nello sciopero sociale “non sono lotte per il lavoro”? Capisco che per alcuni si dà una contrapposizione rigida tra le lotte per il lavoro e le lotte per il reddito, ma nella realtà io vedo queste lotte continuamente intrecciate e lo vedo anche nel materiale prodotto dagli organizzatori dello sciopero sociale. Tu stessa citi “la logistica” e non vedo come si possa dire che le lotte della logistica non siano al tempo stesso lotte per il reddito e per il lavoro, visto che tipicamente rivedicano l’assunzione come dipendenti dei soci di cooperativa, la continuità del posto di lavoro nei cambi d’appalto, l’applicazione dei contratti nazionali ecc. Anche nelle rivendicazioni della CGIL e della FIOM si mescolano rivendicazioni sul lavoro e rivendicazioni sul reddito. Il primo nemico di tutte e tre le mobilitazioni (sciopero sociale, sciopero generale FIOM e annunciato sciopero generale CGIL che chissà se si farà) è il Jobs Act. Ovviamente i programmi rivendicativi delle varie aree politico-sindacali che agiscono nelle lotte sono diversi in quanto a radicalità, completezza, coerenza ecc. ma non mi sembra che siano diverse nel modo che dici: di qua il reddito e di là il lavoro.

          Sulla tirata finale sul fatto che il precariato “non possa” identificarsi col sindacato perhé il sindacato difende solo i “garantiti” (garantiti?!), io mi misuro con la mia vita: ho provato tutte le forme contrattuali tranne il lavoro interinale e non mi sono mai sentito difeso dal sindacato. Né quando ero precario né quando ero assunto né in nessun altro caso. La dirigenza moderata della CGIL non ha tradito i precari perché ha difeso i “garantiti”, la CGIL ha tradito i precari *per lo stesso motivo per cui ha tradito i garantiti*: perché, con poche eccezioni, ha tentato di cogestire la ristrutturazione del capitalismo italiano iniziata negli anni Novanta e addirittura ha tenuto questa linea concertativa durante gli anni della crisi e dell’austerità.

          Se mi baso sulla mia esperienza, parziale quanto vuoi, la teoria che la CGIL abbia difeso i garantiti a spese dei precari (che è la teoria di Renzi) non regge neanche un po’. Mi sembra anche una teoria pericolosa perché sottintende che ci sia un interesse obiettivamente contrapposto tra i precari/freelance/atipici/semiautonomi e tutti gli altri. Da quando non sono più un tempo indeterminato ho visto quanto sia assurda questa teoria, visto che le mie condizioni da freelance dipendono immediatamente dalle condizioni generali della maggioranza dei lavoratori del mio settore, che sono assunti e hanno un CCNL.

          Che si tratti di una narrazione tossica si vede dal fatto che è usata con profitto e a piene mani proprio da Renzi, da Ichino e dai vari ideologi di governo (è la narrazione “Marta contro Susanna”). Mi sembra una narrazione inutilizzabile a fin di bene, perché contraddice l’idea bella, vera e potente che “tutte le lotte sono la stessa lotta”.

          • Mauro, mi dispiace di essere stata così poco capace nel spiegarmi, tanto che hai frainteso completamente il mio discorso.

            In parte credo sia colpa mia, la negazione “non è per il lavoro” ometteva il “non solo” che avevo affermato prima.

            Il jobs act è solo l’ennesimo attacco ai diritti. Lo sciopero sociale prova a riaffermare che tutte le lotte sono la stessa lotta (contro il jobs act, il decreto Lupi, lo sblocca Italia, etc). Sarebbe importante che il sindacato supporti anche queste istanze, ma purtroppo loro “non fanno politica”.

            Sulla questione delle narrazione tossica “Marta contro Susanna” penso che proprio la campagna dei video di Marta dello Sciopero Sociale la decostruisce e la smonta.

            Quanto alla realtà, io non conosco quella in cui vivi tu, nella mia i sindacati confederali sono tra i principali colpevoli della sottrazione dei diritti dei lavoratori. Esempi a caso: gli assegnisti di ricerca non hanno diritto alla maternità pagata (e neanche alla sospensione del contratto come è invece per i dottorandi), questo è frutto di un accordo sindacale. Ancora: i sindacati confederali si rifiutano di includere gli atipici e gli autonomi nei CNL. Se mai diventassi una lavoratrice dipendente non potrò mai ricongiungere i miei contributi versati alla gestione separata (che poi per farli valere dovrei lavorare per QUATTRO anni consecutivi senza interruzione). In realtà vicine alla mia (dove il lavoro richiesto è un po’ meno qualificato) si licenziano i lavoratori a tempo indeterminato e si assumono lavoratori interinali, tutto possibile grazie alla concertazione. Questi sono i meriti dei sindacati confederali di cui sono a conoscenza.

            Ora, io non dico che bisogna separare le lotte, ma che bisogna fare le lotte con chi le vuole fare. E ripeto il concetto che ho provato a esprimere nel punto 4, evidentemente malamente, nella realtà che vedo io è vero che la CGIL “non ci vuole” (se poi la metafora del “non ci vuole” non fosse chiara, te la spiego).

            • Ciao Evangeline (non “Eveline”, scusami):

              «Quanto alla realtà, io non conosco quella in cui vivi tu, nella mia i sindacati confederali sono tra i principali colpevoli della sottrazione dei diritti dei lavoratori.»

              Anche nella mia, come ho scritto. Per questo penso che i lavoratori debbano riprendersi il sindacato che li ha traditi e trasformarlo in uno strumento più efficace. E nel frattempo organizzarsi anche, in parallelo, con altre forme. Quali? Non lo so esattamente, nella storia i lavoratori hanno dimostrato una grande fantasia spontanea. Per esempio in Russia si inventarono i soviet.
              Quel che penso sarebbe molto sbagliato è dettare ai lavoratori delle ricette rigide per organizzarsi (no CGIL, no partito riformista, no corteo-sfilata di sabato, sì la mia organizzazione preferita, sì corteo convocato da me) senza capire che i proletari a volte usano strumenti imperfetti perché è ciò che hanno a disposizione e in parte anche perché questi strumenti riflettono le loro stesse imperfezioni.

          • Secondo me Mauro sottovaluta o svicola un punto importante che poi credo sia il punto di questo sotto-thread. Sinceramente non mi spiego perché faccia così, perché pensa che evitando questo punto o sminuendolo si possa riuscire meglio nel tentativo che condividiamo tutti: quello di unire le lotte. Per me è il contrario: c’è un problema, un ostacolo, uno dei tanti, non certo l’unico, quindi bisogna affrontarlo, così come gli altri, non negarlo e fare finta che non ci sia. Come ho già detto non lo si può fare solo a parole ma andrà fatto nelle pratiche di lotta, ma anche le parole sono necessarie, e c’entrano molto con le pratiche.
            L’odio verso la CGIL, che hanno in molti nei movimenti, non solo come dice Mauro i “gruppuscoli” che gareggiano in egemonia, non nasce dal nulla. I precari e i disoccupati (d’ora in poi per comodità gli “estromessi”) non sono stati “traditi” dalla CGIL. Traditi semmai sono gli iscritti. Gli estromessi sono stati proprio negati come soggetto sociale possibile. La CGIL ne ha subito la nascita come parte del processo volto a smantellare l’organizzazione della classe e come parte del mutamento del sistema capitalista, processi che l’hanno compresa tra gli obiettivi. Per la CGIL gli estromessi sono solo un’arma che il padronato le punta contro, e la CGIL ha pagato e paga questa miopia colossale. Ora la CGIL accetta almeno ufficialmente, istituzionalmente, di concertare con il governo persino la repressione degli estromessi con il tavolo di sicurezza permanente a cui partecipa. Che la FIOM proponga timidamente un reddito “di continuità”, “tra un lavoro e l’altro”, non è un cambio di direzione, è solo indice di quanto poco si vuol capire il problema, è solo “massì mettiamoci una pezza”.
            La rivendicazione di un *reddito* è oggettivamente alternativa a quella salariale e contrattuale e quindi pure alla forma sindacale. Chi vuole un reddito di cittadinanza (e la cittadinanza universale per tutte e tutti) lo vuole completamente sganciato dal lavoro e dalla produzione nel sistema capitalistico. Vuole organizzare autonomamente la propria esistenza e non concertare più nulla sotto il capitale, vuole lottare e scontrarsi con esso sul controllo e la proprietà di tutti i beni, non solo sul controllo della produzione industriale e sul salario. Vuole occupare tutto e riprendersi/difendere tutto, e il reddito universale è solo una parte di questo “riprendere” ben più vasto. Lo stesso concetto di “lavoro” in questa prospettiva è radicalmente stravolto.
            *Come si può risolvere questo evidente punto di disaccordo?* Non credo si possa farlo evitandolo e imponendo le proprie categorie agli altri, per quante pezze ci si metta. Si tratta di cucire un vestito, non di mettere pezze. È un lavoro lungo e può pure comprendere un cambiamento radicale della forma sindacale, un suo stravolgimento se non un suo superamento in qualcosa di molto diverso. Preferisco a questo punto la posizione di Militant che pur completamente antitetica a questo tipo di istanze almeno non manca di problematizzare questa dicotomia, almeno ne riconosce un po’ di più l’esistenza, non fa finta che non ci sia, per quanto le consideri fallaci.
            Questa dicotomia si riflette poi su altri piani, compreso quello della lotta. La CGIL e con essa la FIOM vedono ancora la possibilità di un accumulo di forze dove invece gli estromessi lo ritengono impossibile, molti nemmeno desiderabile, e non solo perché escludente nei loro confronti. Lo sciopero sociale è anche tutto questo, è un appuntamento per le lotte su piani molto diversi, è già un tentativo di per sé di unire le lotte, non solo sul punto del reddito. Vi aderiscono soggetti sociali e individui con posizioni molto diverse, ma molti di loro non fanno più del controllo della produzione da parte dei lavoratori il perno su cui ruota tutto quanto, con tutto ciò che ne consegue. Hanno nel frattempo cambiato prospettiva su molte cose e hanno cominciato ad aprire altri fronti di lotta e ad allargarli su piani diversi, su quello ambientale, dell’abitare, su piani oserei dire esistenziali.
            Che una parte sia o si senta esclusa da tutto questo è un problema. Che questa parte non si renda conto del contesto e proponga a tutti gli altri di abbandonare tutto per seguirli, per seguire chi nemmeno li comprende, è un grosso problema, da affrontare. Non solo nella teoria ma nella pratica. Sono convinto che nella pratica molto si possa fare prima ancora di rendersi conto dei mutamenti nelle posizioni teoriche. Occupare una fabbrica, per esempio, secondo me è un tipo di pratica che potrebbe anche unire chi ha posizioni ancora troppo diverse su questi punti. È un punto reale, è riprendere possesso di qualcosa e gestirlo autonomamente anche con e per la collettività e non solo in quanto operai. Gli operai esistono, e la quasi totalità della produzione è in mano al sistema capitalista, ma chi lotta vuole superare tutto questo e molto altro e ha già iniziato a farlo. Vuole riprendersi la propria vita, vuole tutto, non solo un contratto e un salario.

