Cosa succede in Portogallo (e cosa ci siamo persi in Italia)

mareahumana

[Abbiamo chiesto a Paolo La Valle, un compagno di Bartleby che ultimamente ha frequentato in modo intenso la penisola iberica, di contestualizzare e raccontare la manifestazione che ha avuto luogo due giorni fa in tutte le città del Portogallo. Leggendo il suo racconto emergono svariate similitudini e differenze con quanto sta accadendo in Italia. Le differenze ci sembrano più evidenti: sia sul piano elettorale, sia su quello dei movimenti. Ad esempio è alquanto significativo che nelle piazze portoghesi si gridi uno slogan internazionalista, inneggiante all’estensione della lotta a tutti i PIGS… e che dall’elenco sia esclusa proprio l’Italia. Buona lettura]

1. Grandola, terra della fratellanza

José Afonso

José Afonso

«Grândola, vila morena / Terra da fraternidade / O povo é quem mais ordena / Dentro de ti, ó cidade.»
José Afonso, Grândola, vila morena

E’ appena scoccata la mezzanotte del 25 aprile 1974, quando dalle onde di Radio Renascença , viene trasmessa Grândola, vila morena , una canzone scritta e interpretata da José Afonso. Viste le parole di libertà e uguaglianza che ricorrono nella canzone, visto anche il fatto che la canzone è dedicata ad un’associazione operaia che è stata repressa dalle forze dalla polizia di Salazar, trasmettere la canzone è proibito dal regime che da oltre cinquant’anni domina sul Portogallo e sulle sue colonie. Il 25 aprile 1974 è il giorno in cui si pone fine a questo dominio.

La note di Grândola sono in realtà un segnale concordato che in tutto il paese dà inizio alle operazioni militari: nel giro di poche ore il Movimento de Forças Armadas prende il controllo del paese presentando un programma che prevede l’annullamento della censura, la libertà di associazione e l’elezione di una nuova assemblea costituente.

A Lisbona la popolazione si unisce ai militari, marciando nelle strade e arrivando a circondare il palazzo in cui ha sede la polizia politica. Il colpo di stato diventa una festa popolare di liberazione, una fioraia regala fiori alle truppe per salutare il loro arrivo. Questi fiori daranno il nome all’evento di quella giornata. L’espressione «Rivoluzione dei garofani» non rende l’idea degli anni di guerra contro i movimenti di indipendenza delle colonie (specialmente in Angola e Mozambico) che sfiancarono l’esercito portoghese portandolo a ribellarsi contro il regime. Né rende fede al complicato (e, in alcuni casi, sanguinoso) processo che seguì quel 25 aprile. Ma quell’evento segna un cambiamento epocale per il Portogallo che di lì a poco avrà una nuova Costituzione e abbandonerà l’impero coloniale che dura da centinaia di anni. L’identità del paese è destinata a cambiare radicalmente.

Quarant’anni dopo sono ancora tante le persone che hanno vissuto in prima persona quel 25 aprile, tante quelle che ricordano la repressione della polizia politica, tante quelle che hanno vissuto la guerra nelle colonie. Sebbene in Portogallo esista un problema di trasmissione della memoria storica fra le varie generazioni (si consiglia la lettura di Pais de Abril, Filhos de Novembro – Memória do 25 de Abril, di Tiago Matos Silva), gli elementi simbolici di quella giornata sono ancora molto presenti nell’immaginario dei portoghesi: sui muri dell’Universidade Nova di Lisbona ci sono dei disegni che richiamano le lotte universitarie e invocano una «escola de Abril», mentre i garofani appaiono ovunque come simboli della libertà.

Sabato 2 marzo 2013, una manifestazione contro la Troika e l’austerità raduna nelle strade di tutto il paese un milione e mezzo di persone, su un totale di dieci milioni di abitanti. Alle 18:30 in tutte le piazze risuona la stessa canzone, Grândola, vila morena. Era già successo, nelle manifestazioni precedenti, che la canzone venisse intonata a più riprese. Tuttavia l’evento che caratterizza la manifestazione di sabato è proprio il canto della canzone, che ha unito l’intero paese, fino ad arrivare addirittura all’estero: diversi portoghesi sono andati sotto le ambasciate portoghesi di tutta Europa.

I video che provengono dal Portogallo sono a dir poco toccanti : adolescenti, ventenni, genitori, compresi uomini e donne che hanno vissuto quel lontano 25 aprile, intonano l’inno ad alta voce ricordando al mondo e soprattutto alla classe politica che specula sulle loro (e nostre) vite che «o povo é quem mais ordena». È il popolo che più comanda.

2. Prolegomeno

«Eles comem tudo e não deixam nada.»
José Afonso, Os Vampiros

Queste manifestazioni moltitudinarie non sono nuove in Portogallo, già nel marzo 2011 centinaia di migliaia di persone protestavano contro la crisi economica che stava maturando.

All’epoca il governo era presieduto dalla coalizione del centro-sinistra guidata da José Socrates, eletto per la prima volta nel 2005 e successivamente rieletto nel 2009. Il suo partito (il Partido Socialista) era a capo della maggioranza con il 36% dei consensi, che andava ad unirsi ad un 10% del Bloco de Esquerda e all’8% portato dal Partido Comunista. Una coalizione solida che perse il controllo del parlamento proprio a causa delle misure di austerità.

Nelle elezioni successive, la destra di Passos Coelho conquistò una maggioranza netta, mentre il centro-sinistra crollò, con l’eccezione del partito comunista, che mantenne all’incirca la stessa percentuale di due anni prima.

A non cambiare fu il quadro economico: le misure di austerità, dettate dall’FMI e dalla BCE, rimasero e si inasprirono. Le manifestazioni continuarono. Le proteste erano caratterizzate inizialmente dalla presenza della cosiddetta Geração a Rasca, a generazione dei venti-trentenni senza garanzie, disoccupati, precari, stagisti, intermittenti che viene ormai data per persa. Di manifestazione in manifestazione la forbice generazionale si allargò.

Dopo il marzo 2011 fu il tempo della grande manifestazione internazionale 15 ottobre 2011, (il giorno della global revolution), e poi ancora nel marzo 2012. A partire da queste iniziative iniziò a organizzarsi un comitato che ha come nome lo slogan “Que se lixe a troika”, Al diavolo la Troika.

Il comitato non ha leader, né rappresentanti. Il movimento si organizza principalmente via web e mediante iniziative autoconvocate (come quella nella foto) che condividono lo stesso slogan e le stesse parole d’ordine. A partire da questi elementi vengono prodotti tutti i materiali comunicativi (murales, volantini, eventi facebook, ecc.). Non c’è alcun controllo da parte del comitato sulle iniziative di chi aderisce. E ciò vale anche per le manifestazioni di massa, in cui il percorso e le modalità vengono sì stabilite a priori, ma possono mutare nel corso della giornata, come avvenuto in alcune delle ultime manifestazioni a Lisbona, dove, alla fine del percorso previsto dalla manifestazione, alcuni cortei spontanei (anche molto numerosi) sono andati a circondare le sedi Parlamento.

Si arriva alla storia recente: il 15 settembre 2012, sotto lo slogan “Que se lixe a troika” un milione di persone marcia nelle piazze di tutto il Portogallo.

Sull’onda di questa manifestazione, la CGTP, il più importante sindacato portoghese, organizza, due settimane dopo, un’altra convocatoria, a Lisbona. La piazza di Terreiro do Paço si riempie e dal palco si lancia un grande sciopero generale. La data non viene ufficializzata immediatamente, ma, così come per il15 ottobre 2011, l’occasione arriva ancora una volta dalla Spagna dove i sindacati hanno già convocato uno sciopero per il 14 novembre a cui il movimento #15M ha prontamente aderito con lo slogan «Toma la Huelga!».

Il 14 novembre l’intera penisola iberica si blocca: i movimenti di Spagna e Portogallo parlano, per una volta, la stessa lingua.

Anche in Italia viene indetto uno sciopero a cui i movimenti aderiscono. Ma dalla giornata non emergono né quella continuità, né quell’unitarietà che invece caratterizzano le piazze portoghesi e spagnole.

3. Falsa democrazia

«Mau tempo para votar.»
José Saramago, Ensayo sobre a Lucidez

Passos Coelho è ancora primo ministro del Portogallo, nonostante le numerose manifestazioni. Ad ogni manifestazione ci si ostina a chiedere a gran voce le sue dimissioni, eppure non si arriva mai al punto in cui il Primo Ministro è costretto a cedere. È lecito supporre che ciò avvenga anche (e non solo) perché se pure il governo di centro-destra dovesse cadere, il centro-sinistra ha già dimostrato che le misure contro la crisi che si vogliono adottare sono quelle ispirate al neoliberismo che ha generato la crisi.

Passos Coelho

Dagli slogan che utilizza, il movimento portoghese sembra aver percepito (come anche quello spagnolo) che oltre l’inadeguatezza di Passos Coelho (spesso raffigurato come un ladro, o con le manette e la maglia a strisce dei detenuti) ci sono questioni che vanno ben al di là delle decisioni del proprio primo ministro: «Fora de aquí o Banco Central e o FMI», fuori di qui la Banca Centrale e l’FMI; «Grecia, Irlanda, Espanha e Portugal, a nossa luta é internacional». Grecia, Irlanda, Spagna e Portogallo, la nostra lotta è internazionale. Così si canta nelle piazze portoghesi.

Il movimento sembra aver ben presente che la democrazia è «sequestrata, condizionata, amputata». Pochi giorni prima della manifestazione il comitato «Que se lixe a troika» ha pubblicato un testo (letto in tutte le città durante la manifestazione) in cui si pone una cesura che non si riferisce solo al governo in carica, ma ai «diversi governi della troika». Ciò avviene in un contesto in cui i partiti di centro-sinistra sembrano fare orecchio da mercante, reclamando a gran voce una nuova chiamata alle elezioni, proponendosi come l’alternativa al governo dell’austerità.

Nelle diverse manifestazioni c’è anche un altro elemento ambiguo: come il collettivo Passapalavra aveva già rivelato dopo la manifestazione del 15 settembre, accanto agli slogan sopra citati, in piazza viene intonato con frequenza l’inno nazionale portoghese (i cui versi glorificano l’impero coloniale portoghese). Accanto a questo è d’obbligo registrare la forte presenza di bandiere del Portogallo che, in un paese dove la presenza della popolazione proveniente dalle ex colonie è molto forte, può essere molto escludente. Si tratta di un germe di chiusura che fa da contrappunto alla grande apertura alle lotte europee che il movimento sta dimostrando. Tuttavia il problema del ritorno al proprio recinto, l’illusione di salvarsi chiudendosi a riccio, è presente, in Portogallo come altrove.

Una questione che con tutta probabilità arriveremo a porci anche in Italia, forse prima di quanto pensiamo.

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88 commenti su “Cosa succede in Portogallo (e cosa ci siamo persi in Italia)

  1. C’è una domanda che mi piacerebbe porre all’autore dell’articolo così come a tutti quelli che normalmente intervengono in questo blog.
    La descrizione dell’esperienza portoghese ci dice che c’è una sempre più diffusa, benché non necessariamente limpida, presa di coscienza che del fatto che esiste un deficit di democrazia a cui i partiti di (centro)sinistra non sembrano capaci di dare risposta. Perciò sembra imporsi all’attenzione un’opposizione tra i partiti, che operando in un contesto istituzionale non ne posso mai davvero mettere in discussione le regole, e i movimenti, i quali invece agiscono in vista della creazione di un’alternativa radicale al sistema istituzionale. Ora, nulla da dire sulla volontà e forse la necessità di mettere in discussione le regole del gioco. Ma non mi è chiaro in quale modo i movimenti possano giungere a produrre negli effetti quell’alternativa che cercano. Se guardiamo agli ultimi 10-15 anni, la loro sembra la storia di una lunga sconfitta. Il che di per sé è triste, ma non certo un argomento contro il movimento come forma di organizzazione politica: certe battaglie si combattono anche se si sa di non poterle vincere. Quello che non è solo triste ma anche un filo disperante, per me, è che i movimenti non sembrano tanto avanguardie di lotta, ma retroguardie. Contestano pollice per pollice il terreno al nemico che avanza, ma non possono fare nient’altro; e peraltro lo fanno con scarso successo. Esagero se dico che la vocazione autorganizzativa del movimento (contrapposta alla gerarchia partitica) mi sembra votata al semplice martirio (nel senso etimologico del termine)?
    Chiedo scusa per la prolissità.

    • Rispondo a te e mi riservo un minimo di tempo prima di rispondere a Giola, anche se le questioni che sollevate mi sembrano simili.

      Prima cosa: la sconfitta. E’ un piano su cui mi sento scomodo, prima di tutto perché è molto italiano (qualche lotta, qua e là, in giro per l’Europa, si è vinta) e poi perché ragionare in termini vittoria\sconfitta ti permette di definire un periodo storico, ma ti costringe a tagliare con l’accetta.

      Ti faccio l’esempio del movimento #15M che a tutti gli effetti non ha vinto nulla a livello di leggi (anzi) però questa è una retata delle forze dell’ordine nel quartiere Lavapies di Madrid nel 2008: http://www.youtube.com/watch?v=b1omxwVw0QQ&NR=1&feature=endscreen
      Questo è ciò che succede nel 2011, stesso quartiere: http://www.youtube.com/watch?v=BSescYDIXZY

      Il movimento spagnolo non ha vinto: il neoliberismo è ancora lì, il governo di destra (e che destra!) è ancora piedi, però dalle immagini si intuisce facilmente che se subisci un’ingiustizia, hai qualcuno che ti sta accanto. Il che, secondo me, rende la vita un po’ migliore. I movimenti non fanno solo battaglie su una specifica riforma o legge, ma fanno anche questo. Mica poco.

      Dici che sono battaglie di retroguardia, eppure io nei movimenti europei (e, ammetto, anche in alcune cose avvenute in Italia) ci vedo una grande inventiva. Delle pratiche che non cercano di difendere gli ultimi baluardi di ciò che esiste, ma creano nuovi modi di stare insieme, di vivere la propria città e addirittura di produrre.

      Se poi ci spingiamo a vedere cosa succede al governo le cose sono più difficili, anche perché il sistema della rappresentanza è ormai putrefatto, di modo che anche volendo (e comunque non mi sembra ci sia tutta questa gran voglia) si ha le mani legate per fare qualunque cosa “positiva”. D’altro canto assaltare il palazzo d’inverno è inutile: adesso non sapremmo cosa farcene. Scriviamo una nuova costituzione? Non mi sembra ci siano le condizioni.
      Si entra nel circolo della politica istituzionale? Ognuno faccia per sé, ma non è una forma politica a cui credo. Preferisco fare altro, come riconoscere chi mi sta accanto, nella città in cui vivo e in giro per l’Europa e provare a costruire qualcosa insieme, che mi sembra un passo più intelligente rispetto a chiudersi in casa propria.
      Non credo che tutto questo sia martirio, onestamente, non è il sol dell’avvenire, ma non è il martirio.

