Le bestie dalla Serbia, falso evento

di Wu Ming 5

Il Demos non sa che farsene della democrazia. Questo mi viene in mente se ripenso alle scene televisive di Italia-Serbia. Non sono Valerio Marchi, e le mie analisi tendono al generale, sempre. Non sono così addentro al “fenomeno ultras” da potermi spacciare per esperto, ero solo uno che andava in curva negli anni ’80. E’ proprio in questi frangenti che la voce di Valerio manca. Non che ci sia silenzio attorno alla vicenda. Anzi, c’è il frastuono. I titoli dei giornali: “Vergogna”, “Ecco le Bestie”. Le Bestie. Cioè quelli che portano fino in fondo il discorso imperante nel campo simbolico: identità, radici, essere-qualcuno, amico-nemico. Il medesimo discorso di molti partiti al governo in Europa. Mi viene in mente che parecchi dei nazionalisti serbi in azione a Genova devono essersi trovati, da bambini, sotto i bombardamenti democratici dell’occidente, cioè del Mondo. Non è un discorso giustificazionista: chi non comprende il nemico è destinato a soccombere. Vedete bene che qui, sì, il calcio davvero non c’entra. E neanche gli ultras. E’ utile quindi un sforzo di analisi, cercare il frattempo, riflettere, ragionare: tutte cose che non si possono fare sotto la spinta urgente della cronaca.
Nell’ansia di chiudere i conti con l’egualitarismo, l’ideologia-mondo ha esaltato il discorso della soggettività fino al parossismo. Non si tratta solo di identità etnico-religiose. Pensiamo al fiorire di identità sessuali, comportamentali, sottoculturali degli ultimi anni. Ogni discorso generale sull’uomo e sul suo ruolo nel mondo viene tacciato di Totalitarismo. Il Demos non sa che farsene della democrazia: la democrazia come confronto di opinioni pilotate interessa ormai solo chi pilota le opinioni e chi è incapace di pensiero critico. Chi crede che lo sfacelo ambientale, politico, sociale e morale che va sotto il nome di capitalismo sia “naturale”, e chi di questo sfacelo si nutre. Il populismo di destra, il riaffacciarsi paradossale della bestia proletaria sulla scena europea dà una risposta feticistica e brutale a questi problemi. E’ certamente falso evento, perché la sua rivolta, declinata dentro i parlamenti, nelle TV di regime o negli stadi non può toccare il reale. E’ pericoloso, proprio perché non è alternativo alla democrazia liberale. Ci convive, pronto a sussumerla e a perseguire gli stessi scopi: ognuno al suo fottuto posto. Quello che abbiamo visto in TV, l’ultrà serbo arrampicato sulle reti, dice, oggi più che mai: socialismo o barbarie.

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125 commenti su “Le bestie dalla Serbia, falso evento

  1. In questi giorni meditavo proprio sui limiti intrinseci della democrazia, nel senso che è nel suo seno che sono sorti tutti i totalitarismi, quasi come naturale conseguenza, se non necessaria, plausibile… credo sia tutto racchiuso nel discorso della modernità, che ha dentro di sé le aberrazioni che nella vulgata popolare si attribuiscono alla ‘carenza’ di modernità. E sempre più spesso torno al Bauman di Modernità e olocausto e mi convinco che c’ha ragione. Forse sono OT, ma forse no..

  2. C’è un filo conduttore inquietante che lega una serie di fatti avvenuti recentemente nel nostro paese. Mi sembra che nel corpo sociale si registri un’aggressività più o meno latente, che mi pare essere il segno più tangibile del fallimento del progetto politico-economico-sociale del neocapitalismo. Sweepsy dice bene quando riflette sul fatto che tutti i totalitarismi sono sorti in seno alla democrazia. Aggiungerei che tutti i totalitarismi sono sorti in seno ad una democrazia in crisi, in seguito ad una sorta di sublimazione dell’aggressività. Il rischio concreto è che a dominare la scena siano proprio quelle forze capaci di farsi carico di questa aggressività latente, legittimandola per permettere al corpo sociale di scaricala dalla propria coscienza. Sono giunto a queste riflessioni dopo aver visto questo (http://bit.ly/9iAmPT).
    A margine segnalo la bella intervista a Viviano, portiere del Bologna e della Nazionale, sul falso evento di Genova. A riprova che non tutti i calciatori sono delle capre http://bit.ly/cnmjar

  3. Se si crede che tutto ciò che è reale è razionale si può anche credere che i totalitarismi siano una naturale conseguenza della modernità..secondo me sono più che altro una conseguenza (e mi riferisco ai regimi fascisti in generale e a quello nazista in particolare) del “modernismo reazionario” cioè quel pensiero che accettava grosso modo la razionalità nei suoi aspetti tecnico-scientifici ma la rifiutava nella politica, un abbraccio perverso tra positivismo scientista e romanticismo politico di stampo nazional-patriottardo (con tutte le connotazioni razziste che assunse poi nell’hitlerismo) che non potebache generare mostri. oltretutto possiamo aggiungere il fatto che i ceti dominanti imputavano alla democrazia di aver in qualche modo favorito la nascita del movimento operaio e non fidandosi più del liberalismo scelsero per conservare i propri privilegi il popoulismo autoritario di destra che riprendeva demagogicamente una retorica socialisteggiante (Mussolini veniva dal socialismo massimalista) per pervertirla ad altri fini. Come scrisse Valerio Evangelisti in un suo ottimo articolo su Carmilla a proposito della destra “rosso-bruna” che su internet trova molto spazio (del resto sul web c’è di tutto) quando al conflitto di classe sostituisci il conflitto fra nazioni, popoli, “razze” e religioni, puoi anche nasconderti dietro una facciata “rossa” ma sei una camicia bruna.
    Comunque la modernità ha le sue aberrazioni, l’epoca pre-moderna ne ha avute altre, e la post-modernità in cui siamo già secondo qualcuno, ne avrà altre ancora, l’importante è riconoscerle e combatterle senza però rimpiangere il passato.

