Giap #1, Xa serie
TORNIAMO SUL LUOGO DEL DELITTO

maggio 2 0 0 9 , seconda settimana

Nel ricordo di Gianni Baget Bozzo, commossi.


EDITORIALE: MAI DIRE MAI


Mai dire maiNever again.
"Mai più". Furono queste le parole di Sean Connery dopo l'ultimo ciak di Una cascata di diamanti (1971), sesto film della saga di 007. Aveva quarant'anni, una calvizie incipiente, e intendeva allargare gli orizzonti della sua carriera artistica, sbarazzandosi di James Bond, ormai divenuto un ingombrante alter ego.
Evidentemente, però, non è così facile lasciarsi alle spalle le origini, o meglio, è difficile resistere alla tentazione di tornare a farci i conti, di guardare se stessi in prospettiva.
Così, dodici anni dopo, nel 1983, Connery rivestì i panni dell'agente segreto per antonomasia. Aveva 53 anni e gli si presentava l'occasione di reinterpretare il suo personaggio di culto in una versione attempata ma ancora piacente, e di farlo attraverso un remake di 007: Operazione Thunderball. Il ritorno era quindi doppio: Connery era di nuovo Bond, protagonista di una storia che lo aveva già visto interprete del personaggio. E' facile capire perché, con ironia, i produttori e il regista decisero di intitolare il film Never Say Never Again.
La trama prende le mosse proprio dalla necessità di rimettere in forma 007. Secondo alcuni quadri del servizio segreto, infatti, Bond è ormai troppo vecchio per continuare a fare l'agente operativo. Ovviamente, l'intero film non è che la confutazione dell'assunto iniziale e l'allegoria che se ne ricava è quella del superamento della crisi di mezz'età.
Ora, forse qualcuno di voi avrà già visto link pagine come questa, o link questa, o link anche questa. Qualcun altro si sarà accorto che nell'ultimo anno abbiamo disseminato la nostra comunicazione di piccoli indizi.
E' giunto il momento di dirlo chiaro e tondo: ebbene sì, stiamo scrivendo un romanzo che si svolge nel continuum temporale e storico di Q. Lo abbiamo quasi terminato. Uscirà in autunno. Il titolo ancora non c'è, le librerie on line riportano solo "titoli di lavoro".
Ecco, questo dovrebbe spiegarvi tante cose: i ritardi nel rispondere alle mail più impegnative, la difficoltà a comporre un nuovo numero di Nandropausa, la cadenza più sporadica di Giap, l'impossibilità di accettare la maggior parte degli inviti a eventi pubblici etc.
Selim IINel corso degli anni, abbiamo più volte dichiarato che non avremmo mai scritto un seguito di Q. E, a rigore, va precisato che non si tratta proprio di un seguito. Però è inutile cavillare: abbiamo sentito una nuova esigenza, abbiamo avviato un ripensamento, abbiamo cambiato idea. Nel nostro caso la crisi di mezza età non c'entra (non ancora), tanto meno stiamo girando un remake dello stesso "film". Tuttavia gli anni sono passati anche per noi - dieci - ed è noto che la band ha vissuto di recente una fase critica, molto dura, conclusasi esattamente un anno fa con link l'uscita di Luca (Wu Ming 3) dal collettivo. Abbiamo sentito il bisogno di ritrovare il punto d'origine della nostra avventura, di tornare "sul luogo del delitto". Approfittando del decennale di Q, abbiamo deciso di festeggiarlo con un'autocritica (cfr. link lo scritto apparso nel numero scorso di Giap) e con un nuovo romanzo. Ci abbiamo lavorato sopra come muli,  a ranghi serratissimi. Gran parte di quello che avete letto di nostro nell'ultimo anno (le riflessioni sull'eroe di WM4, gli appunti sull'epica etc.) erano anche materiali di studio per questo libro.
Ora abbiamo imboccato l'ultima discesa di montagne russe, siamo nella parte di romanzo che ci porta all'apice e poi all'epilogo.
Non possiamo sapere se il risultato accontenterà o scontenterà i nostalgici, tra cui non ci annoveriamo. Possiamo però dire che senz'altro sorprenderà, perché è diverso da tutto quel che abbiamo scritto finora.
Dopo quest'impresa torneremo sul trittico atlantico, nel mondo esplorato in Manituana e American Parmigiano, nei modi e tempi che decideremo insieme.



Passa la parata e noi ridiamo[Il Paese Semplice continua a link marcire al passo dell'oca, sogna apartheid più espliciti, stabilisce che alcuni esseri umani non compiono un reato bensì sono essi stessi un reato, si inventa l'outsourcing della soppressione dei clandestini. Quasi cent'anni fa l'Italia invadeva razzisticamente la Libia, oggi la Libia è complice del nostro razzismo.
In tante occasioni abbiamo parlato di questo schifo, lo abbiamo descritto e analizzato, e abbiamo detto cosa secondo noi dovrebbero fare gli scrittori, coi loro mezzi specifici. Ora anticipiamo un estratto di un testo che sintetizza il nostro pensiero.
Per i (rilevati e rinnovati) tipi degli Editori Riuniti sta per uscire il primo numero di una nuova rivista, LetterAria, nata su proposta dell'amico e collega Stefano Tassinari. Il parterre dei collaboratori è notevole: scrittori/scrittrici come Lucarelli, Arpaia, Rigosi, Milena Magnani, Maria Rosa Cutrufelli, studiosi e critici come Alberto Bertoni, Alberto Sebastiani, Fulvio Pezzarossa, e tanti altri nomi.
A questo numero hanno collaborato WM2 e WM1, rispettivamente con una retrospettiva sul dibattito NIE dell'ultimo anno e un testo su letteratura e comunità razzista (che espande link le riflessioni fatte qui). Di quest'ultimo, ecco il passaggio introduttivo più uno stralcio dalla parte centrale.]

DIVIDERE CIÒ CHE È UNITO. NOTE SULLA LETTERATURA E LA COMUNITÀ RAZZISTA

"Non è spuntato ancora un Omero per cantare le imprese colossali e desolate dei migratori che traversano il mondo a piedi e salgono sulle onde ammucchiati in zattere. Non si è affacciato un poeta cieco e perciò visionario a raccontare il mare spalancato, la deriva e il naufragio. Non c'è un Omero e neanche lo straccio di un nocchiero, di un Miseno, nella ciurma di Ulissi senza governo, tra Eolo re dei venti e Posidone signore delle terre emerse."
- Erri De Luca, "Odissea di morte", articolo ritagliato dal Corriere della sera Magazine, s.d. [2008]

In tutta sincerità, non so dire se tra noi sia spuntato un Omero. So che c'è chi prova a raccontarle, queste "imprese colossali e desolate", anche in Italia, e a volte rischiando grosso, gettando il proprio corpo nella lotta. E' il caso, ad esempio, di Fabrizio Gatti (Bilal, Rizzoli, 2008).

Gatti, giornalista-narratore, è uso travestirsi da migrante, mettersi nei panni di un uomo dell'altrove. Compagno di sventura di tantissimi, si sfianca in uno slalom tra scafisti e caporali, secondini e profittatori, burocrati e odiatori a tempo pieno, all'ombra della legge Bossi-Fini. Attraversa il deserto in un convoglio di disperati, s'imbarca su una bagnarola marcia, fa naufragio, lo ripescano e rinchiudono, lo espellono col foglio di via; lui riprende a camuffarsi e vagare, in cerca di lavoro che trova a condizioni indegne.
Come Gatti, ciascuno a modo suo, altri raccontano la tragedia, "il mare spalancato", "il profugo destino" e quel che segue. Ma vorrei tornare per un minuto all'ABC, e da quello ripartire.

