A proposito delle nuove scoperte su QAnon, alcune brevi note di Wu Ming 1

Il titolo di Repubblica è il più scorretto. Furber e Watkins, anche fossero autori delle Qdrops, non sarebbero in alcun modo i «capi di QAnon», movimento caotico e reticolare, privo di strutture gerarchiche. Più che un’organizzazione, una sfera di discorsi. Furber e Watkins non sarebbero nemmeno «i fondatori», come titola l’AGI, però intendendolo come «coloro che avviarono la catena degli eventi», allora per Furber ci può (presuntamente) stare, benché non sia preciso. Ma «capi» no.

di Wu Ming 1

Ritengo necessario fare qualche precisazione e chiarimento
1) sulle notizie che stanno rimbalzando un po’ ovunque (anche in Italia);
2) su un “mezzo falso storico” che in poche ore ha preso forma, e soprattutto
3) su un equivoco in cui stanno cadendo molti commentatori, mainstream e non solo.

Che uno dei due autori delle «gocce» di Q fosse con ogni probabilità Ron Watkins era opinione diffusa tra gli “esperti” già nel 2020, tant’è che l’ipotesi è assunta nel mio La Q di Complotto. Ipotesi che si è rafforzata quando, nella primavera 2021, la HBO ha mandato in onda la serie documentaria di Cullen Hoback Q: Into The Storm, in cui Watkins veniva colto alla sprovvista e faceva una mezza ammissione.*

Che le Qdrops avessero più di un autore era dato per inteso da tempo, e anche che il gioco non fosse cominciato a opera di Watkins. Nel gennaio 2021 i risultati di una prima analisi stilometrica condotta dalla svizzera Orphanalytics avevano individuato un “cambio di mano” avvenuto nel dicembre 2017. Anche questo era già riportato ne La Q di Complotto.

Finora non c’erano indizi di rilievo su chi potesse essere l’autore delle prime Qdrops (che nell’autunno 2017 si chiamavano ancora Qcrumbs). Le recenti analisi stilometriche puntano il dito su Paul Furber. Questo è il vero elemento di novità contenuto nelle ultime news **.

È però necessario un doppio caveat: i media sensazionalizzano e banalizzano oltremodo questo genere di ricerche; ricerche che a loro volta hanno dei limiti, e possono al massimo fornire indizi, non prove. Se c’è una cosa di cui non si sente la necessità, è la fede scientista nella stilometria.

Ted e David Kacziynski nel 1952.

Con tanto di miracolistica retroattiva! In parole povere: di riscrittura della storia. In diversi articoli che stanno uscendo, infatti, si cita come precedente il caso Unabomber, e si scrive che già Ted Kaczynski fu identificato grazie a un’analisi stilometrica.

Detta così è mooolto stiracchiata, perché lo stile c’entra, ma la metria molto meno.

Andò infatti che il fratello minore di Ted, David Kaczynski, lesse il manifesto di Unabomber pubblicato sul New York Times, vi riconobbe lo stile del fratello, recuperò vecchie lettere che Ted gli aveva scritto e vide che alcuni passaggi erano finiti nel manifesto quasi testualmente. A quel punto indagò per proprio conto assumendo anche un investigatore privato, e infine si rivolse all’FBI. Era il 1996. Tutto molto low tech, per gli standard di oggi: parole stampate su carta, lettere scritte a mano, intuizione umana e legwork, ovvero lavoro fatto scarpinando. E soprattutto, un fratello “infame”.

Secondo molti commentatori, avere la prova – anche se a rigore, come detto sopra, una vera prova non c’è – che il fantomatico “Q” era in realtà Tizio o Caio; che non era nemmeno una sola persona, e che i veri autori delle Qdrops non erano al corrente di alcuna informazione riservata sulla presunta “Tempesta” bensì stavano cazzeggiando da mestatori… Tutto questo dovrebbe avere conseguenze devastanti sul “culto” di QAnon.

Ehm, no. Non funziona così.

Per fare l’esempio degli esempi: che i Protocolli dei Savi Anziani di Sion sono falsi si sa con certezza da più di un secolo. L’inchiesta del Times che per prima li smontò è del 1921. Eppure il libro continua a essere ristampato e citato, ed è ancora uno dei pilastri del cospirazionismo. Nessun “debunking” ha mai posto fine a una fantasia di complotto. È del tutto implausibile che queste “scoperte” mettano in crisi qualcosa che per giunta è andato molto oltre l’iniziale fantasia di complotto su “Q”.

Detta come va detta, oggi QAnon – il fenomeno che abbiamo chiamato così nel periodo 2017-2020 – con “Q” e le Qdrops non c’entra quasi più niente, e queste “scoperte” non metteranno in crisi alcunché.

Con l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 una prima fase della storia di QAnon si è chiusa. Da allora è iniziato il “post-QAnon”. Oggi siamo di fronte a un movimento molto più ramificato e complesso, che continua a mutare, che eccede i confini dell’estrema destra, e che per molti versi ha sfondato “a sinistra”, ammesso che questa metafora di moto a luogo renda ancora l’idea di ciò che accade. Ha sfondato grazie a nuclei di verità su cui fa leva e che sono negletti dal discorso dominante e dalla “sinistra” che di quest’ultimo si fa portatrice. Qui la disamina sarebbe lunga, non posso che rimandare a quanto ho cercato di esprimere nel libro, e alle riflessioni fatte su Giap negli ultimi due anni.

Certe “scoperte” hanno dunque valore scientifico, e direi storiografico, perché ci aiutano a ricostruire cos’è accaduto… ma in termini di ricadute immediate mordono la polvere: la “fuga in avanti” di QAnon c’è stata da tempo.

Io non posso che ribadire, in estrema sintesi, quel che ho cercato di dire nel libro: non saranno fact-checking e debunking a sconfiggere le fantasie di complotto. Non è dimostrando che una fantasia di complotto è tale che se ne ferma la circolazione. Bisogna invece, prima di tutto, capire come mai quella fantasia è nata e sta circolando, quale problema segnala, quale disagio o desiderio esprime, di quale verità è la versione pervertita, di quale lotta antisistema è la parodia involontaria, e quale “moneta buona” – metafora pecuniaria tradizionale ma poco centrata, che dunque non userò più – potrebbe scacciare quella cattiva.

_

* Nella serie “compaio” tra gli intervistati, esplicito dunque un vago “conflitto di interessi” nel raccomandarne la visione.

** Se davvero Furber fu il primo autore dei dispacci firmati «Q», sarebbe bello appurare se effettivamente, nello scegliere proprio quella firma e quella modalità, si ispirò al nostro romanzo. Com’è noto, un insieme di coincidenze e inquietanti riverberi tra Q (inteso come romanzo), il Luther Blissett Project e i temi agitati da QAnon fu la “molla” che, scattando nella primavera 2018, ci fece interessare a quel che stava accadendo su 8chan, sui social e – a quel punto sempre più spesso – nelle strade.