  4. In molti commenti sugli ultras serbi, nei giornali e per la strada, ho riscontrato una forte dose di disprezzo. Non parlo tanto della condanna, ovvia, per quanto accaduto, ma piuttosto del civile disgusto occidentale per l’inciviltà levantina, slava, straniera. La “barbarie” è stata letta in chiave colonialista – l’Uomo Bianco vs i Selvaggi – quando si tratta invece di un prodotto politico globalizzato. Dietro il fanatismo, la patria e il sangue, si scorge sempre la malattia denunciata da Nietzsche: quando si costringe l’uomo a non volere niente, egli preferirà piuttosto volere il niente.

  5. Riporto qui come mi ha invitato a fare WM2 una considerazione che avevo postato altrove.

    Ieri me lo ha fatto notare prima un collega, poi lo hanno detto molti telegiornali, che Ivan porta tatuata la data del 1389 su un bracccio per ricordare la battaglia di Kossovopolje. Un’assurdità concordano tutti.
    Già, è vero, come se uno inneggiasse alla battaglia di Legnano e alla figura di Alberto da Giussano.
    Una cosa assurda, fuori dal tempo e da ogni ragionevolezza.

  6. Grazie Ric, questo post era proprio necessario….

  7. Sì, l’alternativa è “socialismo o barbarie”. Minqi Li, nel suo intervento a Londra all’interno del convegno “L’idée du communisme”, organizzato da Zizek e Badiou, ha sottolineato che le alternative sono tre: distruzione totale della razza umana nel tentativo di lasciare tutto in mano al capitalismo; esplosione della rabbia di classe fine a se stessa, col risultato di lasciare il pianeta sfruttato e morente (quella che io chiamo “ipotesi KenShiro”); socialismo, pianificazione della produzione e superamento del modello di consumo/sfruttamento dominante. Io trovo l’ipotesi KenShiro molto vicina ai fatti di Genova. E tristemente: col conflitto nell’ex-Jugoslavia l’occidente, che fino al ’95 aveva tentato di nascondere le macerie della sua “vittoria sul socialismo” sotto il tappeto dei Balcani, ha scoperchiato un universo di nichilismo e barbarie totale. Qualche settimana fa, l’Internazionale ha pubblicato un reportage su una banda di criminali Serbo-Montenegrini (le “Pantere Rosa”) descrivendo, tra l’altro, i luoghi da cui provengono: oggi il Montenegro viene paragonato alla Tortuga del XVII secolo, è lì che si prepara la nuova società turbocapitalistica?

  8. In effetti l’argomento è stimolante. Condividendo quanto è stato scritto, io vorrei tornare su Ivan Bogdanovic. Cioè “la bestia” per antonomasia, l’uomo che per una sera “ha tenuto in scacco” l’UEFA, l’Italia, la Serbia, l’Europa. L’uomo che oggi il ministro degli interni Roberto Maroni ha chiesto di incriminare per strage. Lo stesso Maroni che, in questi minuti, sta buttando benzina sull’imminente manifestazione della FIOM. Ricorsi.
    Ivan Bogdanovic intanto sta diventando un’icona pop. Armato di… cesoie per tagliare la rete, con il dito medio alzato, con un improbabile saluto romano, con il “tre”, saluto cetnico (Dio, Patria, Re – o Zar) e prima ancora ortodosso (la croce ortodossa, ma anche Dio, patria e famiglia) e oggi “logo” dei nazionalisti serbi, a richiamare Serbia, Montenegro, Bosnia. Ivan Bogdanovic, disoccupato trentenne di Belgrado, ultras con quattro denunce pendenti, dicono.
    Ivan Bogdanovic, con il ventre prominente, forse a causa degli eccessi di birra, e con una maglia che a prima vista sembra quella dei pirati (sic) e che poi, a ben guardare, dovrebbe essere un ulteriore richiamo cetnico (il teschio con le due ossa ci riporta ancora a “za kralja i otadžbinu sloboda ili smrt”: Per il Re e la Patria libertà o morte).
    Ivan Bogdanovic, nascosto nel vano portabagagli del pullman (“ma non è sfuggito agli 007, grazie anche al confronto dei tatuaggi!”), che mi fa venire in mente le gite delle medie. Ivan Bogdanovic, la bestia, che oggi ha chiesto scusa.
    Non c’è ironia nelle mie parole. I balcani li ho conosciuti (volontariato civile durante la guerra del Kosovo, 1999) e so quanto dietro al kitsch che ci appare ad una seconda lettura (la prima è quella delle “bestie” di questi giorni) ci sia una ricerca sgangherata, umana e disperata di una identità.
    Il problema, come è stato richiamato, è che Ivan Bogdanovic a diciannove anni viveva in una città che l’occidente-Mondo (richiamo volentieri il concetto di WM5) ha bombardato.
    La questione non è neanche pro o contro i serbi cattivi. Io ho lavorato prevalentemente con albanesi, ho molti amici albanesi, e mi viene spontaneo provare empatia (anche) per la loro causa.
    Qui non c’è un giusto e uno sbagliato, un buono e un cattivo. C’è un occidente-Europa che ha avuto il suo suicidio nei balcani. Iniziato nel 1992 e finito nel 1999. A rimetterci sono stati i tanti albanesi, bosniaci, croati, kosovari, macedoni, montenegrini e serbi (non cito gli sloveni perchè ne sono usciti in modo meno drammatico) che hanno offerto, loro malgrado, la loro terra e la loro storia recente come teatro del suicidio dell’Europa. Nemesi storica a rovescio del socialismo leggero, solidale e incasinato, tutto Zastava e slivovica. O raki, se vogliamo.
    Se oggi i tanti Ivan Bogdanovic sono alla ricerca di una identità, è perchè qualcuno gli ha sbriciolato quella che avevano, portando queste persone ad aggrapparsi, da una parte o dall’altra, ad una battaglia avvenuta a Kosovo Polje – Fushë Kosovë nel 1389.
    Spero di non essere andato fuori tema. Scusate l’enfasi. La questione mi sta a cuore.

