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Covid-19

Usare lo #stateacasa per diffamare e licenziare i lavoratori: cosa possiamo imparare, anche in Italia, dal caso Amazon/Smalls

di Mauro Vanetti *

(con una postilla di Wu Ming 1)

Vice è entrata in possesso dei verbali di una riunione di dirigenti Amazon che si è tenuta alla presenza di Sua Opulenza in persona, Jeff Bezos, per discutere di come diffamare per benino Chris Smalls, un lavoratore sindacalizzato del centro logistico JFK8 a Staten Island, New York.

In quella riunione si è espresso così l’alto dirigente David Zapolsky (che, tra l’altro, ha organizzato un’iniziativa di finanziamento per il candidato alle primarie democratiche Joe Biden):

«Non è intelligente, non sa esprimersi bene, e nella misura in cui la stampa vorrà focalizzarsi su noi contro lui, saremo in una posizione di public relations molto più forte piuttosto che se semplicemente spiegassimo per l’ennesima volta che stiamo cercando di proteggere i lavoratori.
Dovremmo investire la prima parte della nostra risposta nello spiegare con forza l’argomentazione che la condotta dell’organizzatore sindacale è stata immorale, inaccettabile e probabilmente illegale, scendendo nei dettagli, e solo a quel punto proseguire con i nostri soliti punti sulla sicurezza sul lavoro.
Rendiamo lui la parte più interessante della storia, e se possibile facciamolo diventare il volto dell’intero movimento di sindacalizzazione.»

La rivelazione di queste note riservate ha scatenato un putiferio, anche perché se andate ad ascoltare come parla Chris potete notare che in realtà è molto spigliato: il senso di quanto dice Zapolsky, e cioè che per la multinazionale sarebbe buona cosa farlo diventare «il volto» della sua controparte sindacale, è semplicemente che è nero e parla con un accento afroamericano. Prosegui la lettura ›

Sul terrore a mezzo stampa, 2 | Le foto delle vie piene di untori

Genova, Sestri Ponente, 2 aprile 2020, via Sestri. Clicca per leggere l’analisi del fotografo Andrea Facco.*

La nuova passione dei giornali italiani a reti unificate e dei governatori sceriffi sono le fotografie di «assembramenti». Funziona così: prendi una via lunga tipo seicento metri, con qualche bancarella di ortofrutta, una farmacia e un piccolo supermercato. Sabato mattina, possibilmente. Ti piazzi a un estremo e scatti col teleobiettivo a 200 o 300 mm, o con lo zoom digitale, in modo che la prospettiva risulti schiacciata: il palazzo là in fondo è come se ce l’avessi davanti alla faccia, e le trenta persone che ci sono – e in seicento metri stanno alla giusta distanza – le schiacci e comprimi in una scatola di acciughe, con un effetto ottico che te le fa sembrare una folla. Prosegui la lettura ›

Sul terrore a mezzo stampa: «Il virus è nell’aria», un titolo che farà molti danni

Su Repubblica online di oggi compare un articolo intitolato «Il virus circola anche nell’aria / L’oms si prepara a rivedere le linee guida» illustrato con foto di una mascherina. È anche nell’edizione cartacea, a pag. 5, col titolo ancora più tranchant: «Il virus è nell’aria / Gli Usa: usatele tutti / E l’Oms si prepara a rivedere le norme.»

Poiché su web l’articolo è a pagamento, il titolo è l’unica cosa che la maggior parte dei visitatori leggerà. E penserà che per infettarsi basti uscire di casa senza mascherina.