    • Oltretutto non ci sono solo da considerare gli esempi italiani, che hanno dimostrato tutta la loro mancanza di prospettiva negli ultimi anni. In Spagna le mobilitazioni che si sono succedute hanno sedimentato, specialmente durante il periodo di esplosione del movimento degli Indignados, pratiche di autorganizzazione e orizzontalità a livello di quartiere che in italia ci sogniamo. In Grecia ci sono ospedali occupati e fabbriche gestite dagli operai che hanno riavviato la produzione… Del Portogallo ha scritto bene Paolo la Valle. Oltretutto mi sembra che tali movimenti abbiano già superato una certa concezione dello stare in piazza che invece è maggioritatia da noi, quella del “famo la rivoluzione, ma se parte un sercio mandiamo le foto a repubblica”. Non solo teoria, ma anche prassi.
      Insomma, se si parla dell’iniziare a costruire qualcosa che possa, alla lunga, creare cultura, modo di porsi rispetto alla politica e alla partecipazione, se si guarda all’estero ci sono movimenti da cui si può senza dubbio imparare qualcosa. Che poi, a ben vedere, mi sembra sia proprio quel qualcosa che, specialmente in Italia, mancava già al tempo del movimento dei movimenti.

  2. http://www.passapalavra.org/

    Consiglio il sito del collettivo Passapalavra e soprattutto le analisi di Joao Bernardo. Potrebbe essere interessante mandare a Passapalavra gli ultimi threads pubblicati su giap?Dovremmo tradurli in portoghese. Se serve, posso dare una mano.

    • Ciao Janis
      Se si considerasse una buona idea, darei un contributo anche io con le traduzioni, molto volentieri.
      Già sto lavorando ad alcune traduzioni in portoghese nello spazio di Struggles In Italy. Che potrebbe essere il luogo adatto, attraverso cui creare contatti con le/i compagn* di Passapalavra

      …a proposito, purtroppo in SII, per ora, sono l’unico che traduce in portoghese.. con tutte le conseguenze sugli inevitabili errori grammaticali e di sintassi che l’assenza di proofreader comporta! Se qualcuno volesse dare una mano, anche solo per correggere e migliorare, ben accetto è! :-)

  3. Grazie mille a Paolo La Valle, perché una riflessione sull’assenza di una qualunque prospettiva internazionalista del movimento 5 stelle, o meglio del dirottamento verso questioni strettamente legate ad un’etica tutta “interna” all’Italia mi mancava, mi era sfuggita o non ci avevo pensato abbastanza prima di leggere questo articolo.

  4. mi riallaccio al primo commento, quello di Porco Rosso: anche secondo me questi movimenti sono di pura rappresentanza, risultati concreti = 0.
    Dispiace dirlo, se qualcuno mi fa un esempio contrario ben venga, lieto di cambiare idea.
    Il problema del porogallo, ma anche di spagna, grecia e irlanda, è puramente economico, materialista per dirla un po’ all’antica. Certo, la gente sta male e quindi protesta, ci mancherebbe altro. Il problema è la soluzione, quale?
    Se andiamo a vedere, la crisi in questi paesi è fortissima ma ha cause diverse:
    – grecia : ha truccato i conti. La classe politica ha truccato per avere benefici personali, in cambio di politiche straclientelari (25% di impiegati pubblici sul totale degli occupati!!!)
    – irlanda : politiche che ne hanno fatto un paradiso fiscale, la leva finanziaria delle sue banche era clamorosamente superiore alla ricchezza dello stesso paese
    – spagna : bolla immobiliare, poi è scoppiata. D’altra parte non si può costruire per sempre, basta vedere lo scempio fatto da valencia in giù (ma non solo)
    – portogallo : un economia manufatturiera con fabbriche di livello infimo, neanche in India c’è un apparato produttivo così retrogrado

    Detto questo e senza voler difendere la troika, ma che colpa ne ha? le politiche fatte sono state nazionali, con il sostegno della popolazione, finché tirava. Oggi quei modelli di sviluppo si sono dimostrati inadeguati e, sinceramente, non sono difendibili… a me questi movimenti sembrano semplicemente sterili, tant’è vero che l’unica soluzione concreta che poi adottano è l’emigrazione.

    Dispiace dirlo ma è così.

    Sinceramente non invidio il fatto che in italia non ci siano, nonostante tutti i problemi che ci sono anche qui

    • A rischio di sembrare adepto di una delle tante religioni del web, segnalo un link utile per leggere una visione diversa da quella comunemente diffusa dai media su questi argomenti:
      http://goofynomics.blogspot.it/, il sito di divulgazione di Alberto Bagnai.

      Spero di essere perdonato da Saint Just perché credo proprio di essere in procinto di finire OT, ma vorrei proporre uno spunto di riflessione che potrebbe risultare utile. O anche no, può essere che le impressioni che seguono siano frutto solamente di limiti personali, nel qual caso mi scuso.

      Bando alle ciance. La scorsa primavera mi sono imbattuto nel sito proposto grazie a una segnalazione di Valerio Evangelisti (lurko qua, lurko là, visto le pessime figure che colleziono quando intervengo. L’unica altra mia partecipazione a una discussione su Giap, ad esempio, è per me terminata con un post nel quale, a causa spero della foga, dicevo un’idiozia di un certo livello).
      Il sito di Bagnai, dicevo. Partito col dubbio di trovarmi di fronte a un altro signoraggista o peggio, mi sono invece ritrovato in un sito che esponeva chiaramente una tesi, citando bibliografia scientifica e collegamenti storici. Una buona notizia, certamente. Ma all’improvviso mi è crollata una convinzione che avevo maturato nel corso degli anni, da quando, giovane giovane, osservavo allibito i miei connazionali che si affidavano al maggioritario come panacea di tutti i mali, avendo Segni come loro profeta. La convinzione cioè che noi compagni avessimo per lunghi tratti di storia difficoltà a parlare agli altri, ma che non ci difettasse una discreta capacità previsionale.

      I disastri dell’ultimo ventennio, il precipitoso declino della funzione sindacale, la perdita del ruolo centrale del lavoro in Italia, la spettacolarizzazione della politica, il leaderismo imperante e così via, erano mali che avevamo previsto e tentato di combattere. Certo, avevamo anche individuato il trattato di Maastricht come un serio problema e la costruzione europea come minata da una carenza di investitura democratica, ma qualcosa a quel punto si deve essere inceppato, se uno dei punti cardine della consapevole conduzione della lotta di classe da parte della borghesia europea, il blocco del cambio e il conseguente controllo esterno, ci(mi) era sfuggito nella sua interezza e complessità.

      Certo, io ero convinto che la scala mobile non fosse la causa dell’inflazione e che l’inflazione non fosse la causa di tutti i mali. Ero convinto che l’unione europea fosse fondamentalmente una istituzione antidemocratica e avevo anche altre buone idee in ordine sparso. Ma il quadro complessivo che dipinge Bagnai (quadro che, con varie sfumature e alcune diversità di opinioni, viene condiviso da altri aconomisti, italiani ed esteri. In Italia ad esempio Brancaccio, Giacchè, Cesaratto) è impressionante. E, fino a prova contraria convincente.
      L’analisi è fondamentalmente keynesiana, non utilizza categorie marxiste, propone poi alcune soluzioni che io non condivido, o meglio che secondo me non centrano il punto vero del problema. D’altronde è normale, l’analisi è più tecnica della ricerca di soluzioni, anche se ovviamente di puramente tecnico esiste poco.
      Analisi del genere da parte di compagni purtroppo non ne ho viste (di nuovo, probabilmente è colpa mia, ma se ne esistono devono essere sfuggite anche a Rifondazione, Cobas, USB, Rete 28 aprile, movimento no debito e così via). Il generoso tentativo di Mauro Vanetti su queste pagine rimaneva sostanzialmente una ripetizione della tesi, a mio parere giusta ma declinata a un livello troppo astratto, che ogni crisi è una crisi di sovrapproduzione.

      Per terminare, rientrando brevemente dall’OT, l’illusione che ogni paese abbia una sua storia totalmente scollegata dalle altre, e che esistano in questo o quell’angolo di europa lavoratori che prosperino o abbiano prosperato sulle disgrazie altrui è falsa e può e deve essere combattuta.
      Non parlo solo dei paesi che sono più vicini a noi nell’esperienza economica odierna, come i PIGS, ma anche di quei paesi del centro europa che proprio sull’aumento dello sfruttamento dei lavoratori hanno costruito le loro attuali fortune economiche.

      L’assenza di un comune sentire di questo tipo spiega forse la debolezza dei movimenti in Italia e l’esclusione dallo slogan Portoghese.

      • Quoto. Il commento sotto voleva essere in risposta a questo, scusate.
        Comunque sì, è quello che intendevo quando dicevo che alla sinistra servono strumenti specifici di analisi della crisi e più in generale del mondo, senza per questo rinunciare all’identità ed a soluzioni radicali.
        Altrimenti si rischia di fare, in buona fede, demagogia e populismo a buon mercato.

  5. Poni un problema interessante: siamo nel bel mezzo di una crisi economica e giustamente occorre usare una prospettiva scientifica per analizzare i problemi, altrimenti anche le proposte politiche risultano imprecise e poco efficaci: ad esempio, non è vero che si possano risolvere i problemi ‘trovando i soldi tagliando gli stipendi ai parlamentari’ oppure ‘recuperando i capitali mafiosi’, tanto per citare alcune proposte elettorali recenti. Questo non vuol dire che siano misure sbagliate o inutili, ma non ci sono dietro analisi chiare dei problemi e sono pure errate per ordine di grandezza. Allo stesso modo lo sono le sue osservazioni: la statistica del 25% dei dipendenti pubblici è falsa, i dipendenti pubblici in Grecia sono molto meno che in Germania, Finlandia ed altri paesi del Nord Europa con un welfare ben più corposo. E la bolla immobiliare in Spagna come mai si è formata? Chi l’ha finanziata? Di certo il debito pubblico non c’entra una fava. Magari se si guarda al debito estero invece…E come mai è aumentato tanto?
    E perchè la spesa pubblica non aumenta ma aumentano gli stock di debito?
    Questo non è un blog di economia e non voglio tediare però occhio ad affidarsi ai luoghi comuni…

  6. Nonostante segua il blog ormai da molti anni mi trovo per la prima volta ad intervenire vivendo in Portogallo da alcuni mesi e avendo assistito alle mobilitazioni dell’estate e dell’autunno 2012 e alle prime di questo 2013.
    L’analisi e la descrizione della situazione prodotte da Paolo sono pienamente condivisibili, ma credo siano necessarie alcune precisazioni, se non altro su ció che é avvenuto negli ultimi mesi.
    Vorrei cominciare dicendo che in Portogallo a mio parere non esiste un vero e proprio movimento. Come scritto nel post gli appuntamenti di piazza sono stati convocati da reti informali nate (e rimaste) solamente sul web. Ancora non si é vista un’assemblea di movimento, ancora nelle piazze non c’e capacitá di darsi nuovi appuntamenti, di dare continuitá alla lotta. Ogni volta sembra si debba ripartire da zero.
    La manifestazione di sabato 2 marzo é stata per me abbastanza triste. E non a causa della tradizionale aria di “saudade” che caratterizza il popolo portoghese, ma per la totale mancanza di un obiettivo politico o simbolico del corteo. Se come, ha scritto Paolo, nelle manifestazioni autunnali migliaia di persone si erano spinte fin sotto il parlamento in forma del tutto spontanea, questa volta si é arrivati in un luogo qualsiasi per cantare una canzone, e nulla piú. Questo perché dopo gli scontri incorsi il 14 Novembre scorso, data dello sciopero generale, molti portoghesi hanno paura di tornare in quel luogo per il rischio che le “violenze” si ripetano.
    Gli obiettivi simbolici che potevano essere individuati sono molteplici. Ma nessuno li ha potuti condividere perché non esistono spazi di discussione, e ancora peggio, nessuna volontá di trovarne.
    Insomma in Portogallo a differenza della Spagna non si sta lavorando a una alternativa di movimento, a percorsi di autorganizzazione dal basso. Ci si limita ad andare in piazza per chiedere le dimissioni del governo e la fine della politica di austeritá.
    La presenza nelle piazze portoghesi del 10% della popolazione del paese, é dovuta al fatto che la crisi é durissima e molto evidente. Il governo di Passos Coelho é forse il piú diligente (se si esclude quello greco) nellápplicare i dettami della “troika”.
    Inoltre esistono ancora in quetso paese, a differenza dell’Italia, alcuni giornali “tradizionali”che danno ampio spazio e fanno molta analisi sulla crisi e sulle possibilitá di mobilitazione.
    Altro dato che secondo me incide sull’assenza di un vero e proprio movimento, e sulle pratiche fin ad ora portate avanti , é l’invecchiamento della popolazione portoghese dovuto al forter tasso di emigrazione giovanile in aumento vertiginoso dall’inizio della crisi.
    Puó essere altresí interessante notare come nelle manifestazioni sia molto ridotto il numero di persone di origine africana che pure affollano le aule universitarie e i posti di lavoro.
    La sensazione che si ha, dagli slogan richiamati nel post (a cui devo aggiungere la diffusa richiesta di un intervento militare, scritta nei cartelli e gridata negli slogan…) é che i principali protagonisti di queste mobilitazioni siano quelli che hanno vissuto da giovani il passaggio alla liberaldemocrazia. Questo fa si che sia molto difficile iniziare un percorso di autorganizzazione dal basso simile a quello che si é sviluppato in Spagna dopo il 15M, che sebbene non sia ancora riuscito a vincere con i governi della “troika”, sta secondo me gettando basi durature per un’ “alternativa dei movimenti.

    • Il tuo post mi rinfranca molto, perché si vede che i dubbi che mi ero posto io stando in Portogallo hanno un senso. Purtroppo ho visto solo parte del movimento che si stava formando (io continuo a pensare che lo sia, nonostante tutte i distinguo che fai) Fino a quando sono stato a Lisbona mi sono spaccato la testa su come si organizzasse tutto questo. C’erano piccole assemblee qua e là, c’è stata un’occupazione nella Cidade Universitaria, c’erano piccoli gruppi sparuti (Anonymous mi sembrava molto presente, o anche piccole cose come l’Exercito de Dumbledore, di cui c’è la foto su questo post) ma nulla che mi desse l’idea della vastità delle manifestazioni.

      L’impressione mia è che ci fosse molto spazio per l’autorganizzazione a partire dalle parole d’ordine comuni, ma che fosse uno spazio tutto da esplorare.
      A questo proposito vorrei chiederti: il corteo di Lisbona è stato organizzato su sei “maree” che poi riunivano in un unico fiume: educazione, sanità, femministe, marea arcobaleno… Questi settori hanno una forma di continuità?

      L’altra cosa che volevo dirti era questa: quando a settembre la manifestazione ufficiale terminò in Praça de Espanha e poi ripartì verso il parlamento io stavo lì però non avevo l’impressione che stare lì avesse troppo senso in più rispetto a cantare una canzone in un’altra piazza. Per chiarire: ritengo entrambe le cose legittime, ma stare di fronte a un Parlamento in una situazione ingestibile “militarmente” (la piazza è piccola, termina con un salto di due metri quindi è impossibile reggere una carica, le altre vie di fuga sono in salita, il parlamento è in collina e per arrivarci ci sono 40 scalini… è il fortino perfetto), di fronte a una sede imprendibile, pone dei problemi maledettamente materiali. Il tutto in un contesto per cui se anche un giorno ci dovessi entrare non sai cosa fartene, nel senso che non c’è un apparato filosofico, tecnico, ecc. che possa reggere la presa di un Paese… perché forse (e dico forse) prendere il controllo di un Paese oggi come oggi non ha senso.

