di Girolamo De Michele*
L’intenzione della maggioranza di governo di proporre un Ddl unificato – cioè accorpando diversi disegni di legge – sul tema «antisemitismo a scuola», sotto l’egida di Maurizio Gasparri, può essere considerato l’ennesimo episodio di un attacco sistematico alla scuola in quanto tale. Senza dettagliare un lungo elenco, basta citare il provvedimento disciplinare contro Christian Raimo e la recente revoca dell’iscrizione alla piattaforma S.O.F.I.A. dei corsi di formazione docenti del progetto «La scuola non si arruola».
In apparenza la scuola è concepita come un punching ball sul quale chiunque, passando, può scaricare un paio di sganassoni senza tema di vederseli restituiti. In realtà, l’insieme – il combinato disposto, come si dice – di provvedimenti, circolari, dichiarazioni, episodi e provocazioni delineano una strategia intelligente: dopo aver dettagliato e spacchettato la scuola nelle sue specifiche sfaccettature, si colpiscono – o si tenta di colpire, magari per saggiare la reazione – le singole componenti.
Come minimo, mettere la scuola sulla difensiva e lasciarla arroccata a proteggere questo o quel punto è già un risultato, che denota strategia e una certa intelligenza: Valditara, insomma, non è Sangiuliano, e prima si smette di pensare all’attuale ministro come una macchietta o un anello debole, meglio è.
Anche perché l’attacco alla scuola è parte di una più generale strategia di attacco – meglio: di presa di possesso – nei confronti della cultura e delle sue istituzioni, grandi e piccole: in questo il ministro Giuli si sta dimostrando capace e attrezzato, al di là dei suoi vezzi linguistici che vengono buoni per solleticare l’inanità di certi suoi critici mai capaci di andare oltre lo sberleffo per vedere i segni di un progetto culturale.
Ma il discorso va allargato oltre l’orizzonte nazionale: l’attacco al mondo della conoscenza è uno dei punti programmatici di questa nuova destra, a volte persino sfacciata nel suo (neo) fascismo, che fa della propria battaglia contro la cultura e il sapere una delle casematte del regime di guerra globale che sostiene e implementa.
Si potrebbe anche dire che siamo ormai a una fase 2 di questo attacco: dopo aver creato, come nella celebre omonima fallacia, una serie di spaventapasseri – «woke», «gender», «cancel culture» – contro cui rivolgere i propri strali, vengono attaccate le istituzioni del sapere, con il dichiarato intento di fare terra bruciata del pubblico. Basterebbe leggere il libello di Charlie Kirk – giusto per capire chi era e qual era il suo disegno politico – contro l’università pubblica, nei cui campus sarebbero nati tutti quei «dangerous movements and bad ideas» che «oggi dividono l’America: da Hillary Clinton a Barak Obama, da Alexandria Ocasio Cortez ad Anthony Fauci [sic]» (cfr. Charlie Kirk, The College Scam. How America’s Universities are Bankrupting and Brainwashing away the Future of America’s Youth, p. 84).
In effetti la destra globale ha una buona ragione per attaccare il sapere e le sue istituzioni: dopo aver quasi ovunque sconfitto le pallide formazioni avversarie di “sinistra”, sempre caratterizzate da una versione annacquata del più moderato riformismo, assiste con sorpresa all’esplodere di un’opinione pubblica globale capace di bypassare la necessità di partiti o leader di riferimento, e reagisce di conseguenza, radicalizzando il proprio disegno di delimitare, privatizzare e neutralizzare il sapere.
Bene o male, ciò che accomuna le moltitudini che riempiono le piazze alle destre che governano è la consapevolezza che, come ci ricordava Michel Foucault, la conoscenza non è fatta per comprendere, ma per prendere posizione. Che è quello che hanno fatto docenti, studentesse e studenti, ma anche le stesse istituzioni universitarie; la stretta disciplinare e le iniziative sul genocidio di Gaza – un crimine collettivo – hanno una evidente correlazione: è la scuola che prende parola in prima persona, dimostrando di sapere da che parte stare.
Per essere chiari: negli ultimi anni, la «difesa della scuola» nel discorso pubblico mainstream era diventata un esercizio stilistico, un rifugio per anime belle, una specie di salotto di nonna Speranza nel quale esibire i reperti di storiografia antiquaria, senza alcuna capacità di incidere sullo stato di cose presente. È sintomatico che oggi, a quattro anni dalla stesura del PNRR redatto dal governo Conte, qualcuno si accorga con stupore che i fondi caduti a pioggia sulla scuola non risolvono – in verità neanche ci provano – i suoi problemi strutturali.