  9. Io sono d’accordo con chi dice che (sia chiaro, taglio con l’accetta!) la modernità è una cosa, il capitalismo un’altra. Il fatto che abbiano marciato insieme non significa che dobbiamo tenerle assieme, vuoi per usare l’una al fine di giustificare l’altra (come fanno i tecnocrati del dominio), vuoi per liberarci del lascito di entrambe (come vogliono i reazionari). Lo sforzo critico dovrebbe consistere nel discernere l’una dall’altra. E nel criticare alcuni esiti della modernità (cioè nel discernere anche dentro di essa), non dovremmo mai scordarci che il nostro problema è il capitalismo.

    Vorrei chiarire che non sto parlando della “modernizzazione”. Quando nel discorso pubblico si usa la parola “modernizzazione” (con tutta la particolare retorica che si porta dietro), è sempre sinonimo di ristrutturazione capitalistica.
    Non mi interessa la modernizzazione (che è un incedere dentro un orizzonte di possibilità già definite), ma la modernità (che invece è un mondo, un lascito, una tradizione multilineare).

    La modernità è un insieme più vasto del capitalismo: nasce prima del consolidamento di quest’ultimo, e per un lunghissimo periodo contiene più potenzialità e possibilità, non soltanto il rapporto di capitale. La modernità, con la sua spinta emancipativa, ci ha dato anche le resistenze, le rivoluzioni, l’anarchismo, il socialismo, il comunismo, il pensiero critico, la stessa possibilità di immaginare un mondo oltre il capitalismo. Come dice Tronti da qualche parte: “Non diamo al moderno anche le colpe che non ha”, cioè le colpe del capitalismo. Lo sforzo dovrebbe essere quello di separare ciò che pertiene soprattutto al capitalismo (ad esempio il colonialismo) e ciò che pertiene a una modernità che contiene anche le resistenze al capitalismo (ad esempio, senza la modernità mancherebbe la critica che alimenta le lotte anti-coloniali).

    E’ come quando Zizek sostiene che la rivoluzione francese trova il proprio senso nella grande rivolta di Haiti: gli schiavi che, in nome degli stessi ideali proclamati dai francesi, si ribellano a questi ultimi, si riappropriano della Marsigliese e la cantano combattendo contro i bianchi. Qui si situa lo scontro tra dominio capitalistico e modernità.

    Tra l’altro, ormai è il capitalismo stesso a scindere il legame, a non ritenersi più legato alle forme della democrazia. Il “capitalismo con valori asiatici” di Singapore e – massimo esempio – della Cina continentale si sta infatti dimostrando più efficiente, più produttivo, più competitivo e temibile *senza* essere passato per la democrazia, per la cittadinanza, per l’individualismo proprietario etc. In una parola: per la realizzazione borghese della modernità. Questa è una delle grandi minacce che ci troviamo di fronte oggi, ed è una minaccia inedita fino a pochissimo tempo fa: un capitalismo che non ha avuto bisogno della “modernità”.

    Su un altro livello: “scindere” modernità e capitalismo nel modo evocato sopra (Haiti etc.) è esattamente il contrario di quanto fanno i fascisti (strictu e lato sensu). I fascisti adottano una facile retorica anti-capitalistica, usando “capitalismo” come figura retorica per intendere la modernità e l’occidente. Così facendo ci si muove in direzione opposta a quella che mi sto auspicando: buttano tutto nel mucchio. “Buttare tutto nel mucchio”, quindi confondere agitazione anti-borghese e anti-capitalistica, “mondialismo” e internazionalismo etc. è proprio un tratto tipico del fascismo.

    Il punto è: anche se intorno a noi oggi vediamo solo capitalismo, non possiamo rinunciare a pensare un “campo trascendentale” non-capitalistico. Per quanto mi riguarda, equivarrebbe a smettere di pensare.

  10. Io mi ritengo anticapitalista. E forse parlando di modernità intendevo modernizzazione, come dici tu. Ho sempre ritenuto le parole importanti. Forse anche Bauman intendeva quello? Non posso definirmi antimodernista in senso stretto. Però abbiamo un problema collegato al capitalismo, che è la rivoluzione industriale. E’ qualcosa che normalmente i comunisti ritengono positiva, mentre io non ci riesco. Tendo a considerarmi anarchica per questo (forse l’ho accennato su twitter): non ho alcuna visione positiva del progresso così come ce lo propinano. Una visione condivisa dal comunismo, almeno quello originario. Forse oggi siamo avanti, forse certe etichette e distinzioni non hanno più senso, conviene concentrarsi sul nemico, che è e rimane il capitalismo, con tutto ciò che comporta in termini di disumanizzazione e scadimento della qualità della vita di ogni essere vivente.

  11. Beh, la posizione di Marx sull’industrialismo – o meglio: sugli “stadi dello sviluppo capitalistico” – si evolve e si modifica nei quarant’anni di studio ed elaborazione che dedica al tema. E’ molto più complessa, sfumata e ricca di potenzialità di come viene rappresentata (cioè come una semplice apologia dello sviluppo). Il Marx degli ultimi anni, quello dei “Taccuini etnologici” e della lettera sulla comune agricola russa (l’Obscina), è molto più “multilineare”, pensa a diversi possibili percorsi della modernità e a diverse vie che superino il capitalismo.
    Detto questo, solo due punti, davvero di corsa perché ora come ora non posso sviluppare:
    – la modernità inizia prima della rivoluzione industriale; di solito il suo inizio viene sovrapposto a un Inizio, a una discontinuità che però è stata individuata secoli dopo, cioè il Rinascimento (parola che dobbiamo a Jules Michelet, e quindi è in uso soltanto dal XIX secolo).
    – attenzione a non rimpiangere le società pre-industriali! E’ una trappola in cui cadono in molti, ma la “buona vecchia” società contadina era un mondo di povertà, inedia, malattie, mortalità infantile e morte di parto, consunzione fisica e psichica, ignoranza superstiziosa, brutale dominio dei pochissimi sui molti, del patriarca sulla famiglia, del maschio sulla femmina. Si moriva per cose che oggi ci paiono bazzecole. Si arrivava a quarant’anni (se ci si arrivava) curvi, debilitati e rintronati. Idealizzare quel che c’era prima ci porta fuori strada. I bei tempi non ci sono mai stati.

