Su Repubblica di oggi…

Richard Aldington, poeta, saggista, biografo (1892-1962)…anticipazione di Stella del mattino, di cui viene riportato un capitolo.
Ringraziamo per lo spazio e l’attenzione.
Peccato soltanto che di fianco, a firma di Stefano Malatesta, appaia una colonnina non certo avara di giudizi avventati e, soprattutto, sottilmente liquidatoria nei confronti del libro.
Libro che sarebbe sempre d’uopo leggere, prima di scriverne; e di cui – surtout – non sarebbe male tenere a mente che è un romanzo, non un saggio, e quindi contiene alcune, ehm, trappole.
Mah. Davvero si pensa che basti sfogliare velocemente, orecchiare due cosette sul conto di certi “autori paracinesi” (sic) e fare unico affidamento su una biografia di Lawrence scritta più di cinquant’anni fa (da tempo superata e rimessa in prospettiva a partire da scoperte d’archivio più recenti), per far figura da “esperti”?
Per giunta… sbagliando il titolo dell’unico libro che si cita?
E dar mostra di crogiolarsi in una visione attempata – asfittica ed eurocentrica – della guerra araba, tesa a negare in toto la soggettività “indigena”, non rischia, se non di rovinare, almeno di screziare une certaine réputation da “uomo di mondo”?
E – lo chiediamo a te, lettore o lettrice – non è forse meglio ricevere una stroncatura violenta ma motivata da parte di qualcuno che abbia davvero letto il libro, piuttosto che un giudizietto sbrigativo nascosto in un accrocchio di luoghi comuni e sentenzine snocciolate con tono saccente?
Tutto questo dando a intendere che l’autore del libro (o meglio, gli “autori paracinesi”, ché nemmeno si conosce la differenza tra “Wu Ming 4″ e “Wu Ming”) non sia al corrente di testi che invece furono non l’approdo, ma il semplice punto di partenza delle ricerche, anni fa. Non è certo Wu Ming 4 a non sapere che il dibattito è andato avanti. E’ andato avanti eccome, e più di quanto sospetti Malatesta.
Qui dabbasso, l’articoletto. Nei prossimi giorni, una spiegazione dettagliata dei punti su cui viene fatta confusione. Non che ce ne impippi davvero qualcosa, né pensiamo di potere – coi nostri “poveri” mezzi – contrastare una potenza di fuoco come quella dispiegata stamattina, ma è nei tuoi confronti, lettore o lettrice, che abbiamo il dovere di essere chiari e trasparenti. Anche questo fa parte della nostra pluriennale “inchiesta militante” sull’industria culturale.
(Nella foto: Richard Aldington, scrittore e biografo, 1892-1962)

Eroe schivo o attore vanesio?