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26 commenti su “A proposito delle nuove scoperte su QAnon, alcune brevi note di Wu Ming 1

  1. In questo momento nella homepage di repubblica c’è un box con questo titolo:

    “Qanon, scoperti gli ideatori della cospirazione globale che minaccia la democrazia: ecco com’è nata”

    Come definire un titolo del genere? Fantasia di complotto al quadrato? Ricapitolando: il quotidiano della “borghesia illuminista” (i fratelli Verri si staranno sganasciando dalle risate…) scrive in prima pagina che ci sono due tizi che sono gli artefici di una cospirazione globale che minaccia la democrazia diffondendo teorie cospirazioniste. Una cospirazione di secondo livello insomma. Peggio di billgheits, che è l’artefice di una cospirazione globale per assoggettare l’umanità coi vaccini, che è una cospirazione di primo livello…

    • Sì, da tempo il mainstream si crogiola in una visione ultracomplottistica secondo cui il proliferare nel mondo di fantasie di complotto sarebbe l’esito di un complotto mondiale, dell’opera di forze oscure, società segrete e quant’altro.

      Delle dinamiche che hanno plasmato e fatto crescere QAnon non hanno capito niente di niente. Non hanno proprio idea di cosa sia, QAnon. Ne parlano come se fosse un’organizzazione, chessò, un partito mondiale, oppure la Spectre nemica di 007. Ma noi che seguiamo il fenomeno da tempo, quando diciamo «QAnon» non intendiamo nulla del genere.

      Dire «QAnon» è un modo rapido per intendere un movimento rizomatico, senza percorsi di informazione fissi e senza confini netti, fondato su una narrazione condivisa che si modifica rapidissima; dicendo «QAnon» intendiamo una subcultura digitale molto estesa e differenziata al proprio interno in cui si riconoscono chiaramente caratteristiche tipiche di un “fandom” (come lo descrive nelle sue opere Henry Jenkins) e altre tipiche di una setta religiosa; con «QAnon» intendiamo un vorticoso gioco in rete, ecc.

      Non solo. Come scrivevo sopra, tutto ciò non ha più nulla a che fare con il misterioso “Q” e le sue «gocce» – i dispacci firmati a quel modo prima su 4chan, poi su 8chan, poi su 8kun –, per il semplice motivo che “Q” non scrive più nulla dall’autunno del 2020. Non per questo il movimento si è dissolto, anzi.

      A monte c’è un equivoco ancora più grosso, e duplice: l’idea che chi scriveva le Qdrops fosse il «capo», e che chi cominciò a scriverle avesse già in mente tutto lo sviluppo successivo. Che fosse appunto l’«ideatore di una cospirazione mondiale». È una cazzata cospirazionista, simile a quella secondo cui la pandemia di Covid19 sarebbe stata pianificata dal principio ecc. QAnon, in effetti, funziona come una pandemia, una pandemia culturale. Non a caso «virale» è l’aggettivo con cui per anni abbiamo definito un meme o qualunque prodotto culturale che in tempi rapidissimi arrivasse a spopolare in rete.

      Chiunque abbia fatto inchiesta su QAnon sa benissimo che all’inizio «l’anonimo Q» era solo uno dei tantissimi millantatori e cazzeggiatori (shitposters) presenti sulla bacheca «/pol» (cioè dedicata alla politica) di 4chan. È stato un complesso insieme di fattori e coincidenze a far sì che intorno alle Qdrops si formasse una comunità di “esegeti”, dopodiché, a trasformare QAnon in un fenomeno più vasto non sono stati né Furber né Watkins ma tutt’altra gente, che ha visto opportunità di lucro e ha esportato il gioco delle interpretazioni prima su YouTube poi sui social network più mainstream. Il gioco è sfuggito di mano a chiunque abbia provato a controllarlo, e gli sviluppi sono stati caotici e imprevedibili, all’evoluzione di QAnon ha contribuito una moltitudine di soggetti.

      Questa descrizione di QAnon è molto più interessante di qualunque fantasia di complotto, ma ha il “difetto” di richiedere studi seri e approfondimenti, e di implicare il farsi domande poco confortevoli, che quasi sempre trovano risposte ancor meno confortevoli. Moooolto più comodo pensare che «dietro» ci sia un’unica «regia», che ci sia un Piano per destabilizzare l’occidente e quant’altro.

      Certo, è chiaro che in questo quadro agiscono anche personaggi e gruppi che hanno precise agende politiche, agiscono mestatori, propagandisti, truffatori, criminali… Ma appunto, agiscono in questo quadro, che è un quadro caotico, e agiscono in mezzo a innumerevoli altri soggetti molto meno etichettabili, senza prevalere su questi se non episodicamente.

      Chi sta cercando di “leggere” le recenti e più enigmatiche mobilitazioni di massa dai Gilet Gialli al Freedom Convoy passando per le manifestazioni anti-pass che hanno scosso mezza Europa nell’autunno scorso vedrà che questa mia descrizione di QAnon, cambiando poche parole, calza anche a quei fenomeni. E infatti il mainstream li interpreta allo stesso modo: come l’esito di un grande complotto. Ogni complessità è abolita in nome del «chi c’è dietro??!!», del «CHI LI PAGA??!!», si nega ogni rapporto di causalità o anche solo di correlazione tra queste mobilitazioni e problemi sociali reali, non è ammesso parlare di espressione di soggettività dal basso, di spontaneità e autorganizzazione, di orizzontalità delle dinamiche, perché deve per forza esserci una gerarchia nascosta, quella della Spectre complottista che organizza tutti dappertutto.

      E se X obietta che limitarsi a gridare «sono tutti nazisti!» (o cacare altre simili sentenze), senza muoversi un centimetro oltre, impedisce di capire il senso di queste eruzioni sociali, allora parte un coro indignato di «tu quoque», che ben presto si trasforma in campagna diffamatoria, finché X non è chiamato nazista a sua volta.

      Di fatto, il mainstream – e soprattutto la “sinistra”, in quasi tutte le sue correnti e gradazioni – finisce per ragionare come il tizio convinto che ogni manifestante per cause a lui sgradite sia pagato da Soros, e chi obietta che non è possibile dev’essere per forza pagato da Soros a sua volta.