  12. C’è un motivo per cui non ho citato Marx. Tutti quelli che dopo in suo nome hanno provato a fare qualcosa hanno capito poco e male. Marx è ancora oggi un economista e sociologo attuale, ha avuto intuizioni grandiose e a volte sorprendenti, dati i tempi in cui viveva. Io stimo moltissimo Marx, molto meno i cosiddetti marxisti =)

    Sulle società pre-industriali, la mia posizione è alquanto vaga,, poiché la domanda che mi frulla nella testa è “a che prezzo?” Viviamo molto meglio, forse più a lungo (Massimo Fini, se posso permettermi di citarlo qui, presenta argomentazioni contrarie non risibili) però stiamo molto peggio. Del resto la storia è passata, il presente è ora e il futuro ce lo costruiamo noi. Gli errori fatti non si possono correggere, però se riusciamo a valutare criticamente aspetti positivi e negativi delle società pre-industriali come delle società industriali possiamo tracciare una via altra, magari in parte già immaginata da Marx XD

  13. sweepy, che ora si stia “peggio” dubito che tu o chiunque altro possa affermarlo con sicumera. Oggi ci sono i problemi di oggi, nell’epoca pre-industriale c’erano i problemi di quell’epoca.
    Ecco, Massimo Fini è un antimodernista puro a cui non sta bene nè il capitalismo nè il marxismo in quanto, entrambi figli dell’illuminismo e della rivoluzione industriale, sono due facce della stessa medaglia modernista, è uno che secondo me “butta tutto nel mucchio” e rimpiange apertamente la società pre-industriale.
    Pur condividendo molto poco di quello che dice e di come lo dice, ammetto che offre spunti di riflessione interessanti anche se non capisco mai quanto sia “gusto di provocare” e quanto ci creda sul serio specie quando in una delle sue tirate anti-femministe (del resto se sei un antimodernista coerente non puoi che essere anti-femminista) suggerì alle donne occidentali di fare unpo “stage in Afghanistan” dove troveranno “uomini che le rimetteranno in riga come meritano e, in fondo al cuore, desiderano”. Oppure quando sempre in funzione antimodernista inneggia al mullah Omar evitando accuratamente di parlare di quando ammazzava i sovietici con il beneplacito e le armi dell’ impero americano, evitando di parlare dei comunisti afghani che, guidati da Taraki, presero il potere prima dell’invasione sovietica e che stavano avviando un grande progetto politico di emancipazione che contemplava la riforma agraria per migliorare le condizioni dei contadini con un programma di laicizzazione della società, il più ambizioso dai tempi di re Amanullah nel 1919.
    Vabbè, si sarà capito che a me non piace molto.

  14. “Massimo Fini, se posso permettermi di citarlo qui, presenta argomentazioni contrarie non risibili” sweepsy

    Se ricordo bene le argomentazioni di Fini (e non solo sue) sono queste: nelle società pre-industriali non è che si campasse di meno, ma c’era una più alta mortalità infantile (leggi selezione naturale) e questo faceva sì che solo gli individui più “forti” crescessero e arrivassero anche alla vecchiaia.
    certo non arriva a dire che rimpiange la vecchia Sparta (sarebbe troppo “politicamente scorretto” anche per lui) ma il senso è quello.

  15. È probabile che non abbia capito i fili sottili che muovono il tuo ragionamento, ma sì, ritengo il tuo discorso giustificazionista e anche un po’strumentale.
    Giustamente affermi che non si tratta di calcio, nè di ultras. Ma poi sposti il discorso su una critica al capitalismo e sull’analisi di un presunto fallimento della democrazia liberale.
    Permettimi di dissentire. L’episodio di Genova non è slegato da quanto avvenuto in occasione del Gay Pride del 10 ottobre, nè dal vicino appuntamento di Lussemburgo in cui Belgrado presenterà la sua candidatura per l’ingresso nell’Unione Europea. Ed è proprio qui che casca l’asino, credo. Gli ultras che hanno dato spettacolo a Genova, così come coloro che hanno ricoperto di sangue la manifestazione di domenica scorsa, non sono altro che lo strumento politico di coloro che nel paese slavo vorrebbero ostacolare il processo di integrazione europea promosso dagli attuali governanti. Di quegli stessi che reclamano diritti di proprietà sul Kosovo e che a Mitrovica Nord stampano cartoline con scritto “Mladic eroe di guerra”. Sono il braccio goffamente armato di chi non ha la minima intenzione di chiedere perdono per Srebrenica nè per le decine di massacri analoghi perpetratisi durante gli anni bui della guerra. E sono l’ulitmo di una lunga serie di insulti avanzati ad un cammino che tutti quanti, dimentichi delle sue origini, stiamo rendendo banale e all’apparenza perfino superfluo.
    L’ingresso della Serbia in Europa sarebbe un passaggio decisivo per la realizzazione di quel meraviglioso progetto descritto da Spinelli nel suo Manifesto di Ventotene: “Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in Stati nazionali sovrani”. Ed a proposito della soggettività esasperante cui tu fai riferimento, Spinelli postula una tesi che non stride affatto con la tua: “Il crollo della maggior parte degli Stati del continente sotto il rullo compressore tedesco ha già accomunato la sorte dei popoli europei, che o tutti insieme soggiaceranno al dominio hitleriano, o tutti insieme entreranno, con la caduta di questo, in una crisi rivoluzionaria in cui non si troveranno irrigiditi e distinti in solide strutture statali”.
    Il punto quindi non è il capitalismo assassino, quanto la volontà di alcuni di impedire un processo politico determinante.
    Ma il demos sa benissimo cosa farsene della democrazia. Come diceva quello: “E poi la gente, (perchè è la gente che fa la storia) quando si tratta di scegliere e di andare, te la ritrovi tutta con gli occhi aperti, che sanno benissimo cosa fare”. Ed anche in un contesto inquietante e sfilacciato come quello che stiamo vivendo, il suo giudizio non è annientato, la sua forza non è affievolita. L’azione di forza degli Ultrà si oppone al processo di necessaria responsabilizzazione della gente. Che però è la stessa gente che ha portato al governo Tadic ed ha snobbato Nikolic, che ha manifestato il suo volere e l’ha fatto con convinzione. La violenza delle azioni cui abbiamo assistito vorrebbe porsi a freno di un cammino razionale e di rottura col passato che al contrario la maggioranza dei serbi ha deciso di percorrere.
    Incolpare il solito capitalismo dello sfacelo ambientale, politico, sociale e morale che ci accompagna ogni giorno, banalizza un problema più grande. Il capitalismo è sì “naturale”, ma nel senso etimologico di “forza che genera”, di elemento vivo e attivo nella nostra società e col quale dobbiamo, volenti o nolenti, fare i conti. E d’altra parte il socialismo è una parola, un’idea, che nei Balcani fa ancora molta paura ed ha perso quei caratteri distintivi e nobili che tu probabilmente gli attribuisci. Perciò io credo che l’alternativa non sia tra socialismo e capitalismo, nè tra socialismo e barbarie. Ma che l’unica opzione esistente sia Europa o caos.