            • Sono d’accordo sul fatto che la CGIL abbia rimosso e continui a rimuovere dal proprio orizzonte gli “estromessi”. E di critiche feroci alla CGIL ne avrei da fare a pacchi.

              Però c’è una cosa che vorrei chiedere a te e a tutt*, cercando se possibile di discuterne indipendentemente dalla CGIL, proprio dal punto di vista del meccanismo pratico.

              Quando scrivi “Chi vuole un reddito di cittadinanza (e la cittadinanza universale per tutte e tutti) lo vuole completamente sganciato dal lavoro e dalla produzione nel sistema capitalistico” mi viene da pensare: “figo!”. Però subito dopo la mia mente vacilla. Il reddito di cittadinanza dovrebbe essere erogato dallo stato, immagino. E lo stato i soldi se li procura con la leva fiscale, e quindi in ultima analisi li ricava dal lavoro all’interno del rapporto di produzione capitalistico. Io non riesco a vedere nel reddito universale di cittadinanza un superamento di quel rapporto di produzione.

              • Beh ma intanto lo Stato i soldi non li ricava solo dal lavoro. Tutte le tasse sulla casa ad esempio sono già in pratica una forma di patrimoniale permanente, certo per ora essendo lo stato capitalista, orientate a consumare il patrimonio delle classi medio-basse e non tanto a intaccare quella alta. Ma una
                vera patrimoniale può fare diversamente, può intaccare i veri patrimoni, può rimettere in discussione il meccanismo del debito.
                Poi non credo che chi vuole il reddito universale se lo immagini come una soluzione permanente. È parte di questo riprendersi le cose e io almeno lo immagino come un’istanza che ha senso a livello transitorio, l’obiettivo finale (su cui credo concordiamo pure) non è certo quello di farsi mantenere dallo Stato capitalista. Anzi questo lo vogliamo abbattere. Il punto è come arrivarci: non penso che in questa fase in Italia sia così utile mantenere l’impianto lavorista.
                Vorrei aggiungere che il ruolo del sindacato non credo sia per forza antagonista a tutto questo. Rileggendomi mi accorgo che potrei aver dato questa impressione. Lo è in Italia oggettivamente ma in linea teorica almeno potrebbe lo stesso sindacato (non da solo, certo) convergere anche su questo obiettivo con istanze collegate. Ad esempio se non sbaglio in altri paesi il sindacato si occupa pure dei sussidi e della formazione dei disoccupati, a volte pure in un’ottica riformista mica tanto più radicale della CGIL, ma almeno non più così miope e lavorista ortodossa. Tra l’altro penso pure che avrebbe da guadagnarci spuntando così finalmente la questione degli “estromessi usati come arma”.

              • A me pare che se prendiamo per buona la divisione ideologica che viene proposta, non ci troviamo molto distanti da un dibattito molto novecentesco tra rivoluzione e riformismo. Scrive diserzione: “Chi vuole un reddito di cittadinanza (e la cittadinanza universale per tutte e tutti) lo vuole completamente sganciato dal lavoro e dalla produzione nel sistema capitalistico. Vuole organizzare autonomamente la propria esistenza e non concertare più nulla sotto il capitale, vuole lottare e scontrarsi con esso sul controllo e la proprietà di tutti i beni, non solo sul controllo della produzione industriale e sul salario. Vuole occupare tutto e riprendersi/difendere tutto, e il reddito universale è solo una parte di questo “riprendere” ben più vasto.”
                Si tratta quindi di fare il comunismo. A me pare che quella così delineata sia una società nella quale si è fatta (almeno) una rivoluzione, a meno che non si pensi di convincere chi ha il potere ad abbandonare il sistema capitalistico per sfinimento.

              • Rispondo a WM4. No, forse non sono riuscito a spiegarmi. Ho anche detto anzi che pure in ottica riformista è molto possibile e anzi almeno parzialmente già praticato altrove quanto suggerivo: l’abbandono del lavorismo e una convergenza di interessi (di tutte e tutti) sul reddito, verso il reddito di cittadinanza. Come parte, per come l’intendo, di un difendere/riprendersi il comune (e non parlo solo in maniera riduttiva della categoria dei cosiddetti “beni comuni”) che è un discorso molto diverso e per certi versi proprio un superamento di quella contrapposizione che dici. Si tratta di occupare le case per abitarci, difendere il nostro territorio dalla speculazione, occupare le fabbriche, organizzare autonomamente i bisogni della collettività, e sì anche esigere dallo Stato capitalista finché continua ad esistere un reddito di cittadinanza che è di fatto la restituzione dei patrimoni di cui è guardia armata, e anche l’impiego in maniera umana dei patrimonio pubblico che detiene, invece che impiegarlo nella devastazione, ad esempio.
                Questo è rivoluzionario, certo. Ma sta già accadendo, non si tratta di “prendere il potere e poi farlo accadere”. Si tratta di farlo accadere già ora, si tratta di continuare a farlo accadere.

              • Una forma di reddito universale ha senso solo in una società capitalista. Chi la chiede in genere non vuole superare il capitalismo. Io ad esempio adesso non penso a come superare il capitalismo (né voglio occupare tutto, qualsiasi cosa significhi), e come me altre persone. Una forma di reddito di questo genere serve proprio a dare un po’ di soldi da spendere, e pure al FMI si fanno due conti sui costi delle disuguaglianze. Al di là della sua necessità c’è anche un discorso teorico circa il fatto che la vita delle persone genera profitto senza che venga riconosciuto (dal classico lavoro di riproduzione femminile ai profitti di facebook). L’aspetto teorico è un di più. Poi non so se più avanti questa forma di reddito potrà essere di supporto per una lotta che rovesci il capitalismo. Il problema è che una lotta del genere non mi pare condivisa. Mentre un reddito universale farebbe comodo a parecchi, padroni compresi.

            • Ciao @diserzione,
              non mi sembra di aver “svicolato” o “ignorato” il problema che enunci, tant’è che l’ho citato prima ancora che venisse sollevato da altri. So che esiste una corrente di pensiero che riassumi efficacemente così:

              «La rivendicazione di un *reddito* è oggettivamente alternativa a quella salariale e contrattuale e quindi pure alla forma sindacale.»

              Ora, semplicemente questa cosa che tu e altri presentate come un dato di fatto secondo me non è un dato di fatto ma è uno schema ideologico sovrapposto a forza alla realtà. Sminuire il valore di questa ideologia non significa affatto sminuire il valore del problema degli “estromessi”, perché questa ideologia secondo me non è la “rappresentante ufficiale” degli estromessi. Dal punto di vista contrattuale sono stato un estromesso per molti anni, e forse lo sono tuttora visto che da alcuni mesi sono in partita IVA, e non mi riconosco in queste posizioni: questo mi rende forse un estromesso di serie B?

              Ipotizzo anche che la vasta maggioranza degli estromessi, che di solito ambiscono a un posto di lavoro più sicuro e gratificante, non sottoscriverebbero affatto l’idea che l’unica cosa che gli interessa è avere un reddito “totalmente sganciato dalla produzione capitalista”, un’idea molto astratta che suscita di solito la stessa reazione che ha avuto @tuco qua sopra. Tra l’altro non capisco perché se uno sta lavorando dovrebbe ricevere un reddito dallo Stato: se uno lavora il reddito glielo paghi il padrone, altrimenti lo Stato sta di fatto sovvenzionando i padroni. Il reddito vada ai disoccupati o a chi lavora con intermittenza! So che questa è una bestemmia “lavorista” ma me ne infischio.

              Credo che si debba fare tutto il possibile per non dividere la classe e le teorie che contrappongono estromessi ed inclusi (addirittura leggo con orrore anche a sinistra l’utilizzo della parola ichiniana “garantiti”) sono nocive. Ma sono anche fuori dal mondo, perché la classe è una sola e nella vita lavorativa di chiunque ormai ci sono dosi di precarietà e di relativa stabilità che si mescolano continuamente (e se passa il contratto unico a tutele crescenti di fatto saremo tutti ufficialmente precari a vita).

              Anche il rapporto della CGIL con gli estromessi non si è sviluppato proprio nella forma che racconti. So che non è andata così perché c’ero: c’ero nel novero dei precari e c’ero nella CGIL. La posizione prevalente ai tempi del pacchetto Treu era che si trattasse di un’occasione per una “flessibilità buona” che però andava “governata” perché non diventasse “precarietà”. In seguito si è imposta l’idea che la flessibilità fosse quasi sempre precarietà e che quindi andasse in qualche modo “contrastata” e/o “concertata”, anche organizzando i precari. Nel periodo Genova-Iraq-Cofferati la parte più di sinistra della CGIL ha cominciato a parlare più seriamente di reddito minimo e di stabilizzazione dei precari, ma c’era comunque un dibattito serrato tra chi sosteneva che i precari andassero stabilizzati e chi diceva che erano “contenti così”, che era una questione di “modernità” e “indipendenza” ecc. Ricordo che in quegli anni alcuni (non tutti) di quelli che facevano discorsi “antilavoristi” si trovavano a spalleggiare proprio l’ala destra della CGIL e del NIdiL nel sostenere che i precari non andassero stabilizzati perché farlo sarebbe stato “novecentesco”. In generale, c’è sempre stata una pessima organizzazione della CGIL rispetto a questo problema, che si manifestava non tanto sul piano ideologico del “lavorismo ortodosso” quanto proprio al contrario nell’accettazione continua di scambi salario-precarietà nella contrattazione delle categorie. Ovviamente trattando i precari in questo modo è stato ancora più difficile avvicinarli e in molti casi li si è visti come una specie di crumiraggio di massa quando invece potevano essere visti come un enorme serbatoio di rabbia e radicalità. Il NIdiL non ha mai sciolto un nodo di fondo e cioè se i precari vadano organizzati per abolire il precariato o per contrattare condizioni migliori ma comunque precarie. Questo nodo di fondo mi sembra che venga eluso ma non risolto anche dall’approccio “reddito per tutti e chissenefrega”.