      Le altre cose che dici sono tutte le contraddizioni del movimento portoghese e le becchi in pieno: in un paese che ha visto i militari compiere un golpe di stato che poneva fine al fascismo ha senso (non dico che è giusto e bello, dico che capisco) che ci sia chi chiede l’arrivo dei militari; più problematica (molto di più) la massiccia maggioranza bianca in un paese in cui capita spesso e volentieri di prendere la metro e trovarsi a essere l’unico bianco occidentale in tutto il vagone.

      Dopodiché vado a sentimento: quel blocco di cui parli c’è (tu me lo confermi), ma credo che prima o poi salterà. Anche perché, a differenza di quanto accade in genere in Italia, i freni inibitori posti dal Comitato “que se lixe a troika” mi sembrano piuttosto scarsi.

      • La moblitazione portoghese puó essere anche definita movimento, non era questo il mio punto. Sicuramente il ritorno di massa nelle piazze é un segnale forte che indubbiamente mi rallegra. La mia delusione rispetto al corteo di sabato é che si siano fatti alcuni passi indietro in termini di discussione e preparazione delle mobilitazioni rispetto alle manifetazioni autunnali. Questo puó essere anche fisiologico visto lo choc che ha rappresntato la giornata del 14 novembre scorso per un popolo per nulla avvezzo agli scontri di piazza.
        Se le altre volte che si era arrivati di fronte al parlamento, escludendo il 15 settembre molto spontaneo di cui parli, c’erano stati pur flebili tentativi di fare discussione, di proporre momenti assembleari, questa volta non si é veirficato neanche questo.
        Sono d’accordo con te sull’inutilitá di recarsi di fronte all’Assembleia da Republica (per di piú in un sabato sera), ma comunque si poteva fare di piú anche solo a livello simbolico. Come ben sai a fianco di Praça do Comerço si trova il ministero dell’economia, solo per fare un esempio.

        Per quanto riguarda le “maree” posso dirti che effettivamente nella sanitá qualcosa si muove a livello assembleare, e indubbiamente lo spezzone dei medici era il piú comunicativo e “determinato”.
        Anche il settore della scuola sembra avere una continuitá. Fra un’ora inizia una manifestazione dell’ensino superior di fronte al ministero dell’istruzione. C’e da dire che nel corteo, ma potrebbe essermi sfuggito, data la vastitá della manifestazione, questo settore non era molto visibile.
        Per gli altri settori non saprei dirti, non ho avuto la possibilitá di approfondire.

        Il mio punto é che ancora non si intravedono quei percorsi di autorganizzazione sicuramente auspicabili e che secondo me potevano giá emergere dopo l’autunno. Mi auguro che, come dici, il blocco salterá ma senza una forma di organizzazione piú strutturata c’é, secondo me, il rischio di perdere questa straordinaria partecipazione di massa.

  7. Anch’io rischio l’inquisizione di Saint-Just, ma mi dichiaro concorde con l’analisi del prof. Bagnai, linkata da Daniele Innocenti.
    Mi ricollego subito però con il discorso delle macerie dei movimenti in Italia e, dunque, l’assenza della citazione dell’Italia da parte del movimento portoghese, per tentare di dare una spiegazione del motivo per il quale il M5S funziona da frame “cattura” nei confronti delle persone di sinistra come me: perché era l’unica forza politica votabile che ha messo chiaramente in discussione l’euro in quanto moneta adottata da paesi così diversi.
    Premetto che non ho una formazione tecnica tanto vasta da poter né difendere a spada tratta le argomentazioni di Bagnai, né tanto meno sconfessarle clamorosamente.
    Semplicemente faccio affidamento ai miei rudimenti di economia e la tesi di Bagnai mi sembra del tutto sensata.
    Poi faccio anche affidamento al fatto che un professore universitario magari tenda ad evitare di esporre pubblicamente con tanta sicumera le proprie tesi, nel caso non le reputi più che fondate dal punto di vista scientifico. Quanto meno desidero ancora sperarci.

    Se assumiamo come principio che una moneta unica adottata da paesi così diversi non funziona, perché avvantaggia solo il paese il sistema produttivo più efficiente e, dunque, esportatore visto il surplus che genera (in questo caso la Germania), significa che il problema principale è a livello commerciale.
    E se è a livello commerciale, questo investe tutto il sistema produttivo nel suo complesso, indipendentemente dai rapporti sociali che in esso vigono.
    Per intenderci: subiremmo la crisi anche se vivessimo in un paese con economia pianificata ed in assenza di sfruttamento dei lavoratori; certo, la crisi verrebbe pagata da tutti in maniera eguale, ma questo non ci salverebbe dal subirla (a meno che non si voglia pensare che un paese non debba avere scambi commerciali con altri paesi…direi un’ipotesi fuori dalla realtà).
    Dunque, come ho già avuto modo di esprimere in un altro post, il sentimento che suscita il M5S è paragonabile a quello del desiderio di liberazione dall’oppressore colonialista.
    Ecco, forse, perché il M5S è stato votato indifferentemente a destra e a manca: per disperazione, visto che nessun partito e/o movimento di sinistra ha messo in luce questo aspetto (solo Tremonti, se non ricordo male, ne ha fatto accenno).

    • La mia impressione è molto diversa: a me sembra che la maggior parte degli elettori del M5S lo abbia votato perché attaccava “la casta”, i politici, i “costi della politica”, i parlamentari che prendono stipendi troppo alti, le auto blu etc. Problemi veri ma del tutto secondari, e in ogni caso che c’entrano poco con la “liberazione dall’oppressore colonialista”. Sì, il rancore verso l’Europa e l’euro è diffuso, ma molto meno della troppo facile indignazione contro i politici. Pensare, come fanno Bifo, Formenti e altri, che il voto al M5S sia automaticamente un voto anti-austerity, anti-BCE etc. etc. mi sembra una fallacia, e nemmeno di poco conto. Non solo perché il programma del M5S di fatto contiene misure di austerity (il programma chi cazzo se l’è letto? Probabilmente solo chi lo ha analizzato per criticarlo), ma perché nella retorica di Grillo, quella amplificata da tutte le trasmissioni televisive che ne mostravano i comizi, il bersaglio principale era “la casta”. Quello è il messaggio che è arrivato. Un messaggio di diversione.

      • Perdonami, ma una cosa non esclude necessariamente l’altra: il messaggio è arrivato forte e chiaro contro la casta, che oltre a concedersi i noti privilegi, è menzognera, perché che non ha mai messo in discussione l’euro.
        Dopo di che non ho dati statistici per smentire o meno la tua posizione (ovvero che la maggior parte degli elettori lo abbia votato la “casta”, i politici, i “costi della politica”); il mio voleva solo essere un contribuito per farvi tentare di comprendere la disperazione di chi, a sinistra, si sia dovuto turare il naso e votare M5S: l’urgenza di svelare che “il re è nudo” di fronte ad una crisi che sta mordendo nella carne.
        Scusate: ma assumiamo che le crisi nei PIIGS sono state provocate ad arte da finanziatori privati esteri che, avendo clamorosamente sbagliato l’allocazione delle risorse e dovendo rientrare dai loro investimenti, stanno facendo sputare sangue ai popoli degli stati coinvolti a suon di riforme strutturali, la mia urgenza è svelare questo meccanismo.
        Dopo di che, mi è chiaro che non è il crollo dell’euro (perché probabilmente finirà così) che risolve le contraddizioni del sistema produttivo capitalista (una precisazione talmente banale che quasi mi son vergognato a scriverla).

        • Non sapevo cosa avesse scritto Bifo su Micromega. Ma ora che l’ho letto, posso dire di essere d’accordo con lui nell’analisi.
          Sugli scenari futuri prospettati non mi esprimo, poiché non ritengo di avere, in questo momento, sufficienti strumenti per effettuare ipotesi fondate.
          E poi poteva essere almeno un po’ gentile nella nota ;-)

        • Non mi convince. Il frame della “Casta” è montato come la panna a partire dal 2007, prima che si parlasse di crisi, che chiunque avesse la minima idea di cosa sia lo “spread” o cosa siano gli eurobond (e la stragrandissima maggioranza della popolazione lo ignora anche oggi), prima che si parlasse della Merkel, della BCE, dell’Austerity e quant’altro. E non mi sembra che quel discorso – quello sulla casta – si sia nutrito tanto di dibattiti sulla moneta sovrana, su lira vs. euro, dato che i termini della questione erano e rimangono ignoti ai più, quanto di poujadismo, di eterna ricerca del capro espiatorio per i propri peccati, di voglia di tirare le monetine come davanti al Raphael, di facile sfogo “Andate a casa!”.
          Il fatto stesso che si ripeta in modo ossessionante la favoletta degli stipendi dei parlamentari e dei “costi della politica” (voci che sul bilancio dello stato incidono in minima parte) mi sembra dirci che l’attenzione è stata spostata dall’economia politica alla “politica politicata”, come se in quest’ultima risiedessero tutti i mali del mondo. Di discorsi su lira/euro, fuori dai siti della MMT, non ne sento fare spesso. Anche dopo ciascuna delle loro vittorie, che siano regionali o nazionali, i M5S parlano sempre degli stipendi che si ridurranno, del fatto che gli eletti hanno stipendi troppo alti, mentre dell’euro non parlano mai. Questo mi fa pensare che loro sappiano benissimo *perché* sono stati votati: perché attaccano la Ka$ta perché è tutto un magna magna etc.
          Sono Bifo e gli altri a farsi illusioni e immaginarsi tutt’altri motivi.

          • Trovo che questo poster sia molto utile per chiarire visualmente quali siano gli ordini di grandezza in ambito economico:

            http://xkcd.com/980/

            Guardando un po’ sul sito M5S, la stima piu’ gettonata sui costi della politica italiana e’ di circa 2 miliardi di euro.
            Ammettendo che questa stima sia corretta, e ammettendo di riuscire a tagliarne la meta’, otterremmo un risparmio dell’ordine di un quadratino giallo:
            poca cosa rispetto ai volumi delle grandi compagnie del capitale;
            una goccia nel deserto rispetto ai debiti nazionali, tutti nella sezione blu (“Trillions”).

          • Non credo che le cose siano separate. L’attacco alla “casta” funziona proprio perchè le elites non hanno più legittimazione politica e sociale. Se ne sono accorti persino dalle parti del Pd…
            Direi che il tema antiausterity occupi gran parte del programma di Grillo, se non ce ne accorgiamo neanche stavolta è il massimo..quando ci arriverà una valanga di populismi in Europa la notte sarà ancora più profonda..
            Il sonno (coma?) della sinistra politica e culturale genera mostri.

            • Jim O’ Neill, presidente uscente del Goldman Sachs Asset Investment ha scritto sulla sua newsletter:

              “I find the [Italian Election] outcome quite exciting because it seems to me for a country who’s GDP has basically not changed since EMU started in 1999, something big needs to change. Maybe this election outcome and the peculiar mass appeal of the Five Star movement could signal the start of something new?”

              Cos’è, un cretino? Oppure vede un po’ più lontano di Bifo e voialtri?

              “Gran parte” del programma di Grillo è “antiausterity”? Ok. E l’altra parte, quella neoliberista/anarcocapitalista?

              Grillo parla di decine di migliaia di dipendenti pubblici da licenziare, non è austerity questa? Fomenta la guerra tra poveri dividendo la società in (presuntamente) garantiti, che chiama “Blocco B”, e non-garantiti, che chiama “Blocco A”. Tra i garantiti mette, senza apparenti discriminanti, dipendenti pubblici sui quali far calare la mannaia. Per stronzate così bastava Brunetta.
              Grillo dice anche che non devono più esistere sindacati (non questi sindacati, non devono più esistere tout court perché “vecchi”), quindi niente contrattazione di categoria ma solo individuale, niente possibilità di far causa al padrone etc. Poi vuole privatizzare le frequenze pubbliche (tranne una), come se questo paese sentisse la mancanza di tv private; poi vuole abolire il valore legale del titolo di studio con le conseguenze sulla scuola pubblica che Girolamo faceva notare etc. etc.

              Il finto “anticapitalismo” – che poi è solo una contraddittoria posa anti-lobby finanziarie – dei movimenti populisti di destra è sempre contraddittorio e “né-né”. Di solito viene abbandonato molto presto, a favore della mera gestione dell’esistente. Rimane solo un involucro di retorica “contro”. Non c’è bisogno di ri-scomodare il fascismo o la Lega, basta vedere cosa sta succedendo a Parma, dove (beffa dell’inceneritore a parte) il grillino Pizzarotti aveva promesso di non alzare le rette degli asili e l’IMU, e invece le ha alzate eccome perché “non ci sono i soldi, non c’era modo di fare altro etc.” E si trattava di promesse ben più modeste di quelle che il M5S fa a livello nazionale.

              Mi sa che Jim O’Neill e quelli come lui da Grillo hanno molto, molto meno da temere di quel che sperate.

              L’unica è incalzare la parte “di sinistra” del M5S (o meglio, la parte che vuole l’applicazione dei provvedimenti “di sinistra” del programma) e svelare le contraddizioni che il “né destra, nè sinistra” tiene occultate. Solo così quelle energie oggi compresse e controllatissime dal dispositivo di Grillo & Casaleggio potranno trovare effettivi sbocchi antiausterity.

              • ..Nessuno pensa che Grillo sia genuinamente anticapitalista.
                Come ogni fenomeno populista unisce elementi di destra e sinistra.
                Tra l’altro oggi l’astio verso i sindacati ha ragioni anche di sinistra, perchè se pensiamo ai disastri della Camusso e della Cgil, non si capisce perchè non debba spirare un vento antisindacale nel paese.
                Di sicuro è stato un errore liquidare il fenomeno di Grillo come un fenomeno di destra.
                Bisognava decostruire prima il fenomeno, certo sarebbe servita una sinistra sociale e politica.
                Quella politica si è fatta fuori da sola, anche se il Pd anche in questo ha una responsabilità pesante.

              • A dire che il grillismo è un fenomeno di destra, per lungo tempo, siamo stati solo noi, tant’è che le prime volte molti si stupivano. La sinistra ufficiale usava categorie demenziali come “antipolitica”.

                Ebbene, noi ci siamo ben guardati dal “liquidare” il grillismo, al contrario lo abbiamo analizzato e tuttora lo analizziamo con grande attenzione. Ed è un fenomeno di destra, più lo guardiamo e più lo troviamo di destra.

                “Di sinistra” sono alcune delle energie che intercetta e molte parole d’ordine che decontestualizza.
                Quel che c’è da fare è agire affinché parte di quelle energie si liberi, e ricontestualizzare quelle parole d’ordine.

                Lo abbiamo scritto sin dal vecchio post su destra-sinistra, che a sua volta riprendeva un commento di qualche mese prima:

                “Il grillismo non è solo un «caso di studio»: è un’urgenza, un problema da affrontare quanto prima. In uno spazio «né di destra né di sinistra», retoriche e pratiche in apparenza vicine a quelle dei movimenti euroamericani di cui sopra vengono «risemantizzate» e messe al servizio di discorsi ben diversi. Le energie di molti benintenzionati, in maggioranza giovani o addirittura giovanissimi, sono incanalate in un discorso in cui sono rinvenibili elementi di criptofascismo.”