Noi invece siamo abituati a leggere gli articoli per intero, e se serve a verificarne le fonti. Prosegui la lettura ›

Dalle denunce penali alle supermulte: le nuove sanzioni per chi cammina «senza motivo» analizzate da un giurista (spoiler: di dubbia costituzionalità)

«Ti tarpo le ali ai piedi», disegno di Matilde, 2 aprile 2020. Clicca per ingrandire.

di Luca Casarotti *

Il 22 marzo scorso, nella mia postilla alla testimonianza di Pietro De vivo pubblicata qui su Giap scrivevo:

«per essere per lo meno conformi alla costituzione, [i divieti introdotti con decreto del presidente del consiglio dei ministri dall’inizio dell’epidemia] dovrebbero essere profondamente ripensati. Ciò che il governo, arrivato a questo punto, non può permettersi di fare: non può permettersi di ripensare alcunché, ma non può nemmeno permettersi di trasferire l’esistente in una legge. Sarebbe come ammettere di aver del tutto sbagliato a gestire l’epidemia, dopo oltre un mese dal suo inizio. Sarebbe come dire d’aver scelto strumenti inidonei.»

All’apparenza, il riassetto delle misure di contenimento operato con il decreto legge (d.l.) 25 marzo 2020 n. 19 sembrerebbe smentire la mia previsione. Io invece credo che in larghissima parte la confermi, pur con le precisazioni che farò subito. Prosegui la lettura ›

Sisyphus. Il devastante impatto dell’emergenza coronavirus su librerie e case editrici


[Per una volta, anche noi «partiamo da noi». Siamo scrittori. Da vent’anni circa siamo “stipendiati” da voi lettrici e lettori. Ogni volta che comprate una copia di un nostro libro, noi riceviamo una percentuale del prezzo di copertina, variabile a seconda dei titoli e dei contratti. Percentuale che dividiamo tra i membri del collettivo, «stecca para per tutti». Quella è la nostra principale fonte di reddito.
Per una radicata convinzione etica e politica che ci accompagna da sempre, i nostri libri sono anche scaricabili gratis da questo stesso blog, magari in cambio di una donazione, spiccioli con cui paghiamo i costi del server e altre spese tecniche; ma abbiamo sempre chiarito che senza le vendite di libri – libri di carta – non camperemmo. E non si parla di “largheggiare”, ma di sbarcare il lunario. In Italia, dove si legge pochissimo, chi scrive libri si rivolge a una ristretta minoranza di potenziali acquirenti.
Questa, in realtà, è la fotografia della situazione prima dell’emergenza coronavirus.
All’incirca un mese fa, tutto il mondo del lavoro culturale è stato sconvolto. Nessuna lavoratrice o lavoratore delle filiere culturali sa se e come riuscirà a superare questa fase. Soprattutto chi era già in condizioni di precarietà, oggi vive nell’angoscia, in un limbo dentro il limbo. Tra non molto, buona parte della working class di quei settori – editoria, musica, cinema, teatro: tutti dichiarati «non essenziali» – sarà letteralmente alla fame.
Per quanto riguarda il nostro comparto, le librerie sono chiuse e non si sa quante riusciranno a rialzare la serranda «dopo»; dentro le case editrici non si sa ancora quali progetti andranno avanti, quali titoli usciranno e in che forma, quali contratti saranno rinnovati, se e quando arriveranno i pagamenti.
E bisogna allargare l’inquadratura, perché intorno alla scrittura e alla pubblicazione di libri si è sempre mosso molto altro. Nella nostra esperienza, è sempre stato centrale l’incontro con lettrici e lettori, indispensabile momento di promozione dei nostri titoli ma anche di confronto, di verifica del lavoro compiuto e ispirazione per il futuro. Eravamo abituati a macinare chilometri, in vent’anni migliaia di incontri pubblici: presentazioni, conferenze, laboratori, corsi, escursioni a tema… E anche reading e spettacoli, che in alcuni casi ci hanno aiutato ad arrotondare i proventi dei romanzi. Ora anche quest’aspetto è congelato. Musicisti, teatranti e circensi con cui abbiamo collaborato in questi anni riusciranno a risollevarsi? E quando e come sarà ancora possibile ritrovarsi in una sala piena di gente a parlare di libri?
È un mondo che è stato spinto in un cono d’ombra, e allora lo raccontiamo, dal punto di vista degli editori e librai indipendenti, con quest’articolo di Pietro De Vivo delle edizioni Alegre.
Colonna sonora consigliata: Pink Floyd, Sisyphus, dall’album Ummagumma, 1969.
Buona lettura. WM ]

