Intorno a "Guerra agli Umani"

di Massimo Leone

Presentazione del libro Guerra agli umani, di Wu Ming 2, Torino, Einaudi, 2004
22 aprile 2004, Aula magna, facoltà di Lettere e filosofia, Università degli studi di Siena

L'abitudine di presentare libri per la Mutua studentesca di Siena mi ha reso avvezzo alle difficoltà di questo genere, la presentazione di un libro. Assai meno libera di una recensione, essa deve allettare ma al tempo stesso conservare il segreto. Costruzione di un discorso erotico, quindi. Ma deve anche illustrare senza esplicitamente criticare. Discorso ipocrita, dunque, nel senso etimologico del termine.
Per restare fedele al genere non entrerò prepotentemente nel testo, almeno non subito. Ma gli saltellerò attorno. Farò una sorta di strip-tease del testo. Ma il suscitare un desiderio quasi erotico di lettura non è la sola finalità. Questo è un testo che, come vedremo, invita il lettore a superarlo, in più sensi. Ne vedremo alcuni.
Cominciamo dunque a saltellare, a zampettare intorno al testo. Intorno al testo significa, per chi frequenta la semiotica e le altre scienze del linguaggio, il paratesto, la copertina, il titolo, la quarta di copertina, etc.
Cominciamo dalla copertina. Essa si rivela immediatamente come un luogo di molteplici contraddizioni. Un luogo che, dunque, come poi anche il libro stesso, invita al pensiero, alla riflessione, persino all'irritazione.
Una linea curva divide la copertina quasi a metà, nel senso della larghezza. Riconosciamo le sagome di alcuni alberi frondosi, una luce aurorale, abbagliante, tendente al rosso. Il rosso tinge pure la parte inferiore dell'immagine. Al centro di essa, un piccolo roditore disteso, morto. Riconosciamo dalla tessitura il materiale di cui è fatto questo letto di morte. Probabilmente, l'asfalto granuloso, quello che assorbe il calore della natura, del sole rosso, senza però mai far parte, di questa natura, di questo sole. Riconosciamo dunque una morte, e indoviniamo una storia, forse di un investimento, di un'auto che corre veloce la notte e assassina un piccolo animale, lasciandolo stecchito sull'asfalto sino all'alba del giorno dopo. Non abbiamo ancora letto il titolo, né ci siamo addentrati nel romanzo, ma già percepiamo un contrasto fra una natura rigogliosa, lussureggiante, e una striscia di morte che l'attraversa, una striscia di morte condottavi dall'uomo.
Passiamo al titolo: "guerra agli umani". Poi forse ne spiegheremo l'origine, ma subito vi scorgiamo un'altra contraddizione, una contraddizione analoga. La guerra è un fenomeno umano. Sbagliano a mio avviso coloro che, come la Fallaci nel suo ultimo libro, tendono a naturalizzarla, a estenderne metaforicamente il concetto a tutti gli esseri viventi. Bisogna forse opporsi a questo pensiero, che la guerra sia coestensiva alla vita. È un pensiero politicamente inquinato, inquinante. Ma "guerra agli umani", dunque. Se gli umani sono l'oggetto complessivo di questa guerra, ci chiediamo, chi saranno coloro che questa guerra la organizzano, la dichiarano, la muovono. Non potendosi trattare di animali, perché li abbiamo esclusi dal campo delle attività belliche, e non trovandoci all'interno di un universo fantascientifico, popolato da diverse stirpi planetarie, la risposta non può che essere una: sono gli umani che muovono guerra agli umani. Questa risposta viene confermata dal romanzo, ma la teniamo in sospeso, per adesso. Vi ravvisiamo, però, un'ulteriore contraddizione.
Scendiamo ancora più in basso, verso il logo della casa editrice. Vi leggiamo "stile libero". Ma chi conosce la storia del nuoto olimpionico sa benissimo che quella maniera di nuotare, chiamata "stile libero", la quale doveva indicare, appunto, la possibilità di muoversi nell'acqua in qualsiasi modo, è presto diventata sinonimo di uno stile in particolare, e anche assai rigidamente codificato, vale a dire lo stile crawl. Le ragioni per cui la libertà dello stile sia poi diventata sinonimo di una sua univocità sono chiare a tutti: perché lo stile crawl è il più veloce, il più efficace. Che cos'è, dunque, "stile libero" se non un ossimoro, che evoca l'impossibilità di sottrarsi a uno stile, di scegliere una libertà assoluta rinunciando totalmente all'efficacia linguistica ma anche economica, capitalistica, della scrittura? Anche questo ossimoro mettiamolo nel cassetto, e continuiamo a esplorare la copertina.
Il logo della casa editrice Einaudi. Vi compare, per chi non lo sapesse, uno struzzo con alcuni chiodi nel becco, e un cartiglio, ove un motto recita: "spiritus durissima coquit", lo “spirito digerisce cose durissime”. È un emblema molto antico. Si riallaccia alla credenza, documentata sin dall'antichità, che gli struzzi riuscissero a digerire il ferro, o qualsiasi altra cosa. "Avere uno stomaco di struzzo", si dice ancora oggi. Sorvoliamo su chi per primo scelse questo emblema per la casa editrice Einaudi, ma resta un fatto: esso sembra indicare che Einaudi proporrà ai suoi lettori dei libri pesanti, indigesti, che tuttavia l'ingegno riuscirà a digerire, a metabolizzare.
Anche in Guerra agli umani, nel romanzo, compare, come saprà chi lo leggerà, uno struzzo. È un'apparizione fugace, quasi alla fine della storia. Entro per un momento nel romanzo e vado a trovare questo struzzo (p. 308):