  16. Io sono più “tranciante” di Paolo, per me Massimo Fini è un cialtrone e punto.
    Sulla questione del “prezzo” che abbiamo pagato: io non vorrei mai vivere come si viveva nella mia famiglia fino a due-tre generazioni fa. Si crepava, letteralmente, di fatica e di stenti. Una mia bisnonna tirò le cuoia a poco più di quarant’anni dopo aver passato tutta la sua vita adulta partorendo come una coniglia. Mio nonno e i miei numerosi zii dormivano tutti in un unico letto scassato.
    Se oggi, almeno qui da noi e almeno per qualcuno, non si vive più così, è anche perché si è lottato. Con le unghie e coi denti si sono strappate le otto ore. Si sono conquistati dei diritti. Questo non va mai dimenticato. L’antimodernismo rimuove il fatto che la modernità è stata anche conflitto e liberazione grazie al conflitto. E’ stata un insieme di pratiche di libertà. La zona da cui vengo io è una delle culle del movimento bracciantile (sindacalista rivoluzionario, poi socialista e infine comunista). Lo squadrismo agrario di Balbo fu inventato apposta per contrastare quelle lotte. E nel secondo Dopoguerra tutto ripartì, con lotte di massa, scioperi, occupazioni delle terre, rastrellamenti di polizia nel cuore della notte (come accadde nel paese di mia madre, e proprio nell’anno in cui nacque). Per me questo è parte della modernità: le lotte di chi, avendo sempre vissuto nel pre-moderno e nella “buona vecchia civiltà rurale”, lottava per emanciparsi da quello e da questa, e non avrebbe mai voluto tornare indietro.

  17. Margherita, beata te che vedi tutta questa gente “con gli occhi aperti” e che “sa benissimo cosa fare”. Io forse ho occhiali diversi dai tuoi, ma tutta questa coscienza e lucidità non la capto. In giro per il continente vedo fenomeni e movimenti di massa populisti, neo-identitari e a volte nazisteggianti (ma alcuni sono apparentemente “dall’altra parte”) che sono l’inevitabile e ributtante contrappunto della globalizzazione liberista. Azione e reazione. Deterritorializzazione e riterritorializzazione. E’ così che si producono soggettività come quelle che erano in azione a Genova l’altro giorno. Dire questo non giustifica niente, sono fascisti e quindi nemici, non credo ci si possa sospettare di simpatie per certa gente. Ma bisogna capire “who makes the nazis”, come cantavano i Fall. Le guerre della NATO hanno “made even more nazis”, hanno accelerato certi processi e cementato un’ideologia etnocentrica e revanscista*. E’ la guerra spacciata per “umanitarismo” e universalismo dei diritti a creare, inevitabilmente, il suo falso contrario.
    [*Ideologia che però, toh, è molto simile a quella di molti partiti che in Europa (questa UE, questa “Fortezza Europa” con le sue politiche liberiste e razziste, questa roba ancora indefinita la cui esistenza non mi sembra precisamente fornire la panacea universalistica che descrivi) stanno al governo. Anche qui da noi. Come non si parla di calcio o di ultras, così non si parla (solo) di Serbia.]

  18. Spero di non essere troppo OT:
    lavoro come operaio da due mesi: faccio le letture del contatore dell’acqua ed entro in casa della gente. Nelle cantine per essere esatto. Spesso – da dietro la porta – mi chiedono se sono italiano, spesso rispondo di essere italiano d’origine calabrese con una parte di sangue africano. Mi guardano e poi mi fanno entrare. Molte persone hanno paura, e non sono tutti anziani. La diffidenza è prassi, è la normalità. La paura verso ‘lo straniero’ è quotidiana.
    Questo per dire che, in base alla mia esperienza, la ‘gente’ non ha gli occhi aperti e non sa cosa fare (sto generalizzando ma la percentuale è davvero alta). Non sempre, ma spesso, non sa far altro che avere di default un atteggiamento razzista. Oggi una donna mi ha detto: “non ci si può fidare di nessuno, non vede cosa fanno allo stadio?”
    Tutto ciò a Torino dove fervono i preparativi per il 150°, in una regione guidata dalla Lega.

  19. Condivido in pieno il fatto che non vorrei vivere nemmeno io, come ha fatto mio padre: 6 persone in 70 mq scarsi.

    e condivido ancor di più:

    “Il populismo di destra, il riaffacciarsi paradossale della bestia proletaria sulla scena europea dà una risposta feticistica e brutale a questi problemi.”