      Un inciso: a dirla tutta, non è un atteggiamento nuovo. Chi conosce il dibattito storico (ma sarebbe meglio dire storico-giornalistico) sugli anni Settanta italiani sa bene che da decenni il mainstream ha interamente assunto l’approccio cospirazionista perfezionato da pubblicisti e “storici” di area ex-PCI, volto a negare ogni “agency” ai soggetti protagonisti della “violenza politica” di quegli anni, in particolare della lotta armata ma non solo, rappresentati sempre e solo come pedine eterodirette da poteri occulti (il più delle volte stranieri) nell’ambito di un grande complotto anti-PCI. Va reciso ogni legame tra quella “violenza” e il gigantesco sommovimento sociale di quegli anni. Va negato ogni consenso per quella “violenza” all’interno del movimento operaio e della società nel suo complesso. Va imposta la narrazione complottista con ogni mezzo. I numerosi libri incentrati su tali letture sono un festival pirotecnico di fallacie logiche e bias cognitivi, proprio gli stessi che descrivo ne La Q di Qomplotto.

      Detto questo, non è così dappertutto. In queste settimane negli USA le stesse domande che ci siamo fatti qui su Giap a proposito della manifestazioni anti-greenpass, in particolare di quelle triestine, vengono poste a proposito del Freedom Convoy e si possono leggere senza scandalo sul New York Times e su The Nation. Un articolo intitolato «A Working Class Uprising in Canada» contiene passaggi come questo:

      «Yet the far-right origins of the protest shouldn’t be an excuse for ignoring the fact it is attracting the support of a segment of the population that doesn’t identify with the far right but does feel economically marginalized and hurt by a pandemic now entering its third year.

      We must understand the Freedom Convoy dialectically […] the passions the protests speak to are resonating with workers, and left-wing political activists need to figure out how to address this anger […] despite its fringe and extremist organizers and support from suburban business owners, the Freedom Convoy is speaking to discontent that is widespread. Polls show that, while the convoy is unpopular with two in three Canadians, its message of anger at the mandates is resonating with a significant minority.»

      Questa è la prestigiosa The Nation, la più antica rivista liberal americana.

      Sul New York Times è apparso un editoriale intitolato «A New Class War Comes to Canada» in cui si riflette sulla risposta del governo al Freedom Convoy:

      «first a PR blitz to encourage friendly media to brand all the truckers as racists and anti-Semites and Trump supporters, then the convenient hacking and “doxxing” of donors to the convoy, and then an invocation of the Emergencies Act which lets the government attack the protesters via the digital realm, freezing bank accounts and even cryptocurrency funds connected to the protests.

      Since politics exists to organize fears, a major question for people caught between these two camps is which kind of power seems more frightening. The power to shut down the heart of a major city, perhaps even with the sympathy of some of the police, or the power over money and information that the Trudeau government is relying upon in its response? The specter of an insurrection or the specter of a digital police state? A revolt of the disaffected middle or a revolt of the elites?»

      Pochi giorni fa sull’edizione USA del Guardian è apparso un articolo intitolato «Why don’t some people want to take the vaccine? Here’s Why» in cui si passano in rassegna quelli che su Giap abbiamo definito i nuclei di verità dell’opposizione al vaccino, e a un certo punto si dice papale papale:

      «A constellation of scholars, bureaucrats and pundits seem invested in Covid remaining a “crisis” indefinitely. As the political scientist Oren Cass put it, many have been granted more money, prestige and institutional power than they have ever had in the wake of the pandemic. For them, a “return to normal” would mean a return to being largely ignored and exerting marginal influence over society. It would mean losing new revenue streams they have grown accustomed to, and so on. In light of this reality, it is perfectly natural that many experts, administrators and “talking heads” would be disinclined to return to “normal” – loss aversion is a powerful cognitive bias. However, recognizing these impulses as banal (rather than nefarious) does not render them unproblematic. They can skew policymaking and expert advice towards continued invasive policies and a continued sense of panic in ways that are excessive and pernicious.»

      Sono tutte questioni che su Giap solleviamo da due anni. E ripeto, si tratta di The Nation, del Guardian e del New York Times. Queste preoccupazioni sono espresse da commentatori liberal. Chiaramente noi non siamo liberal, e infatti abbiamo sempre declinato la nostra critica in senso anticapitalistico, ma i nodi sono gli stessi. In Italia, però, bastava porre queste questioni per essere etichettati come «no vax», «negazionisti», «amici dei fascisti», «gli è dato di volta il cervello», «che brutta fine hanno fatto» ecc.

      A reagire così, a scrivere questa immondizia, erano e sono soggetti che evidentemente di quel che sta succedendo non capiscono né vogliono capire nulla. Continueranno a denunciare il Grande Complotto Complottista per decenni, come hanno fatto i loro antesignani di area ex-PCI scribacchiando degli anni Settanta, pregiudicando ogni lettura sensata di quella temperie.

    • In questo momento nella homepage di Repubblica stanno cadendo le bombe sull’Ucraina.

      Io sono francamente terrorizzato, perchè è il più grande conflitto armato per mobilitazione di uomini dalla Seconda Guerra Mondiale, il nemico è la Russia, e la guerra è calda, e la gente sta molto, MOLTO più matta.

      Peggio, arriva da fantasie di complotto, vaccate e da due anni di disciplinamento, legge marziale e caccia al panciafichista collaborazionista non allineato.

      La repressione e il divieto di manifestazioni è alle stelle, e la gente s’è anche abituata, non ci prova neanche a marciare con una bandierina arcobaleno (_a questo punto_ la c.d. fine sociale della pandemia tanto invocata su giap dovrebbe farsi vedere entro tre giorni, altrimenti non arriverà mai).

      Penso sia utilissimo riflettere sul rapporto tra il tempo presente, i due anni trascorsi e quelli prima ancora, la dialettica di QAnon, Donald Trump, le fantasie di complotto, il nemico interno e le sue visite in DPRK.

      Mi sembra che si respiri un’aria diversa, la peggiore degli ultimi 50 anni.

      Ho paura.

      • Premesso che noi al momento siamo indebolitissimi e non assolutamente in grado di gestire una discussione sulle sorti del mondo alla luce del conflitto russo-ucraino – anche perché una discussione seriamente antimilitarista e antimperialista è resa impossibile dalla logica degli opposti schieramenti, da un lato l’atlantismo liberal e dall’altra l’equivoco “campista” su Putin, lo abbiamo sperimentato nel 2014, figurarsi adesso con l’escalation! –, e dunque speriamo vivamente non ne parta una qui, sotto un breve post di precisazioni su QAnon…

        Premesso questo, dicevo, vorrei solo precisare che l’espressione «fine sociale della pandemia» non è nostra, e che noi la usiamo in un’accezione piuttosto diffusa e “minimalistica”. Nel maggio 2020 il NYT pubblicò un articolo che riassumeva il dibattito storico sul tema, e lì si diceva chiaramente: la fine sociale di una pandemia si verifica «because people grow tired of panic mode and learn to live with a disease». Cioè «fine sociale» significa solo che la paura del virus cala significativamente e la gente comincia a comportarsi di conseguenza – cosa che ormai sta avvenendo più o meno in tutto il mondo, e infatti anche molti stati che avevano adottato la strategia Zero Covid l’hanno abbandonata da un pezzo –, non significa che l’intera popolazione apre all’istante gli occhi su tutto quel che è andato male nella gestione della pandemia, sulle politiche di controllo, sugli assetti di potere ecc.