                E la nostra posizione è ancora quella.
                Bisogna essere accoglienti nei confronti dei “benintenzionati” che uno dopo l’altro si accorgeranno della diversione che i loro desideri hanno subito.
                “Accoglienti” non significa fargli sconti, ma chieder loro di raccontare com’è accaduto che si trovassero dentro quella gabbia, all’inizio persino felici di starci dentro. Da quelle storie abbiamo molto da imparare.

                Quanto ai sindacati, l’obiezione su “questi” sindacati non tiene conto di una cosa, che già ho fatto notare: Grillo non ce l’ha con questi sindacati, dice proprio che nella società che vuole lui i sindacati non devono esistere.

                Per inciso, la società che vuole lui è questa:
                http://www.youtube.com/watch?v=V4CHyog8Byc

              • Ok. Ascolta, io ho portato solo la mia esperienza di elettore “di sinistra” e ipotizzavo che potesse essere così anche per altri (qualcuno lo conosco che ha fatto questa scelta “da sinistra”).
                Mi scuso se ho dato l’impressione di voler dare a questa ipotesi per fondata scientificamente (non era mia intenzione ed, infatti, ho scritto solo che era un’ipotesi dettata dalla mia esperienza).
                Io, però, ho votato M5S per i motivi descritti da Bifo (non per gli scenari che tratteggia).
                Evidentemente saremo un sparuto numero.
                Comunque sulle cose da fare, concordo in pieno.

      • Hai scritto bene: «nella retorica di Grillo, quella amplificata da tutte le trasmissioni televisive che ne mostravano i comizi». Quello è il solo messaggio «che è arrivato» perché solo quello hanno voluto far arrivare forte e chiaro, per ingigantire lo spazio di critica. Messaggio che, comunque veicolato, ha fatto ulteriori proseliti.

        Quella “retorica” c’è, e non è sbagliata. Ma non è tutto lì.

        Chi l’ha letto il programma? Molte più persone di quanto sembri pensare. Senza contare il fatto che Grillo non ha mai affermato che l’esecuzione dei punti di tale programma avrebbe salvato l’Italia e la sua economia.
        Grillo parla di una Italia che è già fallita; il programma in alcuni punti può essere inteso come “piano di emergenza” (serve per evitare il peggio, ammortizzare gli impatti sulla popolazione ed eventualmente creare terreno fertile per una lenta ripresa).
        Si tratta anche di evitare che i costi di tale fallimento (in cui il “popolo” non ha avuto parte) vengano collettivizzati (come è prassi) e spalmati sulle generazioni future.

        Pensavo che il «messaggio di diversione» fosse per gli elettori del M5S; invece mi sembra di capire che è stato per voi.

        • Noi il programma non solo lo abbiamo letto, ma lo abbiamo sviscerato in parecchi punti, in tutte le discussioni fatte su questo blog. E’ un programma non solo ambiguo, ma anche pericoloso. E’ un classico programma confusionista alla maniera di tutti i populismi che si vogliono “né di destra, né di sinistra”; contiene elementi di “socialismo” miscelati a evidenti cantonate neoliberiste, tace o dice pochissimo su problematiche cruciali come l’immigrazione (sulla quale dal M5S sono uscite non poche tirate razziste), non ha un capitolo espressamente dedicato al lavoro ma mette insieme tutto quanto alla voce “economia” (cosa che troviamo sintomatica, perchè non si riconosce che gli interessi dei proprietari delle aziende non combaciano né potranno mai combaciare in toto con quelli dei loro dipendenti), si parla di difesa della scuola pubblica e al tempo si vuole l’abolizione del valore legale del titolo di studio che nel sistema-Italia sarebbe la mazzata finale alla scuola pubblica etc. Inoltre, il M5S fa molte proposte che NON sono nel programma ma sono state espresse da Grillo sul blog, come il licenziamento di decine di migliaia di lavoratori pubblici.
          Il programma del M5S è qualcosa a metà tra lo specchio per le allodole e la clava da dare in testa agli avversari. Non solo: è pensato apposta per essere irrealizzabile. Ha un puro scopo d’agitazione, è una bandiera e nulla più.

    • Un problema strutturale è dovuto al medium scelto dal M5S come piattaforma rivoluzionaria, ovvero il web. il modo in cui internet propone una connessione non mediata col mondo pone già di per sé l’implicita assunzione dell’esistenza di una società neoliberale fatta di individui razionali, dove l’asimmetria di informazione è ridotta a zero attraverso i “commons digitali” che girano su infrastrutture mantenute in regime di proprietà esclusiva, e dove problemi di scelta collettiva vengono annullati da una struttura di incentivi che porta ad equilibri ottimali fra interessi opposti. Se si vuole minare alla base l’ “ecezionalismo” del M5S bisogna attaccare in primis l’ideologia della rete che il M5S propone. Un fatto banale: provate a confrontare il modo in cui voi gestite Giap a come Casaleggio gestisce il suo Blog o La Cosa: non essendoci dialettica o sviluppo del discorso, ma sono analogismi e anafore, mi chiedo come verranno discusse le proposte di legge sull’ipotetica piattaforma stile Reddit che Casaleggio propone. Un professore della London School of Economics, Tim Murphy, sostiene che quando la legge incomincia a vivere di copia/incolla (e non più di argomentazione) cessa di essere legge per diventare coercizione. Ma la rete può essere molto di più: http://www.youtube.com/user/mwesch

  8. giusto per chiarire le fonti: http://en.wikipedia.org/wiki/Economy_of_Greece

    4,9 milioni di occupoati, 750.000 dipendenti pubblici a tempo indeterminato e altrettanti (stima) a tempo determinato. 1,5 milioni / 4,9 = 25% (circa)

    comunque il succo del mio commento è che in genere i movimenti di protesta hanno sempre richiesto, in vari modi, una certa redistibuzione della ricchezza. Ma oggi il problema non è la redistribuzione (che comunque è iniqua) ma proprio la creazione della ricchezza.
    Non voglio scomodare Adam Smith, ma qual è la riccheza di queste nazioni?
    – la grecia ha un po’ di turismo e qualche porto. Evidentemente due settori non bastano per una popolazione come quella greca
    – il portogallo è manifatturiero/industiale ma ha delle fabbriche iper obsolete
    – la spagna ha prosperato sul mattone ma, come è abbstanza ovvio ovunque, più di tanto non si può costruire. Chi l’ha voluta la bolla? I costruttori, ovvio. Ma non credere che gli spagnoli si siano tanto indignati all’epoca: io ci ho vissuto in spgna (2006-2008) e mi ricordo bene un sacco di gente (operai) che facevano mutui a 50 anni per case abbastanza pessime “tanto il valore aumenta sempre”. Questa credenza è diffusa anche da noi, lì di più
    – l’irlanda ha speculato sulla finanza e sull’immobiliare, vedi sopra

    Da dove nasce la ricchezza di queste nazioni? Il discorso è che non sono paesi ricchi, son cresciuti tanto per via di un basso debito pubblico che hanno cominciato a gonfiare.

    L’Italia non ha potuto gonfiarlo più di tanto eprchè era già altissimo anche in epoca pre-crisi, ciò non oglie che comunque qui una base industriale (che produce plusvalore di marxiana memoria) ci sia, è pur sempre il secondo paese manifatturiero d’europa e il quinto-sesto mondiale

    Il problema è sì la politica, ma di tipo economico: in italia si è corteggiato per anni le pmi, l’ossatura industriale del paese (remember?). Il fatto è che quelle industrie non riescono a reggere il passo con il progresso tecnologico e oggi sono in crisi nera. D’altra parte hanno sempre fatto i “cinesi” d’europa: manodopera sottopagata, macchinari vecchi, padre-padrone aziendale che decide tutto senza spesso averne le conseguenze.
    La Germania è il chiaro esempio di una politica industriale fatta in modo migliore: supporto al reparto produttivo, continui investimenti e oggi godono dei risultati anche in termini di bassa disoccupazione e alti salari.

    Tornando ai movimenti: oltre al fatto che non ottengono nulla, la domanda è: cosa chiedono? non vogliono prestiti dall’esterno dela troika? ok, basta per risolvere i problemi? non penso proprio.

    A me sembra che ci sia rabbia più che altro per la frustrazione di non sapere nemmeno identificare una via di uscita. Se magari 30 anni fa la gente chiedeva redistribuzione dei redditi e otteneva qualcosa era perchè la ricchezza c’era. Oggi ce n’è meno. La causa è una politica sbagliata fatta negli ultimi 20 anni e la germania ma anche la cina non c’entrano niente.

    Secondo me il problema alla base è che tutto il sud europa si sia scordato che in paesi dove di risorse ce ne sono poche, la rocchezza può venire solo dalla trasformazione e deve essere fatta bene, altrimenti ci sarà sempre il cinese di turno che le cose “facili” te le fa a meno. La puoi chiamare qualità, se vuoi.

    Concludo e mi scuso per la lungaggine: saranno anche movimenti “internazionalisti” ma secondo me sbagliano totalmente l’obiettivo della protesta. E se vai verso il bersgalio sbagliato perdi sempre, quindi di questi movimenti non ne sento affatto la mancanza.

    Questo non vuol dire, ripeto, che in italia ci siano movimenti che vanno verso il giusto bersaglio, anzi.

    • Scusami, ma il “non sentire affatto la mancanza” di movimenti che hanno l’uguaglianza come idea di fondo, che combattono contro i tagli alla spesa sociale e per mantenere l’idea e la sostanza di un legame sociale e di un vincolo di solidarietà, che contestano sul terreno dell’ideologia e del sentire comune tutti i dogmi che hanno avvelenato l’Europa e l’Occidente negli ultimi trent’anni, è un po’ una frase da commentatore col “culo al caldo”. Non dico che tu ce l’abbia, non ti conosco, la critica non è a te ma a questa fase sbrigativa. Io la sento eccome, la mancanza. Meglio un movimento di massa magari confuso sulle misure specifiche da adottare ma che si batte sul terreno dell’uguaglianza e della solidarietà, piuttosto che la (vera o presunta) iper-chiarezza sui fini specifici a cui però non corrisponde alcuna prassi sul terreno dell’uguaglianza.
      Qui da noi, poi, il movimento che sostiene di incarnare il cambiamento di fatto *vuole* tagli alla spesa sociale (in primis alle pensioni), ripropone dopo una semplice riverniciata e l’aggiunta di qualche brillantino molti dei dogmi che altrove contestano. Avercene, di sollevazioni come quella portoghese. Mi libererei di dieci Movimenti 5 Stelle in cambio di metà della potenza creativa e della tensione alla comunanza che in diverse fasi ha acceso la penisola iberica dal 2011 a oggi. Perché quelle comunità vive fanno sentire che si può lottare insieme, fanno vivere un’esperienza di aggregazione conflittuale che lascerà tracce vive nei corpi. Quei corpi si addestrano all’azione collettiva e in futuro vorranno tornare a quella “fusione”. Poi uno può fare tutte le critiche che vuole, ma sarebbe meglio ci mettesse anche il culo :-)))

      • ho scritto in modo sbrigativo, probabilmente male, non è il mio forte.
        Vorrei precisare una cosa: non ho niente in contrario ai movimenti di massa confusi, che hanno l’uguaglianza come idea di fondo, che combattono contro i tagli alla spesa sociale, tutt’altro.
        Ho partecipato attiavmente al movimento dal 2000 fino al 2005, a Genova la confusione era massima, non solo per tutti i fatti che son successi ma anche per la confusione imperante a livello di principi, partica e organizzazione. Mi ricordo un grandissimo racconto vostro (non mi ricordo quale wuming…), “bologna social enclave”, lo spiegava bene.
        Beh, secondo me quel movimento con tutte le sue pecche comuqnue andava nella giusta direzione: contro la globalizzazione senza regole. Tanti di quei concetti si sono dimostrati assolutamente giusti nel tempo.
        Eppure quel movimento ha perso. Ma era giusto.

        Quelli che vedo oggi, forse col culo al caldo (può anche essere), li vedo invece confusi. Contro i tagli? giusto. Conro l’austerità? giusto. Per l’uguaglianza? giustissimo. e poi? e poi qualcuno mi dice che la soluzione sono le fabbriche occupate… io sarò col culo al caldo ma in fabbrica ci lavoro e di base se non produci bene e non vendi bene alla fine chiudono baracca e burattini. Non è una mia opinione, sarei felice di sbagliarmi.

        Ovvio che mi piacerebbe uno stato sociale vasto ed efficente ma c’è sempre una domanda di fondo: chi paga? perchè se una nazione la ricchezza non la produce, i soldi per pagare lo stato sociale non ce li ha.
        Per questo dico che i movimenti del sud europa mi sembrano confusi, semplicemente puntno il dito contro tre istituzioni (la troika, appunto) che non sono assoultamente dei santi ma che mi sembra non siano per niente le cause delle crisi attuali. LE cause sono le politiche sbagliate fatte in questi anni che hanno portato questi paesi a perdere ricchezza, italia inclusa (non accusatemi di essere “fiero nazionalista”, per piacere…).

        Quello di cui sento la mancanza, davvero, è di un movimento che faccia politica, elaborazione di soluzioni. Non ne vedo. Mi ci metto anch’io, col mio culo al caldo.

    • Giola, molte delle cose che dici sono approssimazioni o inesattezze. Ad esempio, il default della Grecia (che avrebbe, a parte il turismo e i porti, anche pesca e agricoltura, ma vabbé…) è stato causato, oltre a un’evasione fiscale di fatto dei grandi capitali tutelata dalle leggi pro-armatori, non tanto dal debito pubblico, ma dall’indebitamento privato delle famiglie; tra le cause del quale, i prestiti richiesti per mandare i propri figli alle scuole private, perché il sistema scolastico pubblico greco è di basso livello e non consente una preparazione adeguata ai durissimi test di accesso all’università, che sono molto selettivi. Questo dovrebbe ricordarti qualcosa su ciò che i movimenti di protesta in Italia hanno detto sulla scuola, e sui rischi della sua deriva privatistica (mi permetto di segnalarti questo, sulla crisi della Grecia e i falsi miti che ne nascondono le vere cause). Come vedrai, la Germania (o meglio: una parte della Germania) c’entra, eccome.
      La crisi della Spagna non è dovuta al fatto che è finito lo spazio su cui costruire, ma al fatto che il valore delle case, come già successo negli USA, era cresciuto a dismisura. E al fatto che la produzione agricola spagnola è stata orientata in modo funzionale alla grande distribuzione, molta quantità e poca qualità. E anche questo ti dovrebbe ricordare alcune rivendicazioni dei movimenti su ambiente, cementificazione, qualità del cibo, ecc.
      Tanto in Spagna quanto in Grecia (ma anche in Italia) hanno prevalso marrazioni tossiche sulla produzione di ricchezza e sulla crisi che non c’era. La disinformazione, o l’approssimazione, su una crisi che è in atto dalla primavera del 2001, contribuiscono a occultare la vera causa struttural edi questa crisi: la svolta finanziaria dell’economia, la trasformazione del profitto in rendita, la creazione di ricchezza monetaria sganciata dal rapporto con la merce. Se c’è una cosa che i movimenti, di cui tu non senti la mancanza, hanno fatto negli ultimi 15 anni, è stata la ricerca incessante della verità dietro le parole, gli slogan, le favole tranquillizzanti che nascondevano le reali condizioni socio-economiche.