L'ambulanza frena di colpo. L'infermiere gentile mi stringe la mano per non cadere. Un trespolo da flebo precipita a terra.
-Tutto bene lì dietro? – domanda l'autista prima di ripartire.
-Che cavolo succede?
-Se te lo dico, non ci credi.
Pausa. L'infermiere sbircia il parabrezza. Anch'io vorrei voltarmi, ma non posso. Fisso il lunotto posteriore. Due occhi grandi guardano dentro. Testa piccola e spelacchiata, collo sottile, becco allungato.
Tiro la mano dell'infermiere e gli indico dove guardare.
L'autista mette in moto.
Lo struzzo scompare d'un balzo.

Guerra agli umani è fitto di citazioni che i semiologi chiamerebbero "intertestuali", ossia da un testo all'altro ma anche da un tipo di testo all'altro. In questo caso l'autore stesso ci svela le sue fonti: Il fantasma della libertà, di Buñuel. Conoscendo la trama del romanzo questo riferimento diviene carico di significato. Ma chiunque abbia visto il film di Buñuel ricorderà la sequenza in cui dei commensali siedono insieme sui rispettivi cessi, e di tanto in tanto si allontanano dal singolare convivio per mangiare qualcosa. Una scena surreale, che contiene un'inversione totale delle regole sociali, anche quelle più profonde. Ma anche l'apparizione di uno struzzo dietro il finestrino di un'ambulanza esprime una contraddizione, l'inversione di un codice culturale. Per questo ho fatto riferimento all'emblema dello struzzo coi chiodi nel becco. Nell'antichità, esso era un animale mitico, di cui si credevano leggende strabilianti. Non vi è nulla di più strano, dunque, che vederlo calato in un contesto così moderno e disincantato, quello di un'ambulanza, dell'organizzazione contemporanea della malattia e della morte. Non esploro oltre quest'ulteriore contraddizione, per adesso, e mi sposto un po' più in alto attraverso la copertina.
WU MING 2. La quarta di copertina ci informa puntualmente che "wu ming" in cinese significa "senza nome", "anonimo". È la sigla che designa le opere di quattro autori, poi di cinque, che però sono convinti che ciò che si scrive è più importante di chi lo scrive, e rifuggono il divismo letterario rinunciando all'apparire del proprio nome personale in copertina. Ma che cosa s'intende di un testo quando è scritto da anonimo, cioè da "wu ming", in cinese? S'intende che l'autore è ignoto. Ne deriva un'altra contraddizione: mentre è sempre possibile attribuirsi uno pseudonimo, come "wu ming", ad esempio, che resta uno pseudonimo anche se significa "anonimo", non ci si può attribuire un anonimo. Anche se si rinuncia al proprio nome e cognome, nel momento in cui si adotta un segno, un segno qualsiasi, fosse anche un certo stile formale o certe tematiche di scrittura, che ci rendano in qualche modo riconoscibili, in quel momento stesso il nostro anonimato scompare. Possiamo nasconderci dietro una lingua incomprensibile, come il cinese, ad esempio, oppure dietro un ideogramma incomprensibile che però a decifrarlo significa "anonimo", ma nel momento in cui saremo riconoscibili per questa lingua, per questo segno, allora il nostro anonimato cadrà, e con esso la nostra rinuncia al divismo, alla costruzione di un logo, al suo uso per fini di marketing, per fini commerciali. Ma questa non è una critica. Il gruppo Wu Ming è consapevole di una tale contraddizione, e io la sottolineo perché, come vedremo, Guerra agli umani è soprattutto, a mio avviso, una risposta a tutte queste contraddizioni.
Facciamo un grande balzo in avanti, strappiamo uno dei sette veli del testo e arriviamo a un passo dal romanzo, giusto prima della dedica dell'autore ai suoi cari. Vi leggiamo:

Questo libro è stato stampato su carta ecosostenibile CyclusOffset, prodotta dalla cartiera danese Dalum Papir A/S con fibre riciclate e sbiancate senza uso di cloro.
Per maggiori informazioni: www.greenpeace.it/scrittori

Si obietterà: cosa c'entra questa fredda indicazione merceologica, questa etichetta da supermercato, con la letteratura? E invece c'entra. Da più punti di vista. Innanzitutto perché nella poetica di Wu Ming c'è anche il concetto di separare le barriere fra la letteratura e l'impegno civile. Passaggio affatto che scontato. Vi sono i letterati che si rinchiudono in una torre d'avorio, che analizzano le profondità dello spirito umano e non si curano degli accidenti della società e della storia. Essi rabbrividirebbero di fronte a questa citazione. Vorrebbero che si parlasse della letteratura, non di cloro. Il dilemma è sempre lo stesso, da millenni: estetica ed etica devono viaggiare di pari passo, o possono andare in direzioni opposte? Trascriveremmo l'ultima copia della Divina Commedia sulla pelle di un cucciolo di foca, se sapessimo che è l'unico espediente per salvarla? Wu Ming 2 non ha certo scritto la Divina Commedia, non ancora, però ritiene un valore aggiunto ai suoi libri il fatto che questi siano stampati su carta perfettamente ambientalista. Ma anche qui la contraddizione è in agguato, e diventa sempre più minacciosa, perché non solo ci avviciniamo al corpo nudo del romanzo, ma anche al suo contenuto. Cosa impedisce a una grande casa editrice, padrona da decenni di tutte le astuzie del mercato, di impossessarsi di questo lodevole slancio ecologista e di trasformarlo in strumento di marketing, e poi di vendere tutto, o quasi tutto, con l'alibi che si tratta di edizioni eticamente corrette, anche se esteticamente discutibili? Lo sappiamo tutti, è inutile nascondercelo, esiste un marketing delle controculture, tanto più efficace quanto più è difficile riconoscerlo perché del marketing adotta solo le forme, mentre esprime contenuti di per sé contrari a una logica di mercato. Ma anche questa non è una critica, in primo luogo perché in Guerra agli umani la bellezza e l'eticità della scrittura coincidono, e poi perché anche a questo l'autore dà una risposta, forse la più importante. Se dovessi sintetizzare ciò che questo libro ha significato ai miei occhi di lettore, direi che è una lotta fra il tentativo di uscire dalle logiche del neocapitalismo globalizzato (quella che l'autore chiama "Babilonia") e l'impossibilità di liberarsene totalmente.
Infine, l'ultimo velo. Sotto la scritta appena citata ne compare un'altra, che recita: […]

Si consente la riproduzione parziale o totale dell'opera e la sua diffusione per via telematica, purché non a scopi commerciali e a condizione che questa dicitura sia riprodotta.