Il razzismo non cade dai cocuzzoli delle montagne, evento imprevedibile. Non è disfunzione, aberrazione, sopravvivenza di un retaggio "pre-moderno", deviazione dalla "retta via" della convivenza. Il razzismo è sempre contemporaneo e mai anacronistico. E non è un problema, bensì una soluzione: il razzismo è necessario, indispensabile, è un principio regolatore, anzi, il principio regolatore del mercato del lavoro mondiale. L'implicita credenza che l'umanità si divida in etnie/nazioni/culture più e meno degne di attenzioni giustifica gli scambi ineguali che hanno luogo ogni giorno nel mondo, la finta spartizione della ricchezza planetaria, l'esistenza di una forza-lavoro di "inferiori", supersfruttata, sottopagata, talvolta propriamente schiava.
L'aumento del razzismo è conseguenza della "guerra tra poveri" che il capitale fomenta ogni giorno, maggiormente in tempi come questi, tempi di crisi. La crisi, poi, non è mica un accidente o un'intemperie, burrasca di cui attendere lo sfogo rannicchiati in un angolo. La crisi è conseguenza di precise scelte economiche e politiche. Non soltanto precise, ma anche ricostruibili, attribuibili, imputabili. La crisi è colpa di qualcuno.
Ricordiamoci di questo, quando vediamo impennate di razzismo e squadrismo nel nostro paese. Le notizie sul razzismo e quelle sulla crisi ci arrivano disgiunte, perché l'informazione - oggi più che mai - tende a disgiungere i problemi. Io la chiamo panorafobia, terrore del quadro d'insieme. Al di là delle apparenze, le notizie sul razzismo e quelle sulla crisi raccontano la stessa guerra, dalla medesima linea del fronte. Sta a noi ("noi chi?", si domanda Pierluigi Sullo ogni volta che usa il pronome [1]) riunire ciò che arriva diviso. Sta a noi ("noi chi?") ricomporre la narrazione del razzismo e della crisi. All'inverso, sta a noi ("noi chi?") dividere ciò che è artificiosamente unito, ovvero: la comunità immaginaria che si riproduce nella guerra tra poveri grazie al razzismo.

Serve un colpo di stecca[...] La testimonianza è preziosa, ma funziona sul periodo medio-lungo, per accumulo e sedimentazione. E' sul periodo breve che abbiamo enormi carenze. Se non trovano una forza materiale che le usi, le armi della critica non hanno effetti pratici, non fermano le spranghe, non impediscono i pestaggi.
Al momento la forza materiale, quand'anche vi fosse (potenziale, latente), non troverebbe canali per esprimersi. La sinistra politica, per quel che valeva, si è fatta a brandelli. Di più: si è dissipata, abbandonata all'entropia, e per giunta lo ha fatto con magno gaudio e dubbio gusto decadent-chic. Quanto alla sinistra sindacale, è ormai spolpata sino all'osso. Il mondo della cultura (guardatemi, son rosso in volto mentre uso quest'espressione) è privo di sponde. Al biliardo restano solo le buche. Chissà, potremmo farne tunnel verso altre dimensioni, verso una nuova politica (lato sensu).
Le crisi servono a questo: se non ci stroncano, ci fanno rinascere.
L'inghippo è che spesso stroncano.

Oltre la testimonianza, noi scrittori dobbiamo fare un lavoro in più. Dobbiamo sì esprimerci come cittadini, ma abbiamo anche il dovere di affrontare le urgenze con la lingua e gli strumenti della nostra attività. Affrontare il pericolo attraverso la letteratura e la narrazione, attraverso una lingua che non sia quella frusta del cronismo o peggio, del benintenzionato ma inutile volantino, del sito di controinformazione approfondito e predicante ai convertiti.


Andaremo a prenderli colli furcuniA PROPOSITO DI "SPETTRI DI MÜNTZER ALL'ALBA"

[Mail ricevuta il 4 aprile 2009:]

Davvero: ma chi cazz'è 'sto Frank Enàusen?
Da un certo punto in poi me lo sono chiesto un sacco di volte mentre leggevo link l'ultimo Giap.
Proprio come quello che vi affiancava a Genova...
Quello che avete scritto è una delle cose più belle che abbia letto ultimamente.
Non mi riferisco allo stile, almeno non solo a quello. 
Sviscera, fa la genesi del mito che avete creato.
Ma è quando arrivate alle conclusioni  che mi fate incazzare. Tanto.
Perché secondo me avete preso una cantonata a 'sto giro.
Poi non è che ne sia proprio sicuro, ma così mi sembra.
Dite che avete perso il controllo delle forze evocate, che anche grazie a voi è stato possibile far scattare la trappola.
Ma che cazzo state dicendo?
Dalle moltitudini d'Europa in marcia contro l'impero e verso Genova è bellissimo. Per carità.
Evoca, trasporta, crea immaginario...
Ma anche senza di quello la gente a Genova ci sarebbe andata lo stesso.
E se non ci fosse andata proprio sarebbe stato peggio, ché se non ti tendono trappole, o non ci sei più o non conti niente... o hai vinto.
La fotta c'era già, diffusa. E per altri motivi.
Quel testo non costruiva l'immaginario del dove andare o del perché andarci. A questo accennava soltanto. 
Però diceva chi siamo.
Siamo contadini della Jacquerie, Ciompi di Firenze, e i contadini di Svevia, e i tessitori di Slesia, e...
e non è poco. 
E' quello che è servito a darti la forza di fermarti e porgere la mano a chi dietro di te è caduto.
Nonostante sentissi il battere dei manganelli sugli scudi e i botti dei lacrimogeni alle tue spalle. 
Vi sembra poco?
Certo non è condizionare a tal punto le moltitudini da farle convergere nello stesso luogo.
Ma credo sia un incantesimo altrettanto potente, se non di più. 
E, oltretutto, è una lettura che vi evita di dire cazzate.
Perché che cazzo vuol dire: non faremo mai più i dottorini Frankenstein coi miti tecnicizzati?
E' una cazzata. Anche se l'analisi che fate voi fosse giusta.
Se non lo fate voi chi lo fa?
E, soprattutto, ci sarà mai qualcuno che lo rifarà?
Perché comunque è una cosa che serve. E pure voi lo sapete.
Il problema, secondo me, non sta nella pratica dell'evocazione. Sta nel mito evocato.
Voi non avete evocato i contadini, avete evocato la sconfitta.
E se la sconfitta è il tuo mito e al mito, consciamente o inconsciamente, tendi a conformarti allora tendi alla sconfitta.
Se il tuo mito è la sconfitta: vieni sconfitto.
Almeno credo...
E se invece che la sconfitta aveste evocato le macchine?
Furono quelle che permisero, all'epoca in cui Q è ambientato, la circolazione delle idee come mai era avvenuta prima.
Lo dite voi... 
Nel Mondo odierno, dove nuove macchine permettono una circolazione delle idee come mai si è vista,non sarebbe stato un mito più potente? 
E se si praticasse la devastazione, lo svelare, il mettere in ridicolo e sputtanare i miti che il potere diffonde e sui quali si basa (da Beautiful alla falsa storia dell'antifascismo)?
Secondo voi oggi sarebbe ancora utile un lavoro del genere?
Già fatto? Ok!
Ma perché non rifarlo? Sono passati solo quindici anni,  non è considerato vecchio... sarebbe considerato avanguardia.
E, se fatto bene, forse permetterebbe di non far riscattare la trappola...
Almeno spero...
Ciao,

M.   

Caro M.,
ho idea che la tua analisi sia assai più prossima alla nostra di quanto non (ti) sembri. Tu individui il problema mitopoietico nell'evocazione di movimenti sconfitti, e quindi in sostanza nel tirarsi la sfiga addosso, nel mettersi già nell'ordine di idee di essere massacrati. La nostra analisi non è così distante: per noi il problema si annida nell'avere evocato un immaginario di battaglia campale (Frankenhausen, appunto) che prima ancora di produrre una sconfitta, accetta il piano di scontro del nemico. In sostanza a Genova le forze dell'ordine hanno concretizzato l'immaginario da noi stesso evocato (e fino ad allora messo in scena in maniera relativamente incruenta): ci hanno dato battaglia senza quartiere come fossimo un esercito. Proprio quando avremmo dovuto essere più zapatisti e più scaltri, siamo andati in bocca alla trappola preparata per noi, siamo andati a Genova nei modi e nelle forme che il nemico si aspettava Questo è uno sbaglio tattico e strategico. Anche perché nelle settimane e nei mesi precedenti avevamo raccolto tutti gli elementi per sapere cosa sarebbe successo (Goteborg, Napoli, i consigli dei digossini del Silp di non andare a Genova, etc. etc.). Certo, hai ragione, la sconfitta non è dipesa da noi Wu Ming, e infatti non abbiamo sostenuto questo: ma è dipesa "anche" da noi, noi abbiamo preso parte alla produzione dell'immaginario e dell'aspettativa che ha prodotto quell'errore. E credo che ognuno debba fare le pulci a se stesso, prima che agli altri. Ecco perché parliamo di Wu Ming e del nostro ruolo, non per sopravvalutarci, ma per "sovracriticarci".
Siamo d'accordo con te, non era pensabile non andare a Genova. Ma molto probabilmente era immaginabile andarci in un altro modo, ovvero sabotare la trappola. Se non pensassimo questo, allora dovremmo concludere davvero che la sconfitta campale è il destino inevitabile per tutti i movimenti. E noi, permetticelo, non vogliamo crederlo.