      • Ah, Giola, dimenticavo: se dietro casa tua (o anche a 150 km da casa tua, che in fondo è lo stesso) non stanno cominciando a costruire una centrale nucleare, il merito è di quei movimenti che per te “risultati concreti = 0”. Così, giusto per ricordare…

    • Intanto noto che hai deciso di non dare neanche uno sguardo al sito che ti era stato proposto.
      Scelta legittima, figuriamoci, ma allora mi debbo dilungare un attimo su alcune questioni fondamentali.

      Innanzitutto dovremmo intenderci sui dati.

      Ad esempio il totale della forza lavoro in Grecia nel 2000, a detta dell’OECD, era di 4.671.200 unità.
      Il numero dei dipendenti pubblici in senso stretto riportati dall’International Labour Office è 303.700.

      Siamo poco sopra il 6%, il dato più basso di tutta l’eurozona.

      Se calcoliamo nel totale anche i lavoratori di aziende a proprietà pubblica, sempre l’ILO dà il valore totale di 863.700 unità: 18,5%. Qui gli unici valori più alti sono quelli di Francia, Olanda, Finlandia ma è comunque un valore che dipende dall’organizzazione interna degli stati e non è comunque uno scandalo tale da giustificare tutti gli anatemi che sui Greci vengono lanciati.
      Nulla per cui strapparsi i capelli, insomma.

      Poi tu citi tre casi, gli altri PIGS da cui con una certa fierezza vorresti distinguer il nostro bel paese (e alcune ragioni le hai, per carità).
      La Spagna è l’esempio più tipico. Tu accusi gli spagnoli di essersi indebitati creando la bolla della quale sono rimasti vittime.
      Ma intanto il valutare la convenienza di un prestito sta a colui che lo concede, non a chi lo riceve.
      Poi, mentre tutto questo succedeva, il debito pubblico diminuiva, non cresceva, per cui la tua frase “Da dove nasce la ricchezza di queste nazioni? Il discorso è che non sono paesi ricchi, son cresciuti tanto per via di un basso debito pubblico che hanno cominciato a gonfiare” è assolutamente priva di fondamento.
      Il fatto è che per vari motivi, in una unione economica, i capitali corrono laddove gli si trovano occasioni di investimento.
      E di solito queste occasioni sono maggiori in paesi meno sviluppati, che più hanno da recuperare.
      Ma i capitali non vengono mossi da una superiore volontà che li spinge a operare per il bene di tutti, ma, come è nella loro natura,
      si fanno gli affari loro, creano scompensi interni, bolle che tendono a esplodere.
      D’altronde dagli anni novanta, controllo dei capitali alle frontiere è diventata una parolaccia. Possiamo tranquillamente affogare qualche africano, ma sia mai che il capitale venga disturbato nei suoi divinio spostamenti!

      L’Irlanda è restata vittima della propria bassa tassazione (noi invece siamo vittima di una tassazione troppo alta, immagino. Ah! il giusto mezzo)
      e di un eccesso di capitali stranieri. Quelli stessi capitali che per inciso sono arrivati a invocare persino i sindacalisti della FIOM.
      Ah, e il rapporto debito pubblico/PIL era sceso fino al 30%, il più basso d’Europa.
      C’è o non c’è un po’ di confusione in tutto ciò?

      Carina anche la nonchalance con la quale ti liberi di Portogallo e Grecia. Sono paesi poveri e non produttivi, che vorrebbero pure vivere secondo lo standard dei veri Europei belli bravi e buoni?
      Ma un unione economica che vorrebbe anche diventare politica non dovrebbe avere come priorità la risposta proprio a queste esigenze?

      E ti sei chiesto se la maniera migliore per sviluppare le infrastrutture industriali di questi paese sia stata quella di metterli in diretta concorrenza col moloch tedesco?
      La Germania fra l’altro, checché ne dica Ballarò, ha ferocemente attaccato il livello dei suoi salari (circa -10% fra il 2000 e il 2009), attuando una politica mercantilistica, basata sul contenimento del proprio mercato interno e sulle esportazioni.
      In questo quadro non è che ci fossero molte speranze per i paesi periferici.

      A mio parere, il fatto è che l’Unione Europea ha scelto una politica economica precisa. I lavoratori di tutti i paesi membri devono vedere peggiorare le loro condizioni di vita.
      I paesi centrali (i capitalisti dei paesi centrali) ci hanno guadagnato grazie alle praterie aperte per le loro esportazioni, e con il surplus accumulato hanno modellato un welfare state che in gran parte non è altro che un aiuto pubblico alle imprese private.
      I lavoratori tedeschi hanno allegramente rinunciato a qualsiasi dividendo su questi profitti. Infatti non è che il tasso di sindacalizzazione tedesca sia poi così elevato, mi pare che sia circa un terzo del nostro. Un po’ strano vero per un paradiso dei lavoratori nel quale i sindacati controllano e decidono saggiamente.
      I padroni nei paesi periferici hanno trovato un’arma perfetta di ricatto contro i lavoratori rompiscatole che avrebbero voluto avere, che so?, una vita migliore.
      La Cina, e questo è l’unico punto su cui di do’ completamente ragione, non c’entra niente.

      In questo quadro, non vedo nessuna convenienza a diversificare le lotte, anzi vedo la necessità di unificarle.
      E sento anche la profonda inadeguatezza al compito di tutti i soggetti politici e sindacali.

  9. Posso permettermi l’arroganza di fare un piccolo sunto e derivarne una semplice proposta? A quanto pare ci sono molte opinioni diverse da parte di tutti, ma la posizione dei Wu Ming è chiara: le proposte di sinistra si riveleranno fregnacce e ne deriverà un conglomerato anarco-legaiol-capitalista di tendenze destroidi di qualche tipo.
    Altri, ‘grillini di sinistra’ (senza ironia) dicono che c’è speranza, che emergerà la volontà del movimento, che sn solo sparate di grillo ma poi ci sn cose buone ecc…
    Io non me la sento di fare la Cassandra, ce ne sono fin troppe in giro, ma propongo semplicemente: dato che si è tutti ‘de sinistra’, si può cominciare a trattare il M5S come tutti gli altri, incalzandolo su temi ‘de sinistra’, come suggeriva Toni Negri? E nel contempo ad iniziare un percorso politico davvero ‘dal basso’ condiviso che parta dalle (tante) convinzioni comuni?
    Inutile sopravvalutare Grillo come un Moloch che fagocita tutto, né far partire una campagna contro i ‘compagni che sbagliano’: quelli ti diranno che semplicemente, in mezzo al vuoto han pigliato, come da oltre 20 anni a questa parte, quello che prometteva meglio. Se poi Grillo ed i suoi decidono di fare ciò che vogliono fare più o meno le forze politiche in parlamento ovvero proseguire a distruggere Stato, diritti civili, welfare ecc…Amen.
    Si accoderanno agli altri, del resto. Non credo poi che la propaganda di Casaleggio & co. sia arrivata al punto di lavare il cervello a tutti quelli che lo votano (o che vi militano): anzi è proprio per questo motivo che Grillo fa sparate un po’ ndo cojo cojo, perché sa che cmq il suo è in buona parte un elettorato di sinistra. E non accetterebbe di vedere neutralizzati i sindacati dall’oggi al domani.
    Quindi calma e sangue freddo: prima di tutto conta mantenere e diffondere consapevolezza e cultura ossia portare avanti una piccola luce a Mordor, come dice WM4, senza timore degli scazzi in buona fede. Mi pare che qui ci si stia riuscendo abbastanza bene.

    • personalmente mi sembra una sintesi ragionevole..

      ricollegandomi @gilgalad più sopra, segnalo questa intervista sulla piattaforma per la “democrazia liquida” (che non c’è)
      http://www.linkiesta.it/federico-pistono

      il M5S andrebbe incalzato innanzitutto su questo tema, così come su quello dell’informazione della rete, “fonte di verità” (???) ma solo quando viene “certificata” dall’istituzione al potere (il Blog).

    • Tifiamo rivolta nel M5S, appunto. Incalzarli nelle battaglie concrete sui temi di sinistra, per far emergere le contraddizioni con quelli di destra.

    • Compagno Bipolare, penso che tu abbia ragione e non sarebbe nemmeno la prima volta che questo emerge qua sopra.

      Andrebbero incalzati su argomenti di *sinistra* per stanarli, ed anche come dicevano i Wu Ming, per costringerli a prendere una posizione lungo le giuste linee di frattura ( non casta vs. società ma ricchi vs. poveri, privilegiati vs. esclusi ).
      Proprio su questo WM1 ha ragione quando chiede se e quante persone si siano prese la briga di leggerlo il programma di m5s, rendendosi conto che dentro ci sono si cose che di facciata sembrano più di sinistra di tante altre, ma che c’è dentro pure tanta austerity.

      Secondo me il frame sbagliato ( ed estremamente destrorso, almeno per il risultati che si propone di realizzare facendo diventare determinate falsità un luogo comune diffusamente condiviso ) non è nemmeno tanto quello della “casta”, ma quello del “debito pubblico”.
      Non uno dei paesi PIIGS sta fallendo o è già fallito di debito pubblico.
      Il fatto è che se il debito pubblico realmente fosse il problema la soluzione possibile sarebbe una soltanto: tagliare, (s)vendere, proprietà e servizi, e con essi diritti di cittadinanza ( tipo l’istruzione, la salute, etc. ).
      Risultato complessivo: fuori definitivamente e completamente lo stato, e quindi l’interesse del popolo espresso per via democratica, dall’economia, sia in termini di produzione/redistribuzione sia di controllo.
      In effetti tanti che li votano sono convinti che la casta si sia magnata la ricchezza di questo paese fino a far esplodere il debito.
      In realtà la casta fa effettivamente schifo, ma il debito è esploso per motivi del tutto diversi di cui si è diffusamente parlato.

      Ora secondo me, le due questioni essenziali sui quali incalzarli per creare le giuste linee di frattura in questa crisi europea, non solo italiane, sarebbero date dal proporre una seria e profonda critica del trattati di libera circolazione e sul tema “reddito minimo vs. minimo salariale”.

      Infatti:
      – trattati: stabiliscono libera circolazione di persone merci servizi e capitali,
      Ora, se da sinistra, non possiamo che essere totalmente favorevoli alla libera circolazione di persone, perchè ogni persona ha diritto a cercare la propria realizzazione, la felicità, una vita migliore e sapendo benissimo che questo può comportare dei costi è un dovere di civiltà della politica attuare ogni sforzo possibile perchè essi possano essere sostenuti, e perchè a differenza della destra vediamo di buon occhio convinvenza multiculturale, mescolarsi ( che comunque non vuol affatto dire dimenticare da dove si viene ), sempre da sinistra sono 20 e oltre anni che si idolatra la libera circolazione anche di merci capitali e servizi senza più star troppo a soffermarsi su cosa voglia dire ( eppure mi ricordo che se ne parlava a Genova 2001 quando si contestavano i contenuto degli accorti del WTO, che alla fine sottendono la medesima ideologia liberista/mercantilista ).
      La completa libertà di merci servizi e capitali vuol dire che chi ha un grande capitale da investire è libero, in qualsiasi momento, e senza dover pagare dazio, di togliere lavoro qua per andare ad investire la, dove la profittabilità del saggio di sfruttamento ( il C.U.L.O. che puoi fare ai lavoratori e lavoratrici ) è più elevata.
      Palesemente questo vuol dire mettere le classi lavoratrici dei vari paesi le une contro le altre, prospettiva dalla quale possono guadagnare solo i padroni.

      Il secondo elemento è fare chiarezza su uno dei più abusati refrain della (stolida, ed infatti invotabile, anche se per l’ennesima volta mi son turato il naso lo stesso ) sinistra italiana: il reddito minimo.
      Gli squilibri commerciali che hanno fatto fallire seriamente i PIIGS non nascono dal debito pubblico ma dagli squilibri commerciali dettati dal fatto che alcuni paesi sono riusciti ad avere strutturalmente tassi di inflazione più bassi degli altri ( hanno contenuto i costi dei propri prodotti ) perchè un decennio fa hanno tagliato brutalmente retribuzioni e diritti delle classi lavoratrici.
      In questo modo sono diventati per primi più “competitivi” ( fottendo le classi lavoratrici ) e così fottendo per estensione anche le classi lavoratrici dei paesi vicini praticando politiche beggar thy neighbour, cosa cui le classi imprenditoriali dei paesi che pure venivano impoveriti hanno inizialmente aderito con entusiasmo perchè si sono ritrovati in mano una scusa/pretesto per cancellare 40 anni di conquiste sindacali.

      Ora i paesi che si son mossi per primi nel comprimere salari, operazione dalla quale i vicini non potevano più difendersi, come facevamo prima, svalutando moneta, hanno tutti il reddito minimo garantito.
      Chiamatela flexsecurity danese, chiamatelo legge Hartz IV in Germania, sempre di quello stiamo parlando: stato che tiene la pressione fiscale molto elevata e poi distribuisce lo stretto indispensabile per vivere agli esclusi dal mondo del lavoro per sedare a priori la rivolta.

      Ma la sinistra ha lo scopo di AGIRE sul CONFLITTO REDISTRIBUTIVO, favorendo redistribuzione dal ricco al povero, oppure semplicemente NON E’ sinistra.
      Queste politiche invece non redistribuiscono un bel niente; la pressione fiscale alta nel complesso procura allo Stato il denaro per garantire un reddito minimo dalla tassazione dei redditi della gran massa della persona, e la gran massa delle persone non sono i più ricchi che arricchiscono sull’impoverimento altrui.
      Cioè sono i poveri a pagare affinchè un po’ di poveri non vengano del tutto abbandonati a sé stessi.
      Cornuti e mazziati in pratica, altro che “il compagno Robin Hood” che toglie ai ricchi per dare ai poveri!
      Quindi è una politica economica di destra: essa blinda lo status quo, distribuisce paternalisticamente una elemosina pro bono pacis, non cerca di cambiare le cose.

      Di sinistra sarebbe una riforma dello stato sociale più universalistica, introdotta subito dopo aver ristabilito l’esistenza dei minimi salariali ( aboliti in Italia dall’art.8 di Sacconi ed in Germania dalla “agenda 2010″ di Schroeder ) e subito dopo aver detto che PRIMA di tutelare le persone ( dopo che son state sbattute fuori dal posto di lavoro a calci in culo alla prima rivendicazione, tanto il sussidio la fuori c’è… ) bisogna continuare come si faceva con l’art.18 a tutelare il posto di lavoro, rendendo il licenziamento difficile, perchè questo crea la condizione perchè la lotta di classe possa essere agita dal basso, e possa avanzare e far conquiste, cambiare cioè le cose e cambiare redistribuendo di più ai ceti popolari ( fino magari a prendersi tutto ).

      Queste sono le linee di fratture sulle quali oggi sta procedendo la crisi dei paesi europei.

      E su questo bisognerebbe stanare m5s, e anche tanto centro”sinistra” che o è in malafede o per inettitudine ha perso di vista le differenze di ruolo all’interno del conflitto distributivo.

