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JRR Tolkien

I dilemmi dei tolkieniani “di sinistra” e l’inconscio politico della Terra di Mezzo – di Wu Ming 4

«Quelli che trascurano di rileggere si condannano a leggere sempre la stessa storia.»

Roland Barthes

1. Intro: Tolkien controcorrente

Se nel corso degli anni gli estimatori destrorsi di Tolkien non hanno mai perso occasione di rinfacciare a quelli sinistrorsi un certo quale “abusivismo”, finanche accusandoli di appropriazione indebita, è pur vero che noi altri non ci siamo mai fatti mancare un certo bisogno di autogiustificazione per apprezzare un narratore reazionario come Tolkien. Ne è un buon esempio l’articolo uscito recentemente sulla rivista Dissent, intitolato «Tolkien against the grain» e tradotto e pubblicato in Italia da Internazionale (n. 1631, 12/09/2025) col titolo «Tolkien controcorrente».

L’articolo è firmato da Gerry Canavan, allievo di Fredric Jameson (1934-2024) e professore d’inglese alla Marquette University di Milwakee. Non un’università qualunque per gli studiosi di Tolkien, ma quella che custodisce il “reliquiario”, cioè i manoscritti originali dello Hobbit e del Signore degli Anelli, e dove l’opera di Tolkien viene studiata regolarmente. Lo stesso Canavan nell’articolo fa sapere che, avvalendosi di quel materiale di prim’ordine, tiene un corso su Tolkien ogni due anni. E come lui anche il professor Robert T. Tally jr., altro allievo di Jameson, il quale

«scava nel testo alla ricerca di una serie d’indizi che suggeriscono che il declino degli elfi non è poi così tragico, o che, in fondo, la ragione sta dalla parte degli orchi. Nei rari momenti in cui vediamo gli orchi senza filtri, esprimono anche loro il desiderio di mettere fine alla guerra, manifestando disprezzo per il signore oscuro Sauron che li comanda e per i suoi orrendi Nazgûl, gli spettri dell’anello».

In effetti l’irrisolto problema degli orchi è uno di quelli più interessanti della costruzione di mondo tolkieniana, che impegnò l’autore fino alla fine dei suoi giorni.

Tuttavia, secondo Canavan il vero aggancio per un critico jamesoniano – cioè per un marxista dialettico – non consiste tanto, o comunque non soltanto, nell’esaltare determinati aspetti dell’opera tolkieniana a discapito di altri, cioè nel giocare l’ecologia, l’antimilitarismo, l’eroe proletario Sam, contro il razzismo, l’idealismo e il legittimismo monarchico che convivono in quelle pagine. Il vero spunto per un’analisi critica “di sinistra” consisterebbe nella storicizzazione e relativizzazione delle fonti interne al mondo secondario inventato da Tolkien. Prosegui la lettura ›

Restare umani in tempo di guerra: Tolkien e il dilemma etico

[Riportiamo il testo della conferenza che Wu Ming 4 ha tenuto presso l’Hiroshima Mon Amour di Torino e in apertura del Festival Attraverso, a Gavi (AL), il 10 e 11 luglio scorsi, nel quale riassume e amplia le riflessioni su Tolkien e la guerra che nel corso degli anni ha sparso in varie sue pubblicazioni. La conferenza è durata un’ora, quindi c’è da mettersi comodi.]

1. Dalla Terra di Nessuno alla Terra di Mezzo

È la notte del 14 luglio 1916, vicino ai villaggi di La Boiselle e Ovilliers, a una quindicina di chilometri a nord del fiume Somme, nell’Alta Francia, sul fronte occidentale della Prima guerra mondiale. In quel tratto del fronte, La Boiselle funge da retrovia e Ovilliers da prima linea. Siamo in pieno secondo anniversario dello scoppio della Grande Guerra. E sono trascorse due settimane dall’inizio della Grande Offensiva anglo-francese contro i tedeschi, che passerà alla storia come Battaglia della Somme. Gli inglesi l’hanno chiamata «The Big Push», un attacco che è stato pianificato a lungo dallo Stato Maggiore, e preparato da settimane di cannoneggiamenti ininterrotti delle linee nemiche. L’idea era che bersagliando le trincee tedesche senza sosta, queste si sarebbero svuotate, consentendo quindi alla fanteria di avanzare senza incontrare troppa resistenza e di spostare avanti il fronte di decine di chilometri, magari anche di sfondarlo in più punti. Prosegui la lettura ›

Confessioni di un traduttore dello Hobbit – di Wu Ming 4

Lo Hobbit nuova traduzione

Premessa

Esce oggi in libreria Lo Hobbit, in un’edizione illustrata con gli stessi disegni di Tolkien. Dal punto di vista estetico forse la più bella edizione dello Hobbit mai realizzata. E con una nuova traduzione.

Non avrei mai pensato che potesse essere la mia. Nonostante negli ultimi anni io abbia discusso a iosa della traduzione del Signore degli Anelli realizzata da Ottavio Fatica e di quella “storica” di Vittoria Alliata, e nonostante studi i testi tolkieniani da oltre quindici anni, non mi sarei aspettato che mi venisse fatta un’offerta del genere. Quando è capitato, la prima cosa che ho pensato è che non avevo alcun titolo per farlo. Troppa poca esperienza di traduzione, troppo senso di inadeguatezza, troppa ansia da prestazione verso un autore amato.

Era un pensiero più che legittimo.

