Qualche riflessione per comprendere l’origine di quanto viviamo ora.
Le rivolte inglesi dell’estate del 1981 – Brixton, Toxteth, Handsworth, Leeds – colpirono l’immaginario di molti, qui da noi, specie tra coloro che seguivano il punk. A quei tempi, in quei circoli, la parola “rivolta” era assai più praticata della parola “rivoluzione”. Almeno per quanto riguardava le strade del Regno Unito, le parole si mutavano in fatti.
Il 10 aprile 1981, a Lambeth, un sobborgo di Londra prossimo a Brixton, la polizia fermò un giovane nero, Michael Bailey, mentre fuggiva inseguito da altri “ragazzi di colore”, come si diceva allora. Era stato accoltellato e sanguinava. Si formò una folla che incominciò a lamentare il ritardo nei soccorsi. Michael Bailey venne portato fino a un auto in Railton Road, mentre scoppiavano i primi disordini.
Si diffuse la voce che il ragazzo fosse stato lasciato morire in ospedale. (Un rumour, se versomile, può incitare alla battaglia). Ne originò una rivolta feroce, che si protrasse per due giorni.
Fu una specie di miccia ideale. Le rivolte nelle altre città furono accese da episodi simili. Il 3 luglio Toxteth, Liverpool. Il 9 luglio, Sheffield. Il 10, Handsworth, il sobborgo di Birmingham che aveva già conosciuto episodi simili un anno prima e che esploderà con ancora maggiore violenza nel 1985.
La mano che accese le micce fu quella del governo di Margaret Thatcher, allora all’inizio di una meticolosa, trionfale e ingloriosa guerra alle classi lavoratrici. Su uno scenario di chiara marginalizzazione e in un clima di razzismo montante, la comunità nera (ma non solo quella) si trovò a dover fronteggiare una serie di provvedimenti legislativi che vanno sotto il nome di Sus Laws, che consentivano alla polizia di fermare e perquisire chi volessero sulla base del semplice sospetto. La legge traeva origine dal Vagrancy Act del 1824, che recitava:
Every suspected person or reputed thief, frequenting any river, canal, or navigable stream, dock, or basin, or any quay, wharf, or warehouse near or adjoining thereto, or any street, highway, or avenue leading thereto, or any place of public resort, or any avenue leading thereto, or any street, or any highway or any place adjacent to a street or highway; with intent to commit an arrestable offence, shall be deemed a rogue and vagabond and would be guilty of an offence, and be liable to be imprisoned for up to three months.
Il provvedimento si applicava dunque nel caso che l’accusato presentasse le seguenti caratteristiche:
1. avere un’aria sospetta;
2. prepararsi verosimilmente a commettere un delitto.
Occorrevano due testimoni: di solito i due poliziotti di pattuglia che eseguivano il fermo.
Da subito la Sus law fu un’arma di repressione e controllo sociale, non solo nei confronti delle comunità indoccidentali impoverite dalla recessione, ma anche nei confronti di larghi settori di quello che allora veniva chiamato, da noi, “proletariato urbano giovanile”. Quindi punks, skinheads, hippies, freaks di ogni tipo, eccetera eccetera. Il tutto in un clima di tensione montante tra comunità, e in presenza di una martellante campagna razzista da parte del National Front. Enoch Powell, allora deputato unionista, nel marzo dello stesso anno aveva prefigurato una guerra civile etnica: non era la prima volta che lo faceva. I segnali sembravano, da un punto di vista conservatore, dargli ragione.
Da subito si ebbe la percezione che la Sus law era uno strumento di guerra di classe: ricordo una maglietta dell’epoca che elencava tutte le categorie di persone che potevano essere bersaglio del provvedimento. Era una T-shirt molto popolare, all’epoca, le categorie passibili di sospetto erano in pratica tutte, tranne i borghesi.
Le rivolte dell’estate ’81 e la Sus Law sono passate alla storia attraverso una colonna sonora che comprende Summer of ‘81 dei Violators, One Law for Them dei 4 skins, Let’s Break the law degli Anti-Nowhere league. C’è poi il primo lp degli Steel Pulse, Handsworth Revolution, che risale al 1978 ma che testimonia bene la commistione di strada tra punk e reggae tipica di quegli anni.
Lasciamo le parole finali a Maggie Thatcher. In quegli anni, la disoccupazione in aree come Brixton si attestava attorno al 13%, ma le minoranze etniche la subivano in ragione del 25.4%. Tra i giovani neri arrivava al 55% . Rifiutando di investire nel risanamento dei nuclei urbani problematici, la Thatcher sostenne che “Il denaro non può comprare la fiducia e l’armonia razziale”. Ted Knight, allora a capo del Lambeth Borough Council, sostenne che le forze di polizia si erano comportate come una truppa d’occupazione e che questo aveva provocato le rivolte. “What absolute nonsense and what an appalling remark” rispose la Thatcher “… No one should condone violence. No one should condone the events … They were criminal, criminal.”
Mi accorgo che quanto scritto assomma a una specie di apologo. Il tempo del capitale non passa mai davvero, siamo ormai lontani da quegli anni ma non da quelle strategie repressive, e siamo ancora immersi nella stessa ideologia, nella stessa concezione del potere, nella stessa merda.