        Riguardo al conflitto sociale post-pandemico: in Italia segnali ce ne sono, e non è vero che non ci siano manifestazioni. Ci saremmo aspettati di vedere studenti medi attaccare una sede di Confindustria, come accaduto a Torino la settimana scorsa? Di vedere decine e decine di occupazioni scolastiche produrre documenti contro il PNRR e il governo Draghi? Di vedere crescere tra i giovanissimi una nuova consapevolezza del ruolo repressivo delle forze dell’ordine? Dopo questi due anni di abissale depressione giovanile? È un molteplice segnale di vita e vitalità, e una risposta a chi quei giovani li ha colpevolizzati. C’è ancora confusione riguardo alla lettura dei due anni pandemici, perché raramente la contestazione del governo si accompagna a una rilettura critica delle misure prese dal lockdown in avanti, ma quella lettura critica non l’hanno saputa fare compagni presuntamente “scafati” e teoricamente preparati, non si può pretendere che ce l’abbiano “ready-made” adolescenti alla loro prima esperienza politica. L’importante, per me, è che questo segnale sia conflittuale nella direzione giusta. La talpa scava e non sempre sappiamo a che velocità lo fa, dove passino i suoi cunicoli, quando e dove spunterà alla luce del sole. Movimenti nasceranno, è inevitabile.

        Altro discorso è lo “scacco” che ha subito storicamente l’antimilitarismo, in occidente e in particolare in Italia, dove uno schieramento politico-culturale trasversale ha lavorato alacremente per spargere ovunque tossine nazional-patriottiche, autoritarie, militar-feticiste (ah, le Frecce Tricolori!) e guerrafondaie, tra falsi storici, acritici revival e celebrazioni istituzionali di presunti momenti “gloriosi” della patria (El Alamein, o addirittura la guerra sottomarina della X MAS, e persino i bombardamenti sull’Inghilterra al fianco dei nazi!). Oggi il militarismo è pienamente sdoganato e non è messo in questione da quasi nessuno, i militari entrano nei programmi scolastici delle elementari e non si inarca quasi nessun sopracciglio, è veramente difficile ricostruire un discorso antimilitarista.

        Riguardo alle conseguenze che avrà sulle nostre vite la situazione ucraina, è troppo presto per capirlo bene. Per il momento, non ci proviamo nemmeno. Non siamo in grado di smaltire la posta arretrata, figuriamoci se possiamo riportare Giap in modalità “discussione-fiume emergenziale”.

      • Ciao Rinoceronte, spero tu stia bene, anche se capisco che un po’ di preoccupazione è dovuta. Volevo dare il mio contributo cercando di unire come posso i fili sia della situazione Russa/Ucraina sia del discorso sulla pan-narrativa in stile repubblicHIno.
        Mi pare di notare nel mainstream, e non solo, che molti, proseguendo il trend della spaccatura sociale forzata iniziato da due anni, stiano montando qualcosa di più che la tentazione di appiccicare ulteriori post-it di stimmatizzazione in fronte ad un certa quantità di persone: quelli del pro-putinismo e del QAnonismo.

        In sostanza i cattivi sono:
        1) no vax
        2) QAnonisti
        3) fascisti per definizione
        4) pro putin
        I buoni invece sono:
        1) atlantisti
        2) sinistri
        3) imperialisti, militaristi, neoliberisti perché… beh che vuoi è l’unico orizzonte
        4) pro vax

        Chi non si trova né di qua né di la, nella migliore delle ipotesi, é rossobbbruno(vedi i tenutari). Ritengo che ci sia urgenza di connotare mobilitazioni come nè-di-qua-nè-di-la, d’altronde dovrebbe essere la posizione ovvia per un marxista vetero.

      • «Mi sembra che si respiri un’aria diversa, la peggiore degli ultimi 50 anni. Ho paura».

        Se mi posso permettere Rhino: get the fuck out of there, compagno. E siccome il pezzo tratta di fantasie di Qomplotto:

        «Facendo ricerche sul cospirazionismo occulto, prima o poi ci si ritrova a dover affrontare un incrocio di proporzioni mitiche (che “gli addetti ai lavori” chiamano Chapel Perilous). Si oltrepassa diventando completamente paranoicǝ o agnosticǝ; non esiste terza via».

        «Chapel Perilous, come quella misteriosa entità chiamata io, non è localizzabile nel continuum spazio-temporale; non ha ne peso, ne odore o sapore ed è impercettibile alle strumentazioni ordinarie. Infatti, come l’ego è persino possibile negarne l’esistenza. Eppure, ancor più dell’ego, una volta che ci sei dentro, non sembra esserci più modo di uscirne, finchè all’improvviso scopri che è una creazione del pensiero e che non esiste al di fuori del pensiero. Ogni cosa di cui hai paura è li ad attenderti con la bava alla bocca nella Chapel Perilous ma se sei armato con la bacchetta magica dell’intuito, il calice della simpatia, la spada della ragione e il pentacolo del valore, troverai là (dice la leggenda) la Medicina dei Metalli, l’Elisir della Vita, la Pietra Filosofale, Vera Saggezza e Perfetta Felicità».

        «Questo ciò che dice la leggenda, e il linguaggio del mito è poeticamente preciso. Per esempio, se ti avventuri in quel regno senza la spada della ragione perderai il senno, ma allo stesso tempo, se ti porti soltanto la spada della ragione senza il calice della simpatia perderai il tuo cuore. Ancor più sorprendentemente, se ti avvicini sprovvisto della bacchetta magica dell’intuito, puoi rimanere davanti alla porta per decenni senza renderti conto di essere arrivatǝ. Pensi magari di stare soltanto aspettando l’autobus, o girando per casa cercando un pacchetto di sigarette, guardando un show in TV o leggendo un libro criptico e ambiguo, Chapel Perilous è insidiosa in quel senso».

        Queste le parole di R.A. Wilson per descrivere quello che in essenza è uno stato mentale nel quale spesso ci si ritrova, volenti o nolenti, se si ha una mente inquisitiva e (aggiungo io) specialmente in questi tempi di iper-connessione e si cerca in qualche modo di dare un senso a ciò che accade nell’universo, guerre vicine o lontane incluse.