Federico (Wu Ming 4)   

***

Copertina Carta, numero 11, 27 marzo 2009[Stralci dell'intervista rilasciata da Wu Ming 1 al settimanale link Carta, apparsa sul n.11, anno XI, 27 marzo 2009. L'intervistatore è Giuliano Santoro.]

Parlate della vostra storia, e di quel pezzo di essa che ha intrecciato le febbrili settimane che ci sono state prima di Genova, come il tentativo di costruire miti dal basso. Da questa affermazione deriva il fatto che il flusso dei racconti va tenuto vivo, altrimenti i miti si inaridiscono. E che avete pensato di gestire voi questo processo, di diventare «"funzionari" alla manipolazione delle metafore e all'evocazione dei miti». Quando ve ne siete resi conto e quali sono gli errori da evitare?

Ce ne siamo resi conto troppo tardi, a implosione del movimento già in corso. Soltanto la discrasia tra la miseria di certe dinamiche e i miti che noi "apprendisti stregoni" avevamo mobilitato ci ha fatto capire che ruolo avevamo avuto. La nostra idea di mitopoiesi era stata semplicistica, e dovevamo assumerci le nostre responsabilità. Non è come in Valzer con Bashir, dove la rimozione inconscia del ruolo avuto nel massacro di Sabra e Chatila ("non ho registrato il massacro") porta a una rimozione peggiore perché cosciente ("hai illuminato il lavoro dei carnefici ma non è colpa tua"), dopo una gimkana di scorciatoie etiche e ideologiche che conduce a un finale fintamente "duro" e in realtà consolatorio [*]. Noi ricordiamo dove eravamo in ciascun momento, ricordiamo certe cazzate che dicemmo. In cima al tetto, abbiamo illuminato coi razzi al fosforo del mito i preparativi di una grande trappola. E' una nostra responsabilità e non possiamo nasconderci dietro niente e nessuno. Dopodiché, qualcuno ci ha detto: "C'è chi ha colpe ben peggiori delle vostre", ma che c'entra? Affari loro. Noi pensiamo ad analizzare le nostre.
 
Provocazione: e se fosse stata la seducente forza delle storie che circolavano nel sottosuolo in anni di apparente silenzio a «scegliervi» e «usarvi» come terminale?

Mah, una simile descrizione rischia di sopravvalutarci, sembra di sentir parlare dell'Eletto, come nel secondo episodio di Matrix. Semplicemente, avevamo scritto un libro dove c'era un'allegoria sufficientemente aperta ma al tempo stesso sufficientemente nitida perché molte persone vi si riconoscessero. In quel libro c'era una metafora che, guarda il caso, era la stessa che andava prendendo forma nel movimento. Eravamo al posto "giusto" al momento "giusto" con l'esperienza "giusta". Peccato che la strategia fosse scazzata.

A Genova, scrivete, «stavamo facendo lo stesso errore di Müntzer e dei contadini tedeschi,  avevamo scelto un campo di battaglia e una presunta giornata campale»: in che misura secondo te la fortunata narrazione aveva bisogno di questa «giornata campale», quanto fascino ha tratto dai toni quasi da duello medioevale che servivano a dire altro?

Bisognava farne a meno, avere la lucidità di vedere che quella metafora era pericolosa. Noialtri scazzammo di brutto, e fummo incoerenti coi nostri stessi presupposti. Per anni avevamo predicato la guerriglia culturale, e la guerriglia è una strategia che evita la battaglia campale, evita gli scontri in campo aperto contro un nemico più forte. Gli Zapatisti - e altri prima di loro - avevano già espresso una critica pratica del vecchio immaginario novecentesco, del modello "classico" della rivoluzione. A parole eravamo in quella voga anche noi, ma affiorarono schemi vetusti, toni quasi da fine dei tempi, momento epifanico in cui spazio e tempo sarebbero collassati e avremmo visto "cieli nuovi e terra nuova", il crollo del pensiero unico etc. Si poteva andare a Genova senza "sovraccaricare" l'evento. Genova poteva essere uno dei tanti astri di una costellazione di appuntamenti, non la Scadenza con la s maiuscola. Appuntamenti che non fossero necessariamente momenti di "assedio", di controvertice etc. Momenti più re-attivi che attivi, insomma.

Secondo me, il cuore della narrazione pre-Genova era il «Si può fare» [!]. Dopo anni di sconfitte si parlava, a volte esagerando ma con l’idea di suscitare energie positive e di sconfiggere la sindrome di impotenza, delle sinistre estreme novecentesche, di «grandi vittorie».

E' che si è esagerato nel senso opposto, con un trionfalismo velleitario abbastanza scorreggione.

* Sul film di Ari Folman, si veda a chiusura di questo Giap l'analisi di Wu Ming 2.



TRA LE ROVINE E GLI SCATOLONI, L'UOMO ARMATO STA CERCANDO NOI

La foto di Anthony Suau, clicca per ingrandirla[Giovedì 7 maggio L'Unità ha pubblicato la fotografia vincitrice del link World Press Photo Contest 2008. L'immagine, scattata a Cleveland dall'americano Anthony Suau, mostra un poliziotto armato in una casa pignorata e sgomberata all'esplodere della bolla dei mutui. Tra scatoloni rovesciati e suppellettili sfasciate, l'uomo si aggira per verificare che gli inquilini sfrattati se ne siano andati davvero. Negli ultimi mesi è divenuta un'immagine-simbolo della crisi. Il giornale ha chiesto a Wu Ming 1 di scrivere un commento. Eccolo.]

L'uomo armato sta cercando noi tutti, e noi tutti siamo l'uomo armato. Noi che siamo stati - chi più chi meno - complici e sgherri del modo di produzione, anche io, anche tu, che criticavi la merce pro forma e intanto la bramavi. Complici e sgherri, armati di potere d'acquisto, corazzati di fretta che ottunde, puoi comprare dunque compri, costa meno e quindi compri, e guai a chiederti come mai costa meno, devi sbrigarti, c'è fila alle casse. La lacrimuccia un'altra volta, magari vedendo Report. 'Sto cellulare è démodé? Lo butto, kaputt, scompare alla vista e non son più cazzi miei. E sai che ti dico? Ne compro uno che fa pure i bocchini. Certo, ci mancherebbe, qui siam tutti di sinistra, però scusami, devo proprio andare, c'è fila alle casse. Ti dicevano: "non ci sono più le classi sociali", tu rispondevi: ", però...". Ti dicevano: "Ormai siam tutti ceto medio, proprietari di case, anche la sinistra deve rendersene conto", e ancora rispondevi: ", però..." La roba, la sicurezza della roba, mica uno è per forza razzista se dice che 'sti zingari, e tu ancora: “, però...”  Mai dire no, mi raccomando, premetti sempre che sì, sì, concedi, concedi prima di tutto altrimenti sembri vecchio, non sia mai!, e solo dopo puoi argomentare, ma vabbe', sì, tanto per fare. Poi è venuto giù tutto, ed eccoci, ci aggiriamo tra le rovine e gli scatoloni, tra cadaveri di oggetti consumati, avanziamo circospetti, sceriffi pronti a sparare a noi stessi, a punirci per il fatto di esser lì, tra le rovine, armati, guardinghi. Cerchiamo uno specchio su cui fare fuoco. E vaffanculo noi.
Perché il problema siamo noi.