              Infine, permettimi un’ultima osservazione. Trovo un po’ stucchevole il fatto che si cerchi di stabilire un collegamento tra certe pratiche di lotta o rivendicazioni (le occupazioni, il reddito minimo e i diritti universali, la difesa del territorio) e un certo sottoinsieme della classe lavoratrice che si presume essere propenso a una certa visione ideologica. Le fabbriche vengono occupate da secoli e solitamente dagli operai. Il reddito per i disoccupati è una rivendicazione storica dell’ala più radicale del movimento operaio, non ci volevano i cocopro per inventarselo. Le lotte territoriali non solo non sono tipiche del precariato ma addirittura tendono da sempre a coinvolgere strati della piccola borghesia. Quindi, perché appiccicare l’etichetta “precaria” a caso?

              Dici che se gli operai di Terni occupassero la fabbrica, per te sarebbe una lotta interessante. Benissimo, ma ci devi pur arrivare a quel punto. Gli operai che domani occuperanno la fabbrica sono gli stessi che oggi devono affrontare un rinnovo contrattuale, una vertenza minore su una piccola questione aziendale, o che devono trovare il modo di unirsi coi loro colleghi interinali che lottano per essere regolarizzati o coi facchini delle cooperative che gestiscono il magazzino.

              Poi c’è un discorso tattico più generale, che è questo: possiamo vincere senza coinvolgere la maggioranza della classe lavoratrice (costituita in Italia dai lavoratori a tempo indeterminato) e senza coinvolgere i lavoratori in produzione che hanno il potere di bloccare il cuore della produzione capitalistica? Io credo di no. Altri credono di sì e vedono in quel pezzo di classe e nelle sue organizzazioni tradizionali solo un fenomeno residuale nella vita politica, sociale ed economica del sistema; questo autunno mi pare che stia confutandoli.

              • Concordo con Mauro Vanetti.
                La contrapposizione tra lotte per il lavoro e lotte per il reddito è primamente ideologica, ed è qualcosa che ci portiamo dietro fin dagli anni Novanta. Al lato pratico però è vero che l’aspirazione di un precario è la stabilizzazione, quando va bene, la proroga del contratto, quando va male. Gli sforzi di trasformare il precariato in massa critica o neo-classe autocosciente in grado di portare avanti una rivendicazione per il reddito di cittadinanza, dagli anni Novanta ad oggi non mi pare abbiano dato i frutti auspicati. Forse proprio perché muovevano da un presupposto ideologico, che a prescindere dalla sua maggiore o minore fondatezza, non ha trovato riscontro pratico. E questo a fronte di un’aumento esponenziale della precarietà lavorativa.

                Magari sarebbe utile provare a individuare qualche punto critico nella contrapposizione ideologica di cui sopra. Mentre il lavoro (quando c’è) è una potenziale fonte di condivisione di prospettiva e di visione collettiva, il reddito di cittadinanza è tarato sulla persona, sul cittadino appunto (e apre un altro file, quello del concetto di cittadinanza, sul quale bisognerebbe poi trovare un accordo…). E’ un paradigma non-lavorista, che ha un certo appeal per una parte di movimento (cioè per gente politicamente orientata), in un’economia post-fordista in cui il lavoro fatica a svolgere la funzione unificante che aveva nelle lotte di un tempo.

                Tuttavia, come dice Mauro Vanetti, dire una cosa non significa già inverarla. La storia tende anzi ad andarsene per i cazzi suoi, invece di dare retta alle nostre teorie e profezie. Allora, magari nell’attesa che si realizzino, potrebbe anche tornare utile notare che la filiera produttiva del lavoro parcellizzato, subappaltato, precarizzato, può pure essere ripercorsa e ricostruita. E’ difficile, ma non impossibile e, anzi, suggerisco che dovrebbe essere specificamente il compito di un sindacato contemporaneo. Ricomporre il quadro, dare rappresentanza ai precari, sviluppando la consapevolezza che i “garantiti” di oggi sono già i precari di domani e che appunto è sempre la stessa lotta che si confronta con il divide et impera padronale.

                Tra l’altro, ho il presentimento che agli albori del sindacalismo il compito non fosse poi tanto diverso da questo.
                Qualcuno può vederla come una battaglia di retroguardia, ma tant’è. C’è gente che vuole un lavoro e uno stipendio e non vorrei che tra dirgli che sbaglia e che dovrebbe lottare per avere “tutto” svincolato dal lavoro, e dirgli la buona vecchia massima “lavoratori di tutto il mondo unitevi” fosse ancora più efficace la seconda opzione.

              • Veramente «Lavoratori di tutto il mondo unitevi» esclude chi un lavoro non ce l’ha. Il sindacato potrebbe fare quello che auspicate e fare di più per un reddito a chi è disoccupato. La vecchia massima comunque era «*Proletarier* aller Länder, vereinigt euch!» che è un po’ diverso.

                Per il resto quello che avevo da dire l’ho detto, anche più sotto, e mi sembra un po’ sterile continuare questa contrapposizione. Sono tutt’ora convinto che nelle pratiche sia possibile unire lotte e paradigmi diversi. Ognuno sceglie la propria linea del fronte (anche prescindendo dalla propria condizione come fa Mauro) e il proprio orizzonte di diserzione. Come voi sono convinto che non siamo su fronti contrapposti, anche se divergiamo sul *perché* c’è questa falsa apparenza, e sulla “strategia generale”. Buone lotte!

      • Potrei anche io ribattere punto su punto, Mauro, ma penso che sarei ancora più lungo e borioso di prima, ad esempio potrei dire che…

        [1.È chiaro che non concordiamo sull’analisi e che non ci siamo capiti su un punto. Per me nessuno ha trattato la FIOM e la CGIL da terroristi allo stesso modo con cui sono trattati da terroristi gli “antagonisti”. Io ho detto che vogliono annullare il ruolo del sindacato e ridurre i diritti dei lavoratori fissi, è ancora più di quanto dici tu, ma un conto è l’agenda politica un conto sono i modi con cui questa viene portata avanti. *Quanto più vogliono attaccare operai FIOM e ridurli come gli altri, tanto più deve sembrare che il trattamento è diverso*, che loro sono buoni e povere vittime dell’antagonismo di chi s’infiltra. Non lo so quando e se saranno menati, finché se ne stanno buoni credo di no. Gli altri temo saranno menati comunque come sono stati menati comunque tante altre volte anche recentemente. Se si uniscono in piazza saranno menati tutti e comunque fino a quando la FIOM e la CGIL varranno ancora qualcosetta un minuto dopo si darà la colpa agli antagonisti, come è successo oggi a Bruxelles, con le parole del loro stesso sindacato. Questo succederà, fino alla fine dei sindacati. Questo è il mio pessimismo e il problema che pongo.

        2. Su questo punto sono pronto a stupirmi di essermi sbagliato, non vedo l’ora. Ho espresso un timore che non è soltanto il mio. Al di là di questo non mi è piaciuto che lo sciopero sia stato indetto senza menzionare il fatto che ce ne fosse un altro così importante. Mi fa piacere che ci siano contatti e spero siano più fruttuosi dei nostri flame! (Invece di cosa dice il giornale? piddino Europa non me ne frega niente.) Spero anche nella convergenza nell’immaginario e soprattutto che questo immaginario produca poi effetti reali.

        3. Riconosco di aver scazzato il punto del discorso qui. È vero che finora un segretario sindacale non si era preso le botte in testa davanti ai suoi operai e questo ha avuto una portata simbolica, ed è questo, se rileggo bene, che intendeva WM4. Sinceramente però non mi sembra che la battaglia politica successiva di cui parli sia stata così accesa. Landini ha dei toni accesi, s’infervora molto quando parla, ma la sostanza? Il giorno dopo Landini era da Renzi ad accettare il tavolo permanente sulla sicurezza. E le polemiche istituzionali si sono smorzate sotto un coro di abbassiamo i toni. Per me questo è fatto più grave della tolleranza mostrata verso Alfano. Poi tu stesso dici che Landini vuole mantenere dei rapporti con un’area del PD, e allora vedi che concordiamo sul fatto che è un pompiere? Forse sono stato avventato a dire che lo è stato in piazza, ma lo è stato di più dove contava. Molti degli scioperi di solidarietà poi se non sbaglio sono stati spontanei. Nel merito dell’episodio aggiungo solo che Landini non mi sembra tanto pronto ad uno scontro che pure potrà prodursi ancora soprattutto se si uniranno in piazza le istanze, se la lotta continuerà su questo livello. Questo è un altro fattore di pessimismo per me. Non che io sia un feticista del riot, non lo sono, e anzi, ma temo che purtroppo volenti o nolenti si ripresenteranno questi episodi, se continueremo a lottare in questo modo, e pure di peggio, e già mi viene subito in mente il Landini di Torino (con tutti i distinguo del caso).

        4. Nella mia testa di precario-disoccupato questa paura c’è. Magari sarò un fifone io, anche qui non vedo l’ora di aver torto. Parlavo in ogni caso dei cortei dello sciopero sociale, che -temo- non saranno così “tranqullissimi”. Magari mi sbaglio eh! Io non sono tanto corazzato e non mi piace prendere le botte né venire arrestato. Però lo metto in conto, è una mia paura con la quale cerco di convivere e di considerare, non la ignoro e cerco di non farmi sopraffare da essa. Solo l’altro giorno a Brescia per esempio, per la contestazione a Renzi mi pare che in cinque “antagonisti” siano stati denunciati per uno “scontro” che non mi è parso nella dinamica molto diverso da quello occorso agli operai dell’AST a Roma, per i quali Alfano si è subito premurato di dire che non ci sarebbero state denunce (e torniamo al discorso di prima). Intendiamoci non è che mi auguro le denunce per par condicio eh.
        La CGIL: non è che fa molta fatica, è che proprio non ci prova nemmeno a portare in piazza i precari e i disoccupati. Li ha dati per morti tanto tempo fa, ne ha pagato e ne paga le conseguenze, è stata pronta pure a dar loro la colpa, e ora è lì come una rana che si sta chiedendo se sia o no troppo tardi per saltare fuori dalla pentola.]

