Il sogno di John Ball… prima della battaglia

Segnaliamo le due recensioni uscite finora del romanzo di William Morris tradotto da Wu Ming 4, Il Sogno di John Ball (Edizioni Alegre, 2025), delle quali riportiamo altrettanti stralci.

La più recente in ordine di tempo è quella di Antonio Montefusco su «Il manifesto» del 01/11/2025, intitolata William Morris, alter ego per una militanza bruciante:

A sognare, stavolta, è un uomo dell’Essex: non è più ospite (guest) del futuro, ma curioso esploratore del passato, con «una lingua che sa usare i versi». Un poeta, insomma, proprio come l’autore di cui costituisce la maschera e di cui si fa curioso portavoce. Siamo nel Kent, provincia meridionale dell’Inghilterra, nel 1381, e contadini e artigiani inglesi si preparano allo scontro con le truppe al servizio dell’odiatissimo duca John di Lancaster, che regge la corona in nome del nipote Riccardo II. […] La lotta del 1381 fu, in sé, vittoriosa: la servitù, molto diffusa, venne di fatto superata; ma l’uomo dell’Essex/Morris afferma stentoreo, e con un rivolo di fremito pessimista nella schiena: «lottate contro la servitù della gleba, che è in declino, mentre loro (i lavoratori del futuro) lotteranno contro lo sfruttamento, che sarà in ascesa». È difficile trovare in letteratura una migliore rappresentazione di quel misterioso appuntamento tra generazioni in lotta che Benjamin chiese, in un momento storico buio come il nostro, di verificare agli storici marxisti.

Il 16/10/2025 su «La Repubblica» è comparsa la recensione di Michele Mari, intitolata William Morris, il fantasy profetico del socialista che amava il bello:

In questo scenario si muove John Ball, che con parole di fuoco incita il popolo alla rivolta e alla creazione di un paradiso terreno (la “comunanza”) in cui tutti gli uomini saranno uguali e in cui non esisteranno più né la servitù né la proprietà privata né il denaro. Ma tanto è il suo fervore quanto lo sconcerto suscitato in lui dal visitatore, che pur confermandogli la formale uguaglianza fra gli uomini del futuro gli svela le ingiustizie sociali su cui si fonda il capitalismo […]. Le rivoluzioni sono dunque inutili? Sì e no, perché ognuna prepara la successiva, fino a quando, misticamente, verrà il Tempo: spiraglio ottimistico che si allargherà nel romanzo successivo di Morris, Notizie da nessun luogo (News from Nowhere, 1890)

Segnaliamo anche che la puntata di stamattina della trasmissione di Radio Rai3  “Qui comincia” , condotta da Attilio Scarpellini, è stata dedicata al Sogno di John Ball.

Evocato dalle recensioni, pubblichiamo il passaggio del romanzo che racconta i momenti precedenti la battaglia campale tra il contingente dei nobili e quello dei contadini del Kent. Dal capitolo 6, La battaglia fuori dal villaggio.