Copertina di Razza partigianaRAZZA PARTIGIANA: UN NUOVO READING E UNA STORIA


Il 25 aprile, a Trento, la stessa band responsabile di link Pontiac - Storia di una rivolta ha portato sul palco un nuovo progetto di reading, lettura concerto, racconto musicale, chiamatelo-come-vi-suona-meglio.
Wu Ming 2, Egle Sommacal, Paul Pieretto, Stefano Pilia e Federico Oppi si concentrano questa volta sulla vicenda di Giorgio Marincola, partigiano dalla pelle nera, morto in Val di Fiemme il 4 maggio 1945, nell’ultima strage nazista sul territorio italiano. 
Nato in Somalia nel 1923, cresciuto tra Pizzo Calabro e Roma, militante azionista, attivo in provincia di Viterbo, paracadutato dagli inglesi vicino a Biella, torturato e internato nel Lager di Bolzano... La vita di Giorgio Marincola è già al centro di link un saggio storico molto ben documentato e scritto: Razza Partigiana, di Carlo Costa e Lorenzo Teodonio, edito da Iacobelli. 
Il reading (intitolato anch’esso Razza Partigiana) è anche il tassello di un progetto transmediale (e trans-autoriale) più ampio sulla famiglia Marincola, destinato ad espandersi ancora nei prossimi mesi.
Per il momento, oltre allo spettacolo e al saggio omonimo ci sono:
- Il sito link razzapartigiana.it, con molte foto e documenti originali.
- Il link documentario-intervista a Isabella Marincola, sorella di Giorgio (regia di Aureliano Amadei).
- Il video amatoriale link “Giorgio Marincola, il partigiano nero (1923 - 1945)”.
- La link voce di Wikipedia.
Sappiamo per certo che vanno prendendo forma anche un altro saggio storico e un oggetto narrativo non-identificato, ma non possiamo anticipare altro.
Per il momento, Razza Partigiana - Il reading è pronto a calcare le scene.
Chi volesse informazioni, può contattarci al solito indirizzo di posta elettronica.

***

i superbi del monumento a Dante in Trento[WM2:] Trento, Festa della Liberazione organizzata dall’Arci.
Palco e gazebo, banchetti e birra alla spina spuntano dal prato morbido e primaverile dei giardini di Piazza Dante, dominati dal monumento al sommo poeta italiano. Un colosso di metallo e pietra che strilla motti irredentisti e non un verso dalla Divina Commedia. 

Inchiniamoci Italiani
Inchinatevi Stranieri
Deh! Rialziamoci
Affratellati nella giustizia

Siamo di fronte alla stazione dei treni e a quella delle corriere. Gli inquilini delle panchine sono slavi, indios, magrebini, indiani, alcolisti di Cles, bambini con la palla e tutta l’umanità vulnerabile e rottamata che si deposita in luoghi del genere, come detriti all’ansa di un fiume.
linkL’Oca più Grande del Mondo, un’impalcatura di tubi Innocenti ricoperta di bambù, starnazza enorme in faccia all’Alighieri. Dal cielo inquieto scendono raggi caldi, ma già il minuto successivo potrebbe scendere pioggia. Oltre gli ippocastani, splende sui crinali una neve recente.
Passiamo con l’auto sulla ghiaia dei vialetti, per scaricare gli strumenti. Con molte scuse riusciamo a superare un gruppo di tatuati: uno vestito di pelle, sulla cinquantina, uno di poco più giovane, coi baffi a manubrio e un fazzoletto pirata in testa, e poi due giganti ventenni in canottiera, rasati a zero. Parlano una lingua indecifrabile. Dai disegni sulle braccia spiccano tele di ragno e tibie incrociate. Bevono, discutono forte, marcano il territorio.
Inutile negare che a prima vista sembrano bikers nazisti, scesi dal Nord Europa in un’altra era geologica, e rimasti bloccati quaggiù.
Sono le tre del pomeriggio, dovevamo arrivare in largo anticipo, per aggiustare bene i suoni, ma alla fine, tra un ritardo e un caffè in autogrill, il largo anticipo s’è molto ridotto, sul palco deve iniziare una jam session e noi dovremo barcamenarci con il line check, cioè mettere a posto i suoni in diretta.
Nel frattempo, sulle note di Miles ed Herbie Hancock, arriva una camionata di panche e tavoli di legno, quelli col supporto pieghevole in metallo verde, pesantissimi.
Subito i tatuati si mobilitano per trasportarli e disporli sul prato. Lavorano con metodo, in squadra, gesti sicuri e fluidi da cantiere edile. In mezz’ora di fatica, approntano più di cento posti a sedere, poi si riposano con l’ennesima birra.
Alla faccia del pregiudizio sui bikers del Nord Europa.
Quando tocca a noi, verso le sei e mezza, l’ombra lunga degli alberi ha ormai coperto il prato. Si prepara la sera e un freddo umido sale dall’Adige. Seduti sull’erba, a tre metri dal palco, i tatuati aspettano di godersi lo spettacolo, insieme duecento persone, sparse per i giardini in piccoli branchi.
Montiamo quel che serve, proviamo quel che si può. Un anziano si fa sotto e ci avverte che la corriera per Caldonazzo è in partenza, gli restano dieci minuti e ancora non è riuscito a ballare due note. Paul accenna sul basso un ritmo in tre quarti, l’uomo volteggia un valzer, poi si dirige contento verso l’autostazione.
Siamo pronti. Ultimi sguardi d’intesa prima di cominciare. Un peruviano si avvicina e chiede se può cantare una canzone, una sola. E’ tardi, allargo le braccia, proprio non si può fare.
Il primo pezzo parla di una strage nazista, l’ultima sul territorio italiano, avvenuta in Val di Fiemme, a trenta chilometri da qui. Tra i morti, venne trovato un inspiegabile cadavere nero.
Quando la musica sfuma, vedo sbracciarsi sotto di me il tatuato coi baffi. Dice qualcosa in una lingua aliena, ma almeno una parola la capisco: Polska.
Così, dedico il brano successivo a nostri amici polacchi. Si parla di Micha Seifert, il boia ucraino del Lager di Bolzano.
Alla fine, l’unica donna dei bikers viene a stringermi la mano. Parla in italiano, ma i musici hanno già attaccato un nuovo pezzo e io capisco solo “bravi” e “stranieri”.
Bene, mi dico. Successo internazionale fin dal debutto. E vado avanti ignaro e contento.
Il primo libro del fascistaIl quarto pezzo è tratto dal Libro del fascista, un manuale edito da Mondadori nel 1942 e distribuito gratis agli scolari.
Si intitola “Cosa devo sapere sulla razza” ed è un breve capitolo a domande e risposte.

D: E’ permesso ai cittadini italiani, maschi e femmine, di sposarsi con persone di razza non ariana?
R: No. La legge vieta e punisce i matrimoni misti. Ogni individuo che procrea un meticcio offende la dignità della razza e condanna il proprio figlio a uno stato di inferiorità fisiologica, morale e sociale.

Mentre leggo, mi viene il dubbio che qualcuno, in quei giardini, potrebbe pure equivocare. Qualcuno che magari, complice la musica e la lingua, non ha capito bene la cornice della storia, e ora mi sente dichiarare che sono di razza ariana e che le grandi conquiste dell’umanità si devono alla razza ariana.
In effetti, vedo serpeggiare nervosismo tra le schiere dei tatuati.
La donna di prima e il pirata coi baffi si alzano e vengono a vociferare sotto il palco.
Quel che dicono non lo sento, ma i gesti li vedo e non c’è bisogno di traduzione. Farei loro un favore se me ne andassi a cagare.
Un paio di ragazzi li avvicinano, provano a spiegare quel che sta succedendo. Io da sopra, sempre a gesti, faccio segno di aver pazienza, di aspettare, finisco di leggere e chiarisco tutto.
Cosa che faccio, quando il testo e la musica arrivano in fondo. Ma tra tutti, gli unici a non applaudire sono proprio i miei amici polacchi.
Non li ho convinti, e così la storia si ripete, più o meno per tutti i pezzi in scaletta, che di teorie deliranti sulla razza non ne riportano più: è la storia di un partigiano italiano dalla pelle nera, e non capisco cos’altro ci sia da equivocare.
Forse sono davvero bikers nazisti. Ariani no, però nazisti. Trasportare panche e tavoli era solo un diversivo.
Un’ora più tardi, quando scendiamo dal palco, ci accolgono esultanti. Alla buona ora ce ne andiamo. Festeggiano. Un ragazzo di colore crede che ci stiano sloggiando e si scaglia contro il più grosso di tutti, a testa bassa. Prende le nostre difese, vuole che restiamo. Il gigante gli stringe la testa sotto il braccio e immagino voglia farci una spremuta.
Mi metto in mezzo, li separo senza fatica, molto più docili di quel che mi aspettavo.
E finalmente capisco: non c’entrano la razza, il 25 aprile, il nazismo o altre zavorre.
A giudicare dai fiati, è solo questione di alcol.