        …ma penso che se io facessi così poi potremmo continuare anche a lungo a divergere e riconosco che puoi avere delle ragioni e che in qualche punto le analisi tue saranno più azzeccate, per maggiori esperienza e lucidità e conoscenza della materia. Probabilmente poi le nostre divergenze hanno il nocciolo altrove sul piano politico e finirebbero col mio aderire all’IMT per sfinimento dopo qualche anno di litigi, vinto dalla tua cocciutaggine e superiore abilità dialettica. Lasciamo perdere. Poi trovo abbastanza inutile fare la conta delle cose su cui non siamo d’accordo in questo modo.

        Preferirei invece affrontare un altro punto. È da diverso tempo che su queste pagine si è affrontato il discorso sulle forme della lotta, sul *come fare*, sulla critica al “falso evento”, alla retorica dell’”assedio ai palazzi del potere”. È vero che stavolta “sciopero sociale” mi sembra già una parola d’ordine migliore, e l’evento non è un “falso” deciso dal nemico, ma mi chiedo quanto senso abbia continuare sotto un nome o un altro a riproporci di fatto le stesse dinamiche di piazza, di continuare la battaglia su questo piano della rappresentazione della lotta disancorata a punti reali, che non siano quelli dell’egemonismo e della gara tattica tra pratiche diverse, tra chi vuole solo manifestare una forza numerica, chi vorrebbe mettere cappelli e chi mandare tutto all’aria. Soprattutto visto che il sistema di potere non sembra affatto disponibile a concedere qualcosa a chi si limita a manifestarsi e ben pronto a reprimere chi accetta di prendere la rappresentazione di uno scontro per lo scontro reale. E a chi in piazza è pronto a far di più che manifestarsi, dico che è ben vero che oltre a costruire c’è così tanto da distruggere in questo paese, ma proprio per questo non sarebbe l’ora di cominciare ad attaccare anche qualche punto reale? (E non credo che i “palazzi del potere” lo siano.) Ho appena letto il link che hai postato sugli operai di Terni che avrebbero voluto occupare la fabbrica: ecco questo potrebbe essere un punto un po’ più reale.

        Le lotte non si ricompongono dall’oggi al domani ma sulle pratiche: siamo sicuri che si possa farlo sulle pratiche di piazza? Poi ovvio che se la piazza c’è è sempre meglio che se non ci sia, e io voglio esserci tutte le volte che posso e farò di tutto per esserci come ho sempre provato a fare. E magari si può farlo anche in piazza, si può provare a vivere la lotta di strada e di piazza in maniera diversa, provando a capire se anche lì ci possono essere dei punti reali a cui ancorarsi, e non solo la manifestazione e la rappresentazione di sé e la lotta per l’immaginario che pure sono importanti.

    • Sulla questione Landini sono daccordo con @maurovanetti. Quei due minuti mi sono sembrati una cosa non programmata, in cui, certo, ha fatto in parte il pompiere, ma nei limiti in cui era fondamentalmente giusto. C’era un urgenza pratica, evitare che quegli operai venissero massacrati sul posto, lui l’ha fatto senza perdere dignità, e anzi, sottolineando una evidente superiorità verso le ffoo. Che poi in un momento di concitazione gli siano uscite frasi che hanno un fondo razzista come ‘siamo come voi’ (intendendo che altri manifestanti non lo sono) certo non è buona cosa, però tutto sommato lo considererei un dettaglio, e soprattutto non intenzionale. Per quello che mi sembra di aver capito in questi anni di movimenti la necessità di conseguire obbiettivi pratici e immediati è quella che spesso consente di trovare ragionevoli compromessi tra le diverse posizioni senza arroccamenti a priori che sono tipici di chi è più lontano dal campo. Infatti la prima volta che ci si è trovato dentro ha fatto al cosa giusta.
      Su tutto il resto sottoscrivo in pieno la posizione di @diserzione

  19. E oggi, 6 novembre, Renzi contestato da operai, impiegati, studenti ecc. in occasione della sua visita all’Alcatel-Lucent di Vimercate.

    Leggo che sarebbe entrato dal retro. Sul Corriere.it, visto che Conques qui sopra parlava dei problemi che ci sono a “bucare lo schermo”, è la prima notizia in alto, riassunta così: “Contestato dagli operai”.

    (Per l’occasione della contestazione si sono ritrovate fianco a fianco FIOM, FP-CGIL, USB e chissà quante altre strutture che fanno fatica a parlarsi e trovare la quadra per fare uno sciopero generale come si deve…)

    Mi sa che la tattica dello smontare gli eventi propagandistici del nostro “presidente operaio” (già il secondo) con la semplice presenza di folle incazzate stia già diventando la moda dell’autunno-inverno 2014.

  20. sarò breve.
    io a questo giro voglio VINCERE.
    perchè a ‘sto giro non c’è più il problema di avere un mafioso pervertito al potere piuttosto che una vecchia volpe democristiana con gli occhiali, ma
    il futuro nostro e delle nostre famiglie.

    e per vincere è necessario andare tutt* nella stessa direzione, prendendo il buono che c’è nelle varie anime della sinistra: la capacità di autorganizzazione degli antagonisti e la lotta per il diritto alla casa, la sensibilità dei sindacati di base per le lotte dei dannati della terra (logistica,pulizie,bracciantato,lavoro nero) e anche, mi duole dirlo, la capacità organizzativa della FIOM e della CGIL. perchè obiettivamente Mauro ha ragione, una volta tanto :-) : senza il 25 ottobre, saremmo a parlare di nulla e a dire “vabbè sarà per il prossimo anno”.
    la dirigenza della CGIL è in questa situazione obtorto collo,non può fare altro (al momento) dato che ormai si è giocata la poltroncina una volta finito il mandato nel sindacato:ma qualsiasi sia il motivo non m’interessa, quello che m’interessa è che sia la base ad essere sul piede di guerra, quello che m’interessa è che al momento in cui torneranno a firmare un accordo con questo governo di inetti la conflittualità abbia raggiunto un livello tale che saranno gli stessi loro militanti a strappare la tessera e a rincorrerli a bastonate.
    abbiamo tirato i bulloni a trentin, 22 anni fa.
    cacciato rinaldini.
    possiamo farlo anche con landini, se necessario.
    saluti.

    ps: una considerazione sui cortei separati:non importa, da un certo punto di vista è anche giusto, dato che le dinamiche nei due cortei saranno sicuramente diverse (vedi Torino, il corteo era unico ma gli obiettivi erano diversi e si è rischiato il macello). quello che importa è il comune obiettivo: farli saltare

  21. Sì però vincere cosa? Andare verso dove?
    Tutte le lotte citate, e altre, sono importanti, sia per gli obiettivi giusti che si pongono, sia per ricordare che esiste ancora una capacità di resistenza nella società. Ma unificare le lotte non significa soltanto superare qualche antipatia personale o tentare di mediare fra posizioni definite ma diverse. La sintesi delle lotte dovrebbe farsi sulla base di una piattaforma che unifichi le necessità comuni e affronti il reale antagonista.
    Che non è Renzi, per piacere. È caduto Monti e nessuno lo rimpiange, è caduto Letta e viva l’asteroide. Renzi cadrà, si sta già contorcendo, aspira a elezioni alle quali si possa presentare come vittima per guadagnare qualche boccata di ossigeno. Oppure qualcuno qua ha creduto veramente che avesse intenzione di proporre politiche innovative rispetto ai precedenti governi? Aggiunge solo il suo mattoncino al muro dell’infamia.
    A Bruxelles picchiano i lavoratori come a Roma, ma questo non basta a creare un’internazionale proletaria. Le lotte spesso appaiono inutile perché lo sono, il livello decisionale si è spostato, appare più astratto. Le possibilità di scelta politica è limitata. Ma non è un caso, è la linfa vitale della costruzione di classe dell’Unione Europea. Rompere l’Unione Europea deve essere il principale obiettivo di una lotta che voglia ricostruire un’alternativa di classe, perché il capitale nasce internazionale, i lavoratori solo con fatica lo diventano e non certo in una situazione di arretramento come quella odierna.
    E poi, per pietà, Landini. Ha salvato la Camusso al congresso CGIL biascicando emendamenti che nessuno ha letto o preso in considerazione dopo aver fatto finta di non aver capito che la reazionaria Camusso stava deliberatamente distruggendo qualsiasi residuo di democrazia sindacale. E, soprattutto, non ha un’idea politica che vada al di là della lotta agli sprechi e all’evasione. È il contraltare di Renzi in quanto a vuoto politico.

  22. Posto qui il commento, perché sotto il thread di “rapa” circa l’ “interesse nazionale” non c’è più possibilità di “reply”.

    Premesso che comprendo lo sfogo di WM1, capisco però anche quello che tenta di sostenere “rapa” (a me, le due posizioni, non appaiono necessariamente in contrasto l’una con l’altra), volevo solo segnalare che notizie come questa, a mio avviso, non fanno altro che far aumentare la rabbia nei confronti delle istituzioni europee:
    http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/11/07/juncker-vergogna-deuropa/

    E’ chiaro che il nemico rimane il famoso 1%, indipendentemente dal fatto che sia di “italica fattura” o meno (peraltro, nella lista delle aziende italiane che ha usufruito dei servigi di Mr. Junker, figura Finmeccanica, italianissima azienda di stato), ma non mi sento per nulla responsabile se nello stato in cui vivo non è mai esistita democrazia e governa sempre la solita vecchia borghesia fascista, così come non mi sento per nulla in colpa (e tanto meno fascista) se amo la terra in cui – purtroppo o per fortuna – sono nato.

    Cordialità.