In verità, bastava leggere le analisi che Priorità alla Scuola fece di quel documento – e delle successive versioni del PNRR fatte dal governo Draghi, quasi irrilevanti sul reparto scuola – per sapere che quel Piano era stato scritto proprio con l’intento di prefigurare una «scuola che non apre le menti, ma le indirizza nel collo di bottiglia di un mondo del lavoro accettato acriticamente per quel che è, con le sue ingiustizie e discriminazioni».
La profonda riforma del sistema istruzione che quel disegno richiedeva è oggi all’opera. La scuola sta pagando a carissimo prezzo la sindrome del governo amico che prese al tempo tanti e tante che, partiti con l’intenzione di rivoluzionare il sapere, si sono ritrovati, come nella canzone di Pink, a fare le comparse in un videoclip: «What happened to the dream of a girl president? / She’s dancing in the video next to 50 Cent.»
Nondimeno, anche nella scuola Gaza ha fatto da detonatore di una rivolta morale, è diventato il nome di un rifiuto generale dell’ingiustizia, una postura avversa a tutto ciò che non può essere accettato. Riprendersi in mano l’esercizio del sapere, riscrivere le linee guida deille discipline nel concreto dell’esercizio didattico, aggiornare l’agenda scolastica nella prassi quotidiana, ma anche mettere in campo forme di autorganizzazione autonome dai partiti e dai sindacati è un salto di qualità rispetto all’elzeviro sul giornale o all’innocuo convegno di studi in cui alla fine si applaude stancamente per mascherare un po’ di delusione.
È questo salto di qualità che è sotto attacco oggi: ma non lo si combatterà con mezzi e armi – quelle della critica – se non si saprà tenere lo sguardo sull’orizzonte generale.
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Per sapere in cosa consista il «Ddl antisemitismo» leggi: Lettera aperta sul disegno di legge che censura le critiche a Israele. A cura del Coordinamento Docenti UniBo per la Palestina, dei Docenti, educatrici ed educatori per il rispetto dei diritti umani in Palestina, dei Docenti per Gaza e della Rete per la scuola pubblica Emilia-Romagna.
* Girolamo De Michele (Taranto, 1961) vive e insegna a Ferrara. Collabora con varie riviste, cartacee e on line, fra cui Il manifesto, doppiozero, estense.com. Tra le sue pubblicazioni: Storia della bellezza, a cura di e in collaborazione con Umberto Eco (2004); La scuola è di tutti. Ripensarla, costruirla, difenderla (2010); Filosofia. Corso di sopravvivenza (2011); la curatela dell’autobiografia in tre volumi di Toni Negri Storia di un comunista (2015-20); If the Kids are United. Musica e politica tra i 60 e gli 80, con Fant Precario (2017) e Un delitto di regime. Vita e morte di don Minzoni, prete del popolo (2023); e i romanzi Tre uomini paradossali (2004), Scirocco (2005), La visione del cieco (2008), Con la faccia di cera (2008), Le cose innominabili (2019) e Lo scacchista del diavolo (2023).
Il suo nuovo libro si intitola Il profeta insistente. Raphael Lemkin, l’uomo che inventò la parola genocidio.

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I “vezzi linguistici” di Giuli sono tutt’altro che da sbeffeggiare. Molti di loro mi sembrano pieni di ammiccamenti massonici e provenienti dall’esoterismo destrorso. Ricordo un suo discorso sulla sua volontà di reinstaurare una “cultura solare”. Un’altra persona che lo ascoltava insieme a me (e tra l’altro insieme guardavamo i suoi gesti apparentemente spropositati) si mise a ridere davanti al suo… originale utilizzo della lingua italiana, ma a me, capendo più o meno quello che intendeva, vennero solo i brividi. È chiaro che sia un modo di esprimersi crudo, osceno come solo il potere sa esserlo, ma che tuttavia ha ovviamente un suo contenuto effettivo, un contenuto di jesiana Cultura di Destra. Sarò io ad essere paranoico? In un post di Vannacci visto per pura casualità, dove celebrava San Michele Arcangelo, non ho potuto non pensare ad un rimando alla Guardia di Ferro…