UNA NOSTRA SVISTA IN 54

Fausto CoppiBuonasera,
Ho finito da poco di leggere 54.
C'è un'evidente inesattezza. Al secondo capoverso del Capitolo 2, Seconda parte, si legge: "come Coppi all'ultimo strappo del Gavia".   Se non ricordo male Coppi è morto nel 1960. Il giro d'Italia passò qualche anno dopo (1962?)  per la prima volta dal Gavia (Imerio Massignan, che raggiunge e superò Van Loy che, tanto era dura la salita - non asfaltata, sembrava quasi fermo in confronto all'altro).  Probabilmente  Coppi dal Gavia non c'è mai passato.
L'errore mi ha fatto pensare che la vostra età media non sia superiore ai 50 anni e che la "storia" che raccontate  ve la siate sentita raccontare da genitori o nonni.  Io nel '54 ero un ragazzetto e il vostro libro ha rimesso in vita persone, fatti, atmosfere e sentimenti ormai sepolti nella memoria.  Vi sono sommamente grato.
Cordiali saluti
Giacomo, 3 aprile 2009   

Buonasera Giacomo,
in effetti il Giro è passato dal Gavia solo nel 1960, proprio con Massignan. La nostra età media, al momento, si aggira intorno ai 38 anni, ed è vero che molti aneddoti contenuti in 54 ci sono stati raccontati. In particolare, sul Gavia ci ha tratto in inganno il fatto che spesso, in tempi recenti, è stato la "Cima Coppi" del Giro, cioè il punto più alto del percorso: abbiamo finito così per associare i due nomi.
Siamo comunque molto soddisfatti che il libro "funzioni" anche per chi, a quei tempi, era già ragazzetto.
Grazie delle tue considerazioni. Magari alla prossima ristampa cambiamo il Gavia con lo Stelvio...
A presto,
Giovanni (Wu Ming 2)   



VALZER CON G8 - di Wu Ming 2

Ariel Sharon quand'era senziente
[Questa analisi del film di Ari Folman è sul secondo numero della rivista link  Loop.]


La sera della presentazione di Waltz with Bashir al Festival di Cannes, ricevo la telefonata di un piccolo produttore indipendente. Entusiasta del film di Ari Folman, mi comunica l’idea di raccontare con la stessa “ricetta” le giornate di Genova 2001.
- Coi cartoni riesci addi’ robbe durissime, ma senza esse retorico. Lo devi vede’ al più presto, così me disci se ce voi lavora’, intesi? Te richiamo tra du’ settimane.
Inutile dire che non l’ho più risentito. Però il film l’ho visto, l’ho rivisto, e ho cercato di individuare, tra i suoi ingredienti, quali sarebbero adatti per una contro-storia genovese, e più in generale per un’epica antagonista, che si opponga al vangelo del Potere, senza diventare a sua volta un testo sacro.

1) Il linguaggio opaco.
Valzer con Bashir è un film di animazione, realizzato con tecniche diverse (classica, Flash, 3D). Il principale ingranaggio narrativo, nonché elemento dell’intreccio, sono le interviste di Ari Folman ad alcuni reduci, come lui, della guerra in Libano del 1982. Queste interviste - almeno in apparenza - sono state prima riprese dal vivo e poi tradotte in cartoon. Lo stile grafico è realista, le voci sono quelle originali, eppure la rappresentazione risulta opaca: i disegni allontanano la realtà e avvicinano l’inconscio. Scene oniriche e scene di guerra sono scritte con la stessa sintassi. Secondo alcuni sarebbe una scelta di chirurgia estetica, per alleggerire la tragicità degli eventi, ma il regista non esita a squarciare il cartone e proprio nel finale monta un video di repertorio della BBC, con le cataste di cadaveri nel campo profughi di Sabra e Chatila. Il filtro dei disegni non è dunque una protezione, ma un avvertimento: dice allo spettatore che non sta guardando un reportage. Obiettivo del film è ricostruire un significato, non la verità. Non si tratta di restaurare il mosaico, ma di montarne le tessere per far emergere una visione.

2) La testimonianza cieca
. Fin dalle prime battute, le interviste ai reduci sono caratterizzate da una risposta: “Non lo so”. Non so dove mi trovavo, a chi sparavo, perché sparavo. In greco antico per dire “Ho visto” e “So” si usa lo stesso verbo: Oida. Qui le due esperienze si sfasano: Ho visto, eppure non so. Nel caso di Folman è in atto una rimozione, il cervello ha cancellato i ricordi sgraditi, la memoria non vuole avventurarsi nei suoi luoghi oscuri. Ma per molti degli intervistati il problema è più vasto. E’ nella complessità dello scenario bellico, nella sua realtà spettacolare, che le pupille smettono di essere una garanzia. “L’hai visto con i tuoi occhi?” ripetono politici e giornalisti ai testimoni del massacro di Sabra e Chatila, ma la domanda è mal posta, perché: “Nessuno si è reso conto che stava assistendo a un genocidio”.
Una miopia contagiosa che non è soltanto malattia da reduci: nessuna “diretta”, nessuna testimonianza “pura” riesce da sola a dischiudere la verità. In un’infosfera complessa, i fatti si allontanano e si ammorbidiscono: sbatterci contro la faccia non ci assicura un risveglio dai sogni.
Così Ari Folman insegue un ricordo attendibile della sua esperienza di guerra, vorrebbe ricomporre un quadro esatto del passato, ma mentre le immagini scorrono, la sua ricerca si trasforma. Ciò che davvero gli importa è capire “dove mi trovavo”, “qual è stato il mio ruolo”, “cos’ha a che fare la mia memoria con quella di un altro”.
D’altra parte, come recita una delle prime battute, “anche il cinema può essere terapeutico”. Il soggetto della cura è la comunità dei reduci (e in un modo o nell’altro, siamo tutti reduci di qualcosa). Scopo del trattamento non è guarire, ma ritrovare se stessi. L’organo malato è l’archivio. Cade a pezzi, pullula di dubbi, gronda miraggi da ogni buco. Ma ripararlo non serve, ripulirlo nemmeno. Occorre trovare una trama per i suoi frammenti, così che il passato torni a scorrere fino al presente, per poi superarlo e interrogare il futuro.

3) Mixed reality.
Considerate quanto è attutita la realtà in un film che molti hanno definito “un documentario”: gli eventi della guerra in Libano sono filtrati dai ricordi dei protagonisti. I ricordi dei protagonisti, filtrati dalle domande e dalla telecamera di Ari Folman, diventano interviste. I protagonisti delle interviste, trasformati in cartoon, diventano personaggi di un film di animazione. Oltre a questo, una domanda perturbante non lascia in pace lo spettatore. Ma le interviste, almeno quelle, sono vere? Quelle persone esistono anche in carne ed ossa o alcune sono solo disegni? E quali?
E’ impossibile stabilirlo con certezza. Realtà e finzione non sono mescolate in una macedonia, sono frullate. Qua e là emerge un pezzo di ananas o di banana, ma è poca roba. Come testimoni del film, siamo costretti anche noi a rispondere: “Non so”. E va benissimo così, perché a un racconto del genere chiedo di essere vero nell’insieme, non in ogni sua parte, come sommatoria di storie vere (il più abusato degli ossimori). Terminati i titoli di coda, la narrazione non finisce, mi chiama in causa, e dovrò proseguirla con altri mezzi: libri, ricerche, discussioni, giornali. Non per giudicare il regista con la legge dell’oggettività, ma per chiedergli conto dell’interpretazione che ha scelto.

4) Metastoria.
La guerra è un’inveterata abitudine dell’umanità. Raccontarne una permette di raccontarle tutte. Folman coglie l’occasione in maniera fin troppo esplicita. I riferimenti ad altri conflitti sono disseminati ovunque: Vietnam, Corea, Seconda Guerra Mondiale, Guerra del Kippur. Molto insistito, col rischio di “recintare” l’allegoria, il parallelismo tra i campi profughi e i lager, tra l’esercito israeliano e la Wermacht del Terzo Reich.
In questo gioco di rimandi, la sfida più difficile è far emergere gli archetipi, senza presentare come inevitabile l’eterno ritorno dell’uguale, la coazione a ripetere.
Folman disinnesca la trappola proprio perché non costruisce il film come testimonianza, denuncia o contemplazione del Male, ma come percorso di cura, che certo non implica la salvezza, ma presuppone una promessa concreta di libertà, di autonomia e cambiamento.

