
Biblioteca Gambalunga, Rimini, 29 agosto 2025. Presentazione de Gli uomini pesce in modalità uomo in piedi, con ausilio di immagini e suoni. Sullo schermo, l’impianto idrovoro della Martinella, in comune di Portomaggiore (FE). Foto pubblicata per gentile concessione di Elena Morosetti. Il video della serata è qui.
di Wu Ming 1
E perché mai centotrentasette? Tirare il fiato, fare il punto. Geografia politica e umana del tour. Lungo il fiume e in viaggio nel tempo. A est di Ferrara, la Bassa più bassa. Discorsi sul cinema nel Delta. La «nera», i ruderi, le minacce. Del perché mi dichiaro venetofilo. Tornare nel Delta, narrare il Delta.
Tredici mesi di tour. Ebbene sì. Un anno tondo, festeggiato alla bibliofficina Booq di Palermo, più un mese dedicato agli extra e ai recuperi di date.
Dalla prima presentazione alla Factory Grisù di Ferrara, 30 ottobre 2024, alla centotrentasettesima e ultima alla libreria «Le nuvole» di Barcellona, 30 novembre dell’anno dopo, sono passati trecentonovantaquattro giorni, vissuti al ritmo di 2,63 presentazioni a settimana.
Dice: – E perché mai entrotrentasette, e non centroquaranta, cifra tonda?
Perché più di così non riuscivo. C’è un limite psicofisico. Se uno non conosce il proprio limite, non smette più e a un certo punto collassa. Inviti ne avevo ancora – a malincuore ho dovuto declinarne una sessantina – ma era tempo di fermarsi.
Nel 2026, senza strafare, accetterò inviti da gruppi di lettura e scuole superiori, ma a viaggiare sarà soprattutto Wu Ming 2 con Mensaleri. Romanzo che prosegue in altri modi gli stessi discorsi. Horus I e Horus III non sono forse il rovescio di Stegagno padre e Stegagno figlio sull’altro lato della barricata?
Tirare il fiato, fare il punto
In questi tredici mesi Gli uomini pesce è stato ristampato più volte e ha venduto oltre venticinquemila copie. Fa dunque parte dello 0,2% circa di novità editoriali italiane che superano quota 20000. Un bel risultato, per il quale ringrazio tutte e tutti.
Risultato ancor più significativo se pensiamo che il libro non ha imboccato nessuno dei percorsi abituali e “obbligati”, quelli ritenuti imprescindibili se si vuole promuovere un libro. Nisba inviti dal più seguito programma radiofonico dedicato ai libri;* non un rigo sul quotidiano più venduto (né sul suo inserto culturale); idem sull’inserto culturale del secondo quotidiano più diffuso; assenza dalle grandi kermesses dell’editoria; nessuna partecipazione a premi,** eccetera.
Nondimeno, come si vede alla pagina-florilegio, Gli uomini pesce è uno dei nostri titoli più recensiti e discussi di sempre.

Maria Mattiuzzo della libreria Il Punto di Vittorio Veneto presenta Gli uomini pesce al TgR, edizione del 5 dicembre 2025. Minuto 15:52. La rubrica dei consigli di lettura è a cura di Paolo Colombatti.
I «percorsi obbligati» non sono obbligati. Altre vie si possono percorrere, e nel tempo danno più soddisfazione. Aver cura dei rapporti con le librerie indipendenti – baluardi di cultura, socialità e biodiversità urbana – fa vivere un libro più del calcare certe ribalte mediatiche, e può anche riservare sorprese. Come il 5 dicembre scorso, quando Gli uomini pesce è apparso al TgR del Veneto – qui, dal minuto 15:52 – grazie alla libreria Il Punto di Vittorio Veneto, dove l’ho presentato a ottobre e dove tornerò per incontrare il gruppo di lettura.
Il 18 giugno scorso, in un’intervista rilasciata a Loredana Lipperini, riferendomi al tour ho detto: «penso che alla fine ne scriverò, ne trarrò una sorta di reportage, perché è un’esperienza intensissima».
L’amico Luigi Chiarella aka Yamunin, autore di Diario di zona e Risto Reich, mi ha fatto notare che un girare così intenso «alla lunga diventa altro: sperimentazione, elaborazione di altre forme di pensare e dire insieme».