Stesso discorso. Ammirevole abdicazione a quel grumo di proprietà privata e individualismo borghese che si annida nel diritto d'autore! ma analizziamo la struttura linguistica della frase: "Si consente, etc. etc." Si consente. Ma cosa vuol dire "si consente"? Siamo ben troppo avvezzi a questa piccola frase, oramai giustamente divenuta oggetto di satira e simbolo di un'epoca culturale. Conosciamo i modi di fare di chi, a furia di "mi consenta" non ha fatto altro che esprimere non il diritto, ma il dovere degli altri ad acconsentire. Cosa vuol dire, dunque, che si consente la riproduzione? Ancora una volta, un'encomiabile rinuncia alle logiche di mercato, se però quel "si consente" non viene interpretato come "si incoraggia", o "si consiglia". E' qui che la controcultura diventa marketing. È qui che la rinuncia al diritto d'autore diventa un invito alla diffusione di un certo prodotto culturale, e non importa se con profitto. Secondo la logica tipica del post-moderno: ciò che può essere fatto deve essere fatto, cioè che è consentito diventa un dovere. Ma questa è l'ultima contraddizione, della quale pure i Wu Ming sono assai consci, dato che ne discutono ampiamente e con efficacia nei propri saggi (bisognerebbe, tuttavia, invitare coloro che fotocopieranno il libro a farlo con carta riciclata…)
A questo punto inizia il romanzo, quello vero, e a questo punto potrei interrompermi, sperando di aver suscitato abbastanza il desiderio della lettura. Voglio solo aggiungere due cose. In una storia che ha moltissimi personaggi, tanto da richiedere una sorta di guida alla navigazione in uno dei risvolti di copertina, vi è anche un personaggio principale, ossia quello con cui lo scrittore ci spinge a identificarci di più (o comunque quello con cui mi sono identificato di più io). Si tratta di un eroe troglodita, di qualcuno che vuole rifuggire completamente la civiltà e le sue contraddizioni per vivere un'esistenza totalmente in armonia con la natura. Ben presto, però, e qui scatta l'argomento narrativo della storia, il nostro eroe si rende conto che la natura stessa è un'astrazione dell'uomo, che essa non esiste se non come continuum di sottrazioni a partire dalla società civilizzata. La cosa che più mi ha colpito, però, è che questo personaggio, di fronte a tale millenaria contraddizione, esacerbata dagli ultimi sviluppi industriali e post-industriali, di fronte a questa contraddizione che in un certo senso riassume tutte quelle che ho evocato, non reagisce con il cinismo, con il qualunquismo, giustificando una totale assenza di impegno sociale e civile perché "tanto tutto è inutile". No, questo personaggio continua la sua lotta, continua soprattutto a riflettere sulla sua lotta, continua come i Wu Ming continuano a sognare un mondo dove l'editoria sia migliore, dove vi sia più rispetto per tutti e per tutto. D'altra parte, però, non cessa mai di accompagnare i propri sforzi, e la consapevolezza della propria sconfitta, con un pizzico di ironia, sorridendo di sé stesso e delle proprie contraddizioni. E credo non vi sia elemento più lontano dal mercato, dal neocapitalismo, dalla globalizzazione, dell'ironia. Un'ironia che impedisce al mercato di appropriarsi dei suoi oppositori e di trasformarli in bandiere da vendere al mercatino delle pulci.
Una seconda osservazione, prima di lasciare spazio all'autore, al suo dialogo con il lettore. Questo è un libro complesso, impegnato, astuto, divertente, ma è tutte queste cose anche e soprattutto perché è un libro ben scritto. Dove l'azione e la riflessione si confondono l'una nell'altra, dove la storia non lascia respiro, dove ogni pagina regala una metafora nuova, e dunque una nuova conoscenza, dove i boschi si animano di vita propria, e di una lingua mobile come un'alba, o come un cinghiale rincorso da una battuta di caccia. Dove, infine, tutti i temi che io ho evocato con il passo addomesticato ma pesante del discorso accademico diventano leggeri e saltellanti come animali selvatici.

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(una delle sotto-storie è l'apprendistato criminale di Jakup Mahmeti)

UN SEQUEL DI GUERRA AGLI UMANI

Wu Ming, Previsioni del tempo, 2008