5) Una nuova cornice.
La guerra in Libano è raccontata fuori cornice. Da un lato, assume i toni grotteschi e insensati di una strana vacanza: i soldati israeliani viaggiano a bordo di uno yacht, ballano “Enola Gay”, fanno vita da spiaggia, si godono i lussi di una villa abbandonata, sognano di partire per viaggi di piacere da un aeroporto bombardato. Dall’altro è uno spettacolo, cornice assai scontata per la “gente a casa”, molto meno se sono gli stessi protagonisti a vederla in quel modo, salvo poi accorgersi delle sue reali conseguenze.
Nell’abbinare colonna sonora e immagini, Folman ricorre spesso alla sineciosi: la musica contrasta il clima delle scene e incrina così, in maniera sottile, i classici schemi narrativi dell’evento bellico.
E’ grazie a questa nuova cornice se le immagini di guerra riescono a depositarsi nel cervello dello spettatore, senza scorrere via lisce, levigate e televisive. Emblematico l’episodio di un fotografo che riesce a vivere la guerra come un fantastico set. Poi proprio un’immagine fuori cornice - i cavalli dell’ippodromo di Beirut che schiattano sotto i bombardamenti - lo rende consapevole e lo fa impazzire, fino al suicidio. Ancora una volta, non bastano i fatti a risvegliarci, occorre inquadrarli, raccontarli da una prospettiva diversa.

6) Empatia.
Questi spostamenti della cornice potrebbero sembrare vuoti giochi culturali, se il tono emotivo del film non ci comunicasse tutt’altro. I diversi narratori - di fatto fusi in un’unica, multiforme voce off - sono coinvolti dal racconto, così come il regista e il personaggio “Ari Folman”. I mattoni di questa storia sono vivi, non si tratta di puri e semplici frammenti di passato, pezzi di cultura da assemblare a piacimento. La retorica del discorso è il prodotto di un’empatia, prima ancora che di una scelta estetica. Così la narrazione diventa vera in un senso più intimo e allo stesso tempo più vasto, vera perché autentica, vera perché forma e contenuto si tengono e si giustificano a vicenda.

7) Altri sguardi.
La narrazione di Folman è sincopata, ha una pluralità di punti di vista, ma gli sguardi che utilizza sono tutti “dalla parte” israeliana. Non ci sono testimonianze di palestinesi o falangisti. I controcampi, rispetto allo sguardo dei soldati, sono due in tutto il film. Vediamo le vittime in faccia, vive e vegete, una volta soltanto. Altrimenti, o sono di spalle o sono già cadaveri o sono un “non so” verso il quale si spara. Le due sole volte che l’inquadratura si inverte, l’effetto è dirompente, cambia faccia al racconto.
Nel primo caso, l’esercito israeliano perlustra un frutteto. Qualcuno si nasconde tra gli alberi. La sua soggettiva si alterna a quella dei soldati. E’ un ragazzino, imbraccia un lanciarazzi, spara. Vede il proiettile colpire un carro armato e i soldati che fanno fuoco all’impazzata, come sempre. Solo che adesso i proiettili vengono verso di noi. Il ragazzino muore, crivellato di colpi. Sono bastati pochi secondi perché ci identificassimo con lui. Pochi secondi per farci conoscere quei bersagli che i testimoni non ricordano, “effetti collaterali” delle onnipresenti raffiche di mitra.
Nel secondo caso siamo all’ultima scena, ed è una scena già vista: l’unico ricordo che Folman conserva della guerra. E’ a un incrocio di strade. Da una laterale arrivano grida strazianti. Si volta e vede un corteo di donne disperate. Non sa da dove provengano - e non lo sapevamo nemmeno noi, la prima volta che abbiamo visto la sequenza. Ora invece il frammento è stato ricollocato: quelle donne escono dal campo profughi dov’è avvenuto il massacro. L’altra novità è la loro soggettiva disincarnata. Vedono un soldato, vanno verso di lui: è Folman. I loro occhi lo inchiodano al suo esserci, con la divisa e il fucile in braccio. Fino questo momento, attraverso le interviste ai reduci, il racconto poteva sembrare assolutorio: noi soldati non c’entriamo, il massacro lo hanno fatto i falangisti libanesi, lo hanno voluto i politici. Lo sguardo altro di queste donne fa emergere in un secondo altri significati, e in maniera molto più forte - show, don’t tell - dell’insistito parallelismo tra lo “stare a guardare” dei soldati israeliani e lo “stare a guardare” dei soldati nazisti che “non videro” l’Olocausto.

Questi dunque i sette ingredienti base. Chi conosce le caratteristiche - anche quelle in numero di 7 - della Nuova Epica Italiana, ne avrà riconosciute alcune, altre no, perché Waltz with Bashir è senza dubbio un “oggetto narrativo non identificato”, ma certo non è letteratura e non è nemmeno italiano. Resta da dire, com’è ovvio, che 7 ingredienti non fanno una buona ricetta, mancano le dosi giuste, e poi con le ricette si fanno le torte, non i film. L’errore di Folman nel dosare gli sguardi rende la sua opera molto ambigua, troppo sottile nel distinguere tra responsabilità e assoluzione, al punto che il regista è diventato una specie di eroe nazionale, uno che è stato nell’esercito, ha fatto il suo dovere e finalmente ripulisce la coscienza di Israele dalla strage di Sabra e Chatila.
“E’ vero che hai lanciato i razzi al fosforo - dice a Folman un amico psicologo - ma il massacro non c’entra, non ne sei responsabile”.

Per bilanciare una frase tanto esplicita, un solo sguardo è davvero troppo poco.

E così a Gaza, la storia si ripete.
NEWSROLL - NOTIZIE A NASTRO

Wu Ming House: Fan Fiction architettonica

Wu Ming House link  Ne avevamo già parlato  su Giap. Ora è on line link il sito ufficiale
A noi questa cosa sembra in-audita. Jamais entendue. Non sappiamo se sia già capitato ad altri scrittori. Di certo, l’architettura era l’arte / medium che mancava all’appello nella riflessione sul transmediale e la cultura partecipativa. Qualcuno ha parlato di link "New Cubature Epic" :)

Chiarimento: non siamo su Facebook

Non siamo su Facebook
Per svariati motivi che spiegheremo un'altra volta e che riteniamo tutti validi, noi non abbiamo un profilo su Facebook.
E 'sti cazzi, direte, ma continuate a leggere, please.
Su Facebook esistono link "fan pages" a noi dedicate e link gruppi di discussione su di noi o su specifici aspetti del nostro lavoro, ma sono gestiti da altri, non da noi. Nulla in contrario, anzi, purché, come alcuni fanno, si precisi: questa pagina non è gestita dai Wu Ming.
Altri però non lo fanno, e questo produce confusione. Molte persone lasciano commenti pensando di rivolgersi a noi, al collettivo, ci fanno domande etc.
Qualcuno potrebbe anche chiedersi: ma come mai questi non rispondono?
La risposta è semplice: perché non ci siamo. Su questo punto è importante essere limpidi e diretti: non siamo su Facebook. Forse c'è gente che, chissà, vorrebbe darlo a intendere: esistono infatti profili intestati a "Wu Ming", e alcuni frettolosi ci han detto: "Ho visto che su FB siete amici di Tizio e Caio". Quindi, una volta per tutte: Wu Ming non è su Facebook. 

Arzèstula. Un racconto di Wu Ming 1 nell'antologia Anteprima nazionale

Anteprima nazionale, antologia Minimum Fax[WM1:] Un racconto a cui tengo molto, scritto nell'autunno scorso.
Arzèstula, in ferrarese, vuol dire "cinciallegra".
link Ecco la pagina dedicata ad Anteprima nazionale sul sito di Minimum Fax.
L'antologia è ideata, curata e introdotta da Giorgio Vasta. Ci sono anche Evangelisti, Genna, De Cataldo, Pincio e altri. 
link Puoi ordinarla a questa pagina.

"Qui, nel 1972, i dipendenti entrarono in sciopero improvviso e spontaneo, per non dover fare il pieno e servire il caffè a un politico di allora, Giorgio Almirante. Ne nacque una canzone popolare, forse una delle ultime, ancora la ricordo: “Arrivato che fu al Cantagallo / ha di fronte un bel ristorante / meno male, pensava Almirante: / così almeno potremo mangiar. / Tutti fermi, le braccia incrociate, / non si muove nessun cameriere. / Niente pranzo per camicie nere, / a digiuno dovranno restar.” Oggi sembra un mito dell'Età del Bronzo.
- Chi era Al Mirante? - mi ha chiesto Nita un pomeriggio d'estate.
- Era il capo dei fascisti.
- E chi erano i fašisti?"

Goodbye Giap in English, Hello new blog!