Il testo che state leggendo non è un reportage. È partito come un rapsodico sunto di (alcune delle) esperienze che ho vissuto, ma mentre scrivevo è a sua volta diventato altro, una sorta di portolano grazie a cui scoprire itinerari, letture, ascolti, visioni. Almeno, questo è l’auspicio.
Sono due puntate. La seconda uscirà entro la fine dell’anno.
Geografia politica e umana del tour
A parte la Val d’Aosta, il tour de Gli uomini pesce ha toccato ogni regione d’Italia. Com’è naturale, le più battute sono state quelle del bacino del Po, soprattutto Emilia-Romagna e Veneto.

Il distretto idrografico del Po, mappa tratta dal sito ufficiale dell’Autorità di Bacino (Adpo).
Lungo il fiume in viaggio nel tempo
L’idea era di presentare il libro in tutte le tredici province rivierasche, quelle toccate dal corso principale del fiume, e così è andata. Dalla foce alla sorgente: Rovigo, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia, Parma, Cremona, Piacenza, Lodi, Pavia, Alessandria, Torino e Cuneo.
Non sarebbe stato possibile far tappa in ogni comune rivierasco: sono quasi duecento! Centottantatré, per la precisione. Di questi, il tour ha fatto tappa a Ferrara (più volte), Melara (RO), Gualtieri e Luzzara (RE), San Daniele Po (CR), Piacenza, Casale Monferrato (AL) e Torino (più volte). Doveva esserci anche Ariano Polesine, uno dei luoghi importanti del romanzo, ma la data è saltata. Pazienza.
Naturalmente il numero dei comuni visitati aumenta se includiamo i distributari del fiume, come il Po di Goro, e vecchi alvei oggi canalizzati, come il Po di Primaro e quello di Volano. Aumenta ancor più se consideriamo gli affluenti.
Sono stati anche viaggi nel tempo. A San Daniele ospitava l’iniziativa – «Memorie d’acqua: il Po e il clima che cambia» – il Museo paleoantropologico del Po. Ebbene, visitatelo. Il direttore Simone Ravara mi ha trasportato in un’altra Padania, un mondo che tra il Pleistocene superiore e la fine della glaciazione Würm – più o meno dodicimila anni fa – era popolato di mammut, elefanti dalle zanne dritte, rinoceronti di Merck, addirittura ippopotami, e alci, bisonti, cervi giganti, leoni, leopardi, iene…
Il museo espone anche un frammento di cranio di Neanderthal, unico resto di un “cugino” trovato in pianura padana. Ogni reperto è stato rinvenuto lungo il tratto cremonese del fiume, in circostanza fortunose e sovente divertenti. Per dire: un signore, scambiandoli per nulla più che strani sassi, si era arredato il giardino con molari di mammut.
Durante il tour, tanti ciceroni mi hanno mostrato darsene e porti fluviali, musei e monumenti, borgate e cimiteri, impianti di bonifica e luoghi alluvionati. Ho ricevuto in dono libri dai titoli affabulanti: Quando si andava in barca sul Po. Mestieri e svaghi lungo il tratto monferrino del fiume; La casa rurale in Polesine; Storia dell’alto Polesine con speciale riguardo su Melara… Ho raccolto storie di altri modi di vivere, di altri possibili che forse esistono accanto a noi, in diversi effluenti del fiume del tempo. Universi rivieraschi, deltizi, vallivi, una koinè padana di cui resta un bordone, un brusio di riverberi lontani. Echi di nenie e grida da mille finimondi.

Romano Folicaldi
Finimondi, come nello struggente memoir del fotografo Romano Folicaldi, Una storia unica come tante altre (Volta la carta, Ferrara, 2025). Le immagini mostrano le valli del Mezzano, nel basso ferrarese, e il niente che le rimpiazzò quando furono prosciugate.
Dalle mie parti quando uno entra o esce di casa scordandosi di chiudere la porta gli si chiede: «Sei nato in barca?». Ció, nat in barca, sèra cla porta! La valle era un modo di vivere. Laddove chiunque altro vedeva un’uniforme distesa d’acqua, i valligiani vedevano una molteplicità, brulicante di punti di riferimento.