      Purtroppo in Italia non c’è sinistra né che osi contestare i trattati europei di libera circolazione alla voce “merci-servizi-capitali”, né che si renda conto che il reddito minimo è di sinistra solo se viene dopo aver blindato l’esistenza dei minimi salariali ( che ci deve pagare il datore di lavoro, il padrone, non il pubblico erario con le tasse sui nostri pochi soldi ), altrimenti è roba di destra.

  10. Visto che l’altra discussione è stata chiusa, lascio qui il mio commento anche se probabilmente non è proprio attinente a “cosa succede in Portogallo”. Piuttosto è sul M5S: lasciando da parte le pratiche concrete di gestione del movimento (Grillo e Casaleggio e la struttura verticistica), lasciando da parte anche la visione del mondo che sembra ispirare il movimento (vedi il video terrificante sul futuro dell’umanità, che a quanto pare sarà un gran rottura di palle), ma la democrazia diretta via internet che è la base della “approccio teorico” del M5S, mi sembra intrinsecamente antidemocratica. L’uso della rete come “metodo democratico” è fondato su un’asimmetria di fondo: chi ha accesso a internet è dentro, chi no è fuori. Anche tra chi è dentro ci sarà inevitabilmente la divisione tra chi ha conoscenze informatiche più approfondite e chi invece è un normale utente. Di conseguenza chi ha maggiori conoscenze ha anche più potere e può “dirigere” la rete dall’alto di queste e in sostanza ottenere quello che vuole. Alla faccia della democrazia diretta e delle decisioni prese dal basso.

    • Basta essere normali utenti per utilizzare certe piattaforme; come questa per esempio.

      Stai confendendo le potenzialità “democratiche” di una tecnologia con la sua diffusione.

      Questa discussione è antidemocratica perché compare in rete e per di più su un blog di cui non tutti sanno l’esistenza?

      La televisione è un mezzo di diffusione dell'”informazione” antidemocratico, che lede il diritto “democratico” di essere “informati” perché non tutti ce l’hanno? Similmente per l’alternativa (che alternativa esclusiva non è) dei giornali: non tutti sono diffusi ovunque e quindi si crea una asimmetria di “informazione”.

      Chi fa funzionare un ufficio pubblico, chi lo dirige, ha un potere di controllo “dall’alto” su chi è un semplice “utente” di tale ufficio?

      • Peccato che l’utilizzo della rete da parte del M5S sia verticale e molto “tradizionale”, perché la concezione di fondo è plebiscitaria. A che serve la rete per il rozzo schema stimolo -> risposta su cui si basa l’idea di “democrazia diretta” del M5S? Come mi diceva stamattina WM5, potrebbero tranquillamente usare un interruttore che accende una lampadina.
        Giustamente Giuliano Santoro nel suo libro fa notare che l’idea assolutamente povera di “interazione” che si evince dalla prosa del M5S è molto televisiva, è figlia di quella “neotelevisione” che a partire dagli anni Ottanta ha cominciato a interpellare gli spettatori, che però potevano rispondere solo secondo una logica binaria, 0 – 1, sì – no, accendi le luci di casa – tienile spente, vota questo – vota quello, simpatico – antipatico. Qui la dico tagliando con l’accetta, Santoro fa una riflessione approfondita. Non a caso Grillo viene dalla TV e continua a essere irredimibilmente *televisivo* nel modo in cui usa la rete, e Casaleggio è nel business della pubblicità, che è basata sulla stesso stesso schema stimolo -> risposta: io reclamizzo un prodotto, tu lo compri. Io reclamizzo una rivoluzione pret-à-porter, tu la compri (e compri i DVD di Grillo, i libri di Grillo & Casaleggio, tutto il kit del grillino che sta sconfiggendo la “vecchia politica”).
        L’idea di “democrazia diretta” e “consultazione dei cittadini” che ha Grillo non è andata molto più in là di Giucas Casella che ti diceva di giungere le mani e tenerle sopra la testa.

        • È possibile costruire un terreno comune con chi, in buona fede e per mancanza di alternative, appoggia Grillo? Io penso di si. Per farlo bisogna creare le condizioni affinché le giuste domande vengano poste nei “blog opportuni”, e soprattutto nelle coscienze di chi affida il proprio futuro in esclusiva alla Casaleggio & Associati.
          Gli ultimi post su Giap e i relativi commenti aprono interessanti spiragli, ma io che sono de coccio faccio fatica a seguire. È necessario articolare e allo stesso tempo semplificare l’analisi su ciò che è condivisibile e ciò che svuota il significato stesso della democrazia diretta, senza essere confusi dal fesso di turno per sostenitori del PD (risata). Il libro di Giuliano è un’ottima base di partenza, ma le accelerazioni delle ultime settimane impongono una integrazione schematica. Serve uno strumento di debunking collettivo in divenire. Una cassetta di attrezzi “attiva” per chiarire cosa rende incompatibili, “da sinistra”, l’attuale impostazione del #M5S e i “movimenti orizzontali”.

          E se l’esercizio che spinge alla rivolta diventasse un tappeto elastico su cui rimbalzare verso nuovi orizzonti? Per andare dove? Insieme a chi? È tempo di assecondare le leggi del caos…

          salùt!

          p.s.
          lo so che è un mezzo accollo per voi e amicofarfalla, ma è il tipo di percorso dove il lancio riesce meglio a chi scrive, non a chi fa i filmini ;)

  11. Ecco, arrivata alle ultime (!!!) righe della mia traduzione e navigando alla ricerca di termini appropriati ho trovato questo link…traduzione francese con tanto di note. Eravate già arrivati Oltralpe, magari anche a vostra insaputa!!! :-)

    http://www.entonnoir.org/wu-ming-grillo-pousse-sur-les-ruines-du-mouvement/

  12. Berlusconi: «Grillo non si farà mai ingabbiare. La radice del suo successo poggia sul fallimento della politica economica europea. Eppoi, come potrebbero i Democratici accordarsi con uno che teorizza la rinegoziazione del debito? Queste parole sono un crimine contro lo Stato: come reagirebbero gli investitori stranieri?»
    (http://www.corriere.it/politica/13_marzo_06/berlusconi-napolitano-governo-maggioranza_dbce405e-861f-11e2-8496-c29011622c49.shtml)

  13. Stasera su RaiNews24 è stato intervistato Ugo Mattei per commentare l’esito del voto in Italia.
    Ne ha dato delle motivazioni del tutto simili a quelle fornite da Bifo.
    A sembra una buona notizia, se considero che Mattei lo vorrei vedere costantemente in tv a catechizzare un po’ le masse circa il concetto di bene-comune..

    • Mi tocca insistere sull’importanza del conoscere i precedenti storici: il fascismo crebbe *anche* per reazione alla politica europea di quei tempi, ovvero al Trattato di Versailles del 1919. Studierei (è uno sprone anche a me stesso) il rapporto tra “anticapitalismo” fascista e assetto europeo degli anni Venti e Trenta. Perché il rischio, con questi movimenti, è di sopravvalutare la carica di “protesta” che portano con sé.

      • Giusto, concordo.
        Qui infatti nessuno vuole sopravvalutare alcunché.
        Allo stesso tempo, vorrei anche evitare l’errore di sottovalutare alcunché. Vedi alcuni fenomeni che hanno a che fare con la definizione “funzionamento della rete.
        Perché ho l’impressione che molte delle analisi critiche che ho letto in merito a Casaleggio ed alla sua visione della rete non colgano bene il punto.
        Quasi tutte vertono sugli inganni tecnici od eventuali trucchi da media tradizionali (vedi: costruire ad arte un racconto distante dalla realtà in merito ad un fatto accaduto).
        Ma questi inganni, a mio avviso, possono essere facilmente immaginabili ed identificabili.
        Voglio dire: se il bersaglio della critica si riduce alla piattaforma proprietaria dei “MeetUp”, al fatto che esistano i robot, che si possano creare identità fasulle, che il consenso dei “mi piace” sia manipolabile, che su internet non c’è la verità, secondo me non cogliamo il punto.
        Il punto, secondo me, è il grado di libertà che ciascun gruppo sociale (che in rete si può esplodere sino all’individuo e, dunque, occorre capire bene i rischi sociali che questo cambio di paradigma comporta) deve avere in termini di produzione e distribuzione di contenuti in rete.
        Su questo si gioca la partita secondo me.
        Alla fine si tratta sempre di produzione e distribuzione della ricchezza.
        In questo caso “intellettuale”.

        Dunque la domanda che io mi farei è: i grillini girano per la rete come me, come voi (suppongo) ?
        Hanno la possibilità di essere influenzati da fonti “altre”?
        Qual è il grado di libertà informativa di cui godono in questo momento?
        Per es: per caso, in questo momento, ci sta leggendo qualche grillino neo-eletto?

        Perché voi, nella visione di Casaleggio, siete degli “influencer”. O no?

        • Qual è il grado di libertà informativa di cui godono i grillini in questo momento?

          Chiaramente non ho una risposta generale, ma posso raccontare un aneddoto.

          Se hai ascoltato la trasmissione di Radio 3, avrai visto che l’esponente siciliano del M5S non sapeva praticamente nulla delle epurazioni avvenute nel M5S in Emilia-Romagna. Facci caso. Allora, come vengono filtrate e incorniciate le informazioni sulla vita interna del movimento dentro il movimento stesso? Quali sono i meccanismi che *prevengono* la penetrazione tra gli attivisti di voci altre, informazioni scomode, analisi critiche? E’ chiaro che chiunque può usare la rete per accedere a queste informazioni, ma accedervi serve a poco se vi si accede già “corazzati”, dopo un lavoro di framing che ti ha fatto credere che qualunque dissenziente sia un infiltrato, che qualunque critica al movimento sia prezzolata dai “vecchi partiti”, che qualunque informazione scomoda sia falsa.
          Di solito sono le sette, a funzionare così.

          • Sì, ho ascoltato la trasmissione e ti devo dire sinceramente che concordo con Sofri; attenzione a non commettere lo stesso identico errore: che qualunque persona ci veda un’opportunità in quanto sta avvenendo, vada demolita.
            Tanto più se non si hanno risposte generali.
            Mi chiedo: perché non tentare di analizzare il voto? Perché non cercare di fare entrare nel dibattito dei grillini i temi “di sinistra” e più urgenti?
            Per esempio: io credo che si possa più facilmente parlare di “diritti” e di “bene comune” in questa fase.
            Non ti nascondo che mi piacerebbe si riuscisse a sancirne qualcuno per legge, no? Io questo “tirarsi fuori” non lo capisco.

            • Sono giorni e giorni che incitiamo a incalzare i grillini nelle battaglie concrete sui punti di sinistra del loro programma. Ci abbiamo fatto sopra un intero post. Mi domando, quindi, se tu abbia capito cosa intendiamo quando diciamo che furia.o rivolta. Altro sembrano averlo capito. Il manifesto ci ha fatto sottotitolo e occhiello dell’intervista.

              • No, parlo delle parole utilizzate per rispondere a chi (da attivista, per come scriveva), su questo blog ha provato ad avere un approccio “dialogante”.
                L’idea che la cosa sia scoppiata in faccia a Grillo e Casaleggio non vi ha sfiorato?
                Che si aspettassero sì una valanga di voti, ma forse non tali da impedire la nascita del già scritto governo “Bersani-Monti”.

              • Non solo l’idea ci ha “sfiorato” eccome, ma quel che dici lo abbiamo proprio scritto in vari commenti. In particolare WM3 ha dedicato alla cosa un commento molto lungo nel thread di “Tifiamo rivolta”.
                Cosa ti risulta poco chiaro nel nostro discorso sulle contraddizioni che ineluttabilmente si acuiranno?
                Quanto alle “parole utilizzate” nel rispondere a un “dialogante”, facci un esempio.

              • Che le contraddizioni si acuiranno, è inevitabile. Che sia questo il momento migliore per augurasi una spaccatura, ho le mie riserve.
                Ma sono considerazioni tattiche legate al processo istituzionale che porteranno alla presentazione di un governo.
                Dunque lasciano il tempo che trovano.

                Di seguito il botta e risposta tra te ed un “dialogante”:

                antonio.calapai 27/02/2013 at 11:46 pm
                “Viene da pensare che simili reazioni servano soprattutto a placare un’ansia, a rassicurare se stessi e la tribù. Forse dietro il successo del M5S c’è più incertezza e debolezza di quella che traspare, e anche un intervento estemporaneo da una posizione marginale può gettarci sopra un piccolo fascio di luce, che va subito offuscato alzando un polverone.”

                certo che è così e non solo siete arrivati a questa conclusione in ritardo, ci avete anche girato il coltello in questa piaga, senza comprendere. Credo che questo sia il motivo principale per cui alcuni lettori, tra cui me che ho vi ho letto per la prima volta ieri, hanno più che altro risentito della vostra supponenza. A dirla proprio tutta la percezione che ho avuto leggendo è stata quella di ascoltare qualcuno che si stava ponendo su di un piedistallo, non tanto per restare oggettivi (lo sforzo all’oggettività, per quanto utopico resta comunque una caratteristica che apprezzo) ma più per altro per elevarsi.

                Alla vostra banalizzazione di una situazione molto più complessa, espressa con toni accusatori e paternalistici, molti, tra cui il sottoscritto, hanno risposto in modo qualunquista.

                Il fatto che voi siate di sinistra non cambia assolutamente nulla, potete rivendicarlo fino a sgolarvi, così come potreste fare se foste di destra o di sopra o di sotto. Questo non vi tutela dinnanzi al confronto ne vi rende più o meno autorevoli. Vi rende solo autoritari nei confronti dei lettori e delle stesse parole che usate. La dicotomia che a vostro modo di vedere governa i processi sociali/democratici e politici è un frame dentro cui cercate di esprimere la vostra opinione, ma non è uno scudo, perchè è così che la avete usata nell’articolo a cui vi riferite e molto più ampiamente qui.