STEFANO MALATESTA

Il vero caso di T.E. Lawrence non è nato al tempo delle sue imprese in Arabia, durante la Prima guerra mondiale, ma quasi trent’anni dopo, nel 1955, con la biografia di Richard Aldington, un piccolo monumento di perfidia letteraria. Aldington aveva cominciato a scrivere queste stroncature ai danni dell´altro Lawrence, D.H., e poi di Norman Douglas suscitando polemiche e malumori. Ma quando apparve in libreria, Lawrence of Arabia. A Biografy Enquiry [sic], l’indignazione salì alta nei cieli fino alle eccelse cime dell’establishment inglese. Fino a quel momento i suoi innumerevoli estimatori, tra cui Winston Churchill, erano riusciti a impedire che dubbi e perplessità sulle imprese in Medio Oriente superassero un certo limite o venissero troppo alla scoperto. Per tutti o quasi tutti Lawrence era un eroe-martire, dotato in egual misura di capacità guerrigliere e di nobile spiritualità, tradito alla fine dal suo stesso governo che si era servito di lui per ingannare le tribù hashemite dell’Arabia, promettendo loro quello che era già stato diviso tra Francia e Inghilterra con l’accordo Sykes-Picot.
Come inviato dei servizi segreti inglesi presso la corte hashemita, aveva avuto un notevole successo, spingendo le tribù arabe a ribellarsi al vassallaggio ottomano. La sua quasi copia conforme, il capitano Shakespeare, mandato sempre dagli inglesi presso Ibn Saud, carismatico e spietato capo dei Wahabiti, tradizionali rivali degli Hashemiti, era stato meno fortunato, rimanendo ucciso durante uno dei primi scontri, mentre Lawrence aveva conquistato Aqaba, fatto saltare alcuni treni e dato fastidio alle guarnigioni turche.
Durante la Prima guerra mondiale c’erano stati altri giovani ufficiali che avevano combattuto con temerarietà e compiuto audaci imprese, anche dall’altra parte della barricata: Erwin Rommell, la futura volpe del deserto, con poco più di cento uomini a Caporetto aveva catturato l’intera brigata Salerno ed era stato portato in trionfo sulle spalle dei soldati italiani che non volevano più combattere. In Tanzania, il maggiore Von Lettow Vorbeck, oggi ritenuto dal Pentagono il più grande tattico della guerriglia che ci sia mai stato, con tredicimila ascari per cinque anni aveva preso in giro oltre duecentocinquantamila soldati anglo-indiani riuscendo a batterli in tutti gli scontri e a non farsi mai prendere. Se Lawrence diventò così famoso da oscurare qualsiasi altra fama guerresca dell’epoca fu perché gli inglesi videro nelle sue imprese una forma di riscatto per una guerra spaventosa, che non aveva avuto nulla di glorioso, condotta per quasi cinque anni sul fronte occidentale da comandanti spesso incompetenti e anche imbecilli. Il fronte orientale, teatro delle operazioni di Lawrence, aveva contato molto poco nella strategia globale dell’Inghilterra, scesa in campo per battere la Germania. Ma l’epopea araba con tutto il suo contorno romantico, sembrava creata apposta per dimenticare le trincee della Somme.
A questo mito Lawrence aveva dato più di una mano: diciamo pure, ne aveva scritto soggetto e sceneggiatura, fingendo di essere un tipo schivo e nello stesso tempo assicurandosi la copertura dei giornalisti. Queste e altre contraddizioni erano state rilevate, ma al tempo stesso rimosse, fino al libro di Aldington, certamente non un membro della confraternita “Fate bene fratelli”. Il ritratto che veniva fuori dalla sua inchiesta biografica era esattamente l’opposto di quello tramandato dalla vulgata: un personaggio sempre in maschera e dunque impossibile da definire, un attore consumato e estremamente vanitoso, un raccontatore di balle formidabile quando c´era da mettersi in mostra. In particolare la storia della presa di Damasco, così come era stata raccontata nel suo libro I sette pilastri della saggezza (e riportata come verità indiscussa anche dai cinque autori paracinesi della Stella del mattino), da parte dei leggendari beduini Howeitat guidati dallo stesso Lawrence e dal loro capo Auda abu Tayi, temibile capo arabo, era pura invenzione. A sconfiggere i Turchi erano stati gli australiani, fermati all´ultimo momento da Allemby [sic], che aveva preferito per chiare ragioni politiche che fossero degli arabi e dei musulmani ad entrare per primi a Damasco (così come nella Seconda guerra mondiale Eisenhower fermò gli americani, che già stavano distribuendo caramelle Life savers e cioccolata lungo i viali della periferia di Parigi, accogliendo la richiesta di De Gaulle di fare entrare per prime le truppe francesi nel giorno della liberazione della loro capitale).
E se era vero che l’accordo Sykes-Picot era un pasticcio infernale, che peserà in modo totalmente negativo su tutte le future vicende mediorientali, gli uomini dei governi inglesi non erano stati imbecilli fino al punto di promettere qualcosa che non potevano nemmeno far finta di mantenere. Il loro disegno, assolutamente classico nella tradizione dell´impero, era quello della “Indirect rule”, con la creazione di stati arabi solo in apparenza indipendenti, che avrebbero preso l´imbeccata da loro o dai francesi. Un fatto di cui Lawrence doveva aver avuto sicuramente conoscenza, per poter calibrare i rapporti con gli Hashemiti. Quanto a Feisal, il “magnifico” ed esangue principe dai nobilissimi intenti, interpretato stupendamente nel film su Lawrence da Alec Guinness, era un tipo sufficientemente degradato e lontano dalla leggiadra miniatura disegnata da Lawrence ne I Sette pilastri per dirigere un governo corrotto e incapace quando venne nominato dagli inglesi re dell´Iraq, arrivando a far uccidere nel 1924 un suo rivale politico, Taufiq al-Khalid.
Aldington era ancora più devastante nell’accurata descrizione del carattere proteiforme, diciamo così, dell’eroe che aveva finto tutta la vita di detestare la pubblicità e l’eccessiva esposizione delle sue vicende. Ma che ogni giorno andava in casa dei suoi biografi, gente del calibro di Robert Graves e di Liddle Hart [sic], il migliore storico militare del secolo, a rivedere le bozze, a correggerle di sua mano, arrivando al punto di riscrivere interi capitoli. Da allora parlare di lui è diventato molto difficile, perché ci si muove su terreni paludosi e su sabbie mobili, con pochi punti fermi e sicuri. E con la poco simpatica sensazione di stare scrivendo delle agiografie quando ci sono delle cose in positivo e di essere accusati di denigrazione alla prima nota negativa.

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