    • Ma scusa, se l’Unione Europea ha nel suo DNA la libertà dei capitali e la schiavitù del lavoro, quella notizia non fa che sottolineare la saggezza e la consequenzialità della scelta di Junker a capo della commissione.
      Certo, potremmo ancora gingillarci su questioni di lana caprina come la differenza fra i socialisti e i popolari europei, ma offenderemmo le nostre intelligenze. Nel frattempo confondiamo l’interesse dei lavoratori nazionali con l’interesse nazionale, mentre a me sembra che quest’ultimo è effettivamente un’idea astrtta reazionaria, mentre il primo non è che l’inizio di una ricostruzione anche internazionale della coscienza di classe.
      Per quanto riguarda l’1% lo lascerei agli Americani che, come diceva Pasolini nella mille volte malcitata poesia, hanno ancora da scrivere pagine di lotta di classe che qui in Europa già sono storia che, pur volendo, non abbiamo ancora il diritto di dimenticare:
      “… Ecco,
      gli Americani, vostri odorabili coetanei,
      coi loro sciocchi fiori, si stanno inventando,
      loro, un nuovo linguaggio rivoluzionario!
      Se lo inventano giorno per giorno!
      Ma voi non potete farlo perché in Europa ce n’è già uno:
      potreste ignorarlo? “

      • Probabilmente non sono stato sufficientemente chiaro, ma ciò che tento di fare è proprio quello di non confondere “l’interesse dei lavoratori nazionali” con quello che viene propagandato come “interesse nazionale”.
        E se “il primo non è che l’inizio di una ricostruzione anche internazionale della coscienza di classe”, non mi pare un peccato così grave citare il famoso 1% solo perché se lo sono inventati gli ‘mericani.
        A me piacerebbe partecipare al primo sciopero generale proclamato dalla stragrande maggioranza delle sigle sindacali dei paesi dell’eurozona, con massiccia partecipazione degli “estromessi” in modo da sancire la saldatura degli interessi “di chi è costretto a vivere di salario”. E’ che non mi sembra ci siano i presupposti (e chissà se mai ci saranno, visto che non mi sembra si possa escludere, a prescindere, l’implosione della costruzione europea).
        Infine, “se l’Unione Europea ha nel suo DNA la libertà dei capitali e la schiavitù del lavoro”, non vedo per quale motivo non dovrei provare profonda avversione verso tutta la retorica europeista.

        Cordialità.

        • Ah.. e giusto due giorni fa “Massimino” non poteva fare a meno di dichiarare:
          http://www.lettera43.it/politica/burocrati-in-ue-d-alema-sta-con-juncker-e-bacchetta-renzi_43675146740.htm

          Tempismo perfetto direi.

        • No, scusa, sono io che non sono stato per nulla chiaro. In gran parte concordo con te.
          A parte il commento su Junker e la mia insofferenza verso ‘sta cosa dell’1% che a me pare tanto infantile (ma suvvia, veramente il 99% restante avrebbe gli stessi interessi? Sarebbe facile).
          Sul nucleo centrale del discorso però credo che siamo perfettamente in sintonia. L’elefante nella stanza che i compagni fingono sempre di non vedere è che sull’Unione Europea e temi annessi dovremmo avere un’idea chiara e condivisa. Per me non c’è nulla da salvare, e mi sono anche un po’ stufato di essere considerato un nazionalista allievo di JM Le Pen quando ne parlo.

          • Anch’io penso di trovarmi in perfetta sintonia: io l’1% l’ho citato non perché pensi che il 99% abbia gli stessi interessi (e, da quanto ho avuto modo di leggere, non credo lo pensino neanche coloro che hanno animato l’esperienza di Zuccotti Park), ma piuttosto per evocare il concetto di “unione”, nell’auspicio, appunto, di un risveglio della coscienza di classe tramite l’entrata in scena di un soggetto che riesca ad unificare le rivendicazioni dei lavoratori salariati – “garantiti” o precari che siano – con quelli di chi è stato estromesso dai processi produttivi.
            Per il resto, nulla da aggiungere :-)

  23. Picccoli segnali, che hanno una loro importanza. Ieri ho sentito queste parole, da una ragazza che si è seduta per caso accanto a me, piuttosto affannata per le dimensioni della sua pancia: “No, con ‘enzi proprio non me la dico. Non siamo della stessa banda. Lui è nero e io so’ rossa”. Le donne accanto a me annuivano e sorridevano. Quel che fa la differenza, è che non mi trovavo in un centro sociale ma in un incontro di preparazione al parto. (E messa in questa forma, non è una generica critica della casta).

  24. Bisogna essere scientifici. Per dirla con le parole di Darwin “ la selezione naturale agisce soltanto accumulando minime, favorevoli, successive variazioni, non puo’ produrre ecclatanti o improvise modifiche puo’ soltanto agire in piccoli, lenti passaggi…e’ indifferente come il vento”.

    E per dirla con le parole di Wu Ming: soffiare “…il piu collettivamente possibile”.

    Soffiare. Bellissima parola. Anche se di tempo ce ne vorra’ moltissimo per costruire vento. Ma vale la pena, sempre.

    A proposito, leggero OT: Wu Minghi, per quando e’ prevista l’uscita del progetto “Canta la Mappa”?

    • “Cantalamappa” tutto attaccato. Dovrebbe uscire a marzo 2015. Comunque entro la Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna.

  25. Se la storia delle lotte dell’800 e del 900 (cioè di quel periodo in cui si ottenevano poi migliori condizioni lavorative e di vita in genere) mi ha insegnato qualcosa, credo che si debba tenere a mente che il nemico è l’immarcescibile e anzi sempre in evoluzione apparato (nascosto anche laddove non sembrerebbe), e che gli strumenti che ci permette di usare per manifestare il nostro disagio quotidiano non lo scalfiscono troppo, anzi. Lo sciopero generale era illegale, quando venne adottato le prime volte, così come i raduni delle organizzazioni sindacali e politiche in erba, come ovviamente sappiamo tutt* qua. Qualcosa voleva dire. Ma mi pare che siamo già parecchio OT.

  26. @diserzione

    ti rispondo qua perche’ l’altro sottothread e’ troppo incasinato. premetto che secondo me un qualche tipo di reddito di cittadinanza potrebbe effettivamente dare un po’ di respiro a chi si trova veramente nella merda, e ce ne sono tanti e tante, per cui niente da obiettare sul fatto che la FIOM potrebbe inserirlo tra le proprie rivendicazioni. quello che non capisco però è come il reddito di cittadinanza possa di per sè condurre fuori dalla logica lavorista. mi spiego: il reddito sono dei soldi, e i soldi sono dei pezzi di carta con dei sbiriboci disegnati sopra. i soldi in se’ non valgono niente. il loro valore e’ qualcosa che dipende dal contesto, e il contesto in cui siamo è quello del modo di produzione capitalistico fondato sulla divisione del lavoro e dello sfruttamento. il reddito di cittadinanza potrebbe essere qualcosa di estraneo alla logica lavorista se ci fosse già stato un cambiamento nel modo di produzione. spero che si capisca abbastanza qual è il problema che vedo.

    • Riscrivo il commento, proprio per l’incasinamento di sopra, e dato che la domanda era rivolta a tutti:
      Una forma di reddito universale ha senso solo in una società capitalista. Chi la chiede in genere non vuole superare il capitalismo. Io ad esempio adesso non penso a come superare il capitalismo (né voglio occupare tutto, qualsiasi cosa significhi), e come me altre persone. Una forma di reddito di questo genere serve proprio a dare un po’ di soldi da spendere, e pure al FMI si fanno due conti sui costi delle disuguaglianze. Al di là della sua necessità c’è anche un discorso teorico circa il fatto che la vita delle persone genera profitto senza che venga riconosciuto (dal classico lavoro di riproduzione femminile ai profitti di facebook). L’aspetto teorico è un di più. Poi non so se più avanti questa forma di reddito potrà essere di supporto per una lotta che rovesci il capitalismo. Il problema è che una lotta del genere non mi pare condivisa. Mentre un reddito universale farebbe comodo a parecchi, padroni compresi.

  27. @diserzione [non c’è più spazio per il reply sopra, mannaggia].
    Scrivi: “Veramente «Lavoratori di tutto il mondo unitevi» esclude chi un lavoro non ce l’ha.”
    Questo è opinabile, direi, soprattutto nell’era del lavoro precario, immateriale, intermittente, somministrato, ecc. E’ proprio di questo che stavamo parlando.

    Poi: “Il sindacato potrebbe fare quello che auspicate e fare di più per un reddito a chi è disoccupato.”
    Su questo non ci piove.

    Infine: “La vecchia massima comunque era «Proletarier aller Länder, vereinigt euch!» che è un po’ diverso.”
    Filologicamente hai ragione, in effetti stavo traducendo la traduzione inglese della celebre massima, che si trova sulla pietra tombale di Marx:”Workers of all lands unite”. Mi suona più moderna.

  28. Avevo già mollato lì http://t.co/YSYWf5Tbe6 ma rispondo ancora a Tuco e Jackie e WM4.
    Il modo di produzione capitalistico non è uguale a sessant’anni fa. Certamente è ancora fondato sulla divisione del lavoro e sullo sfruttamento ma qualcosa è cambiato. Con la globalizzazione il sistema capitalista sposta la produzione delle merci e ormai anche dei servizi nei paesi in cui “il costo del lavoro è inferiore”, riducendo allo stesso tempo questo “costo” nei paesi come il nostro nel quale in passato i lavoratori avevano conquistato condizioni migliori e più potere.

    E poi c’è il discorso sui limiti dello sviluppo che secondo me c’entra con quello che stiamo dicendo. Limiti che non sono soltanto socioeconomici ma ecologici. Molte delle merci che consumiamo sono inutili o dannose o troppe e io che non sono mai stato un decrescitengolo pure sono a favore di una forte riduzione della produzione di merci. Lo stesso sistema capitalista fa già i conti con l’esaurimento di risorse prime e con il riscaldamento globale e la “crisi” che viviamo non credo sia solo una crisi ciclica classica ma un ridimensionamento dall’alto della produzione e un accapparramento puro di beni fino magari a un ridimensionamento demografico delle stesse classi subalterne con metodi più o meno morbidi.

    Molto del lavoro è compiuto da macchine che non producono più solo merci fisiche.
    Molto del profitto estratto dal capitalismo, come fa notare Jackie, non deriva più dal lavoro o almeno non è riconosciuto come tale (e sarebbe molto difficile farlo rientrare in questo discorso: mentre twitto le mie stronzate sto lavorando? Eppure produco profitto per l’azienda twitter. Come lo rivendico? In senso lavorista classico?)

    I soldi dipendono dal contesto certo ma questo contesto non è solo la produzione di merci e profitto con il lavoro. Non è mai stato così, e oggi, in Italia, lo è ancora meno. Questo contesto è fatto anche di patrimoni fisici per esempio, di sistemi di estrazione di valore basati sul debito (pubblico e privato) di proprietà e controllo di mezzi e infrastrutture: tutto questo ha a che fare con il denaro: chi ha tanti di quei pezzetti di carta comanda non solo perché possiede le fabbriche direttamente -o indirettamente attraverso le banche- ma perché possiede le nostre case, i nostri territori, e controlla i nostri governi, controlla alla fine le nostre vite.

