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A noi rimane il mondo, il documentario di Armin Ferrari sulla Wu Ming Foundation, in concorso al Biografilm Festival di Bologna

A noi rimane il mondo, la locandina

La locandina di A noi rimane il mondo realizzata da Edgar Caracristi. Clicca per ingrandire. Dedicata a Franc Žnidaršič, Janez Kranjc, Franc Škerbec, Feliks Žnidaršič ed Edvard Škerbec, vittime dell’imperialismo italiano.

Che si stava girando un documentario sulla Wu Ming Foundation lo abbiamo annunciato per la prima volta nel dicembre 2020. Il titolo era già A noi rimane il mondo, una delle ultime frasi dell’epilogo di Q:

«L’Europa è finita. Ora che si sono messi d’accordo ricominceranno a farsi la guerra, coltivando il sogno di una barbara supremazia. A noi rimane il mondo.»

Due mesi dopo, nel febbraio 2021, abbiamo pubblicato su Giap un racconto in due puntate dell’ideatore, autore e regista, Armin Ferrari: una sorta di “giornale di bordo”, un auto-reportage.

Dal racconto di Armin è passato più di un anno. Oggi il documentario è pronto e ha per sottotitolo Sui sentieri della Wu Ming Foundation. Noi figuriamo senza apparire, come voci fuori campo, in qualità di intervistati e accompagnatori lungo i sentieri di cui sopra. Che spesso erano letteralmente sentieri, di montagna o di pianura, alcuni già noti, altri seguiti a usta. A camminare con noi e con la troupe, nostre collaboratrici e collaboratori, esponenti di Alpinismo Molotov, Nicoletta Bourbaki, Resistenze in Cirenaica, Bhutan Clan e altri sodalizi e progetti.

Abbiamo visto il doc in anteprima e possiamo dire che il tentativo – difficilissimo – è riuscito. E infatti… Prosegui la lettura ›

La variante inglese: The Ripper, l’Emergenza e il tempo che ci attende

di Wu Ming 4

Il documentario Netflix in quattro episodi sullo Squartatore dello Yorkshire ci racconta che un tempo – negli anni Settanta – i movimenti sapevano affrontare politicamente l’Emergenza.

Tra il 1975 e il 1981 questo emulo del più celebre Jack the Ripper uccise 13 donne e ne aggredì un’altra mezza dozzina. Senza spoilerare sulla detection e su come gli inquirenti arrivarono a risolvere il caso dopo cinque anni di indagini, basti dire che fu una delle inchieste più lunghe e dispendiose nella storia della giustizia britannica, al cui confronto quella sul vecchio Squartatore vittoriano – che pure era il modello – pare di ben minore conto.

Era l’alba del declino del nord industriale, e i quartieri operai del West Yorkshire, in quella grande area che andava da Leeds a Manchester, con le loro città satelliti, iniziavano ad assomigliare a ghetti o si “riconvertivano” a luci rosse. Ed ecco comparire le prostitute bersaglio dello Squartatore: corpi abbandonati in un campo, o meglio nella waste land dietro una fabbrica o una fila di casette a schiera, in mezzo a sterpaglie e mobili sfasciati. Con il cranio sfondato a martellate e il petto pugnalato a colpi di cacciavite.

Fino a circa metà del racconto le donne compaiono soprattutto così, come vittime, in fototessere bianco e nero, oppure come parenti delle vittime, o ancora come vittime potenziali intervistate nei night club o nei pub di Leeds. Le voci narranti principali sono quelle maschili, gli “eroici” poliziotti e funzionari nelle interviste di repertorio o sopravvissuti al trascorrere del tempo.

Tutto cambia quando entrano le voci delle donne, e delle femministe in particolare, che raccontano la storia da tutt’altro punto di vista, ribaltandola completamente. Il movimento narrativo è tanto efficace quanto spiazzante e carico di implicazioni. Prosegui la lettura ›