    Ho pensato di offrire spunti sull’europa ma invece vorrei fare un commento un po’ (tanto) provocatorio:
    se la bestia proletaria dà queste risposte, perchè continuare a inseguirla?
    perchè non arrendersi all’irrazionalità del mondo?
    penso che sia giusto il bivio proposto fra socialismo e barbarie e come voi che bisognerebbe parlare a tutti e con tutti, ma so che non è reale (cioè “vero” e ho utilizzato le parole giusto e vero, non a caso)
    e quindi se un movimento sociale globale contro lo sfruttamento (non ho scritto capitalismo globale così nessuno obietta sul capitalismo) non è praticabile, non è possibile pensare ad altre risposte collettive che non abbiano derive identitarie?

  20. @ marga

    Uno dei miei più cari amici è bosniaco, di Sarajevo. Abbiamo affrontato parecchie volte la questione, e il suo punto di vista, il punto di vista di chi ha combattuto da assediato per lunghissimi mesi mi ha aiutato a comprendere in maniera più precisa i contorni e l’entità di quanto è accaduto. Capisco bene quindi le peculiarità e la pericolosità del discorso nazionalista serbo. Nello specifico non dissento dalla tua analisi sulle motivazioni di “becchini” ed “eroi” in trasferta a genova. Ho però premesso che avrei portato il discorso su un livello di generalità, di dinamica globale. Qui, secondo me, casca il proverbiale asino. Io sostengo che ogni forma di nazionalismo o di populismo di destra è una forma di feticismo che dà risposte sbagliate e suicide a domande giuste. Non sono fili argomentativi poi così sottili.
    Sostengo che la democrazia liberale se la passa piuttosto male, visto che l’elezione dei rappresentanti tende a somigliare sempre più a un’acclamazione e la formazione delle opinioni – al confronto e alla presunta equivalenza delle quali si riduce la democrazia in questi sistemi- è manipolata in maniera evidente. Sostengo che quella che chiamano oggi “democrazia” è una forma di oligarchia, un involucro che non prende decisioni e non può prenderne. Le scelte sono obbligate, e si sostanziano sempre in politiche persecutorie nei confronti dei deboli. Sostengo che Europa e Caos si equivalgono, perchè ogni discorso “democratico” che non metta in questione il mercato, i rapporti di produzione, è originato letteralmente dal Caos: la circolazione acefala e impazzita del denaro e della merce. Sostengo che anche al centro dell’Europa democratica ciò che lega gli elettori a certi leader è un investimento libidico simile a quello che lega il popolo a un furher.
    Speravo in una risposta simile alla tua, che riportasse il discorso sulla terra, entro i confini della cronaca e dell’analisi del caso specifico. Speravo che qualcuno si ribellasse, come hai fatto tu, quando affermavo che democrazia liberale e populismo di destra non sono in contraddizione, ma sono diversi aspetti della dittatura del denaro e della merce. Ci speravo perchè così ho potuto ribadire, e scrivere di nuovo, e rideclinare, questi concetti.
    Sono tra quelli che ritengono la democrazia una forma incompiuta, che presuppone o meglio prefigura all’orizzonte una società di liberi ed eguali. Quando si è incapaci di questa visione, eccoci nella contemporaneità, ecco Ivan, ecco Maroni che ha evitato l’Heysel, e tutto il resto. Ecco che è possibile usare in maniera ironica l’espressione “capitale assassino”, ed ecco che il mio discorso può passare per quello di un inveterato nostalgico.

  21. @ Elle

    Su, ancora una sforzo. Non c’è niente di male a criticare il capitale :-). E a usare proprio quella parola! Se non se ne esce, se non si esce dall’eterno presente dell’oppressione e della merce, quella che viviamo potrebbe essere la fine del pianeta, ed è giusto chiamare l’oppressione con il suo nome.
    La nostra prospettiva, tanto per cambiare, è eurocentrica. In altri luoghi del mondo, gli oppressi danno risposte diverse. In Sudamerica, nel subcontinente indiano. Non è affatto detto che la partita sia chiusa.

  22. @ elle

    tu scrivi:

    “e quindi se un movimento sociale globale contro lo sfruttamento (non ho scritto capitalismo globale così nessuno obietta sul capitalismo) non è praticabile”

    Ma quel “e quindi” è fuori luogo, perché la frase che introduce non deriva da nulla che sia nel post né in nessun altro dei commenti in calce, nostri o di altri. Chi ha detto che un movimento così non sia praticabile?

    Movimenti contro lo sfruttamento ne esistono in tutto il pianeta, simili o diversi tra loro, nuovi e residuali, pacifici e armati, in forme e con prassi che possiamo criticare, con poca o molta lucidità di visione, con possibilità di vittoria su cui possiamo esprimere scetticismo, però ci sono e bisogna avere rispetto. E’ un movimento contro lo sfruttamento, per dire, la guerriglia nel delta del Niger, come lo sono quelli (meno oscuri e meno oscurati) operanti in America latina. E’ un movimento contro lo sfruttamento anche quello che scende in piazza domani a Roma.
    Vero, non c’è – al momento – un movimento globale, coordinato, unito. Ma il fatto che qualcosa non venga praticato non implica che non sia praticabile. Se rinunciamo fin da subito a pensare questa praticabilità, a immaginarla, a squarciare il velo del presente, siamo fottuti.

  23. Io e WM5 ci siamo sovrapposti, e abbiamo espresso lo stesso concetto. Cosa che, ovviamente, non dovrebbe sorprendere nessuno :-)

  24. @ yamunin,

    io e WM4, anni fa, abbiamo fatto il tuo stesso lavoro. Lettura dei contatori dell’acqua nelle case popolari. Sì, si imparano molte, *molte* cose.

  25. @ wm1: Infatti, mi sarei più stupita del contrario ;o)
    @ wm5: L’ossessiva identificazione del mondo con l’Europa è veramente irritante. Su qualsiasi argomento.. basta prendere il femminismo ad esempio, e tutto questo blaterare cafone sulla sua inutilità e superatezza dà ancora più l’urto di nervi.