Abbiamo aperto un nuovo blog (in inglese)Si era ormai fatto impossibile curare la versione inglese di questa newsletter. Le spedizioni si erano sempre più diradate, fino ad azzerarsi. Qualche settimana fa ne abbiamo annunciato l'eutanasia, ma ne abbiamo impiantato gli organi sani in link un nuovo blog in inglese. Mettere insieme un numero di rivista è impegnativo, e il tempo ti gioca contro, mentre il post di un blog può anche essere di poche righe e avere come fulcro un link verso altri lidi, inoltre l'esistenza stessa del blog stimola a cercare tutti i giorni (o quasi) gli assist della realtà e della cronaca.

Il libro su Wu Ming di Gaia De Pascale

Il libro di Gaia De PascaleGenova, giovedì 28 maggio 2009, h. 18.00

Circolo ARCI Zenzero - Via G. Torti 35 

presentazione del libro di Gaia De Pascale:

link Wu Ming. Non soltanto una band di scrittori

Conversazione con l'autrice, condotta da Francesca Forleo (Il Secolo XIX).

Sul libro di De Pascale, link una riflessione di Claudia Boscolo.

A pranzo coi Wu Ming al ristorante eritreo: l'ormai celebre intervista su Internazionale

Panoramica sala del ristorante Adal, Bologna
Durante l'ultima settimana di marzo, la frase più sentita dai membri del collettivo è stata: "Ehi, ho letto la vostra intervista su Internazionale!". Sul n. 788 della rivista c'era il resoconto del pranzo con Frederika Randall, giornalista e traduttrice americana che vive a Roma (tra gli autori italiani che traduce, lo storico Sergio Luzzatto). L'abbiamo portata al link ristorante africano Adal di Bologna. Il gestore, Kidane, ha fatto da consulente linguistico a Lucarelli per L'Ottava vibrazione. Ne è venuto un articolo visionario, riguardo al quale abbiamo ricevuto i commenti più svariati. Secondo noi, cattura molto bene (fin troppo bene) l'atmosfera di quando ci ritroviamo al completo al di fuori delle riunioni di lavoro.
link Clicca per leggere il PDF.

Un racconto di WM2 sulla rivista Argo

E' uscito link il n.15 di Argo - rivista di esplorazione, che ha come titolo "Oscenità. L'Italia esplorata da..."
...Wu Ming, Paolo Rossi, Fabrizio Gatti, Massimo Zamboni, Vanni Santoni, Andrea Battistini, Gli Argonauti.
"Dal deserto africano alle porte di Lampedusa, passando per Napoli, Roma, Milano, gli Escartons, Trento e Bolzano, la Bologna bohème e impegnata, l'Appennino, le Marche fino alla Puglia e alla Lucania, questo numero di Argo è un viaggio nell'Italia oscena dei tiranni e dei baroni, dell'immondizia e dell'immobilismo, ma anche nell'Italia che vive fuori dalla scena, non inquadrata dall'occhio deformante delle telecamere, nell'Italia delle antiche strade consolari che s'immergono nella natura, del meticciato, dei movimenti civici e di tutto ciò in cui vale la pena credere per ripartire."
Il racconto di WM2 si intitola Roccaserena.

Calendario Wu Ming

Officina Italia - "Il coraggio del futuro"
Milano, 21 maggio
Palazzina Liberty
link Dettagli qui.

Treviso
6 giugno, 5 giugno h.21
Liceo artistico statale
Via S. Caterina, 10
insieme a Lello Voce

Pontiac, storia di una rivolta
San Lazzaro di Savena (BO)
22 giugno, ore 21.30
Cortile del Palazzo Comunale

Pontiac, storia di una rivolta
Poggibonsi (SI)
4 luglio
Festival Narrazioni
www.narrazioni.it

Pontiac, storia di una rivolta
Modena
5 luglio
Rassegna "Oltre i Giardini"

Torre Pellice (TO)
24 luglio, h. 21
Festival "Una torre di libri"
insieme a Gaia De Pascale, Giorgio Vasta e Serge Quadruppani.

MANITUANA E DINTORNI

elenco Manituana è appena uscito in Spagna (Random House / Mondadori).
A giugno uscirà in Gran Bretagna e Stati Uniti (Verso Books).
Alla fine dell'estate, uscirà in Francia (Métailié).

Pontiacelenco [WM2:] Un anno fa, il 18 maggio, mettevamo on-line link Pontiac, storia di una rivolta, il nostro primo audiolibro, nato come espansione di Manituana con altri mezzi.
Il file (mp3 + pdf) ha avuto circa 3450 download. 111 persone (3,2%) lo hanno scaricato a pagamento. Di queste, il 68% al nostro prezzo (5 euro) e gli altri a prezzo libero (da un minimo di 1 euro a un massimo di 50). Dei 35 a prezzo libero, più della metà (19) hanno scaricato il file senza pagare e sono tornati sul sito in un secondo momento, mentre gli altri 16 hanno deciso subito il loro “giusto prezzo”.
In totale, al netto della commissione trattenuta da Paypal, abbiamo incassato 659,21 euro (circa 6 euro netti a download, cioè più del prezzo base fissato da noi). In questo modo, abbiamo coperto meno della metà delle spese vive sostenute per realizzare l’audiolibro (illustrazioni, incisione, missaggio). Oltre a ciò, il reading di Pontiac ha avuto 18 repliche in giro per l’Italia, delle quali 8 dopo aver messo on-line la registrazione. Fatte le dovute somme, quindi, il bilancio economico del progetto è sicuramente in attivo, tenendo conto che non avevamo studiato nessun particolare business plan.
Per una valutazione più approfondita, ci servirebbe capire meglio cosa ne pensate dell’intera operazione, che per noi è stata una novità assoluta e un assoluto divertimento.
Come potete leggere qui accanto, abbiamo già deciso di riprovarci.

elenco Il giapster triestino Beppe Vergara, che due anni fa contribuì con un racconto spin-off (link Le bestie di Bedlam) al mondo transmediale di Manituana, ha da poco scritto e affidato al print-on-demand un libro intitolato Rockshort. Sei racconti ispirati ai testi di altrettante canzoni rock e pop: Like A Rolling Stone di Bob Dylan, Elderly Woman Behind The Counter In A Small Town dei Pearl Jam, Cry Baby di Janis Joplin, Christmas Card From A Hooker In Minneapolis di Tom Waits, As Tears Go By di Jagger/Richards e Lost In The Supermarket dei Clash. In particolare quest'ultima canzone si trasforma in un racconto commovente, straziante. In appendice, due "bonus tracks" di argomento non rock, una delle quali è proprio Le bestie di Bedlam..
Sopra, un breve servizio dedicato al libro dall'emittente triestina Tele4.
link Qui il blog di Beppe.
link Qui si può ordinare il libro.

STELLA DEL MATTINO E DINTORNI

UN GIORNO A  MALDON: IL CAMPO DI BATTAGLIA E LA PAROLA MAGICA

Lecture tenuta da Wu Ming 4 (su invito dell'Onda) alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Statale di Milano il 19 novembre 2008 (link ascolta l'audio), e presso il Centre de Cultura Contemporanea de Barcelona, il 6 febbraio 2009 nell'ambito del festival link "The Influencers".
linkIl testo completo è su Carmilla

I GIORNI PERDUTI DI DAMASCO
Reportage di Wu Ming 4 da GQ Italia, marzo 2009. 
"Sai che arrivò da sud. Da Dera’a e da Tafas, luoghi topici della sua epopea, noti a chiunque abbia letto I Sette Pilastri della Saggezza. Oggi sono rispettivamente una cittadina di confine, dove passa ancora il vecchio tracciato della ferrovia, e un anonimo villaggio di case e tende, circondato da vigne e uliveti. Proprio a Tafas fece risuonare il famoso ordine “No prisoners”, scatenando la rappresaglia araba sui turchi che avevano massacrato gli abitanti del villaggio. E’ una delle scene madri del kolossal di David Lean e lui è Lawrence d’Arabia, ovviamente. Il tizio che sei venuto a cercare, novant’anni dopo il suo passaggio da queste parti."
link Prosegue qui

TENTATIVI DI CHIUDERE TOLKIEN IN GABBIA
JRR Tolkien
“Non c’è simbolismo o allegoria cosciente nella mia storia. Allegorie del tipo ‘cinque stregoni = cinque sensi’ sono del tutto estranee al mio modo di pensare. Ci sono cinque stregoni ed è solo un aspetto del racconto. […] Che non ci sia allegoria non significa, naturalmente, che non ci sia la possibilità di leggervene una. Questa c’è sempre.” (J.R.R.Tolkien, lettera 203)
La destra cattolica cerca di chiudere a doppia mandata le allegorie de Il signore degli anelli. Nostro dovere è invece mantenerle aperte e feconde.
link Qui l'intervento di Wu Ming 4 apparso su L'Unità dell'1 aprile 2009.
In calce, un denso dibattito, con un appello ai "tolkieniani laici" perché comincino a farsi sentire.