      • Purtroppo negli ultimi 50 anni di situazioni di merda di questo tipo ce ne sono state molte. Nella mia *personale* classifica il momento peggiore è stato il ’91, l’inizio della guerra in Jugoslavia. Abitando a 300m dal confine l’ho visto accadere dal vivo. I primi spari tra l’esercito federale e la guardia territoriale slovena li ho letteralmente sentiti con le mie orecchie. Nei giorni successivi, ricoverato in ospedale per un’appendicite acuta da stress, ho condiviso la stanza con un camionista bosniaco rimasto bloccato a Gorizia dalla guerra e da un’ulcera da stress, e lì ho visto per la prima volta nella mia vita direttamente negli occhi di una persona cosa sia la disperazione. Uscito dall’ospedale, con l’incoscenza necessaria dei vent’anni, ho preso la bici e la tenda e me ne sono andato oltre il confine risalendo in totale solitudine la valle della Soča, per vedere cosa succedeva. Per fortuna non succedeva niente. Invece quel che è successo da quel momento in poi e nei dieci anni successivi a soli 200km di distanza lo abbiamo completamente dimenticato (compresa l’infatuazione di troppi compagni per Milošević). Questi due anni di narcolessia pandemica forse hanno accelerato il processo di amnesia, ma il processo era già avviato da tempo.

      • Non voglio aprire una discussione senza “focus”, lungi da me.

        Tuttavia, mi pare evidente che la paranoia come pure la paranoia di second’ordine sia, insieme al distacco e alla negazione della realtà su tantissimi fronti (da “non può succedere veramente” a “è un complotto dei sovranisti”) sia la cifra del momento presente, e impedisca di mettere a fuoco la situazione o di attivare anche quegli anticorpi antimilitaristi che, dopotutto, si sono sempre attivati in momenti come questi (anche nel 1991 o nel 2003, certo, mai abbastanza).

        I tweet di Zelensky su Draghi (che nel frattempo annuncia il ritorno al carbone, altro che Greta), Tuiach che gira con la bandiera russa, i Talebani che invitano alla pace su Twitter (!!!)…

        Al contempo c’è gente su Facebook e alla macchinetta del caffè che sputa sulle poche manifestazioni per la pace “perchè ci sono i veri problemi”, come il prezzo del gas per le famiglie (…).

        E parlo di gente che vent’anni fa metteva alla finestra la sua ipocrita bandierina arcobaleno.

        È tutto un casino, siamo nel post-post-verità, post-post-ragione, post-tutto. Paranoia pura.
        Mi sembra che quasi nessuno sia immune.

        Per questo, ho paura.

        @dude non ho capito se il tuo è un “get out” o un… “get out”, ma grazie per aver ritirato in mezzo R.A. Wilson.
        Per quanto io in questo momento la mia fede bokononista non possa che rafforzarsi.

        • Però non mitizzerei troppo l’attivazione degli anticorpi antimilitaristi del ’91. Nel ’91, come ora, di lucidità ce n’era poca, e molti compagni non capivano un cazzo. Ce ne sono alcuni che ancora adesso ritengono Milošević e Mladić degli eroi del socialismo – Arkan no, ma solo per via di quello striscione dei tifosi della Lazio. E Draghi è quasi un chierichetto, in confronto a Cossiga. Nel ’91 Cossiga mandava Fini e Menia a Belgrado a trattare un appoggio italiano alla Serbia in cambio della “restituzione di Istria e Dalmazia”. Salvo poi fare il salto della quaglia e diventare filocroato, in ottemperanza alle direttive vaticane. Pannella invece aveva indossato fin da subito la divisa dei paramilitari croati. E così via. Comprese le minchiate di Giovanni Lindo Ferretti sui “valorosi uomini serbi impastati d’ anima e sangue”, ma non infierisco su di lui perché ha già infierito da solo. Dico queste cose non per sminuire quel che sta succedendo ora, anzi; ma per ricordami e ricordarci che c’è un passato prima del covid, che nel bene e nel male (in questo caso nel male) non è vero che “niente sarà più come prima”. Al contrario. It’s all the same fuckin’shit.

          • Lo fa notare anche Wolf Bukowski nel pezzo uscito oggi su Napoli Monitor:

            «Poi di mezzo c’è stato il Covid, e la torva brigata della sinistra pandemica – chiusa in casa a urlare sui social contro fantasmi che le apparivano come trumpiani e complottisti, placandosi solo quando guardando Netflix credeva di leggere Gramsci – ha sentenziato che nulla sarebbe stato più come prima. E invece, scorno massimo…»

            • Giuro che è l’ultimo, a meno di sconvolgimenti epocali.

              Ma a proposito di Wolf, non posso, non posso trattenermi da riportare integralmente il post di Milena Gabanelli di pochi minuti fa.

              È il cappello a tutta la deriva degli ultimi anni, da unovaleuno a votewithyourwallet a #iorestoacasa.

              Siamo alla parodia della parodia della parodia di “soluzioni autobiografiche di consumo a problemi sistemici”.

              Altro che Cossiga e ’91 (grazie Tuco per aver condiviso il ricordo), qui siamo finiti dentro un film di Terry Gilliam.

              Amici, i governi stanno facendo grandi condanne a parole, ma temo non applicheranno sanzioni che fanno cambiare idea al criminale del ventunesimo secolo! Saremo come sempre noi cittadini a subirne le conseguenze finali. Ma siamo noi cittadini la forza dei governi! Allora mostriamola: teniamo i riscaldamenti più bassi di un grado, spegniamo le luci di casa un po’ prima, e il computer quando non lo stiamo usando, facciamo andare la lavatrice solo quando è piena, i piatti laviamoli a mano.

              È un sacrificio piccolissimo che fa risparmiare almeno 1 kwh al giorno, che per 30 milioni di famiglie fanno 30 milioni di kwh al giorno. Fanno 1,5 miliardi metri cubi all’anno.

              Non è un grande shock al gas russo (ne importiamo 28 miliardi di metri cubi), ma è un inizio, che oltre a far bene al nostro portafogli, segna una presa di posizione collettiva.

              Facciamolo! Io ho già iniziato.

              Milena Gabanelli

  2. Quello che vedo in amici e conoscenti (e in me stesso) è una grandissima stanchezza. Verso la geopolitica, la ragione di stato, le ragioni storiche, le ragioni economiche, le ambizioni di Vladimiro e quelle del capitalismo, a cui la guerra fa comodo ma anche no. Verso l’informazione mainstream, che dopo due anni di virologi ora ci propina generali e strateghi militari, e che sta già replicando lo schema ormai noto del creare un clima di ansia, paura, sensazionalismo e spettacolarizzazione del dolore. Quindi, per quel che mi riguarda, non ho paura, né rabbia, né confusione, né ansia, né stupore, vivo solo una genuina, totalizzante, asettica rottura di coglioni. Con tutto il rispetto per le vittime che ci sono già state e ci saranno.
    PS. Negli anni ’90 non ci siamo scomposti più di tanto per la Jugoslavia, che era fuori dalla porta, non ci scomporremo per l’Ucraina.