Se ho accettato di ritradurre Lo Hobbit di J.R.R. Tolkien è essenzialmente per due motivi, egualmente importanti. Prosegui la lettura ›

Lo Hobbit. A novembre la nuova traduzione… firmata Wu Ming 4

Lo Hobbit

La prima fiaba

Forse perché Lo Hobbit è all’apparenza un romanzo per ragazzi, cioè scritto come una fiaba, in un linguaggio molto semplice e con una trama poco intricata, in Italia non aveva mai avuto un trattamento adeguato. Non che all’altro romanzo di Tolkien fosse andata meglio, anzi, ma per motivi diversi. Non era infatti lo stile letterario dello Hobbit ad avere bisogno di un occhio di riguardo, come è stato per il suo celeberrimo sequel finalmente ritradotto nel 2020, quanto piuttosto la coerenza d’insieme. Sembra incredibile, ma a mezzo secolo dalla prima pubblicazione in Italia, quella che verrà pubblicata a novembre è la prima traduzione integrale e coerente. È integrale, perché non ha sottotitoli posticci o fantasiosi, e presenta la nota introduttiva per intero, senza tagli, come invece era stato nelle edizioni precedenti; ed è coerente perché le scelte traduttive provano a rispecchiare l’originale senza modifiche per i palati italiani. Sul sito dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani si può leggere un articolo che spiega bene tutto questo.

Ma questa edizione è integrale anche in un altro senso. Infatti per la prima volta insieme al romanzo compaiono anche tutti i disegni preparatori e d’accompagnamento realizzati da Tolkien – che era un illustratore dilettante niente male e con un tratto particolarissimo, vagamente naif: dai bozzetti, agli sketch delle mappe, fino alle illustrazioni rifinite per la stampa e in certi casi anche colorate in post-produzione. Si potrà leggere il romanzo seguendone passo passo anche l’ideazione visiva da parte dell’autore. Ne esce un volume veramente pregiato, all’immodica cifra di €30, che però li vale tutti.  Prosegui la lettura ›

La lunga (e lenta) marcia di «Difendere la Terra di Mezzo»

Quando Difendere la Terra di Mezzo è stato pubblicato per la prima volta, alla fine del 2013, per i tipi dell’editore bolognese Odoya, ha rappresentato uno scrollone per la divulgazione tolkieniana in Italia. Fino a quel momento non erano usciti molti saggi italiani che contestualizzassero storicamente e letterariamente la narrativa di Tolkien. Il saggio di Wu Ming 4 provava a fare proprio questo, applicare la massima jamesoniana «storicizzare sempre», appoggiandosi ai più importanti studi internazionali sulla materia.

Se i primi due capitoli ripercorrevano i destini dell’opera di Tolkien dagli anni Trenta ai nostri giorni, il quinto provava a collocarla dentro un percorso e un contesto letterari. Il terzo capitolo affrontava la poetica e la teoria della letteratura tolkieniana, mentre il sesto e il settimo individuavano i temi etici ed esistenziali riscontrabili nella produzione narrativa in questione. Il quarto capitolo invece demoliva le interpretazioni tradizionaliste e simboliste dell’opera di Tolkien, ovvero le letture a singhiozzo messe in atto fin dagli anni Settanta dalla destra neofascista, che avevano creato un’aura pregiudiziale intorno all’autore.  Prosegui la lettura ›

La mostra di Sangiuliano e il Tolkien “né-né” de noantri

Ancora a proposito della mostra romana «Tolkien: uomo, professore, autore», voluta dal ministro Sangiuliano e inaugurata lo scorso 15 novembre alla Galleria Nazionale, in questi giorni tocca sorbirsi il coro di lamentazioni perché in Italia si ricade sempre nelle stesse diatribe rispetto alla collocazione culturale di questo autore. E allora giù con il refrain «Tolkien è di tutti, non può essere rivendicato né da destra né da sinistra», eccetera eccetera. 

Ma se si deve ribadire una cosa che parrebbe ovvia, quasi lapalissiana – e cioè che l’opera letteraria di un autore può essere apprezzata da angolazioni diverse, per motivi differenti, a seconda di chi la legge – è perché in questo caso ovvia non è. Nessun altro autore del Novecento oggi sarebbe costretto a subire un dibattito del genere. E allora forse, invece di lamentarsi, bisognerebbe arrendersi all’evidenza: Tolkien fa eccezione, in effetti. Questo perché la letteratura non vive in una dimensione astorica, è sempre calata in un contesto, e si sa qual è stata la storia editoriale e “politica” di Tolkien in Italia: da fornitore suo malgrado di un’ispirazione letteraria per la destra neofascista degli anni Settanta, a fornitore di “valori universali” per Fratelli d’Italia, affinché possano ancora raccontarsi di non essere completamente sottomessi al realismo capitalista. Prosegui la lettura ›

Tolkien, i mostri e la mostra di Sangiuliano

También en castellano

mostra Tolkien

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando uno sparuto drappello di giovani del Movimento Sociale Italiano organizzò i famosi Campi Hobbit. Era la fine degli anni Settanta e il panorama politico-culturale italiano era completamente diverso da oggi. Il paese era saldamente governato dalla Democrazia Cristiana, e all’opposizione c’era il partito comunista più grande dell’Europa occidentale, a sua volta incalzato dalla generazione della Nuova Sinistra nata dal Sessantotto.

In quello scenario qualche giovane neofascista intraprendente tentò di importare dalla Francia le posizioni della cosiddetta Nouvelle Droite, e di tradurle nel tentativo di superare il vecchio «Dio, patria, famiglia» dei nostalgici, accettando la sfida dell’odiata modernità. Prosegui la lettura ›