Questo prima. Negli scatti di Folicaldi, il poi è spianate di terra ancora fradicia che non è più valle ma non è ancora campagna, dove non c’è un filo d’erba ma “fioriscono” stranianti geometrie e si rivelano dislivelli prima nascosti dall’acqua.
A est di Ferrara, la Bassa più bassa

Comacchio, 10 aprile 2025, Biblioteca civica Muratori: Marco Manfredi legge da Gli uomini pesce durante la presentazione organizzata dal circolo Legambiente Delta del Po.
Presentazioni nel Delta ne ho fatte un bel po’. Tra i luoghi carichi di storia in cui ho parlato de Gli uomini pesce vi sono, per dirne un paio, la settecentesca Torre della Finanza – si erge tra il mare, il Po di Volano e valle Falce – e l’ex-possessione Bordocchia, nei pressi di Berra, che si affaccia sul Canal Bianco e fino ai primi del Novecento era circondata dalle acque.
In queste tappe del tour mi ha spesso accompagnato la mia zozga, il gruppo con cui ho scritto il documento «Tornare nel Delta al tempo della crisi climatica» e che mi ha affiancato in tanti sopralluoghi. Menzione speciale per Marco Manfredi, che nel 2024-2025 si è smazzato con me una quarantina di presentazioni, nella doppia veste di membro della zozga e attore.
Insieme abbiamo incrociato personaggi del romanzo. Sì, perché ne Gli uomini pesce ho inserito gente che esiste davvero e opera nel Delta.
Come la guida naturalistica Danilo Trombin, guida naturalistica e scrittore, che fa capolino già all’inizio ed è evocato in altri due capitoli. Danilo ha presentato il libro con noi ad Adria, dove vive, e ha scritto una delle recensioni più liriche. Del suo libro Viaggio nel Delta del Po. Guida sentimentale all’ultima frontiera è da poco uscita una versione aggiornata e ampliata.
O come Roberto Tinarelli, ornitologo ed esperto di ripristini di zone umide, a cui Antonia telefona in cerca di soluzioni. Lui l’ho inserito proditoriamente, senza avvisarlo, addirittura senza che ci fossimo mai incontrati. La notizia doveva arrivargli a sorpresa come la chiamata di Antonia, e così è stato. A quel punto, il contatto doveva avere un seguito. Una mattina di febbraio ci siamo dati appuntamento all’oasi di Boscoforte, l’incredibile, onirica lingua di terra che si protende da sud nelle valli di Comacchio. Da lì ci ha accompagnati a vedere vari ripristini, quelli che avrebbe mostrato ad Antonia. Qualche mese dopo, ha presentato con noi Gli uomini pesce a Imola.
Abbiamo anche incrociato più volte la rotta di Alex Giuzio, autore di libri come La linea fragile. Uno sguardo ecologista alle coste italiane e Turismo insostenibile. Per una nuova ecologia degli spazi del tempo libero. Alex è di Cervia, estremo limite meridionale del Delta. Galeotti Gli uomini pesce, insieme ci stiamo occupando di resistenze sul territorio, come quella del viticultore Mirco Mariotti. Su un’antica duna nei pressi di Comacchio, Mirco coltiva un raro vigneto a piede franco, e intorno si è formato un prezioso ecosistema.
Discorsi sul cinema nel Delta
A proposito di dune, su quelle fossili di Massenzatica*** mi hanno intervistato i registi veneziani Giorgio Bombieri e Bibi Bozzato. Insieme all’artista di paesaggi sonori Enrico Coniglio – collega di Sonic, dunque – stanno lavorando a un documentario sulla Romea, fra le strade più pericolose d’Italia. La Romea solca paesaggi sconcertanti, nel suo tratto ferrarese è una barriera/cerniera tra mare e valli, tra pienissimo e vuoto, tra fervide nuove cementificazioni sulla costa e stato di abbandono nell’immediato entroterra.