  3. Ciao a tutti e specialmente a Rinoceronte, a cui ricordo che un ministro dell’ambiente (Clini) aveva dichiarato che le mutande si possono cambiare anche ogni quattro giorni, che problema c’è, meno consumi di acqua ed energia da parte della gente e il gioco è fatto, questione climatica risolta o quasi.
    Niente, ha ragione chi ha già scritto che le cose non sono cambiate e non cambiano, ogni giorno e’ una lotta per non perdere la traiettoria mantenendo i riferimenti e cercandone di nuovi e più saldi quando quelli vecchi iniziano a fare dubitare di essere sveglio, almeno per capire dov’è il cuore dei problemi – ad esempio, come può essere che una ex inviata di guerra come la Gabanelli arrivi al punto di definire “sacrifici”, per quanto “piccoli”, il lavare i piatti a mano e il ricordarsi di spegnere il PC se non lo usiamo.

    • Ciao a tutti.
      Anche io non voglio imperversare i Wu Ming.
      Ma vorrei dare testimonianza di un fatto avvenuto almeno in un altra città in Italia, da quanto mi hanno riportato alcuni compagni:

      https://www.24emilia.com/reggio-alla-manifestazione-per-la-pace-in-ucraina-anche-una-bandiera-neonazista/

      La presenza di bandiere della destra nazionalista ucraina o con simboli che si rifanno al nazismo all’interno delle manifestazioni per la Pace nel nostro paese.

      E che l’Italia, dalle ultime agenzie, invierà armi in Ucraina, insieme ad altri paesi Europei -Germania, Belgio ed Olanda- e che presto, in tal senso, si esprimerà anche l’unione europea.
      A queste cose credo bisogna dare massima diffusione.

      • Ci sono manifestazioni del tipo (sto parafrasando) «né con la Nato né con Putin, contro tutte le guerre e tutti gli imperialismi», e quelle sono manifestazioni, semplificando, per la pace. Ma sono poche rispetto alle altre, quelle più mediatizzate, che sono manifestazioni solamente contro Putin, ergo all’insegna del «viva l’occidente», ergo all’insegna del «viva la nostra politica di potenza, viva la Nato, viva l’ordoliberismo UE» ecc. Ecco, queste sono oggettivamente manifestazioni per la guerra.

        Quando c’è una guerra e si manifesta solo contro il nemico, si sta manifestando pro guerra, non ci sono cazzi. Un principio basilare delle mobilitazioni anti-guerra, antimilitariste, pacifiste ecc. dal 1914 in avanti – ma in realtà già prima, quando il movimento operaio manifestava contro le guerre coloniali – fu sempre: «se non si denuncia in primis il proprio imperialismo, non si è credibili quando si denuncia quello degli altri».

        Con antimilitarismo e pacifismo bisogna veramente ricostruire, ripartire dall’ABC, recuperare tutta la storia di chi si oppose a eserciti e guerre, di chi sabotò, di chi disertò, delle lotte per il disarmo nucleare, per l’obiezione di coscienza ecc.

        Ieri sera ho visto la trasmissione di Fazio, un programma che si presentava come buonista e pacifista ma in realtà demonizzante verso qualunque cosa non sia l’occidente neoliberale, e profondamente bellicista. Infotainment completamente embedded. Solo Marc Innaro da Mosca, ancorché con molte cautele e circonlocuzioni, ha cantato fuori dal coro, cercando di problematizzare, parlando delle responsabilità del blocco Nato, delle guerre americane di cui oggi sembra non ricordarsi più nessuno. In studio hanno tacitamente convenuto di ignorare quel che aveva detto.

        [Per inciso: mi sembra che se a «Putin» sostituissimo «il Covid», la retorica da Union Sacrée apparirebbe in piena continuità con quella degli ultimi due anni.]

        Dall’altro lato, il filoputinismo de noantri appare minoritario, ma è davvero ripugnante, lo abbiamo sempre trovato ripugnante e lo abbiamo scritto. Il culto di Putin lo abbiamo visto crescere nei primi anni Dieci occupandoci delle “guerre culturali” nel Nordest italiano (l’indipendentismo triestino, le contraddizioni della Lega tra autonomismo e nazionalismo ecc.), da lì si è esteso in tutto il Paese, trasversalmente, “rossobrunizzando” il dibattito, rendendo indistinguibili – almeno in politica estera – stalinisti e fascisti, seminando confusione, rimpiazzando l’opposizione alla guerra con il tifo geopolitico ecc. Una bancarotta ideologica ed etica (e anche estetica, mi sento di aggiungere).

        • Fazio e la claque “pro-occidente” è del tutto agghiacciante.

          A questo proposito è rinfrescante, per una volta, leggere Padre Zanotelli su il manifesto e Cannavò su Jacobin; quest’ultimo analizza e problematizza molto bene: https://jacobinitalia.it/non-si-deroga-al-no-alla-guerra/

          Ancora più agghiacciante è la notizia che l’UE (l’UE che si è sempre auto-narrata come costruttore-di-ponti-generazione-erasmus-pace-amore-mercato) stia inviando “aiuti letali” all’Ucraina, come i fessi che invocano ancora, ancora l’Esercito Europeo.

          Se queste istituzioni riescono a salvare ancora una volta la faccia è perchè il mondo si è imbarbarito ulteriormente.

          A margine, ho visto di recentissimo Segnali D’Allarme di Elio Germano, che consta essenzialmente di una serie di citazioni di Hitler infilate dalla meno outrageous (tecnocrazia, antiparlamentarismo, burionismo ante-litteram) alle più stereotipicamente nazi.

          Lo spettacolo è stato registrato nel 2019, e nel 2022 ho visto gente uscire dal teatro e affermare che “pareva tutto ragionevole fino a tre quarti”.

          Alcune posizioni sono state rese addirittura più accettabili.

          Non un buon segno.

          > Mi sembra che se a «Putin» sostituissimo «il Covid», la retorica da Union Sacrée apparirebbe in piena continuità con quella degli ultimi due anni.

          A questo proposito (che palle con questo Covid, vero? Ma è un MacGuffin il Covid, non è quasi mai il succo della storia) la memoria non può non tornare a quando, nel 2020, Putin mandò in Italia dei tizi in divisa, accolti con tutti gli onori, a “sanificare le strade” con l’amuchina — presto imitati dai sindaci — e soprattutto aggirarsi intorno ai siti nucleari NATO.