NEW THING E DINTORNI

Francesco Cusa alla batteria
WU MING 1 & FRANCESCO CUSA - LIVE EN BARCELONA
SE TI DIMENTICHI
(Unplugged Grindcore Version)
MP3 192k, 4:43, 6.8 mega

Live al festival della cultura libera Gran Gala de los Oxcars, Sala Apolo, Barcelona, 28 ottobre 2008
Fonazione cap. 0 di link New Thing con traduzione spagnola in simultanea sullo schermo. link Qui il pdf del testo.
Wu Ming 1: sbraitamenti e vociferazioni
Francesco Cusa: batteria e verso del coyote

Light MP3, 128k, 4.5 mega


"...Wu Ming 1, distinguido en el apartado literario, ha publicado la novela New thing (Acuarela), de la que leyó a gritos algunas páginas, de espaldas al público y con la compañía de un batería de ritmo frenético."
linkEl Pais, 30/10/2008

link Il sito di Francesco Cusa
linkIl sito de Los Oxcars

elenco CHE FINE HA FATTO LA RUBRICA DI WU MING 1 SU MUSICA JAZZ?
[WM1:] L'ho sospesa, ahimè. Non sono riuscito a portarla avanti come avrei voluto. La mobilitazione totale sul nuovo romanzo, il dibattito sul NIE, il mestiere di padre, various cocks, tutto questo mi ha impedito di lavorare con calma a "Genealogie". Ne sono uscite soltanto cinque puntate (compreso il "pilota" su Ogunde di John Coltrane).
linkSono archiviate qui.

elenco INTERVISTA A WU MING 1 SU EL VIEJO TOPO
Sempre a proposito di Spagna, ecco link una lunga intervista su New Thing apparsa poco tempo fa sulla rivista El Viejo Topo.

NEW ITALIAN EPIC E DINTORNI

Copertina New Italian Epic

elenco WU MING 2: INTERVISTA A MOMPRACEM SUL NEW ITALIAN EPIC
MP3, 128 k, 19 MB. Durata: 21 minuti. 
link Mompracem è un "settimanale avventuroso di letteratura" che va in onda tutti i sabati alle 17:30 su link Radio Città del Capo, Bologna. Quest'intervista ci sembra molto, molto chiara e può essere un ottimo punto d'ingresso al dibattito sul NIE.

elenco
Su Carmilla prosegue, a cadenza settimanale, la pubblicazione di contributi sul New Italian Epic. L'ultimo in ordine di tempo è un saggio, che riteniamo molto importante, su lingua e oralità nei libri NIE. Lo ha scritto una giovane linguista, Valentina Fulginiti. Vale comunque la pena dare un'occhiata a link tutti i testi recenti: Dimitri Chimenti su Gomorra, Fabio Poroli sulla sovversione linguistica nel NIE, Maurizio Vito sull'inadeguatezza dell'idea di epica affermatasi nel Novecento etc.

kickass.jpgelenco WU MING / TIZIANO SCARPA: FACE OFF
Riassunto delle puntate precedenti: il 2 marzo 2009 lo scrittore veneziano Tiziano Scarpa pubblica sul sito "Il primo amore" link un denso articolo intitolato "L'epica/popular, gli anni Novanta, la parresìa", nel quale critica l'impostazione del memorandum di WM1 sul New Italian Epic.
Wu Ming 1 coglie al balzo l'occasione per scrivere - e pubblicare in tre puntate sul medesimo sito, a partire dal 16 marzo - un testo che non vuole essere soltanto una risposta sui punti specifici, bensì un confronto a tutto campo tra due poetiche, due concezioni dello scrittore e del suo ruolo, "due modi di gettare il proprio corpo nella lotta". Eccovi link il pdf completo.
[Nel frattempo, Scarpa è stato candidato allo Strega, con il suo ultimo romanzo Stabat Mater.]

NabawoodelencoLA CONFERENZA ALLA NABA SUGLI OGGETTI NARRATIVI NON-IDENTIFICATI
Ecco l'audio integrale, bruto (e cativo), della conferenza tenuta da Wu Ming 1 alla Nuova Accademia di Belle Arti di Milano (NABA), 4 marzo 2009.
La conferenza si intitolava "Bisogna farlo, il molteplice" e concludeva una giornata di lavori iniziata la mattina col simposio "New Italian (Media) Epic", tentativo di partire dal memorandum sul NIE (in particolare dagli appunti sugli UNO, sul perturbante, sul rapporto tra etica e retoriche) per capire cosa stia accadendo nel mondo degli audiovisivi. Dal simposio, su iniziativa di Francesco Monico, è nato un laboratorio permanente. link Maggiori informazioni su questo blog.
La conferenza dura 68 minuti. Dialogano con WM1 Francesco Monico e Derrick De Kerckhove. MP3 a 128k, 63 mega. Buon ascolto.
link Scaricabile anche in una cartella zippata, per chi si collega dal lavoro e ha un firewall che blocca gli indirizzi che terminano in .mp3.
ErRaTa CoRrIgE: i partecipanti alla maratona di lettura di Infinite Jest di David Foster Wallace (15-18 dicembre 2000) non furono "una ventina", come detto da WM1 "off the top of his head" rispondendo a De Kerckhove (domanda su dimensione orale e pubblica della letteratura), bensì centotrenta.

Logo Letture elencoLA RIVISTA LETTURE RECENSISCE NEW ITALIAN EPIC
Sul n. 656, aprile 2009, "Letture" - rivista di letteratura delle edizioni Paoline - manifesta interesse e rispetto per il tentativo di sondare e illuminare una nebulosa di opere "figlie della crisi", che tornino a "manifestare fiducia nel ruolo sociale degli intellettuali e nel potere salvifico e fondativo della parola". 
link La recensione si trova qui.

Copertina del falso libroelenco NOI SAREMO LEGIONE: UN PESCE D'APRILE NIE
Un contributo al dibattito sul NIE può presentarsi in qualunque forma, anche quella di un "pesce d'aprile". L'1 aprile scorso sul blog "Malpertuis" è apparsa la dettagliata anteprima/pre-recensione del... nuovo romanzo di Wu Ming, un horror mutante e fantapolitico intitolato Noi saremo legione. Copertina, blurb, trama, analisi del libro e riflessione sulla sua appartenenza alla nebulosa, mappatura preventiva delle reazioni della critica: tutto radicalmente verosimile. Il misterioso Elvezio Sciallis ha messo insieme un "oggetto teorico/narrativo non-identificato" coi controcazzi, che getta luce su punti di forza e aporìe in un modo che molti critici "militanti" possono soltanto sognare. link Il post è qui. Non sappiamo dire se i commenti lasciati in calce siano sinceri o parte della burla.

elenco Una versione ridotta e in castigliano del saggio di WM2 "La salvezza di Euridice" è inclusa nel libro Codigo Fuente: la Remezcla, a cura di Mar Villaespesa e link Zemos98.

WU MING 1 LEGGE L'ISTITUZIONE-BRANCO

Stop alle molestie clericali
MP3 160k, 18 MB. Durata: 14:48 min

"La portata del disgusto e del disastro ci forza, ci sorpassa, pone allo scrivere questioni sempre più gravi. Dobbiamo tentare altro dal nostro consueto, gettarci, uscire ogni volta da noi stessi [...] Ho covato per tre giorni un uovo di animale sconosciuto. L'ho fatto in un nido di serpi. Non sta a me giudicare cos'è apparso quando il guscio si è rotto. Dobbiamo TENTARE."
Così WM1, la notte tra l'8 e il 9 febbraio 2009, annunciava linkla messa on line della poesia L'istituzione-branco, ispirata al caso Englaro.
La sera del 30 marzo scorso, durante un mini-tour della Provenza link insieme ad altri scrittori italiani, WM1 ha letto pubblicamente quei versi presso Le Pause Midi, Aix-en-Provence. Un ringraziamento, in particolare, a Claudio Milanesi e Chiara Bassi.