Bombieri e Bozzato si inseriscono in una tradizione, perché quei luoghi hanno sempre ispirato il cinema. Per questo ho fatto di Ilario Nevi un documentarista. E non a caso la prima presentazione felsinea l’abbiamo fatta al cinema Modernissimo, insieme a – ecco un altro personaggio proditoriamente infilato nel libro – Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna. Quella a cui, nel romanzo, Ilario lascia il suo sterminato archivio. Antonia telefona anche a Farinelli, «una di quelle chiamate», ipse dixit, «che un direttore di cineteca sogna sempre di ricevere».
Quella sera abbiamo proiettato il cortometraggio di Michelangelo Antonioni Gente del Po (1943-1947) e l’ultimo episodio di Paisà di Roberto Rossellini, intitolato Porto Tolle (1946). Quest’ultimo offre una delle rarissime rappresentazioni cinematografiche della guerra partigiana nel Delta.
Rarissime, e di famose solo due. La seconda arriva trent’anni dopo con L’Agnese va a morire, che Giuliano Montaldo trae dall’omonimo capolavoro di Renata Viganò, a sua volta unico romanzo del “canone resistenziale” che racconti una guerriglia non montana né urbana bensì palustre, anfibia, come fu nel Delta. Un unicum.
Del film di Montaldo, insieme al critico Mauro Gervasini, abbiamo mostrato e commentato più scene al Trento Film Festival. La scrittura e le biografie di Viganò e di suo marito Antonio Meluschi – rispettivamente medico e comandante di battaglione della Brigata Garibaldi 35bis Mario Babini, la stessa di Ilario ed Erminio – sono state determinanti per scrivere Gli uomini pesce. Di questo ho raccontato qui.
La guerra partigiana, e prima ancora le rivolte contro le prime bonifiche, la sovversione bracciantile nelle campagne, scioperi nazionali lunghissimi, la repressione, lo squadrismo, e dopo la guerra di nuovo lotte durissime di braccianti… Nel Novecento la storia del basso ferrarese è segnata da un conflitto sociale e politico radicalissimo. Che tracce ne reca il territorio?
Ci sono, ma riconoscerle non è semplice. Consiglio di partire dall’audiodocumentario I fantasmi della Bassa, disponibile su tutte le piattaforme.
Tra i film ambientati nel Delta, uno dei più celebri e tirati in ballo durante il tour è La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati. Del 1976, come il film di Montaldo. Le due pellicole furono girate a un tiro di schioppo e a poca distanza di tempo l’uno dall’altro, ma non potrebbero essere più diverse. Montaldo mette in scena la ricerca di riscatto, l’agire collettivo, la speranza di ieri; Avati mette in scena il nichilismo, la rarefazione sociale e le angosce di oggi. Un oggi che nel 2025 è più odierno di quanto fosse cinquant’anni fa.
La «nera», i ruderi, le minacce
Per farmi capire, riporto uno stralcio dell’intervista che mi ha fatto Barbara Belzini, giornalista del quotidiano di Piacenza Libertà:
«Nella bassa nessuno può sentirti urlare». [Ne Gli uomini pesce] ci sono anche tratti horror, sei stato influenzato dal gotico padano?
Più che altro dalla cronaca nera ferrarese, che è sempre più straniante. Quel territorio ha conosciuto molti fallimenti, abbandoni, dismissioni, oggi è una distesa di case abbandonate. C’è un problema di rapporti rarefatti, di solitudini, che spesso causano impazzimenti. Si commettono crimini parecchio, be’, inventivi. Escono titoli memorabili, come questo del 2020: «Mascherato da Bertinotti lancia frecce con una balestra contro le finestre del vicino».
Alle case abbandonate – un chiodo fisso, lo riconosco – è dedicato un mio racconto sul numero 7 di Mappe, la rivista-libro del Touring Club, illustrato da foto di Silvia Camporesi. Lì torno a parlare del podere Buriacco e della lotta per difendere valle Volta, storie che con l’amico Michele Nani abbiamo raccontato nel primo episodio de I fantasmi della Bassa.
A parte l’epidemia di solitudine e la gente che svalvola, un problema grave causato dallo spopolamento è che i luoghi sono sempre meno monitorati, presidiati, e sempre più ritenuti “sacrificabili”. Dall’alto si impongono scelte che altrove incontrerebbero opposizioni più organizzate. Oggi il basso ferrarese è designato come “discarica” dei progetti più impattanti, ché «tanto là non c’è nessuno».