          All’epoca era stata bollata come PR stunt ingenua (il KGB, noto per la sua ingenuità…), ad oggi mi faccio sempre più persuaso si sia trattato di un’operazione di spionaggio ma soprattutto un tentativo di instillare paranoia nel nemico (normalizzare le divise, sanificare le strade…)

          Mentre questo accadeva, da noi si andava a caccia del negazionista e si creava un maccartismo contro il nemico interno, mentre la Russia quella vera ammassava con calma armi intorno all’Ucraina.

          Con discreto successo, parrebbe.

          Di recentissimo sono stato nel mezzo di una rissa tra vecchi amici, avente per oggetto la moglie di uno, incautamente chiamata “no vax di merda”.

          Chapeau.

          • A proposito della storia rievocata da Rinoceronte, e che oggi è convenientissimo dimenticare, ricordo il mitico video di Corriere TV «I russi arrivano a Nembro per la sanificazione» (non lo linkiamo, basta cercare il titolo).

            In quei giorni Putin non era l’Arcinemico, benché vari scienziati e le ARPA di varie regioni facessero già notare che tale “sanificazione” delle strade era del tutto inutile, antiscientifica e terribilmente inquinante.

            In seguito, della vicenda scrissero in pochi. Oggi ne restano poche testimonianze, tra cui quest’articolo su Formiche.net.

            Ad ogni modo, di precisazione in precisazione, temo che, oltre a essere sempre più OT rispetto al post, stiamo scivolando nella modalità solita, che appunto non siamo in grado di gestire. Ragion per cui, io mi fermo qui.

            • Meta-OT (sono una persona di merda, lo so):

              Capisco molto bene come i WM abbiano la pretesa di fare gli scrittori e non i moderatori di discussioni-fiume (o “la coscienza critica della sinistra”, lol).

              Purtuttavia,

              1. In qualche modo in questo spazio commenti si viene a creare seppure in modo vago una comunità nel senso di soggetti che hanno una (piccola) storia e memoria in comune.
              Al di fuori di Giap è difficile o impossibile interagire con molti di questi soggetti (non abbiamo un’email o un nomereale).

              2. Non c’è tutta questa offerta di spazi dove si possano fare certi discorsi, specie per chi vive a millemila chilometri dalle Torri di Bologna.

              Mi chiedo se la soluzione che pacificherebbe i WM e noi cani rabbiosi non possa essere costruire uno spazio autogestito dove portare avanti queste discussioni a fiume, dove i fiumi di logorrea possano essere rediretti.

              Mi rendo conto che questo approccio possa avere delle sue criticità, ovviamente.

              Il bello anzi bellissimo della “vecchia” Internet semi-centralizzata è che roba come Usenet permetteva di gestire meglio queste cose, fare lo “spin-off” di una discussione nel newsgroup appropriato e fare su in quattro e quattr’otto un nuovo ng (it.poltica.antimilitarismo.bavabeccaris, perchè no) qualora abbastanza gente ne sentisse il bisogno.

              Ai tempi provai tirare su una mailing list che linkai in fondo a una discussione, ma per motivi anche evidenti si spense subito.

        • Sulla necessità di opporsi a tutte le guerre e dello slogan “Né con Putin, né con la NATO”, avevo scritto un thread su Twitter dal titolo “Disertare ora, disertare sempre”.

          Se a qualcuno interessa e non utilzza Twitter, qui c’è l’UnRoll del tread:
          https://threadreaderapp.com/thread/1497342557600325634.html

          Raccomando in particolare i link interni all’articolo di Civiltà Cattolica (spiace, ma) sulla storia degli ultimi anni dell’Ucraina e il thread di Joseph Kishore sui precedenti NATO/USA.

          Sono ormai più di 50 anni che combatto il militarismo e le guerre e vivere l’ipocrisia di questi giorni, in cui “la gente” ti dice “occorre prendere posizione perché adesso c’è un invasore” è disperante.
          Sono 8 anni che nel Donbass c’è la guerra e la gente muore nella completa indifferenza dei media e dei politici.

          Nel 2014 fu emanato l’embargo nella fornitura di armi all’imperialista sovranista criminale Putin per le minacce all’Ucraina e nel 2015 l’Italia (membro NATO) gli ha venduto 25 milioni di euro di armi. Ben sapevamo cosa ne avrebbe fatto.

          Ora, dovremmo nascondere questi fatti, così come dovremmo nascondere che in Ucraina l’esercito è composta dal battaglione nazista Azov, che massacra russofoni ed ebrei.

        • A proposito di prospettive anti militariste, per chi se la fosse persa, trascrivo la meravigliosa parte conclusiva dell’intervento di Slavoj Žižek apparso sul fattone quotidiano del 25/2.

          “[…]
          Per concludere con la domanda di Lenin: che fare? Chi, come noi, vive in Paesi che si ritrovano spettatori della triste commedia dello stupro(attacco imperialista all’Ucraina n.d.r.), deve sapere che solo una decisa castrazione potrà impedirlo. Non possiamo che raccomandare che la comunità internazionale effettui una simile operazione chirurgica sulla Russia, e, in certa misura, anche sugli Stati Uniti: ignorandoli e marginalizzandoli il più possibile, trattandoli come imbarazzanti oscenità, come qualcuno che vediamo defecare sulla pubblica strada; e assicurandosi che al posto della loro autorità globale non cresca più nulla.”

          • Ah, Žižek ha cambiato di nuovo pusher? L’ultima volta che l’ho letto invitava a votare Trump per far collassare il sistema… Ricordo con grande astio le sue prese di posizione contro il movimento no border e certe sue “analisi” al limite del complottismo sulla crisi dei rifugiati nell’autunno del 2015. Ricordo molto bene la sensazione di sconforto e di catastrofe incombente che provavamo commentando le sue cazzate mentre manifestavamo a Dragonja contro le barriere di filo spinato posizionate dal governo sloveno lungo il confine con la Croazia.

            Btw il giudizio migliore su Žižek lo ha cantato Marc Ribot…


            A thousand post-modern philosophers
            Each more counterintuitive than the next
            Articulate their thought in Cosmopolitan magazine
            Žižek says that Donald Trump is the Lenin of today
            Isn’t he amazing?
            He’s just amazing
            I’m just amazed

            Oh, what will Žižek think of next?
            What will Latour and Žižek think of next?

            Vegetables are people
            In a flat ontology
            Isn’t it amazing?
            It’s just amazing
            I’m just amazed

            https://yewtu.be/watch?v=kxS3wMYYRqI

        • Solo, a mo’ di poscritto al commento, un duplice riferimento biblio-autobiografico.

          Nei nostri due libri del 2015, Cent’anni a Nordest e L’invisibile Ovunque, riflettemmo – con gli strumenti dell’inchiesta e della letteratura – sul centenario della Grande Guerra, e su come l’Italia lo stava celebrando, e lo facemmo anche avendo in mente le guerre jugoslave degli anni Novanta, nonché alla luce del conflitto in Ucraina. Perché, conviene ricordarlo, l’Ucraina è in guerra dal 2014.