  26. @ Monica

    Mi viene in mente una cosa che mi ha detto il mio amico Nihad nel suo studio- fa il restauratore e dipinge- non più tardi di questo pomeriggio. Eravamo davanti a una tela che riproduce ciò che si vedeva dalla sua finestra, a Sarajevo. Le colline attorno alla città, i boschi. Le nubi. Uno stile da paesaggista inglese del 700. Al cenrto del quadro, un chiodo da legno, arrugginito. Non era conficcato con forza, sembrava appena appoggiato. Come qualcoa che viene scagliato, che entra con violenza nella scena, nel quadro. Vibrava di sofferenza, di rimpianto. Ma aveva un’apertura lirica, era terso, spazioso.
    Nihad mi diceva – vedi? qui correvano le trincee. Da qui ci sparavano. In questo punto ho visto morire ottanta soldati, ragazzi sui diciotto, diciannove anni. Mal guidati, l’ufficiale li ha portati alla morte. Siamo stati in silenzio un po’.
    Poi il discorso si è spostato sulle confraternite sufi, sui bektashi… e poi mi ha detto, a proposito di Europa: anche un bambino capirebbe che un percorso di integrazione dovrebbe coinvolgere il bacino del Mediterraneo, e non l’Europa. Basta aver studiato la storia, e guardare la cartina geografica…
    Nihad è davvero una persona preziosa.

  27. Spero che me lo farai conoscere la prossima volta che vengo a trovarti… e vorrei davvero vedere questo quadro, se puoi fagli una foto col cellulare e mandamela.
    Ti do la buonanotte con questo pezzo di David Sylvian e Ryuiki Sakamoto il cui testo (se non lo conosci puoi leggerlo nel link) dice molto sulle prospettive ristrette del nostro mondo. Dovremmo davvero imparare a essere dei World citizens.
    http://www.youtube.com/watch?v=5X6JULjj6hU

  28. Compagna, va bene tutto, per carità… ma le dediche teniamole per Radio Latte Miele :-D

  29. Prrrrrrrr!!!!! Non è mica una dedica, è una buonanotte e per di più molto politica tovaric.. ;o)

  30. @ Monica

    Grazie per la dedica, ma come sai quella musica non è la mia tazza di tè… da bestia proletaria quale sono preferisco il punk rock, magari con dei bei cori da stadio.

  31. A proposito della bestia nazionalista, io credo che molti compagni – anche della sinistra radicale – dovrebbero cominciare a farsi un’esame di coscienza o qualcosa del genere. Ricordo che nel 1999 ad Aviano, durante la manifestazione contro i bombardamenti NATO, io e la piccola formazione politica in cui milito rischiammo di essere caricati da manifestanti che sventolavano bandiere serbe e della Ex-Jugoslavia, perché gridavamo slogan anche contro Milosevic, oltre che contro Bush.
    Scenario simile durante un corteo a Bologna, sempre contro i bombardamenti su Belgrado, quando un “compagno” venne a sventolarci sotto il naso la bandiera serba mentre gridavamo né con Bush né con Milosevic e si sfiorò la rissa.
    E quante altre volte la sinistra radicale ha messo da parte “il desueto” internazionalismo proletario per appoggiare questa o quella nazione aggredita? Uno è arrivato a dirmi: “ma i borghesi dalla Serbia se ne sono tutti andati, sono rimasti solo i proletari”. Cazzo, il popolo-classe di mussoliniana memoria! Chissà se esiste una borghesia irakena, palestinese, basca…
    Domani per chi tifiamo, per l’Iran?
    Oggi più che mai, il proletariato non ha nazione.
    Oggi più che mai, socialismo o barbarie.

  32. Scusate, ma non riesco a capire qual’è il nesso tra le bombe e l’ultranazionalismo serbo. Anche i Bosniaci ne hanno passate di cotte e di crude ma l’efferatezza di “alcuni” Serbi non l’ho vista altrove. Forte è il rocordo del festival di Guca dove un manipolo di manifestanti irrompeva durante il concerto con bengala e magliette di Karadzic. Forse le motivazioni sono da cercare altrove. Forse nemmeno nel capitalismo che (adesso linciatemi) ha portato indubbiamente dei vantaggi. Basti pensare alla rivoluzione verde che ci ha sfamato tutti.

  33. @ Maizena,
    perché, due anni fa il Gay Pride di Sarajevo non fu attaccato da una contro-mobilitazione di fondamentalisti islamici che urlavano “Allah Akhbar” e “Uccidiamo i froci”? Pensi che in Bosnia sia tutto rose e fiori? Semplicemente, là il particolarismo reattivo e reazionario ha diverse connotazioni. La Bosnia ha una storia di commistione tra islamismo e nazismo, basti pensare alla divisione Handschar delle SS, oggi oggetto di nostalgia e venerazione in alcuni settori della cultura bosniaca.
    E certo, il capitalismo ha portato dei vantaggi, o meglio: li ha portati la modernità che il capitalismo è stato costretto a interpretare. Costretto dalle lotte, perché fosse stato per loro, i padroni avrebbero reintrodotto la servitù della gleba, figurarsi. E la “rivoluzione verde” in agricoltura *ci* ha sfamati tutti. Ma è proprio la particella pronominale il problema. Ha sfamato soprattutto noi occidentali, e creato squilibri che hanno affamato un sacco di altra gente. Guardacaso, il template culturale della “fame nel mondo” (le carestie in Africa etc.) nasce dopo quella rivoluzione.

  34. @ Giacomo
    hai mille volte ragione. Una bestialità come il “Comitato di solidarietà a Slobodan Milosevic” tirato su da certi settori dell’ultrasinistra fu l’epitome di una bancarotta ideologica. E le posizioni di personaggi come – con accenti diversi – Grimaldi o Preve le trovo pericolosissime. Anche questo è “buttare tutto nel mucchio”, e si pencola spaventosamente verso il rosso-bruno.