    Poi non ho capito perché sarebbe a rischio di contaminazioni piccolo borghesi o ideologicamente contrapposto agli interessi degli operai volersi riprendere tutto e con tutto difendere anche i territori e il comune. Piccolo borghese è difendere la proprietà privata, riprendersi il comune e difenderlo insieme per me è rivoluzionario.

    Io penso anzi che un reddito universale è proprio nel pieno interesse dei lavoratori e non solo un gesto umanitario nei confronti degli estromessi. Non è affatto vero come dice Jackie che l’istanza del reddito “conviene anche ai padroni” e che è solo riformista o addirittura antirivoluzionario. Perché allora non ce lo vogliono dare? Sono forse tutti scemi i padroni? Il sistema del lavoro italiano in particolare è sempre più fondato sulla miseria. Se tutte e tutti percepissero un reddito sociale minimo nessuno sarebbe più costretto a lavorare per pochissimo e senza tutele e sicurezza come oggi succede e il ricatto del licenziamento sarebbe ben più lieve. Le condizioni di lavoro in generale sarebbero migliori. Se io prendessi 600 € al mese come reddito sociale non lavorerei più per 400 € sotto cooperativa per un ente pubblico, e quell’ente dovrebbe assumere qualcuno che faccia il mio lavoro e pagarlo almeno mille come sarebbe giusto. Magari il mio collega che oggi ne prende 6000 (cifre non inventate) ne prenderebbe solo più 5000. O magari si rinuncerebbe a qualche grande opera. Per me è un’istanza egualitaria e il contrario di una rivendicazione piccolo-borghese. I disoccupati e i sottoccupati come me non sarebbero più costretti a fare gli impicci per tirare avanti e un po’ di energie si libererebbero pure in senso rivoluzionario.
    Io come credo anche voi non penso che soggetti sociali contrapposti possano ottenere granché, è già tanto se riusciamo a ottenere qualcosa lottando tutte e tutti insieme per istanze comuni. Ma perché queste istanze dovrebbero ridursi al posto fisso e al mantenimento della produzione industriale in Italia, cioè la non-chiusura delle fabbriche italiane? Lasciandole per giunta sotto il controllo e la proprietà capitalista che al momento non ha alcun interesse a lasciare aperte molte di esse.
    E c’è un sacco di altra roba ugualmente importante da riprendersi e difendere e contro cui lottare. (Ad esempio è appena passato lo “Sblocca Italia” e sarà altra devastazione del comune e sperpero del denaro pubblico ad arricchimento di padroni privati. O il decreto Lupi sulla casa.) Non mi sembra di essere così negativamente ideologico a pensarla così e non mi sembra di andare contro gli interessi degli operai o dei lavoratori in genere. Ideologico in quel senso mi sembra piuttosto sperare che *tutto quanto* possa ancora coagularsi intorno a quel tipo di lotta, che questa istanza in particolare -il posto fisso e il mantenimento della produzione delle merci in Italia (sotto il controllo capitalista)- debba guidare tutte le altre, che “tutte le lotte sono la stessa lotta” sia possibile solo quando in testa a guidare tutte le altre lotte c’è questa. Non sono più tanto convinto di questo. Non ne vedo la necessità teorica o pratica e nemmeno l’opportunità strategica. Sono solidale con la lotta degli operai e dei lavoratori in generale, anche per il posto fisso quando non ci sono le condizioni per lottare per il controllo collettivo della produzione, ma non penso che tutto il resto lo si otterrà andando a traino di questa istanza. Le lotte vanno unite.

    • beh, ma a parte rapa e loser, mi pare che nessuno qui ragioni in termini “nazionali”. io addirittura penso che le cose cominceranno a muoversi *veramente* anche qua da noi solo quando le lotte sindacali in india, in cina eccetera raggiungeranno una intensità tale da mandare in crisi la competizione globale al ribasso sui salari. penso anche che la proprietà di edifici, pezzi di territorio, eccetera si una delle forme che prende il capitale, soprattutto in tempi di crisi, quando una parte di quei pezzi di carta pieni di sbiriboci – quella più “creativa”, diciamo così – di colpo non vale più niente sul mercato, se non come arma di ricatto.

      • Su questo sono completamente d’accordo con te Tuco. Non volevo certo insinuare che tu ragionassi in termini grettamente nazionali. Ho aggiunto il punto sulla globalizzazione solo come uno dei motivi per cui secondo me le condizioni sono cambiate.

      • Lol per il grettamente nazionali! Non sai quanto mi piacerebbe ragionare con voi seriamente sui temi che stai tirando fuori. Per esempio secondo me le lotte in cina daranno risultati per i lavoratori cinesi (e per noi, è un mutual feedback) quando smetteremo di assorbire tutta la loro produzione industriale, e dovranno lasciare che salari e protezioni sociali aumentino, per creare una domanda interna: sta già succedendo in parte per la crisi, e le élites cinesi sembrano divise tra questa opzione e quella (che ha dato i risultati visti in USA) di finanziare la domanda a debito… lavoratori delle fabbriche vs occupy Hong Kong. (Visto dove porta un’ottica grettamente nazzzionalista? ignoratemi please -_-)

    • Ok. Io però continuo a non capire perché, dato che, come scrivi, “Se io prendessi 600 € al mese come reddito sociale non lavorerei più per 400 € sotto cooperativa per un ente pubblico, e quell’ente dovrebbe assumere qualcuno che faccia il mio lavoro e pagarlo almeno mille come sarebbe giusto.”, il sistema capitalistico dovrebbe togliersi di mano l’arma del ricatto e della concorrenza tra poveri, che mi pare un suo tratto distintivo. Continuo a pensare che la prospettiva che delinei sia già post-capitalistica e non capisco come ci si possa arrivare senza un imponente dispiegamento di forze e senza stravolgimento considerevole della situazione attuale. Ma probabilmente sono carente io di fantasia.

      • In altri paesi si è già cominciato a ottenere qualcosa in questo senso senza tanti dispiegamenti o cambiamenti di paradigma. I sindacati hanno aiutato, se non sbaglio. Poi forme embrionali di tutela ci sono da tempo, ad esempio c’è la cassa integrazione. Perché non è umano che qualcuno nella collettività non abbia i mezzi per la propria sussistenza.

        Anche io comunque non vedo perché il capitale dovrebbe mantenere la produzione in un paese dove costa più che in un altro. Mi sembra che le risposte siano simili.

        Ma preferisco vederla al contrario: il dispiegamento di forze per continuare a farmi lavorare a 400 €, pure in assenza di reddito sociale, deve essere ancora più imponente e non parlo solo di forze fisiche. Una delle forze che fanno sì che io accetti queste condizioni, oltre alla povertà, è il lavorismo, l’etica del lavoro, l’essere considerato niente se non faccio niente, l’essere considerato qualcosa se lavoro in camicia in un ente, anche se prendo una miseria. Ecco, una buona cosa secondo me sarebbe anche smettere con queste menate lavoriste con cui addirittura si comincia a proporre il lavoro gratuito.

        • ah beh, su questo sfondi aperte. a salario di merda, lavoro di merda. a salario zero, lavoro zero. sta roba del lavoro gratuito è veramente espressione di un’ etica del decoro piccolo borghese, che non ha niente a che fare con la dignità.

    • p.s. @diserzione io non direi mai “piccolo borghese” o roba simile a chi sta lottando per non affogare. penso che quella del reddito minimo sia una battaglia giusta, e penso che anche la battaglia degli operai per non perdere il posto di lavoro sia giusta, e non le vedo in contraddizione, perche’ si tratta in entrambi i casi di lotte per la sopravvivenza e per la dignità.

    • Intanto mi iscrivo volentieri al campo grettamente nazionalistico e noto che le basi teoriche dell’internazionalismo qui tratteggiato non riuscirebbero a unificare neanche le lotte in un condominio.

      Un po’ di note senza un ordine preciso.

      1) Ma veramente voi siete convinti che i nostri salari calino a causa dei lavoratori indiani, o cinesi? O non è piuttosto la folle deriva mercantilista dell’unione europea rilanciata dalla spd tedesca? Non è una proprietà dell’atomo del carbonio che si possano spostare le fabbriche mentre si bombardano zattere di migranti. È una politica figlia della stessa vostra concezione della globalizzazione.
      Che fra l’altro è tuttora da alcuni punti di vista un mito. Il commercio si svolge ancora in gran parte fra stati vicini, non tutto è facilmente delocalizzabile e strumenti legislativi per bloccare o controllare il fenomeno non sono poi così difficili da mettere in piedi.

      2) Come è possibile sostenere che “proletari di tutti i paesi unitevi”, o lavoratori che sia, escluda disoccupati o precari? Come se al tempo in cui scriveva Marx Manifesto e Capitale il contratto a tempo indeterminato fosse la regola. Come se il soggetto che Marx va a definire nel primo libro del Capitale non sia l’insieme dei lavoratori, quelli che lavorano facendosi sfruttare e quelli che lavorano abbassando i salari dei loro compagni con la loro stessa esistenza, la massa di riserva, creato dalle crisi cicliche del capitale a proprio uso e consumo. Sarò pure nazionalista ma credo che artificiosamente creare divisioni sotto casa sia più grave che sognare inesistenti internazionali pangalattiche.

      3) Difendere le industrie italiane sarebbe una colpa? O un’inutile battaglia luddista di retroguardia? Da cosa è causata la disoccupazione (giovanile o anzianotta, maschia o femmina, degli alti come dei bassi) se non dalla caduta di PIL e produzione industriale? E le fabbriche che chiudono da noi mica vanno in Cina. L’Italia non ha mai avuto come principale rivale la Cina, ma la Germania. Che casualmente finché è esistito un mercato interno europeo ha goduto della crisi. Ora che le varie cure Monti hanno distrutto i vari mercati nazionali, la Germania entra nella sua terza (o rimane nella sua seconda) recessione.
      Ma è chiaro che difendere occupazione e produzione nazionali debba essere il compito principale di forze politiche che si atteggiano a difensori dell’interesse dei lavoratori. Vogliamo ricordare le lotte operaie del ’43/’44?
      La desertificaione industriale non è il primo passo verso la presa del potere. Né lo è l’accettazione del lavoro sussidiato a chiamata (oreddito per tutti che sia). Per due motivi: primo, il modello di riferimento sarebbe in questo caso sempre la riforma Schroeder, che abbassa i salari pagati ai lavoratori tedeschi dai padroni privati a spese della comunità, secondo perché l’appropriazione delle conoscenze e dell’ambiente del proprio lavoro è invece il primo passo dell’espropriazione.

