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antimilitarismo

Se vi va bene bene se no canto. Genesi di un altro oggetto narrativo non identificato – di Filo Sottile *

La faccia oscura della Trinacria.

1. Oggi

2 maggio 2025

Oggi sono quattro mesi che è morto Franco Sottile, mio padre. Nativo della Sicilia tirrenica, classe 1950; emigrato in Svizzera nel 1967, rimpatriato nel 1970 per il servizio militare: bersagliere a Torino, imboscato in fureria per meriti calcistici; assunto poi alla Fiat Rivalta, doppiolavorista; nel 1980, all’indomani della sfilata di quei sedicenti quarantamila che calavano una lapide sul protagonismo operaio, si licenzia e torna a esercitare a tempo (più che) pieno il mestiere imparato a partire dall’età di sei anni: falegname.

Negli ultimi anni della sua vita ha combattuto con un linfoma prima, le conseguenze salvifiche e invalidanti di un autotrapianto di staminali e una leucemia dal decorso piuttosto rapido. Ricoverato a dicembre, si è spento il 2 gennaio, sei giorni prima che compisse settantacinque anni. Ho fatto ancora in tempo, mentre era in stato di semicoscienza, ad accomiatarmi con una lettura integrale e ad alta voce di un testo tanto casuale e inaspettato quanto pertinente: Il cammino dell’uomo di Martin Buber.

Solo oggi, a centoventi giorni dalla sua morte, ho avuto un’illuminazione sul libro che sto scrivendo: In un canto, il più difficile e ambizioso della mia produzione.

Mi porto dietro l’idea di questa storia dal 2022. Una tenue ma caparbia fiammella che mi ha tenuto compagnia mentre amavo, cioccavo, sbroccavo, militavo, traslocavo, rincorrevo le scadenze di altri libri, congegnavo copioni, andavo in tour e mi impegnavo a rimanere nella scatola dell’onesta occupazione che mi sostenta. Ho dovuto aspettare la morte di mio padre e una parziale elaborazione del lutto per capire quanto la storia che voglio raccontare c’entri anche con lui, con me e con la nostra amara relazione. Prosegui la lettura ›

Radio Giap Rebelde | Due apparizioni di Ufo 78 e una di Se vi va bene bene se no seghe, tra Pisa e la Valsusa

Giuliana Misserville

■ La mano sinistra delle luci in cielo

Il 29 marzo scorso Wu Ming 2 ha presentato Ufo 78 alla libreria Tra le righe di Pisa, in dialogo con la critica letteraria Giuliana Misserville, nell’ambito della rassegna «Passione aliena».

Giuliana ha reso disponibile la registrazione come puntata del suo podcast «La mano sinistra» – il nome è un chiaro omaggio a Ursula K. LeGuin – e noi, con grande piacere, segnaliamo. Buon ascolto.

Ufo 78 a Rivalta di Torino, presentazione ad alta densità ufologica e punk.

Il 29 giugno Wu Ming 1 – introdotto da Paolo Fiorino del CISU (Centro Italiano Studi Ufologici) e in dialogo con Filo Sottile – ha presentato Ufo 78 a Rivalta (TO), nello spazio “Libri tra i fiori”. Un appuntamento della rassegna «Serre d’estate». Prosegui la lettura ›

Se vi va bene, bene, se no… seghe. In arrivo l’autobiografia di Valerio Minnella. Non solo Radio Alice!

Valerio Minnella intervistato su Momento Sera nel 1971

Momento Sera, 1971.

È tempo di annunciare che a primavera, nella collana Quinto Tipo diretta da Wu Ming 1 per Alegre, uscirà Se vi va bene se no seghe. Dall’antimilitarismo a Radio Alice e ancora più in là: una vita fuori dai ranghi.

Si tratta dell’autobiografia di Valerio Minnella, basata su tre anni di conversazioni-fiume con WM1 e Filo Sottile. Conversazioni registrate, trascritte, discusse, integrate con lavoro d’archivio, infine rielaborate a sei mani in una lunga jam-session, durante la quale gli assoli di Valerio non smettevano di stupire.

Il lavoro, cominciato subito dopo la cosiddetta «prima ondata» pandemica, prosegue anche in questi giorni, perché il libro non è ancora chiuso.

Giusto per dare una minima idea di chi e cosa stiamo parlando: quella di Valerio Minnella è la voce di Radio Alice durante la celebre irruzione della polizia, la sera del 12 marzo 1977; ergo, una delle voci più famose dell’Italia degli anni Settanta. Ma Valerio è molto più di questo. Prosegui la lettura ›

Il linguaggio belligerante e il diritto di dissentire. Un estratto dal nuovo libro di Matteo Pucciarelli «Guerra alla guerra»

Il nuovo libro di Matteo Pucciarelli (Livorno, 1984). «Un libro reportage per raccontare le storie e i protagonisti di un pensiero critico, alto e silenziato di cui ci sarebbe bisogno oggi più che mai.»