          Ne concludemmo che, cent’anni dopo la prima guerra mondiale, il nostro Paese e in certa misura l’Europa tutta avevano più che mai bisogno, e sempre più avrebbero avuto bisogno, di anticorpi antimilitaristi, di esempi di diserzione, di rifiuto di ogni intruppamento ecc. Perché quella del continente sul cui suolo non si sarebbero più combattute guerre era una fola e nient’altro.

          Non esito a dire che, sette anni fa, quei due libri non furono granché compresi, e nemmeno granché apprezzati. Chissà, magari riletti oggi potrebbero risultare di qualche utilità.

        • “[Per inciso: mi sembra che se a «Putin» sostituissimo «il Covid», la retorica da Union Sacrée apparirebbe in piena continuità con quella degli ultimi due anni.]”

          Come sempre, la realtà supera la fantasia…

          https://www.dailymail.co.uk/femail/article-10551251/Did-Covid-send-Putin-mad.html

          E’ un Putin-abito! Sotto c’è sempre lui, il Covid!

          Comunque noto che in effetti una parte consistente della compagneria che voleva eradicare SARS-CoV-2 anche a costo di eliminare i serbatoi animali del virus (sic), adesso vuole eradicare Putin anche a costo di scatenare la terza guerra mondiale. Perché altrimenti, dicono, non stai facendo nulla e lo stai lasciando libero di seminare morte in giro per l’Europa. Ricorda qualcosa questo schemino?

          Sinceramente non mi sembra poi così strano vederli in piazza coi fan di Pravyi Sector. Certo, a pensare alle pippe che si facevano sull’ambiguità dei compagni in piazza contro il green pass, viene da ridere. Adesso evidentemente non è più un problema la vicinanza coi fascisti. Né quella coi no-vax (in Ucraina è vaccinato solo un terzo della popolazione).

          Quanto all’altro schieramento, devo dire che i comunisti che stanno con Putin anche dopo che lui stesso ha dichiarato al mondo intero che li schifa, mi fanno anche un po’ compassione. Ma come cazzo si fa…

          • Si fa, credo, che come sempre è una questione di dati, di informazioni che si hanno a disposizione. Chi sta con l’Ucraina senza se e senza ma, vede solo le immagini mandate ossessivamente dai media dei padri che si separano dai figli, delle colonne di auto alla frontiera, delle file di gente davanti ai supermercati, dei sotterranei della metropolitana trasformati in bunker antiaereo, del gelo affrontato con i giubbini. E sfido chiunque a non solidarizzare. Chi sta con Putin senza se e senza ma vede solamente l’uomo solo che sfida l’occidente, dimenticando che quell’uomo solo è l’occidente, è la parte peggiore dell’occidente, col capitalismo degli squali, con l’arroganza del più forte, con la prepotenza del potere.
            Ad avere più dati (o meno pigra malafede)si capirebbe cosa c’è dietro (e non sto complottando, naturalmente), si capirebbe perché il Donbass, perché la Crimea, perché un’Ucraina dell’est e una dell’ovest, perché di un popolo che si oppone ai carri armati con i trattori, perché i nazifascisti e perché la realtà non è bianca e nera.
            Ma procurarsi i dati richiede tempo, volontà, senso critico, strumenti che spesso non si hanno, o fa comodo non avere.

            PS Mi sa che ci stiamo pericolosamente avvicinando allo sbroccamento dei tenutari.

            • Epperò.

              Lo dice in qualche modo anche Bifo che Robert Habeck (dei Verdi) che partecipa convinto al riarmo della Germania e all’invio di armi e rilascia interviste con una retorica stucchevole, che la copertina del TG1 di ieri sera con la musica struggente di Ludovico Einaudi (puro infotainment oltre che un favore alla CIA), che tutto “l’impensabile” che è diventato pensabile dalla sera alla mattina (come ormai è la norma) sono fatti della stessa sostanza di cui è fatto QAnon e le fantasie più sfrenate: paranoia e psicosi.

  4. Ciao. È ormai uno scontato dato di fatto che la stampa italiana abbia scelto come chiave di interpretazione la polarizzazione delle posizioni a vantaggio di una semplificazione giustizialista. Non dovrebbe, quantomeno, destare sospetto questo “schema di gioco” tra chi ha un po’ di senso critico? Ma perché ci sta succedendo questo? Che cosa spinge la stampa italiana alla forsennata, disonesta, sbirresca ricerca di un capro espiatorio da additare che sia sempre “attuale” e valido al fine di mantenere alte tensione e paura? Come si può credere ad una narrazione che dipinge il male tutto da una parte ed il bene tutto dall’altra?… È pessima “letteratura”. Ha a che fare con l’ essenza o la quintessenza della ” sinistra” pro Nato e per Bava Beccaris?
    E forse la spiegazione è questa: “si nega ogni rapporto di causalità o anche solo di correlazione tra queste mobilitazioni e problemi sociali reali, non è ammesso parlare di espressione di soggettività dal basso, di spontaneità e autorganizzazione, di orizzontalità delle dinamiche, perché deve per forza esserci una gerarchia nascosta” Aggiungo che non è ammesso sollevare alcuna obiezione e come è capitato questo costa immediatamente una denuncia, oltre che l’esclusione sociale.
    L’ opprimente gerarchia c’è, alla luce del sole. Ma quella nascosta è il bersaglio contro cui inveire dal salotto di casa propria.
    In questo panorama di merda, anch’io, mi rallegro che gli studenti prendano posizioni molto più radicali dei loro intossicati genitori. Che siano, “in sostanza” , più lucidi degli adulti.
    Imparano l’antimilitarismo sulla loro pelle, purtroppo venendo picchiati, da quelle forze dell’ordine che difendono solo l’ordine costituito. Per questo appare sempre più evidente che puoi prendere posizione contro le ingiustizie solo perché le senti, nonostante cerchino continuamente di narcotizzarti. Come succede a tanti studenti spesso incompresi anche dai genitori, oltre che dagli insegnanti e da tanti adulti. Dopo due maledetti anni di pandemia. E non si tratta di una singola ingiustizia. Ma di un fardello ormai enorme sulle nostre spalle.
    “La talpa scava e non sempre sappiamo a che velocità lo fa, dove passino i suoi cunicoli, quando e dove spunterà alla luce del sole. Movimenti nasceranno, è inevitabile.”
    “Non significa che l’intera popolazione apre all’istante gli occhi su tutto quel che è andato male nella gestione della pandemia, sulle politiche di controllo, sugli assetti di potere ecc.”