      4) L’idea che la produzione sia necessariamente sfruttamento eccessivo delle risorse naturali non mi pare provata. Ma qua aspetto di leggere l’ultimo libro della Klein che magari mi darà qualche spunto.

      Mi fermo qua, anche se sicuramente mi sono dimenticato qualcosa di molto importante :), perché il mio scrivere diventa sempre più simile a un flusso di coscienza.

  29. Non è che il reddito universale sia pro o contro la rivoluzione. Semplicemente non c’entra niente. è un cambio di paradigma all’interno del sistema capitalistico, oggi post-fordista, per cui il welfare non si basa più solo sul lavoro, ma sulla cittadinanza. Ma tuttò ciò ha senso per mantere il sistema attuale (però meno diseguale rispetto a prima), perché in una società non capitalista non ci sarebbe nessun reddito da distribuire dato che non ci sarebbero profitti. Se i beni sono comuni, che bisogno c’è di dare un reddito? Nelle società tradizionali ancora in vita ai quattro angoli del pianeta mica si distribuiscono redditi.

    Poi non è che i padroni sono tutti scemi o tutti intelligenti, i padroni sono persone, non una classe astratta, e ognuno agisce per conto suo in concorrenza con gli altri, quindi nessuno pensa a cedere parte del profitto a caso. Le aliquote sui redditi più altri negli USA sono scese progressivamente in tutto il ‘900. Ma stante la situazione, come in passato, è valso alla produzione nel complesso aumentare i redditi da lavoro, oggi può essere utile distribuire redditi anche a chi non lavora direttamente. Tanto più che i capitali sono maggiormente investiti nella finanza e meno sul lavoro. Ma il lavoro serve comunque, sennò come produci?

    • Come ho già detto più sopra, non vedo il reddito sociale come una situazione ferma nel tempo come fai tu. Tutto è in costante cambiamento. Non faccio confronti tra situazioni cristallizzate, che non esistono in realtà. In questa fase post-fordista per me ha senso questa istanza e ha senso anche in ottica rivoluzionaria e anticapitalista perché libera delle energie ora impiegate nella sussistenza, nei mille lavoretti in nero e impicci vari che gli estromessi sono costretti a fare in assenza di reddito, e rende possibile l’impiego di queste energie in senso anche rivoluzionario.
      Il fatto che in una società non più capitalista non avrà più senso -e nemmeno sarà possibile, siamo d’accordo- non significa che intanto il reddito sociale non sia utile per arrivarci, a quella società.

      Il lavoro serve comunque, ma ne servirebbe molto che non viene fatto e molto di quello che si compie ora è invece inutile e dannoso. La nostra società fondata sul profitto, ad esempio, produce troppe merci di consumo e non produce abbastanza lavoro di “cura” in senso lato del disagio fisico, psichico, sociale, e quel poco che produce -per pura necessità- lo svaluta.

      • Sulla sua utilità sono d’accordo anch’io. Non lo vedo sotto la tua ottica uno perché non è la mia ottica e due perché mi sembra un cambiamento neutrale da quel punto di vista di uscita dal capitalismo. Mentre può comunque portare a prospettive interessanti. Ma questo penso sia più un esercizio di immaginazione.

        • Ok ci sta che lo si veda in ottica diversa. Un altro dei motivi per cui io lo vedo così è perché secondo me il reddito sganciato dal lavoro ha anche una funzione “unificatrice” della classe che apparirebbe meno falsamente divisa tra “garantiti” ed estromessi, tra proletari e sottoproletari, perché oggettivamente le condizioni di tutti si assomiglierebbero un po’ di più, e perché si leverebbe al capitale un’arma di ricatto e un carburante della guerra tra poveri e diminuirebbe la funzione dell”esercito industriale di riserva” costituito dai disoccupati. Certo se poi a te della rivoluzione non te ne frega niente è un altro discorso.

  30. Devo dire che da giorni non leggo più questo thread perché mi ha rotto il cazzo. Questo post aveva un focus ben preciso, ben enunciato nel titolo e mai abbandonato nella sequenza di tweet: di fronte al dispiegarsi (sebbene ancora parziale) del conflitto sociale, l’immagine di ‘enzi è cambiata. L’idea era di avere qui uno spazio per censire questo fenomeno mentre è in corso, fare osservazioni su questo, portare esempi. Giusto e anche necessario cercare di partire da lì per allargare e capire le prospettive, ma qui ben presto il focus si è perso e ci si è infognati in un groviglio di sottodiscussioni scolastiche (il riferimento è al senso che il termine ha nella storia della filosofia) sul reddito di cittadinanza, su cosa sia l’internazionalismo ecc.

    E molto ovviamente, non si è finiti da nessuna parte, la discussione è rimasta confinata a quattro-cinque “fanatici” che hanno allontanato tutti gli altri, e naturalmente quei cinque son tutti maschi. Una dinamica vista mille volte, a marcare i momenti peggiori di questo blog.

    Per quel che mi riguarda, un’occasione sprecata.

    • Anche a me il thread ha “rotto il cazzo” già da qualche giorno, non vedo il punto di discutere per il solo gusto di affermare la propria posizione non tenendo conto degli spunti offerti dalle altre persone coinvolte nella discussione. Ma devo dare atto Diserzione di averci provato in tutti i modi, ma praticamente senza risultati.

      Mi dispiace perché questo è molto insolito per Giap!

      • Io invece non vedo il punto di “provarci in tutti i modi” quando la discussione a ogni commento, con tutta evidenza, si sta allontanando dal tema del post. E purtroppo no, non è affatto insolito per Giap, è capitato altre volte.

        • sai cosa? io ho un bisogno enorme di spazi di discussione anche su temi tabù come questi (viste le reazioni). I commenti a questo post non erano il luogo adatto, forse. Ma io credo più per le persone che hanno impostato una risposta muscolare, che per l’argomento.

          • Scusami, ma… “Temi tabù”? Intendi il reddito di cittadinanza? Sono vent’anni che vedo discussioni come questa in tutti i siti, forum e mailing list di movimento e non solo. La prima volta che mi trovai per le mani un’uscita editoriale interamente dedicata al r.d.c. era il 1994, un libretto prodotto da Cayenna Outgestita, “Basic income”. Da allora sono uscite decine di libri e migliaia di articoli, e si trovano in rete caterve di post, è una rivendicazione apparsa sugli striscioni di molte manifestazioni e presente in varie forme nelle piattaforme di gruppi, partiti e sindacati diversissimi tra loro. Hanno parlato di r.d.c. Grillo e Landini, se n’è parlato persino ai tavoli della Leopolda. Da certi punti di vista vuol dire che è una proposta che si è radicata, perché è un tentativo di far fronte a un problema ineludibile. Proprio per questo, dire che è un “tema tabù” è ridicolo. E quindi non credo ci sia bisogno di trasformare un thread di Giap dove all’inizio ci si concentrava su altro in una discussione/scontro su r.d.c. sì / r.d.c. no come tante se ne possono trovare in rete.

            • veramente mi riferivo ai rapporti tra movimenti e sindacati e ai rapporti tra le lotte per il lavoro e i movimenti.

              (scusa Saint Just, abbi pazienza…)

          • Scusatemi, ma se mi si vuole accusare di aver dato una risposta “muscolare” a qualcuno, non lo accetto, perché semplicemente non è vero. Carta canta quindi basta rileggere sopra per vedere che non è andata così.

            Il problema di questo thread è stato semmai proprio che c’è chi è voluto intervenire non sull’argomento ma per infilarci dentro a forza una discussione dogmatica sui propri “cavalli di battaglia” preferiti, e cioè in un paio di sottothread il reddito di cittadinanza oppure in un paio d’altri l’uscita dall’euro. Il primo c’entra fino a un certo punto e il secondo non c’entra un fico secco. Tra l’altro, tutto sommato e con i dovuti chiarimenti, sono favorevole a entrambe le rivendicazioni, quindi non lo dico per disinteresse a priori verso i due temi.

            La cosa curiosa è che quando si cercava di tornare sul tema principale del post si veniva accusati di “svicolare” sulla Vera Grande Questione Fondamentale, di non voler affrontare il Decisivo Tabù da Rompere, e cioè in che piazza stare il 14, che parolina magica usare negli slogan, cosa fare con l’euro o con “l’interesse nazionale” eccetera. Al di là di Giap, a cui voglio bene ma vabbe’, nel mondo reale, agli occhi della gente comune, fare così ci fa sembrare dei teologi medioevali.

            • Mentre una cosa come #Renziscappa è immediatamente comprensibile a chiunque, senza “iniziazioni” teoretiche, pisciate territoriali terminologiche, dichiarazioni d’appartenenza a questo o quel filone del movimento etc.

              • Mi spiace di essere stato importuno (immagino di essere fra i fanatici, di sicuro ho tenuto lo stesso comportamento) e di non avere i cromosomi giusti.
                Probabilmente ho perso di vista l’intento del post, nonstante fosse chiaramente enunciato (quindi non cerco scuse) e altrettanto probabilmente non utilizziamo le stesse categorie per definire gli argomenti.
                Sui termini sprezzanti che hai utilizzato per bacchettare il degenerare del thread non concordo affatto e ancora meno sulla ricostruzione di Vanetti, ma me ne farò una ragione.

  31. Hai ragione e chiedo venia. Io personalmente sono intervenuto dopo aver letto questo commento https://twitter.com/Wu_Ming_Foundt/status/529990080791052288 in cui Mauro diceva la sua, e ho contribuito a questa deriva dicendo anche io la mia. Da lì ci siamo allontanati dal focus (per quanto riguarda la parte di danno a me imputabile). La prossima volta ignorerò dall’inizio.

    • Intento dall’inizio delle derive eh. Continuo ovviamente a leggervi e farò più attenzione a intervenire in topic se avrò da dire.

