Non gelan le radici più profonde. Tolkien e la letteratura della Quarta Era.

Come avevamo annunciato a luglio scorso, l’ultimo mese dell’anno – e del decennio – saluta l’uscita del primo numero de I Quaderni di Arda – rivista di studi tolkieniani e mondi fantastici. Si intitola «Tolkien e la letteratura della Quarta Era» e contiene gli atti dell’omonimo convegno internazionale, che si è tenuto a Trento due anni fa, con l’aggiunta di un saggio di Edoardo Rialti e dell’articolo redazionale che riportiamo qui sotto.

L’edizione digitale è disponibile da oggi sul sito della rivista, con tutti i testi in versione integrale.

NON GELAN LE RADICI PIÙ PROFONDE

Questo primo numero dei Quaderni di Arda raccoglie gli atti del convegno tenutosi all’Università di Trento nel dicembre del 2017, intitolato “Tolkien e la letteratura della Quarta Era”. In quelle due giornate di studio, professori italiani e stranieri hanno tracciato molti legami e parallelismi tra l’opera di Tolkien e la produzione letteraria del suo tempo, accostandolo ad alcuni grandi scrittori del Novecento. Tolkien è stato indagato come autore non soltanto capace di recuperare una lunga tradizione di fonti storico-letterarie, ma soprattutto di rimetterle in gioco, di rilanciarle sul tavolo verde della narrativa del XX secolo, in una chiave originale.

L’immagine più efficace in questo senso la si trova nel saggio di Fulvio Ferrari, che vede Tolkien non già come un rifondatore, come un punto a quo, ma piuttosto come un crocevia per il quale è necessario passare muovendosi in molte direzioni attraverso il genere fantasy e fantastico. Alessandro Fambrini aggiunge anche la fantascienza, ricordando che Isaac Asimov (a sua volta letto da Tolkien) stimava e traeva ispirazione dalla narrativa tolkieniana; per altro, nell’ottima compagnia di un’altra grande autrice, Ursula K. Le Guin. Senza dimenticare, aggiunge Allan Turner, che Mary Renault assistette alle lezioni di Tolkien a Oxford e in buona misura seguì il suo esempio, ancorché rielaborando e romanzando fonti classiche e non germaniche.

La riflessione di Tolkien sul proprio lavoro narrativo è sempre stata profonda ed è proseguita nel corso del tempo, nel dialogo con amici, colleghi e lettori, come si evince dall’epistolario, analizzato da Lorenzo Gammarelli. Immancabile, poi, dato il contesto italiano, doveva essere il punto di vista di un traduttore e insegnante di traduzione come Andrea Binelli, che prende in esame alcuni passaggi delle traduzioni storiche delle opere di Tolkien nel nostro paese, evidenziandone certe peculiarità, e ricordandoci che «ritradurre è un’attività fondamentale […] per la vita culturale di un paese».

Ma è soprattutto nel confronto con alcuni grandi “colleghi” narratori e poeti che si annida l’importanza di questi saggi per gli studi tolkieniani italiani. Se Roberta Capelli e Saverio Simonelli rileggono Tolkien in parallelo con l’opera dei grandi bardi modernisti Pound e Yeats, Francesca Di Blasio scopre assonanze tra la riflessione sulla figura del narratore sviluppata da Tolkien e quella di Virginia Woolf; mentre Thomas Honegger mette a confronto l’attività mitopoietica del professore di Oxford e quella del coevo solitario di Providence, H.P. Lovecraft, che è un po’ l’omologo di Tolkien per quanto pertiene la narrativa horror. Al decano Shippey invece spetta ricordarci del debito – dichiarato – di Tolkien con il grande William Morris, il maggiore esponente di quel “medievalismo” ottocentesco che costituisce il retroterra della sua opera.

Il saggio più coraggioso, però, è senza dubbio quello di Testi – proposto qui in versione integrale -, dove si ripercorre la riflessione narrativa di Tolkien sul sogno, scoprendo un possibile dialogo a distanza niente meno che con il Surrealismo di Breton, e indagando il criptico concetto tolkieniano di “Faerian Drama”, enunciato nel celebre saggio Sulle fiabe e poi “esemplificato” nel Signore degli Anelli.

In coda, nell’apposita sezione “Off”, si aggiunge un lungo e illuminante saggio di Edoardo Rialti sul rapporto tra la narrativa di Tolkien e quella di due esponenti importanti del fantasy odierno, appartenenti rispettivamente a due generazioni successive: George R.R. Martin e Joe Abercrombie (dei quali Rialti è traduttore). Questo testo spinge lo sguardo in avanti fino al presente e interpreta perfettamente lo spirito con cui questa rivista vorrebbe affrontare la materia tolkieniana, cioè non già come venerabile reliquia, ma come terreno fertile in cui affondano le radici del fantastico contemporaneo e non solo.

L’auspicio è che studi come quelli qui raccolti aiutino il dibattito italiano ad andare oltre il frusto santino di un Tolkien estraneo al proprio tempo, sorta di eremita intento a rimpiangere un Medioevo ideale, in esclusivo dialogo con le fonti letterarie a lui care. Ormai da oltre un decennio il dibattito internazionale su questo autore è giunto a riconoscere che il dialogo di Tolkien era anche con la letteratura, l’arte e la cultura contemporanea, benché questo non rispondesse all’esigenza di essere engagé o fare parte di un qualche Parnaso letterario. Più si approfondisce l’indagine più si scoprono similitudini, minimi gradi di separazione, attriti e al tempo stesso reciproco interesse tra Tolkien e i modernisti, all’insegna di un comune riuso del mito, anche se con modalità molto diverse, o perfino contrapposte.

Tolkien va molto oltre Tolkien, sia perché lui stesso era assai meno avulso dal mondo di quanto si potrebbe pensare, sia perché la sua produzione narrativa ha influenzato e contaminato la letteratura della seconda metà del Novecento e continua a essere un punto di riferimento per gli autori di genere e non solo, oltre a essere oggetto di sempre ulteriori riletture.

Questo primo numero dunque è il biglietto da visita della rivista, che si propone a sua volta come crocevia, luogo di confronto tra il mondo accademico interessato a ragionare su certi temi e il più vasto fandom tolkieniano. I numeri avranno una periodicità annuale, tuttavia il sito conterrà anche una sezione “Extra” dove potranno essere pubblicati interventi e saggi tra un numero e l’altro.

Ai lati della testata della rivista compaiono due nani, che potremmo chiamare Durin e Dain. Sono i custodi di questo luogo, ne presidiano la porta, per così dire. Sono coriacei, agguerriti e hanno una vista acuta. Rappresentano bene lo spirito di questa impresa. Mentre le cornici laterali, rispettivamente con un motivo vegetale e uno petroso, non rimandano soltanto alla nota contrapposizione tra stile elfico e stile nanico, ma rappresentano la solidità della roccia, da un lato, e la capacità germinativa e di diramazione della pianta, dall’altro. Insomma questo progetto vuole crescere e protendersi in molte direzioni, ma ha le sue radici ben salde nell’attività di studio svolta almeno da tre lustri a questa parte, e che ha all’attivo già moltissime pubblicazioni e ben sei convegni internazionali. Dunque…

La Strada se n’va ininterrotta
A partire dall’uscio onde mosse.
Or la Strada ha preso una rotta,
Che io devo seguir, come posso,
Perseguirla con passo solerte,
Fino a che perverrà a un gran snodo
Ove affluiscono piste e trasferte.
E di poi? Io non so a quale approdo.

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