LINK CORRELATI
Gli altri anni Ottanta: appunti da un cono d’ombra – di WM5 (2010)
Oi! The Cockney Kids Are Innocent! – di WM1 e WM5 (2002)
Intanto c’è il primo morto…
Il quotidiano argentino Pagina/12 ha commentato con una vignetta in fondo alla prima pagina: “Ieri a Londra sulla tomba di Karl Marx qualcuno ha messo un disco dei Clash”….
http://www.pagina12.com.ar/diario/principal/index.html
[…] Angeles che inaugurarono gli anni 90. E WuMing5 giustamente ricorda, tornando in UK, gli scontri a Brixton nel 1981 e poi nel 1985. E se volete attaccare altre tessere al domino, possiamo andare indietro ancora e […]
@alberto prunetti anche a me sono saltati agli occhi alcuni titoli dei Clash a cominciare da The Guns of Brixton per arrivare a White Man in Hammersmith Palace…
Mah, io tra l’81 ed adesso non ci vedo nessuna similitudine. Forse giusto la miccia che ha innescato il tutto…
London: a map of deprivation index and riots
http://bit.ly/qEBWYd
Sì, grazie per il pro-memoria e le riflessioni, tutte molto utili. E vive.
Nel bel mezzo del progresso
Di diversi colori
Fra i quali il verde, il nero, il moderno,
Tifiamo rivolta!
Tifiamo rivolta!
Tifiamo rivolta!
Certo i Clash, ma anche i cccp avevano qualcosa da dire…
E per chi non ha voglia solo di canzoni, un po’ di analisi supplementare
http://tarnac9.noblogs.org/gallery/5188/insurrection_english.pdf
Versione in italiano per chi dovesse fare esercizio di lingua…
http://www.livingeuropa.org/insurrezionecheviene.pdf
E invece oggi Sofri liquida l’argomento con un editoriale dal titolo La violenza del niente…
Abbiamo raccolto in uno storify i nostri tweet (in inglese) più significativi sui #londonriots:
http://www.wumingfoundation.com/english/wumingblog/?p=1843
d’accordissimo con Girolamo, anche a me è tornato in mente Guy Standing e la sua idea di “politica del paradiso” come unica alternativa alle passioni tristi che ci affliggono.
“The day after the 11/9 outrage George W. Bush, when calling Americans to get over the trauma and go back to normal, found no better words than “go back shopping”
Riflessioni di Zygmunt Bauman sui London Riots
http://www.social-europe.eu/2011/08/the-london-riots-on-consumerism-coming-home-to-roost/
Se la Val di Susa fosse stata una metropoli e non un insieme di piccoli centri abitati, ci sarebbe stato il rischio di un Italianriots come quello di Londra?
Ovvero: secondo voi, a che livello è arrivato il “capitale di rabbia” del nostro paese e quali “scintille” potrebbero scatenare riots?
Io e WM4 ci siamo incrociati, anche lui ha avuto la sensazione che ho riportato io al punto 3.
Non so se può esservi utile uno storify sui #londonriots visti dall’Italia…
Però l’ho fatto. :-D
http://storify.com/puncox/london-2
Vi linko le parole “perversamente virtuose” di due elementi di quella moltitudine. Forse involontariamente colgono nel segno i concetti della lotta di classe di cui si discute qui.
http://www.bbc.co.uk/news/uk-14458424
Uno scambio che ho letto citato da qualche parte (ora non lo ritrovo):
«You there, does rioting achieve anything?»
«Yes: you wouldn’t be talking to me now if we didn’t riot.»
@ Taliesin
qui:
http://gordondarroch.wordpress.com/2011/08/09/liquid-accelerant-a-londonriots-multimedia-experience-in-four-hundred-words/#comments
La domanda sembrerebbe una citazione da questo rticolo del 2005:
http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/4456848.stm
@ wu ming 1
Bon. Ne parliamo in autunno allora.
Buone vacanze a tutti coloro che se le possono permettere e un abbraccio di solidarietà a chi non se le può fare.
Ecco uno dei due libri a cui mi riferivo nella risposta a Erota:
http://www.radicalphilosophy.com/uncategorized/the-better
http://www.instoria.it/home/elefante.htm
ops, il link. scusate
Su stato, italianità, nazione etc., prevedibilmente rimando all’audio della conferenza “Patria e morte. L’italianità dai Carbonari a Benigni”:
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=3496
@ tuco
“onestamente penso che un’analisi che porti ad etichettare come nazionalista chi difende ad esempio la sanita’ pubblica o la contrattazione collettiva, debba avere qualche baco nelle sue premesse teoriche. ”
Minchia, la voce della saggezza! :-D
Era partita un po’ incerta, e nei giorni scorsi ha sofferto di lievi rachitismi, ma alla fine è diventata una bella discussione, di quelle “svisceranti” che qualificano questo blog. Grazie a tutti!
Non ho insultato nessuno né ho suggerito cose diverse da quelle che ho detto esplicitamente. Non penso poi che uno debba essere “nazionalista” per subire l’egemonia culturale del pensiero della nazione. Solo quello ho detto che, mi sembra, conteneva sempre dei riconoscimenti. In ogni caso, Buona notte.
Scusate, mi sono sottratto alla discussione perché impegnato a scrivere una cosa, e non ha senso rientrarci adesso. Mi limito a segnalare a @erota che il commento al proverbio sul cameriere dell’eroe non è di Adorno, ma di Hegel (Lezioni sulla filosofia della storia).