                Il movimento è chiaro a tutti che sia perfetto, è nato dalla merda e di merda si è sporcato. Siamo in Italia ed il leader di questo movimento è un comico, qui in Germania non si stupisce nessuno di questo, perchè è tipicamente italiano, ironicamente/amaramente.
                La debolezza del movimento è inversamente proporzionale alle sua stabilità, perfezione ed indipendenza. E’ solo l’inizio e ciò che avete scritto qui e prima lì, non è una critica, un guardrail, è un giudizio, è un chiodo nella gomma. Il perchè facciate questo non traspare dai due articoli. L’equazione quindi viene chiusa dai lettori, autonomamente, pregiudizievolmente (non so manco se si dica così) come un salire su di un piedistallo d’orato. Se il lettore capita di essere anche un attivista/simpatizzante del movimento, si sente persino giudicato. Certo non è colpa vostra se il movimento è paranoico e ha le manie di persecuzione, ma continuare a delegittimarlo di certo non lo aiuta ad emergere dalla propria confusione. Se volete che il movimento si trasformi e si migliori allora questo atteggiamento non pagherà mai. Siccome questo atteggiamente è questo quello che avete scelto per trattare l’argomento, allora la gente può arrivare a pensare che non vi interessi che il movimento si migliori, vi piace che sia così, e quindi si incazza e vi insulta. A torto o a ragione qui ho cercato di spiegare cosa ho pensato io scrivendovi la risposta.

                ciao
                antonio

                Mostra/nascondi risposte (2)
                Wu Ming 1 27/02/2013 at 11:59 pm
                Antonio, mi chiedo cosa nelle nostre argomentazioni possa averti fatto pensare che “in realtà” noi vorremmo che quel movimento “migliorasse” ma, ahitè, sbagliamo il modo di rapportarci e non ce ne rendiamo conto, noi tapini.
                Stai scherzando o non hai capito davvero? Eppure a me sembra chiara, la nostra analisi. Abbiamo scritto che quel movimento è sostanzialmente di destra, con tratti liberisti e momenti di autentico criptofascismo, è un “apparato di cattura” (cioè, se non si fosse capito, un trappolone), una setta-azienda di proprietà di due milionari che con tutta evidenza disprezziamo, un progetto finalizzato a incanalare e (parzialmente) spegnere energie che altrove hanno trovato altri sbocchi, ben più interessanti. Abbiamo scritto che capiamo perché molti di sinistra lo abbiano votato, nondimeno quella roba e quei guru ci troveranno sempre contro. Ci auspichiamo non che quel movimento “migliori”, ma che si spacchi. Più chiaramente di così come dovremmo dirlo? Tifiamo rivolta. Speriamo che Grillo e Casaleggio vengano mandati a farsi fottere, e quelle energie si liberino dalla cattura, perché ci sono molte persone che non meritano di svilirsi in un simile dispositivo. Altro che “migliorare” il movimento. Puoi essere in radicale disaccordo con queste posizioni, quello che non devi fare è attribuircene altre, anche perché queste le abbiamo espresse in modo esplicito, le altre te le sei immaginate.

                antonio.calapai 28/02/2013 at 3:27 am
                Grazie per la risposta,

                si probabilmente ho immaginato più del dovuto. Non ho molto altro da dire, la vostra posizione è chiara, spero la mia lo sia altrettanto.

                Buon lavoro e grazie per gli articoli

                Antonio

                Quello magari è di sinistra, e gli rinfacci che sta in un movimento che fa leva su una retorica di destra. Come se non lo sapesse…
                Magari, come ha cercato di spiegarti, le situazione è ben più complessa di come ve le immaginate (come dire: forse non è questo il momento di spaccare il movimento).
                Ma la risposta è stata difensiva, non tesa alla curiosità di tentare di comprende quel “ben più complessa”.
                Risultato: possibile perdita del contatto. A che pro?

              • Ah, quello era un dialogante? “Autoritari”, “qualunquisti”… E questi epiteti per difendere la marmaglia che ci insultava su Internazionale. Bel dialogo.
                Faccio notare che noi non abbiamo MAI attaccato chi, di sinistra, ha votato M5S. Al contrario, abbiamo sempre detto di capire le ragioni del gesto, è tutto nero su bianco e lo abbiamo ribadito fino alla nausea. Fin dal primissimo post dedicato al grillismo abbiamo scritto che il dispositivo grillino deviava e pervertiva energie positive di gente con buone intenzioni. La nostra posizione è sempre rimasta quella. Cosa c’è nell’ultimo paragrafo di “Tifiamo rivolta” che non si capisce? Cosa c’è di difficile da capire nella risposta data a “Il manifesto” sui motivi che hanno portato molte persone di sinistra a votare M5S? Cosa c’è di astruso nella frase “colpa delle sinistre che hanno fatto di tutto per risultare invotabili?”
                Ecco cosa intendevo paragonandoti a un “disco rotto”: tu suoni sempre la stessa canzone, ossessivamente, senza curarti della posizione dell’interlocutore. Sei partito arci-convinto che noi stiamo demonizzando chi ha votato M5S, nonostante la nostra posizione sia completamente diversa, e continui su quella linea nonostante tutto e contro ogni evidenza.

              • Ma io infatti non mi sento attaccato. Non sono mica un attivista.
                Provo solo a mettermi nei panni di quello.
                Tutto lì.
                Ne ho ricevuto un’impressione sbagliata?
                Può essere.
                E mi spiace di essere risultato un disco rotto.

            • Antonio, lo dico da utente: qui mi piace leggere e intervenire potendo ragionevolmente sperare nell’intelligenza degli interlocutori. Personalmente non credo che sia in questione chi ha votato M5S. Credo che la questione vera sia quella che riguarda chi decide cosa fare di quel consenso raccolto alle urne e perché. Io vedo chiaramente un movimento che si spaccia per grassroot e invece è purissimo astroturf. Se avessi voluto misurarmi con gli “straw man arguments” mi sarebbe bastato andare nei commenti del Fatto Quotidiano a condurre epiche battaglie a colpi di “Like”. Ma dopo un po’ ti accorgi che non è così divertente. Se sei uno tosto, inizieranno a cercare di capire chi sei. Dove abiti. Che lavoro fai. Quanti figli hai. Come si chiamano. Cosa fai la domenica. E piano piano inizierai a trovare nelle risposte qualche allusione al tuo quartiere, al parco in cui vai a fare jogging, al nome del tuo capo. Al compleanno della tua bambina. E questo significa che siamo ben oltre l’anticamera del fascismo.
              Dire che gli 8.67mln di elettori di M5S siano tutti fascisti, e magari in eguale misura, è una cazzata che nessuna persona sana di mente può permettersi. Dire che questi 8.67mln abbiano scelto consapevolmente di farsi rappresentare da 20.000/30.000 individui che si sono appropriati della legittima incazzatura e che stanno manipolando il consenso è invece tutt’altra cosa. Ed è ancora più preoccupante la velocità con cui gli intellettuali sono corsi a leccargli il culo. A offrirgli comparsate in pubblico e paginoni sui giornali. Wu Ming invece no. Wu Ming osserva, conduce analisi, produce critica sociale. E, cosa più importante, lo fa al posto della massa di cialtroni che hanno girato per anni la testa da un’altra parte, fingendo di non vedere e non sapere. Del resto i totalitarismi nascono quasi sempre dal silenzio degli intellettuali. E quelli di cui avremmo davvero bisogno sono già morti.

  14. Che periodo confuso. (Ex/Finti)Rivoluzionari che giocano a fare i reazionari, reazionari che si innestano nella lotta anti-europeista e inseguono i qualunquisti, qualunquisti disperatamente in cerca d’autore (e se le parole hanno un peso, non perdetevi l’ultima performance di Fo: https://www.youtube.com/watch?&v=Fldu6enDzdo tanto bella e teatrale quanto decontestualizzata e irreale, ma che completa di fatto la mistica del M5S elevandola a Trinità: Padreleggio, Griglio e Spiri-Fo – la corrispondenza non è casuale ;-)).

    Tuttavia, per rimanere IT, e non debordare con contenuti dall’altro thread (non ho avuto il tempo tecnico di intervenire prima che fosse già “passato”, pazienza) voglio ricordare le parole di Bordiga, che la sapeva lunga e la sapeva anche raccontare: “Non si creano né i partiti né le rivoluzioni. Si dirigono i partiti e le rivoluzioni, nella unificazione delle utili esperienze rivoluzionarie internazionali. “.

    Il punto è che di “utili esperienze rivoluzionarie internazionali” non se ne vedono in giro. Come è stato già fatto notare, i movimenti succitati come quello portoghese, quando va bene si autorappresentano. Quando va male (come in Italia) si disciolgono in moVimenti (e non per colpa di Grillo – a proposito, sono totalmente d’accordo sul fatto che sia un fascista “mesopotamico” ;-P – o di mancate “riorganizzazioni”, ma semplicemente per il fatto che in Italia c’è un enorme capitale privato in mano alle famiglie, per ragioni storiche relativamente più capillare e significativamente più elevato che in altri paesi europei, che funge da ammortizzatore sociale).

    Quindi, ricapitolando, questa è una crisi dell’euro (o se volete, fuori dai denti, una guerra tra la borghesia franco-tedesca e le borghesie mediterranee) e non, ancora, LA crisi del capitalismo. I movimenti fuori dall’Italia non hanno forza sufficiente perché c’è un margine di tolleranza che li fa “rientrare” prima di scoppiare. Il margine di tolleranza lo forniscono ovviamente Germania e Francia (fondo salva-stati e salva-chiappe, gli conviene), ma in maniera eccessivamente spropositata l’Italia (insomma, la famigerata IMU + manovre collaterali). Per farla breve, il capitale privato italiano (e tedesco e francese) è l’ammortizzatore sociale che, da una parte, disinnesca i movimenti europei, e dall’altra innesca il blando (finora) M5S.

    Il giochetto non potrà durare a lungo. Più che altro perché i franco-tedeschi si sono resi conto che il limone è già stato spremuto (quasi) tutto, non perché se ne siano accorti gli inetti politici di casa nostra (Monti ancora vaneggia, fermatelo!) o perché si arriverà a un improbabile o tardivo referendum contro l’euro. Si uscirà dall’euro, e saranno i suoi fautori a volerlo in primis. In Italia il M5S verrà strumentalizzato/disinnescato (come WM1 ha già fatto notare citando O’Neill di Goldman Sachs) in ordine sparso da: questo evento, dalle riformucce anti-casta (cosmetiche) che il PD in qualche modo porterà a casa e dalla totale incapacità strutturale del M5S di governare.

    Fra qualche anno ricorderemo il M5S come un grosso sindacatone di destra (che come tutti i sindacati contiene istanze di sinistra), chiuso all’interno della miope visione dello Stato come Azienda, dei Cittadini come Dipendenti, dei Parlamentari come Dirigenti. Dirigenti che non sono tanto – come vado erroneamente leggendo in giro – accusati di mangiarsi soldi pubblici (la corruzione è sempre stata tollerata in Italia, a volte persino spronata), quanto di difendere il proprio posto a discapito del bene dell’Azienda e dei suoi Dipendenti. La visione casaleggina si scioglierà come neve al sole non appena si capirà (o meglio gli interni al moVimento, quelli più preparati e influenti, capiranno) che il problema è altrove e che non esistono soluzioni semplici a problemi complessi, e soprattutto non esistono all’interno del sistema.

    Chiudo come ho aperto, con Bordiga, con un appello rivolto ai compagni che hanno votato M5S. Un appello fatto con tutto il rispetto e la stima possibile: “Dopo certi risultati della tattica sindacalista ogni rivoluzionario cosciente deve riconoscere la necessità dell’esistenza di un partito.”.

    Bonne nuit!

  15. Concordo con l’analisi di “sixthming”: che dietro al M5S ci sia la borghesia, lo darei per scontato (e mi auguro che chi ha votato M5S “da sinistra” ne sia conscio).
    Che sia in atto una guerra tra borghesie mi sembra evidente.
    Che l’opzione “uscita dall’euro dall’alto” sia l’opzione attualmente più probabile è altrettanto chiaro (ad aprile nascerà “Alternativa per la Germania”, partito guidato dell’ex presidente della confindustria tedesca per chiedere, quanto meno, due monete diverse: una del nord ed una del sud).

    D’altro canto concordo con Vattimo quando afferma che non esiste un’alternativa rivoluzionaria al riformismo, visto che la storia di URSS e Cina finora dimostra come non esista un’alternativa al potere della borghesia.

    La domanda che mi pongo è: a situazione data, chi è di sinistra ed anticapitalista, cosa può concretamente fare per tentare di incidere su un percorso (l’uscita dall’euro) che potrebbe essere foriero di tensioni sociali?
    E’ possibile immaginare di incidere in questo processo per tentare di strappare quante più conquiste sociali possibili?
    Ora che, ad es., dopo il suicidio di Perugia sui social network è partita la gara della ricerca del colpevole (sembra che “euro” e “politiche economiche europee” siano quelli più gettonati), si potrebbe insistere su questi due argomenti:
    – sul fatto che il sistema finanziario del nord sia tutto privatizzato; il che dimostra che in un sistema capitalista il driver è sempre il margine di profitto (come se ce ne fosse bisogno) e che questa logica va necessariamente a scapito delle condizioni di vita di chi può vivere solo di lavoro;
    – sul fatto che nel programma del M5S manchi la richiesta di cancellazione dalla nostra costituzione del “pareggio di bilancio”; su questo si potrebbero incalzare i grillini, facendo leva sull’argomento che questa modifica è stata introdotta senza possibilità di dibattito con la scusa che “ce lo chiede l’Europa ed occorre far presto”.

    • Aggiungo che la domanda esposta nel post precedente, me la faccio perché la lettura dell’articolo di Maurizio Viroli sul Fatto del 1o Marzo (Le tre lezioni di Machiavelli che il PD ignora), mi ha erudito circa la lezione di Machiavelli sull’occasione:
      “Dimmi: chi è colei che teco viene?”
      “E’ Penitenzia; e però nota e intendi: chi non sa prender me, costei ritiene. E tu, mentre parlando il tempo spendi, occupato da molti pensier vani, già non t’avvedi, lasso! e non comprendi com’io ti son sfuggita dalle mani”.

      A mio avviso dovremmo cercare di capire se l’occasione c’è e dovremmo farlo in fretta; nel caso la diagnosi fosse positiva, vediamo di fare di tutto per coglierla, che altrimenti poi arriva “Penitenzia”.

    • Bon raga, chiudete tutto:

      “D’altro canto concordo con Vattimo quando afferma che non esiste un’alternativa rivoluzionaria al riformismo, visto che la storia di URSS e Cina finora dimostra come non esista un’alternativa al potere della borghesia.”

      In 4 righe loser ci spiega che tutto quello in cui crediamo vada accantonato. Nonché che “Rivoluzione” significa capitalismo di stato.
      Corro a iscrivermi al PD per fare entrismo da posizioni keynesiane.

      Ciao e grazie vattimo e loser per avermi aperto gli occhi.

      • Scusa non voglio essere offensivo. Io credo però di non essere d’accordo con te e vattimo. Tipo… per niente. Cordialità.

        • Immagino tu sia convinto si possa realizzare, con successo ed alle condizioni date, un’organizzazione sociale egualitaria da domani.
          Bene.
          Io penso invece che l’essere umano abbia ancora un bel po’ di strada evolutiva di fronte prima di poter anche solo aspirare ad immaginarsi di poter realizzare concretamente un’organizzazione sociale egualitaria.
          Anyway, punti di vista.

        • E poi, una precisazione: che “Rivoluzione” significa “capitalismo di stato”, lo hai scritto tu.
          Mai pensato niente di tutto ciò.
          Semplicemente penso che il valore prodotto da lavoro non debba essere rubato.

          • Sei tu che hai tirato fuori Russia e Cina, da sempre esempio puzzolente dei liberisti.
            Russia e Cina, esattamente modelli di capitalismo di stato. Già un trotskista o un conciliarista potrebbe tirarti un coppino qui e ora.

            Poi per me, un’organizzazione egualitaria da domani? Macché! Da oggi.

            E comunque per come la vedo io la rivoluzione non è il rovesciamento dei rapporti di produzione e la conseguente ridefinzione degli stessi su base statale (ipotesi socialista, creazione dello Stato Operaio) o autogestionale (ipotesi anarchica).
            Per me non esiste liberazione nel lavoro.
            Per me la rivoluzione è la negazione del modello di estrazione del plusvalore, il rifiuto di definirsi come produttore, l’estraniarsi dalla logica della mercificazione. Altrimenti si continua a girare attorno al problema e si definiscono i limiti della lotta all’interno del regno del Capitalismo, che non per niente è un tipo di organizzazione del lavoro umano finalizzato ad “estrarre plusvalore”.