di Pietro De Vivo *

1. Una fatica di Sisifo

La sensazione è quella di girare in tondo, compiendo un percorso sempre uguale senza arrivare da nessuna parte eppure facendo uno sforzo enorme. È questo ciò che si prova a lavorare coi libri durante la crisi del Covid-19. Prosegui la lettura ›

L’emergenza Covid-19 vista da Palermo, tra lavoro sociale coi ragazzi e rivolte destinate ad allargarsi

di Totò Cavaleri *

1. «Casa», o quel che ne fa le veci

Scorrendo la lista delle attività che il Dpcm dello scorso 22 marzo definisce come «essenziali», arrivando al codice Ateco 87 si trovano i «servizi di assistenza sociale residenziale». Non c’erano molti dubbi, del resto, sul fatto che la comunità in cui lavoro non avrebbe chiuso, anche perché per i cinque ragazzi italiani e i cinque ragazzi stranieri che ci abitano, quella è l’unica cosa che si avvicina al concetto di «casa».

Anzi, per tutti loro #RestoaCasa vuol dire proprio restare tutto il giorno in comunità. Per carità, di questi tempi, per alcuni versi, è anche meglio. Almeno si sta in compagnia di altri ragazzi e qualche adulto, e di sicuro ci si annoia di meno.

Ma come se già il decreto #RestoaCasa non fosse abbastanza esplicito in merito alle limitazioni individuali per tutti i cittadini, le varie istituzioni con cui abbiamo a che fare si sono preoccupate di scriverci cosa fosse necessario sospendere in modo specifico per i ragazzi della comunità. Prosegui la lettura ›

Ma è vero che nel mondo tutti «fanno come l’Italia»? Il «divieto di jogging o passeggiata» c’è anche altrove? E l’autocertificazione? Abbiamo dato un’occhiata.

Infografica diffusa negli Stati Uniti dalla NRPA (National Recreation and Parks Association), marzo 2020.

di Wu Ming

In questi giorni di emergenza coronavirus, molti organi d’informazione, uomini politici ed «esperti» italiani ci ripetono che «in tutto il mondo l’Italia è un esempio», che tutti i governi – chi prima e chi poi – ci stanno seguendo sulla strada del lockdown con chiusura di scuole, fabbriche, uffici, luoghi pubblici e norme severe di distanziamento sociale.

Ogni volta che un paese entra nella grande famiglia dei «chiusi per Covid-19», parte una specie di ola, di applauso mediatico, a dargli il benvenuto dalla parte giusta del fronte. «Anche la Russia chiude bar e ristoranti!», «Coprifuoco in Ungheria», evviva!

Al contrario, i paesi non-all(in)eati vengono additati come folli, indifferenti alla salute dei cittadini, e ci si prepara a recitare un «noi ve l’avevamo detto», per quando finalmente si renderanno conto di avere sbagliato tutto.

A noi sembra che questa sete di conferme internazionali dimostri in realtà una certa insicurezza, o quantomeno il bisogno di mezzo gaudio nel mal comune.

In realtà, le situazioni dei vari paesi non sono davvero paragonabili, perché sono diversi i sistemi sanitari, le risorse, la demografia, le fonti giuridiche, i territori e i numeri del contagio.

Tuttavia, crediamo sia interessante verificare più da vicino se davvero il «modello Italia» sia stato «imitato in tutto il mondo» e quali siano le principali differenze, specie rispetto alle attività all’aria aperta, alle uscite con i figli e all’utilizzo degli spazi pubblici. Prosegui la lettura ›