[Esce in questi giorni per i tipi di Laterza il nuovo libro di Matteo Pucciarelli, Guerra alle guerra. Guida alle idee del pacifismo italiano.

Il capitolo 8, di cui riportiamo ampi estratti e che s’intitola «Guerra nelle parole. Il linguaggio belligerante e il diritto di dissentire», è in larga parte imperniato su un’intervista a WM1 realizzata nel settembre 2022 e sul lavoro critico fatto da Wu Ming nel pieno dell’emergenza pandemica, durante un coprifuoco dell’anima durato un biennio. Pucciarelli getta uno sguardo retrospettivo su quel lavoro, lo riconsidera e ne prolunga diverse linee.

Non capita ogni giorno – anzi, non ci era ancora capitato – di veder riconoscere legittimità e valore a quelle nostre riflessioni e prese di posizione in un testo pubblicato da una delle principali case editrici del Paese.

Il fatto che a riconoscerlo sia un giornalista che lavora a Repubblica, il quotidiano che più si mostrò forsennato nella caccia all’untore – ossia, nelle varie fasi: al «furbetto», al «negazionista», al «nomask», al «novax», al «nogreenpass» ecc. – e che oggi ha il primato della retorica guerrafondaia rende l’evento ancor più importante.

Grazie dunque a Matteo, e buona lettura. WM]

di Matteo Pucciarelli

«Narrazioni tossiche»*: è questa la definizione che il collettivo di scrittori Wu Ming ha dato a tutta una serie di distorsioni e mistificazioni di parole, in questa guerra che solo dopo si combatte con i fucili o con i droni telecomandati, con la violenza e la prevaricazione, ma prima è fatta di un sapiente e costante lavoro di decostruzione culturale. Il 1° marzo 2022 sul loro sito, Giap, pubblicarono un lungo articolo. Titolo: Una dichiarazione – politica e di poetica – sul virus del militarismo nel corpo sociale. Scrivevano:

«Oggi militarismo e bellicismo sono totalmente sdoganati, non li mette in questione quasi nessuno. Abbiamo visto due marò accusati di omicidio trasformati in eroi della patria. Abbiamo visto l’esercito schierato nelle strade con compiti di ordine pubblico. Lo abbiamo visto fare propaganda nelle scuole elementari. Soprattutto negli ultimi due anni abbiamo subito la militarizzazione spinta della gestione pandemica, con il ricorso a una retorica bellicista, il tricolore ovunque e un generale in mimetica a rappresentare la campagna vaccinale. L’emergenza pandemica come ‘guerra al virus’»

Il parallelismo tra le guerre vere e quella sanitaria poteva pure sembrare ardito, ma era un fatto: [la pandemia] l’avevamo noi stessi letta, raccontata e vissuta come un’esperienza di tipo militare. Prosegui la lettura ›

Invadere l’Ucraina è brutto? Dipende: se l’invadiamo noi è eroico. Buoni 26 di gennaio!

Lettura consigliata.

Da oggi, grazie ai nostri parlamentari – gli stessi parlamentari che da settimane condannano a gran voce e con l’elmetto in testa l’invasione dell’Ucraina – ogni 26 gennaio si celebrerà l’eroismo delle forze d’invasione nazifasciste che ottant’anni fa misero l’Ucraina – e con essa un bel pezzo di Urss – a ferro e fuoco.

L’indomani, 27 gennaio, si spremerà la lacrimuccia sulla Shoah. Perfetto.

Lo abbiamo fatto notare più volte: a colpi di “sdoganamenti” e celebrazioni nazionaliste e militariste si è ormai sfondata ogni barriera.

In questa mossa, tuttavia, c’è un surplus di ipocrisia che lascia attoniti persino noi che ormai ci aspettiamo qualunque cosa.

Sì, perché al mantra di tutto il mainstream «un popolo invaso ha diritto di difendersi» è stata aggiunta senza il minimo pudore la precisazione finora rimasta implicita: «salvo il caso in cui a invadere siamo noi». Prosegui la lettura ›

Una dichiarazione – politica e di poetica – sul virus del militarismo nel corpo sociale

Enrico Baj, «Generali», multimaterico s.d.

Nei nostri due libri del 2015 Cent’anni a Nordest e L’invisibile ovunque riflettevamo,  con gli strumenti dell’inchiesta e della letteratura, sul centenario della Grande Guerra e su come l’Italia lo stava celebrando. Lo facevamo avendo in mente le guerre jugoslave degli anni Novanta, nonché alla luce del conflitto in Ucraina. Perché, conviene ricordarlo, in Ucraina la guerra c’è dal 2014.

La conclusione era che, cent’anni dopo la prima guerra mondiale, il nostro Paese e in certa misura l’Europa tutta avevano più che mai bisogno, e sempre più avrebbero avuto bisogno, di anticorpi antimilitaristi, di esempi di diserzione, di rifiuto di ogni intruppamento. Perché quella del continente sul cui suolo non si sarebbero più combattute guerre era una fòla e nient’altro. Prosegui la lettura ›