            Io sinceramente combatto per questo, tu e vattimo se volete potete farlo per il capitalismo verde e dal volto umano se ci credete.

            • Beh, nel vostro caso “combattere” è figurativo, son certo che potrai stare al caldo a sognare l’ipotesi la socialdemocrazia del 21esimo secolo.

              • Ho tirato fuori l’URSS e la Cina, perché, da quello che è la mia piccola conoscenza storica, mi sembrano due esempi in cui la preoccupazione maggiore dei partiti sia stata quella di creare una classe borghese.
                Non so se questo si possa configurare come un “attacco liberista”.
                Dopo di che, posso anche scrivere una cazzata immane, ma mi farebbe piacere se rispondessi argomentando con dei dati, magari con un racconto diverso.
                In modo da potermi dare modo, magari, di poter rivedere una mia opinione.

                Detto questo, passo e chiudo: ritrovo in questa tua reazione, lo stesso meccanismo di cui si lamenta tanto WuMing1 nei grillini.
                Sinceramente, senza rancore.

              • Dimenticavo: questa è la dimostrazione che anche questo blog pullula di gente che non ha ancora capito come possa funzionare la rete.
                Definisciti come vuoi, ma di avanguardia ne vedo poca.

              • A prescindere dal merito della questione, a me sta parecchio sul cazzo chi approfitta di un diverbio con un singolo interlocutore per usare a sproposito verbi come “pullulare”, in modo da esprimere una condanna all’intero blog, per poi andarsene sbattendo la porta.
                Qui nessuno ti ha censurato, hai espresso la tua opinione come era giusto che fosse, tutti ti hanno lasciato parlare anche quando hai cominciato a suonare come un disco rotto e ripetere sempre la stessa cosa a prescindere da quel che dicevano gli altri. Se non hai i nervi abbastanza saldi per sostenere una normalissima discussione, sono affari tuoi.

              • Senti, ritiro il “pullulare”.
                Detto questo, ho espresso un’opinione e, per contro, mi si è accusato usare argomenti “liberisti” (!!!), condito di “son certo che potrai stare al caldo”.
                Va bene così.

              • Hey loser*, take it easy, seriously. Mi pare di non aver sferrato un attacco gratuito alla tua persona. Mi scuso se non sono stato chiaro o se t’ho dato modo di interpretarlo così.
                Il fatto che tu abbia usato argomenti tipici dei liberisti contro l’ipotesi (la necessità) rivoluzionaria (nella sua totalità!) è, appunto, un fatto. Suvvia, conoscerai la teoria della “End of History”.
                Poi non credo sia questa la sede per sciorinare dati e stronzate tanto care agli economisti (buffoni di corte). Che mi importa dei dati oltretutto? I dati sono interpretabili e non contingenti.
                Difatti sono sicuro che potrai incontrare sulla tua strada un marxista-leninista che, dati alla mano (a loro piace farlo), ti spieghi perché, in fin dei conti, l’URSS fosse meglio dei moderni stati capitalisti. E ti assicuro che ce ne sono di convincenti e preparati.
                Io mi limiterei ai confini di Iperuranio, the realm of ideas, se proprio.
                Però davvero, non so se sia il caso. Mi fa piacere che l’argomento ti stuzzichi e tu voglia discuterne, ti consiglio anzitutto di continuare a frequentare ‘sto blog.

  16. Segnalo che anche questo post presenta gli stessi problemi dell’Intervista. Non si riescono a visualizzare i post. Sono riuscita a leggere gli ultimi 3 commenti solo attivando la versione per la stampa.
    Tania

    • Hai provato ad aggiornare la pagina dopo aver cliccato sul link del commento? A me così funziona

      (e totalmente privo di senso sarai tu blocco automatico di sta minchia che all’inizio mi stavi pure simpatico. con amicizia :-D)

    • Curatori, è semplice: se aggiungete #div-comment-18936 in fondo all’URL (ho scelto l’id di un commento-risposta “imploso”) e la ramificazione è chiusa (css .class{display:none}), il browser non trova quell’id e non riesce a posizionare la visuale su quel div.
      Se rilanci lo stesso URL dopo aver esploso la ramificazione vedi che lo fa correttamente.
      Presumo serva fare un controllo php sull’id ricevuto dall’url ed aprire la discussione prima di servire la pagina al browser.

      • E’ un problema di cache, abbiamo un nuovo plugin che la gestisce e c’è qualche inconveniente, sistemeremo quanto prima, chi di piacere (perché non è un suo dovere, lo fa per amicizia :-))) è già stato avvisato.

  17. Qualcuno ha già postato questo? Non so manco se è a tema oramai. http://www.uninomade.org/noterelle-sulle-elezioni-politiche/

    Una delle migliori analisi partorite da UniNomade.

  18. Ringrazio “Classe” per la segnalazione dell’articolo di cui sopra.

    “Interpretare la discontinuità segnata da queste elezioni, in particolare dal successo del “Movimento 5 Stelle”, con espressioni quali “populismo”, anti-europeismo, oppure “disaffezione”, “ingovernabilità”, “antipolitica” può servire a vendere qualche articolo, può tacitare inquietudini col ricorso a facili slogan, può servire a ricondurre quanto accade alle scaramucce della diplomazia politica. Ma non dice nulla di sensato su quanto accaduto. Allo stesso modo, ha poco senso ridurre l’esplosione del M5s al mero successo “cesaristico e mediatico” di Beppe Grillo oppure al voto di protesta, effimero ed evanescente, di un paese stanco e prono alle sirene delle rivoluzioni facili del 2.0. Siamo invece ai limiti dell’idiozia quando si allude ad una sorta di indottrinamento di massa operato dalla “Scientology/Casaleggio”.”

    Sono curioso della risposta che i wuminghi daranno a questo passaggio di Alessandro Arienzo, autore dell’articolo.

    • Loser, io sarei più curioso di sapere cosa ne pensi tu, dato che:

      – il “voto di protesta” (nello specifico, contro l’euro e l’austerity) è un tuo cavallo di battaglia;

      – nel resto dell’articolo Arienzo ci dà in buona sostanza ragione su diversi punti e in un’occasione ci cita positivamente; inoltre, cita positivamente il post di Girolamo che faceva riferimento alle nostre analisi e definiva il dibattito in corso qui sopra “imprescindibile”.

      – Arienzo definisce la lettura del voto data da Bifo – e più volte ripresa da te – “insensata”;

      – “populismo” è un’espressione che abbiamo usato pochissimo e sempre accompagnata da precisazioni e articolazioni;

      – “antipolitica” l’abbiamo sempre definito un concetto demenziale.

      Mi sembra anche evidente che quando Arienzo parla di Scientology/Casaleggio non si riferisce tanto a noi – che non abbiamo parlato di “indottrinamento di massa” ma di framing, che è tutt’altra cosa – quanto alle letture più complottiste che impazzano in rete sui rapporti occulti di Casaleggio con Sassoon e alcune centrali di potere americane etc.

      E’ del tutto ovvio che se noi pensassimo che il M5S è solo questione di “indottrinamento di massa”, non staremmo qui a cercare di far emergere contraddizioni e differenze interne che, secondo quell’ottica, nemmeno esisterebbero.

      Ancora una volta: se pensavi che Arienzo parlasse di noialtri, non hai capito la nostra posizione. Ogni tanto mi viene il dubbio che l’abbiamo spiegata (e rispiegata) male, ma poi vedo che molti altri l’hanno capita, e quindi sono perplesso.

      Altre domande?

      • Dunque, parto da una considerazione: capisco che l’interpretazione del voto come ribellione all’austerity e all’euro sia stato percepito come “un mio cavallo di battaglia”. In realtà, però, la mia intenzione era unicamente portare la mia esperienza; per questo la definizione “mio cavallo di battaglia” mi appare ingigantita.

        In merito alla questione “indottrinamento di massa”, intanto occorre intendersi sul concetto a cui questa espressione rimanda, perché è ovvio che se mi dici che se “framing” non ha nulla a che fare con il concetto di “indottrinamento di massa”, allora è chiaro che non occorre prima dipanare questa differenza interpretativa.
        Dal mio punto di vista, qualunque tecnica utilizzata per condizionare la libertà di pensiero di un individuo al fine di ottenere un vantaggio, è sempre riconducibile al concetto di “indottrinamento”.
        E’ una logica fallace secondo te?
        Su questo attendo di sapere il tuo punto di vista.

        Dopo di che, la mia perplessità nasce da quanto scrivi qua:

        “E’ del tutto ovvio che se noi pensassimo che il M5S è solo questione di “indottrinamento di massa”, non staremmo qui a cercare di far emergere contraddizioni e differenze interne che, secondo quell’ottica, nemmeno esisterebbero.”

        E quanto hai scritto qua parlando dei grillini:

        “E’ chiaro che chiunque può usare la rete per accedere a queste informazioni, ma accedervi serve a poco se vi si accede già “corazzati”, dopo un lavoro di framing che ti ha fatto credere che qualunque dissenziente sia un infiltrato, che qualunque critica al movimento sia prezzolata dai “vecchi partiti”, che qualunque informazione scomoda sia falsa.
        Di solito sono le sette, a funzionare così.”

        A me crea confusione, perché mi domando: la differenza sta solo nel considerare la rete in senso ampio (nel primo caso) o in un senso più ristretto (nel secondo caso) ?

        Spero di aver espresso al meglio le mie perplessità.

        • Cioè dovrei di nuovo ripetere cos’è un frame, e annoiare tutti/e quanti/e?
          Rimando alla conversazione su Furio Jesi con Enrico Manera e Giuliano Santoro, là avevo dato una spiegazione (l’ennesima) che mi sembrava abbastanza chiara.

          Per il resto, trovo giochetti (absit iniuria!) come questo abbastanza ridicoli, perché la contraddizione tra i due brani citati è inesistente.

          Arienzo criticava chi spiega il successo (elettorale e più in generale politico) del M5S con teorie complottiste sull’indottrinamento di massa, e io sono d’accordo, perché per noi il successo del M5S è dovuto a tutt’altri fattori, all’avere riempito uno spazio lasciato vuoto dalla sinistra e dai movimenti etc. e francamente, nemmeno questa pappardella avrei gran voglia di ripetere. Insomma, si parlava dell’elettorato e della simpatia che il M5S riscuote nel Paese, ben oltre i confini della base di attivisti.

          Il mio brano che riporti, invece, parlava di quanto mi sembra avvenga in quello che potremmo chiamare il “nocciolo duro” degli attivisti inossidabilmente fedeli a Grillo e Casaleggio, quelli che vanno a trollare in giro, e anche se non trollano in giro comunque sono muri di gomma, quelli che quando gli fornisci informazioni scomode negano l’evidenza e rimuovono tutto all’istante, quelli che se critichi Grillo sei un “infiltrato”. Il lavoro di framing è stato parecchio efficace, c’è la Casta e ci sono loro.

          Questo può dirsi anche “indottrinamento”?
          Sì, perché c’è una dottrina, per quanto confusa, e chi la mette in discussione è un traditore.
          Può essere definito indottrinamento “di massa”?
          Dipende da quali dimensioni ha secondo noi una massa.
          Qualche migliaio di persone è una massa. In quel caso, allora è un indottrinamento di massa. Ma:

          1) non è il trolling in rete degli invasati dello “zoccolo duro” ad aver fatto vincere le elezioni al M5S;

          2) a far vincere le elezioni al M5S, almeno dal punto di vista narratologico, è stato il frame della “Casta”, che non è un’invenzione di Grillo ma Grillo l’ha sfruttata in modo sistematico. Il frame della “Casta” si è talmente irrigidito che ci vorrà del bello e del buono per attivarne uno alternativo.

          3) dal punto di vista massmediologico, a far vincere le elezioni al M5S non è stata la tanto decantata rete, ma la tanto vituperata TV.

          • Grazie della spiegazione.
            La trovo interessante, e sono sincero.
            Però ora mi sono un rotto le palle di essere accusato di “fare giochetti”, come se ci fosse un’intenzione precisa, quando invece ti ho solo sottoposto cosa mi generasse confusione.
            Ciao.

  19. Una settimana fa in Inghilterra è andato in onda l’ultimo episodio della seconda serie di “Black Mirror”.

    In “The Waldo Moment”, questo il titolo dell’episodio, viene narrata l’ascesa politica di un cartone animato anti-kasta, con una spiccata propensione al vaffanculo e il cui marchio appartiene a un rapace magnate della comunicazione.

    Penso che rappresenti in maniera adeguata quanto è stato detto finora da Wu Ming riguardo il M5S, in particolar modo il finale alquanto fosco.

    PS Ho postato qui il messaggio perché negli articoli su Grillo non era possibile. Spero di non aver fatto una cavolata. A presto

  20. C’è ora una statistica sulla composizione del voto, dalla quale sembrerebbe che il m5S abbia pescato voti un po’ da tutte le categorie lavorative; in questa elaborazione, l’unica cosa che avrebbe impedito a Grillo di stravincere le elezioni sarebbe stato il voto dei pensionati:

    http://www.demos.it/a00831.php?ref=HREC1-3

  21. … cosa ci siamo persi in Italia? O più semplicemente cosa è successo negli anni ’60 e ’70 in Portogallo, Grecia e Spagna? Mentre da noi ci eravamo lasciati alle spalle gli “Anni ruggenti”, in questi Paesi c’erano ancora regimi autoritari. Oggi le proteste sono più forti e mi convincono che se stiamo a guardare a cosa succede altrove (Portogallo incluso) per capire cosa (non) accade da noi, non andiamo proprio da nessuna parte.

    • mah, in realta’ la grecia alla fine degli anni sessanta/inizio anni settanta era esattamente quel che sarebbe potuta diventare l’italia negli stessi anni.

      http://www.youtube.com/watch?v=s5scR_xgwzs

      forse, se non lo e’diventata, e’ perche’ in italia all’epoca c’erano ancora anticorpi piu’ forti che in grecia. e’ il passaggio tra i settanta e gli ottanta quello in cui in italia si e’ verificato lo smottamento che poi ha prodotto craxismo, berlusconismo e ora grillismo.

  22. […] è mosso ben altro, dai grandi scioperi francesi contro la riforma delle pensioni di Sarkozy alla marea umana anti-Trojka che una settimana fa ha riempito le città portoghesi, passando per il movimento di massa nato […]

  23. Scusate la richiesta un po’ OT, ma traendo spunto anche da una risposta di WM1 più sopra, sono sempre più convinto che gran parte del successo elettorale del M5S sia dovuto all’appropriazione di Grillo del frame “La Casta”.

    Mi chiedevo se qualcuno fosse a conoscenza di una analisi approfondita, che magari parta dal libro di Rizzo e Stella (inquietante il pressoché unanime consenso che si è costruito attorno a questa pubblicazione in 5 anni…).

    Io, per intenderci, lo vedo come un perfetto “slogan” che si sostituisce alla mancanza di una buona “parola d’ordine” di leniniana memoria…

    Ho notato spesso la “filosofia del linguaggio” ingenua dei sostenitori del M5S che “sentono” di avere un qualche rapporto diretto e privilegiato con la realtà di fatto (…quotidiano?!?!).

    Mi permetto di suggerire, a questo proposito il libro di J-J. Lecercle, Una filosofia marxista del linguaggio.