Nonostante i danni che l’estrazione di gas naturale ha causato al territorio, si vuole ripartire con le trivelle. Ultima a metterci lo zampino, la multinazionale USA Aleanna. Ovunque spuntano centrali a biogas e biomasse, impianti di smaltimento di fanghi industriali, parchi fotovoltaici a terra… Solo nel comune di Argenta, che cerca di opporsi al loro scriteriato proliferare, questi ultimi occuperebbero mille ettari di suolo. C’è inoltre il progetto di gasdotto lungo settantacinque chilometri per portare a Ravenna la CO2 emessa dal Petrolchimico di Ferrara e “stoccarla” nell’Adriatico, in nome dell’illusione “soluzionista” che si possa continuare a emettere, emettere, emettere, tanto ci penserà la tecnologia.
Nel basso ferrarese la cosiddetta «società civile» è sparpagliata e rada, fatica a fare massa per fronteggiare minacce. Ma c’è chi tenta, eroicamente. Fonda comitati e associazioni, cerca di mettere bastoni tra le ruote. Costoro hanno tutta la mia solidarietà. È anche per dargli una mano che dobbiamo «tornare nel Delta».

Sinistra del canale Mattioli, tra Corte Centrale (Ostellato) e Cascina (Fiscaglia), nel basso ferrarese. Il rudere del fu ristorante-pizzeria «La marchesa». Foto scattata il 5 maggio 2024, durante uno degli ultimi sopralluoghi per Gli uomini pesce. N.B. Non è lo stesso rudere su cui si arrovella Antonia nel romanzo, quella è l’ex-pizzeria Laura, ad Ariano Ferrarese.
Quanti, imperterriti, portano avanti l’attuale modello – basato sull’estrazione brutale di valore dai territori – negano la realtà di ciò che sta accadendo.
La crisi climatica sconvolge l’area nordadriatica e in particolare il Delta. La pianura si abbassa mentre l’Adriatico si innalza, le coste sono in erosione, le località rivierasche si allagano sempre più spesso, il cuneo salino avanza nell’entroterra, lunghe siccità si alternano a impietosi nubifragi, fiumi e canali faticano a scolare l’acqua in mare, le piene rompono gli argini, mantenere la pianura emersa è sempre più difficile e dispendioso.
Il XVII rapporto della Società geografica italiana, intitolato Paesaggi sommersi. Geografie della crisi climatica nei territori costieri italiani, lo spiega nella maniera più chiara possibile. Entro il 2100, una fascia che va almeno da Monfalcone a Cervia finirà sott’acqua.
Da qui ad allora, tutto andrebbe ripensato. Sempre più voci lo dicono, anche se la maggioranza resta ignara o indifferente. Voci che si fanno sentire, incalzano, propongono, si oppongono alle scelte di chi vuole spremere l’ultimo miliardesimo di litro dall’ultimo limone, dopodiché (forse) si vedrà.
La letteratura che si scrive in quei luoghi non può ignorare il futuro che incombe, anzi, che è già qui.

Giustamente color scoria tossica. Di solito, in queste mappe il blu dipinto di blu non rende l’idea di come sarebbe lo stare laggiù, a mollo in un’acqua pregna di veleni e skifidol. Mappa tratta dal XVII Rapporto annuale della Società Geografica Italiana, pag. 61.
Del perché mi dichiaro venetofilo
Quantomeno, venetofilo in letteratura. Durante il tour ho più volte fatto l’elogio di quanto si scrive in Veneto, e spiegato che nell’ideare e scrivere Gli uomini pesce ho spesso guardato di là da Po.
Devo al sociologo Guido Borelli, che negli anni Dieci mi invitò più volte allo IUAV di Venezia, il passaggio da una lettura episodica e disordinata degli autori veneti a un’esplorazione più coerente e consapevole. Alla base c’è l’idea espressa da Borelli ne La distruzione letteraria del Nordest, ovvero che a partire dagli anni Novanta si sia affermato
«un eterogeneo corpus di romanzi e film che hanno posto al centro della propria narrazione il Nordest con i suoi abitanti, le loro relazioni e le loro vicissitudini e con i paesaggi residenziali e industriali, entrambi (persone e luoghi) profondamente segnati dal modo di produzione degli ultimi anni».