    • La soluzione non è ignorare (cosa? perché?) ma mantenere il focus. Mauro ha spiegato perché, secondo lui, nelle ultime settimane l’immagine di ‘enzi è cambiata, e Grillo è stato messo tra parentesi. Si poteva parlare (anche) dell’unificare le lotte, delle differenze d’approccio tra lotta per il salario e lotta per il reddito sociale, senza allontanarsi dal tema iniziale. Comunque, la colpa è di tutti, anche nostra, che abbiamo lanciato un post impegnativo in un momento in cui siamo sempre in giro, oberati di impegni e in evidente difficoltà a seguire le discussioni sul blog.

      • Io però in quella “spiegazione” di Mauro ci vedo già tutte quelle cose che dici più sotto (pisciate territoriali, ecc.) e non l’ho condivisa per nulla, e per me è anche già fuori focus, così come lo è di nuovo l’ultimo commento di Conques. Io poi non penso di appartenere a qualche territorio particolare e l’ho detto come prima cosa. Nemmeno di avere cavalli di battaglia.
        Per quanto fuori tema poi qualcuno anche fuori di qui ha comunque trovato interessante la discussione. Secondo me non sono questioni da “teologi medievali”. A me non è piaciuta molto ma non perché fuori tema, bensì perché più che una discussione è stata solo uno scontro di posizioni.

        Per la prima volta sono fortemente in disaccordo con quanto dite, anche con quello che dite in questo meta-discorso successivo alla mia ultima pappardella, ed è un bello shock per me, essere così in disaccordo con te e WM4, spesso capitava piuttosto che io non capissi. D’altronde prima o poi doveva succedere, non si può mica sempre essere d’accordo su tutto: ci sarebbe qualcosa che non va, in quel caso. Ma vabbè non penso che si possa continuare con un discorso sul meta-discorso… Bòn è andata così e mi spiace.

        Vorrei aggiungere solo un’ultima cosa per Conques, ma sarebbe fuori tema tanto quanto il suo ultimo commento. Se viene a Milano magari ne parleremo a voce. Buone lotte!

  32. e allora, RESTO SUL TEMA INIZIALE, rilanciando: l’aria è cambiata e le proteste, i sit-in, le manifestazioni, i flash mob si susseguono in tutta Italia. Non solo contro le uscite pubbliche di Renzi, ma anche contro i suoi amici, epigoni, adepti, cloni vari. ED E’ QUESTO CHE DOVREMMO TUTTI FARE, in ogni occasione, aumentando quindi il “rumere di fondo” contrario nel grande palcoscenico globale della società dello spettacolo: l’unico che davvero conta. Venerdì scorso, per esempio, c’è stato un convegno a Padova, di rilevanza nazionale, sull’attacco alle Camere di Commercio che Renzi ed i suoi ministri vorrebbero eliminare o rendere inutili tagliando per legge le entrate (diritto annuale esclusivamente a carico delle impeese) e spostando il Registro imprese al Mise (ministero sviluppo economico). Partecipava il sottosegretario Rughetti, toscano e renziano della prima ora, ed è intervenuta anche Alessandra Moretti (eurodeputata PD e candidata a governatore del Veneto, marzo 2015). Io ed altri lavoratori camerali (a rischio mobilità “formato Madia”, e poi licenziamento) abbiamo manifestato fuori e dentro il convegno. Purtroppo, siamo stati forse troppo poco “violenti”, tanto che i giornali locali ed il Corsera (presenti con redattori) hanno potuto oscurarci. I molti autorevoli e altolocati partecipanti, comunque, hanno solidarizzato con noi… Hanno ragione i Wu Ming: bisogna farlo in tutte le occasioni possibili, bisogna contrastare questi dilettanti allo sbaraglio (politicamente parlando) ma eccellenti attori renziani, padroni del mestiere dello spettacolo! Adelante

    • «Non solo contro le uscite pubbliche di Renzi, ma anche contro i suoi amici, epigoni, adepti, cloni vari.»
      Meglio di così non si poteva dire!

      • Mersì bocù! Approfitto per chiarire qui un aspetto, caro WuMing1, che spesso viene ignorato o sottovalutato. Ormai è ‘pensiero’ mainstream che “i sindacati se ne son fregati dei lavoratori precari, e per decenni hanno continuato a difendere soprattutto i lavoratori ‘indeterminati’. Questa drammatica verità non esaurisce il discorso. Faccio il sindacalista aziendale da una vita (1980) ed il processo di precarizzazione del lavoro l’ho visto tutto. Posso assicurarti che nonostante i ‘mille’ tentativi fatti non sono mai riuscito ad iscrivere un lavoratore “precario” al sindacato; neanche con la delega “segreta” (quella che il datore di lavoro non vede, perché l’obolo lo paghi tu direttamente al sindacato, fuori dalla bustapaga). E questo non sarebbe un problema per la Cgil poiché fin dalla sua nascita, più di cento anni fa, è l’unico sindacato che ti difende e ti protegge anche se non sei iscritto: la Cgil (finché dura) sarà sempre un sindacato universalistico. Allora, fai le vertenze e porti avanti le lotte anche per i precari e conquisti salario e diritti anche per loro. Ma la stragrande maggioranza neanche di caga né, tanto meno, ti ringrazia. Nessun problema, anche perché tutti sanno quanto sono forti e pervasivi i ricatti dei padroni, dei capi reparto, dei dirigenti. Però, un po’ di schiena dritta non farebbe male!

        • “Non voglio che mi si dica grazie…” dice il Marchionne di Maurizio Crozza.

          La buona notizia è che, in alcune città, proprio attorno allo sciopero sociale, la fiom sta iniziando a dialogare con i movimenti. Non sarà un percorso facile, e forse non andrà oltre questa stagione, ma almeno si può provare a andare oltre il partenalismo del commento qui su.

        • Conques, commento fuori luogo tanto quanto la tetrapilectomia sul reddito di cittadinanza. Il peana alla Cgil qui dentro sicuramente suona male persino a quelli che ci stanno dentro, e la colpevolizzazione dei precari è a dir poco controproducente. Stiamo sul pezzo, per favore.

          • capisco. mi adeguo. sono ospite e questa è casa vostra. TUTTAVIA, se una voce fuori dal coro passa da queste parti – voce politically incorrect per il milieu di GIAP – e risulta perciò anticonformista rispetto alla maggioranza dei vostri compagni affezionati, perché la censuri? Nessun peana alla Cgil (milito nell’estrema sinistra sindacale da una vita e favorisco, ogni volta che posso, l’Usb e i sindacati di base. Ma se ti dico che il giovane precario dovrebbe metterci almeno un po’ del suo nelle vertenze che lo riguardano, stando a schiena dritta nel e con il gruppo, non ti dico bestialità ma una grossa verità constatata quotidianamente sul campo, nelle lotte suoi luoghi di lavoro. Non sono stronzate banali queste, Wu Ming 1, né pensiero unico. Adelante!

  33. Scappa per paura del confronto. Scappano per paura del confronto. Il confronto fa paura. Scappare o conforntarsi e’ una scelta. Scappare o conforntarsi e’ la scelta. Nascondersi, imboscarsi l’alternativa. Stiamo parlando di istinti basilari. Differrenze non inique in termini di sopravvivenza. Lui scappa. Lui e’ il lider.

  34. Il 20 novembre ‘enzi sarà a Parma per farsi la solita pubblicità da “presidente operaio” benefattore delle masse dopo l’alluvione (peraltro mi dicono che si rischi ancora da quelle parti…). Pare che stiano già organizzando un “controcomitato d’accoglienza”. Ricordiamoci di questa data.

  35. #Renziscappa: la mappa on line delle fughe di ‘enzi e dei suoi “amici, epigoni, adepti, cloni vari” (per dirla con Conques in un commento qui sopra).

    https://public.tableausoftware.com/profile/andrea.finizio#!/vizhome/Renziscappa/Dashboard1

  36. #Renziscappa : oggi a Milano ad un incontro su “la buona scuola” la Giannini dà buca e l’assessore Aprea fugge

    http://www.latobmilano.it/2014/11/gli-studenti-contestano-lassessore-regionale-allistruzione-aprea-e-la-buona-scuola/

  37. che ‘renzi scappi se ne è accorta pure Lucia Annunziata, che nell’editoriale di ieri (non lo linko per non farle pubblicità) timidamente immagina un ‘enzi che “ha paura” … fantastica, non ha “al momento sufficienti strumenti” per affrontare la tela sociale…
    comunque, il fatto eclatante è che il tema sta diventando di dominio pubblico.

  38. Qui l’articolo che «Il Fatto Quotidiano» ha dedicato a #Renziscappa.

  39. Quando abbiamo pubblicato questo post, due settimane fa (e la mappa ancora non c’era), in diversi hanno commentato che avevamo le traveggole, perché nel mainstream nessuno stava dicendo niente del genere e nei sondaggi la popolarità di ‘enzi appariva altissima, purissima, levissima. A distanza di non molti giorni, anche commentatori mainstream come Lucia Annunziata hanno cominciato a scrivere che ‘enzi “ha paura”, e gli ultimi sondaggi (per quel che valgono, s’intenda!) danno il premier in brusco calo di popolarità, meno dieci punti in un mese (che poi è ridicolo questo “quantificare” in numeri una cosa sfuggente come la “popolarità”, ma tant’è). Ilvo Diamanti ha scritto che è cambiato tutto dopo la grande manifestazione di Piazza S. Giovanni – in concomitanza con lo show della Leopolda, a nostro avviso un raffronto diretto devastante per l’immagine del premier. Quella manifestazione, secondo Diamanti, ha squarciato il velo del “consenso generale”, mostrando che il paese è diviso, che la crisi è ancora qui e pesta duro (cioè: nessun potere taumaturgico di ‘enzi, ed è incredibile che qualcuno possa essersi fatto simili illusioni) e che c’è conflitto, preoccupazione, ansia per il futuro. Ovvero: il tipo di situazione che ‘enzi – come ha scritto Annunziata – “non ha gli strumenti” per affrontare.

  40. Su Rabio blackout (https://twitter.com/rbo10525) in questo momento stanno facendo una diretta su perquisizioni e notifiche effettuate stamattina a Milano. La notizia è che hanno mandato i ROS (quindi antiterrorismo) a fare notifiche e perquisizioni per un’inchiesta su un’irruzione in una sede del PD.
    Direi che i primi a pensare di aver perso il proprio appeal sono proprio loro.