Ma di lì a poco dal fronte opposto giunse un grande squillo di corni e trombe, e fu come se un fiume d’acciaio e cotte lucenti si riversasse nel campo davanti a noi, e i corni soffiarono ancora mentre i nemici si dispiegavano sulla sinistra della nostra linea. Il bestiame al pascolo, che fino a un attimo prima brucava tranquillamente, spaventato dal rumore improvviso, prese a correre di qua e di là. Il vecchio toro, con la testa abbassata e le zampe ostinatamente piantate nel terreno, muggiva minaccioso; mentre le oche intorno al ruscello caracollavano via tra strida e starnazzi. Tutto ciò ci sembrò talmente incongruo, mentre dallo sgargiante schieramento nemico risuonava una minaccia di morte imminente, che la maggior parte di noi scoppiò a ridere di gusto, e Will Green abbassò la testa per imitare il toro grugnendo come lui, cosa che ci fece ridere ancora di più. Si girò verso di me mentre incoccava la freccia e disse: «Vorrei che fossero solo cinquanta passi più vicini, ma non si muovono. Oh, Jack Straw, tiriamo?».
Infatti il suddetto si era avvicinato a noi. Quello scosse la testa e non disse nulla mentre continuava a fissare la linea dei nemici.
«Non temere, sono quelli giusti, Jack», disse Will Green.
«Sì, sì», disse lui, «ma aspetta ancora un attimo. Sulla strada maestra non possono fare niente, e due dei loro sergenti hanno già ricevuto un assaggio di piume d’oca grigia. Aspetta, perché non hanno attraversato la strada sulla destra e forse non hanno visto i nostri compagni dall’altra parte, che ora possono tendere l’imboscata».
Guardai attentamente quell’uomo. Era un tipo alto, robusto e con le spalle larghe, vestito di una bella armatura d’acciaio lucido, che certamente non era stata fatta per un contadino, ma sopra indossava una comune camicia lunga di lino o tunica, come quella che indossano o indossavano i nostri agricoltori, e sull’elmo portava, al posto della piuma, un ciuffo di fili di paglia. Oltre alla spada in cintura, teneva in mano una pesante ascia e a tracolla un corno da caccia. Devo dire che sapevo esserci almeno tre ‘Jack Straw’ nella comunanza dei malcontenti, uno dei quali si trovava nell’Essex.1
Mentre aspettavamo, ogni arciere con la freccia incoccata, ci fu un movimento nella fila di fronte, da cui si staccò un drappello di tre uomini, quello in mezzo a cavallo, gli altri due armati di falcioni dal lungo manico, tutti e tre ben protetti dalle armature. Come furono più vicini vidi che il cavaliere portava un tabarro sopra la corazza, vistosamente ricamato con un albero verde su campo oro, e in mano aveva una tromba.
«Vengono a intimarci la resa. Vuoi lasciarlo parlare, Jack?», disse Will Green.
«No», disse l’altro, «ma prima dobbiamo dargli un avvertimento. Tirate solo quando suono il corno!».
E con questo si avvicinò alla siepe, la scavalcò, con lentezza a causa dell’armatura, e si fermò a qualche decina di metri in mezzo al campo. L’uomo a cavallo portò la tromba alla bocca e soffiò a lungo, poi svolse un rotolo e fece per mettersi a leggere. Ma Jack Straw disse a voce alta: «Non farlo o sei morto! Qui non vogliamo maledetti avvocati con le loro pergamene! Torna da chi ti ha mandato…»
Tuttavia l’uomo proruppe con voce aspra e forte: «Oh, gente! Perché vi radunate in armi?»
Allora Jack Straw gli gridò: «Sir Buffone, tieni il becco chiuso finché non mi avrai ascoltato, altrimenti ti tiriamo subito le frecce. Tornatene da quelli che ti hanno mandato e di’ loro che noi uomini liberi del Kent stiamo andando a Londra a parlare con Re Richard e a informarlo di quello che non sa; e cioè che certi buffoni traditori del regno vorrebbero metterci il collare e fare di noi delle bestie, e che è suo diritto e dovere fare ciò che ha giurato quando è stato incoronato e unto a Westminster sulla Pietra del Destino, e sconfessare questi ladri e traditori; e che se è troppo debole, lo aiuteremo noi a farlo; e che se non intende fare il re, qualcun altro lo farà al suo posto, e cioè il Figlio del Re del Cielo. Ora, quindi, se qualcuno ostacola la nostra legittima missione mentre andiamo a parlare con il nostro re e signore, che faccia i suoi conti. Riporta queste parole a quelli che ti hanno mandato. Quanto a te, ascoltami, bastardo d’un imbratta-pergamene! Fila via senza fermarti. Alzerò la mano tre volte, e la terza volta bada a te, perché allora sentirai le corde dei nostri archi, dopodiché l’unica altra cosa che sentirai sarà il diavolo che ti dà il benvenuto all’inferno!».
I nostri compagni esultarono, ma l’araldo ricominciò con voce tremante: «Oh, gente! Perché vi radunate in armi? Non sapete che state arrecando o arrecherete gran danno, perdita e offesa ai feudatari del re…».
Si fermò: la mano di Jack Straw si era abbassata per la seconda volta. Guardò i suoi uomini, a destra e a sinistra, poi girò le redini, fece dietrofront e tornò alla sua schiera con la massima rapidità.
Una grande risata si levò lungo la nostra fila, mentre Jack Straw rientrava nel frutteto anche lui sorridendo.
Poi notammo altri movimenti nella linea nemica. Gli arcieri e i balestrieri si stavano disponendo alla nostra sinistra, mentre gli armigeri e gli altri si schierarono sotto i tre vessilli di cui ci aveva parlato Gregory il Lungo, anche questi ben visibili nella serata limpida. Presto la linea in movimento ci fronteggiò e gli arcieri si avviarono a passo spedito nella nostra direzione, mentre gli armigeri si tenevano un po’ più indietro. Scoprii adesso che erano stati a portata d’arco per tutto il tempo, ma i nostri uomini erano restii a tirare prima d’esser certi che i loro colpi andassero a segno, come aveva fatto quella mezza dozzina sulla strada quando, mi dissero in seguito, un manipolo dei loro armigeri si era mostrato allo scoperto per attaccare.
Ma non appena quelli cominciarono a venirci incontro, Jack Straw si portò il corno alle labbra e soffiò lanciando un suono forte e roco, al quale fecero eco altri cinque o sei lungo la siepe del frutteto. Ognuno aveva la freccia incoccata. Li osservai, Will Green in particolare. Sembrava tutt’uno con l’arco e la corda, tanto gli era facile, a quanto pareva, avvicinare la cocca della freccia all’orecchio. Un attimo per prendere la mira, e poi… Oh, allora capii il senso del timore reverenziale con cui l’antico poeta parla dell’arco sciolto del dio Apollo, perché il suono prodotto dal vibrare della corda e dal sibilo della freccia così da vicino fu davvero terrificante.

 

1. Probabilmente qui Morris allude all’eventualità che «Jack Straw» fosse una sorta di nome collettivo utilizzato da vari capitani della rivolta.

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