Penso si possa andare anche più indietro. Mi sembra che, dal secondo dopoguerra, il territorio sia stato sempre il “pallino”, il rovello precipuo di molti scrittori veneti. Il territorio, ovvero: le rapide trasformazioni che i luoghi del Nordest hanno subito; l’impatto della modernità – o detta meglio, del capitalismo – sui paesaggi esterni e interiori, sulla geografia fisica e umana; e le infelicità e le paure che ne sono derivate. Del resto, «territorio» pare non derivi da terra ma da terrĕo, terrorizzare.
Questi temi si trovano già nei “mostri sacri” novecenteschi: Rigoni Stern, Meneghello, Parise, Camon, Cibotto e in poesia, ça va sans dire, Zanzotto. È da loro che li eredita la compagine contemporanea, quella che va da Massimo Carlotto a Gianfranco Bettin, da Vitaliano Trevisan**** a Francesco Maino***** passando per Romolo Bugaro (qui miei appunti finora inediti sul suo romanzo Effetto Domino), da Matteo Melchiorre a Paolo Malaguti e chissà quante e quanti dimentico.******
Con gli ultimi due ci siamo incrociati più volte. Durante il tour ho dialogato con Malaguti in due occasioni, in due luoghi pregni di storie come Villa Angaran San Giuseppe, a Bassano del Grappa, e l’Ecomuseo di Marozzo, nel Delta ferrarese.
Dal confronto tra i rispettivi ultimi libri – Gli uomini pesce e Fumana – sono emersi non pochi isomorfismi. All’insaputa l’uno dell’altro abbiamo scritto la storia di due donne, Antonia e Fumana, designate a un compito che le trascende, predestinate per via delle circostanze della loro nascita. Entrambe sono figlie naturali di “spermatorroici” (maschi che se la sono svignata dopo avere ingravidato le loro madri); sono state cresciute da uomini anziani facenti veci di padre che hanno insegnano loro l’amore per le valli; si rammaricano di non essere diventate madri; entrambe sono in perenne e viscerale interazione con il territorio bassopadano e deltizio.
Di Melchiorre fummo tra i primi a scrivere, ai tempi del suo esordio Requiem per un albero, in seguito ampliato e ripubblicato con un nuovo titolo. Abbiamo citato più volte lo splendido La via di Schenèr – ad esempio qui – e scritto uno “strillo” per il romanzo Il Duca. Con Matteo ho dialogato su Gli uomini pesce alla libreria Ubik di Castelfranco Veneto, città dove dirige la Biblioteca del Museo e dell’Archivio Storico.
Tornare nel Delta, narrare il Delta
Ogni presentazione de Gli uomini pesce è stata un’occasione per parlare di questo territorio che spaventa, terrĕt. Delle sue contraddizioni e anomalie, della sua turbolenta storia, dei fantasmi che lo infestano, del futuro che già si impasta col presente… Ma anche delle possibilità che possono schiudersi davanti a noi.
In Tornare nel Delta abbiamo proposto di «far leva sulle specificità del territorio, sulla sua conformazione e la sua storia, persino sulla sua fragilità, per farne un grande luogo di sperimentazione nel vivo della crisi climatica, anche sul piano della progettazione territoriale».
In giro per l’Italia l’ho incontrata, la diaspora del Delta. Gente che se n’è andata, o i cui genitori a suo tempo se ne andarono. Gente che da quelle parti ha avuto a lungo affetti, ci andava a trovare i nonni quand’erano al mondo, e da allora tiene il Delta come terra di diporto. C’è chi lo vede come possibile ultima meta, sito ideale di cupio dissolvi, un vagheggiare ben espresso da Saverio Fattori nel suo Valle umana (Eris, 2025): «quando non avrò altro desiderio se non quello di prendere congedo da ogni velleità, quando tornerò all’essenza del mio essere depurato dalle convenzioni del sistema, queste terre dolenti confuse nella nebbia saranno il mio rifugio perfetto».
Non pochi hanno ancora un legame coi posti, magari sfilacciato, tipo una quota di eredità impossibile, la settima o decima parte di una casa che cade a pezzi in mezzo ai campi.
Queste persone son venute alle presentazioni, felici di sentir raccontare quella realtà, di sentirsi ravvivare dentro l’interesse e l’affetto per i paesi da cui provengono. E poi: – Sto pensando a come ristabilire un legame, a come tornare… Non per viverci, certo, ma… Sarebbe bello riuscire a farci qualcosa…

Colà sono sepolti Erminio e Ilario.
Intanto vanno a vedere i luoghi del romanzo. Si preparano l’itinerario e, un bel fine settimana, partono e rifanno i viaggi di Antonia e Sonic. A Ferrara cercano la casa di Stegagno, a Focomorto quella di Ilario, a Mesola i fortini della Wehrmacht, a Codigoro lo zuccherificio. Si addentrano nel Mezzano, passeggiano lungo il Volano, si spingono fino all’isola di Ariano… Cosa chiedere di più a un romanzo?
A proposito: oggi è il compleanno di Ilario.
Ricordiamo come visse quello del ’69.
Fine della prima parte (di 2).
Indice della seconda parte
Hai detto «romanzo geografico»? Nord, Sud e Isole, conflitti, restanze e ritornanze. Le voci degli uomini pesce. Musiche da uomini pesce. Un altro gioco di pazienza (Per Sonic Ally). Côté esoterico e Lovecraftiana. Congedo.
Note
* Ha più che compensato quell’assenza l’intervista rilasciata a Loredana Lipperini per il suo seguitissimo podcast Cose (molto) preziose.
** Le prime tre circostanze non dipendono dalla mia volontà, le altre due sì. Se vado a una kermesse, dopo devo prendere un antistaminico. Quanto ai premi, per via delle regole che ci siamo dati, Wu Ming non partecipa a competizioni, né accetta riconoscimenti che prevedano la presenza a cerimonie. Quest’ultimo è uno dei motivi per cui, il 10 marzo scorso, ho declinato l’invito a partecipare al Premio Campiello, inviando la seguente lettera:
«Gentile Giuria dei Letterati, apprendo dalla casa editrice Einaudi che fra i libri presi in considerazione per il Premio Campiello c’è anche il mio Gli uomini pesce. Ringrazio per l’apprezzamento e l’attestato di stima, tuttavia non posso accettare l’invito. In virtù delle regole che disciplinano le attività del collettivo Wu Ming e la gestione della nostra immagine (intesa in senso stretto, ovvero: il nostro apparire), non potrei partecipare a nessuno dei momenti pubblici legati al premio. Viene a mancare una conditio sine qua non. Coi miei migliori auguri per il lavoro che vi attende, porgo cordiali saluti. Wu Ming 1»

*** Marcatori di dov’era la linea di costa in età romana, oggi i «monti» di Massenzatica stanno a dieci chilometri dal mare. Che presto potrebbe tornare a bagnarli.
**** Trevisan (1960-2022) è un autore che all’inizio non capivo, solo grazie all’inquadramento di Borelli sono riuscito a entrare nella sua poetica.
***** Devo a un consiglio del compianto Mario Galzigna la lettura del libro di Maino Cartongesso.
****** Mentre ancora vorticavo in giro è uscito il giustamente celebrato film di Francesco Sossai Le città di pianura. L’ho visto già due volte e ne ho discusso fittamente, anche a margine delle mie presentazioni. A volte durante le presentazioni. Se ne è scritto davvero tanto, non sempre a proposito. Tra le riflessioni che mi sono parse più calzanti segnalo questa di Massimiliano Cappello.
Sossai dichiara apertamente le proprie influenze: nelle interviste si rifà a geografi come Eugenio Turri – citato anche da Antonia – e Francesco Vallerani, e soprattutto nomina diversi degli scrittori appena menzionati, in primis Trevisan e Bugaro.
Sempre nel “fatidico” 2017 buttai giù rapidi appunti sulla «degradazione del fantasma» nella letteratura bassopadana. Li rendo disponibili ora, perché “mi suonano”. Ne Le città di pianura tutto – anche il cocktail di gamberi – è un fantasma di quel che era. In primis, un fantasma di quel che era negli anni Novanta.

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