  35. @ Maizena:
    Il nesso è semplice: un paese messo sotto attacco rafforzerà facilmente il proprio senso identitario. Qualunque retorica ultranazionalista si nutre da sempre di una visione bellicosa, a prescindere da quale piccola patria si scelga di difendere (la “Grande Slavia” come la “Padania”).

  36. Non credo siano tutte rose e fiori in Bosnia ma, davvero, parlavo basandomi sul mio vissuto che non è affatto generalizzabile.
    E’ vero la rivoluzione verde ha sfamato tutti noi occidentali però rimango sbalordito da come NOI occidentali vogliamo ancora dettare regole in quei paesi. Ad esempio siamo bravissimi a protestare contro le biotecnologie e a favorire il biologico in alcune zone dell’ Africa, dove le prime potrebbero avere successi notevoli mentre le seconde hanno avuto flop ben documentati. Certo ci potrebbero essere delle complicazioni socio-economiche da considerare. Ma sembra quasi che a NOI i poveri ci piacciono.

  37. Scusate se vado in OT. A proposito di squilibri, si sente spesso parlare di ridistribuzione delle risorse come se fosse la cosa più ovvia però non riesco a immaginare una ridistribuzione che non
    parta dall’ adozione di tecnologie moderne che (come documentato già in Cina ma anche in India checchè ne dica Panzana Shiva) aumentano il reddito dei “contadini”.

  38. Wuming 4

    La tua analisi non mi convince è troppo generica. Nel nazionalismo serbo ho percepito degli elementi diversi da quello che ho trovato in Bosnia o in Croazia…forse sono solo impressioni ed è come dici tu.

  39. @ Maizena,

    qui si rischia di parlare di tutto lo scibile umano, per cui dopo questo commento intendo ri-stringere il focus. Mi limito a dire due cose:

    1) “Certo ci potrebbero essere delle complicazioni socio-economiche da considerare” mi suona come un understatement davvero facilone. Un’agricoltura interamente controllata da poche mastodontiche multinazionali euro-americane (come la Monsanto, di cui abbiamo già imparato a non fidarci) grazie a quel potente strumento di enclosure e depredazione che è la “proprietà intellettuale” (oggi estesa praticamente a ogni aspetto del vivente), per me non può che produrre ulteriori catastrofi e ulteriori affamamenti. Piacerebbe averla anche a me, la tua fiducia nelle magnifiche sorti del biotech in agricoltura. Ma finché il manico del coltello resta nelle solite mani, non ho davvero alcun motivo di fidarmi.

    2) La propaganda pro-biotech mi sembra sempre più tesa a presentare un falso problema cucito su misura per la “soluzione” propagandata. Non è che oggi nel sud del mondo si coltivi un’insufficiente quantità di cereali, anzi. Il problema è che oltre un terzo di questi (nel 2002 il dato era del 36% ed è probabilmente cresciuto) non è destinato a sfamare la gente bensì all’uso zootecnico, cioè a sfamare le mucche… la cui carne mangiamo qui nel nord (cfr. “Ecocidio” di Rifkin e alcuni dati si trovano ad esempio qui).

  40. @ Maizena
    è del tutto ovvio che ogni nazionalismo abbia caratteristiche peculiari, dato che come ideologia si basa su una “tecnicizzazione” di miti escludenti e una cristallizzazione di elementi di storia locale. E’ la dinamica dei nazionalismi a somigliarsi, la loro logica di fondo, la loro natura sempre *reattiva*.

  41. @ Maizena:
    Certo che ogni nazionalismo ha dei tratti distintivi propri, ci mancherebbe altro. Ma uno degli elementi di cui si nutre ogni nazionalismo è appunto la difesa della “nazione” (concetto che identifica suolo, tradizione culturale e discendenza di sangue) da una minaccia potenziale o concreta proveniente dall’esterno.

  42. Integrazione al punto 2) della risposta sul bio-tech.
    Un articolo del New York Times tradotto e ripreso da Repubblica nel 2008:
    http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/ambiente/bistecca-terra/bistecca-terra/bistecca-terra.html
    Segnalato questo, invito a chiudere l’OT.

  43. Wu ming 1 mi permetto di risponderti (poi prometto che la smetto, anche se la discussione è molto interessante :) )

    Secondo me è più facilone il tuo mantra biotecnologie=multinazionali. Per adesso è vero ma perché? Forse perché attualmente i colossi dell’ agricoltura sono gli unici a potersi permettere di affrontare l’enorme macchina burocratica che precede l’approvazione di una varietà OGM. Ecco il movimento NO OGM non fa che favorire indirettanebte queste multinazionali.
    Si vabbè, io sono vegetariano e mi son sempre chiesto a cosa servirebbe tutta quella soya e quel mais se il mondo riducesse i consumi di carne. Ma hai qualche idea su come fare?
    E poi mi fa incacchiare tutta la retorica del Petrini che parla di prodotto tipico italiano, quando la nostra industria zootecinca dipende dall’ import di mangimi.

    Forse c’è la propaganda pro-biotech ma ai miei occhi è più lampante quella no biotech, valida solo per l’agricultora. Perchè non sia mai rinunciare al biotech quando si tratta di salute ;).
    Ancora non capisco perchè i nobiotech non dicono che un “contadino” attualmente preferisce ricomprare ogni anno i semi perchè gli conviene (eterosi ibrida). Il discorso dei brevetti è molto complesso ma tutte le storie sulla sterilità sono cacchiate.
    E se vi piace il sammarzano senza biotech scordatevelo! :D

  44. @ Maizena,

    quello è ancora un altro versante. Se apriamo anche il capitolo delle mie critiche a un certo immaginario “neo-folk” che imperversa nella galassia Slow Food / Terra Madre / Petrini (tutta gente che comunque ha molti meriti), qui non finiamo più! Basti dire che io ho trovato *INSOPPORTABILE* il documentario di Olmi “Terra madre”, ho bestemmiato per tutta la sera dopo essere uscito dal cinema. Ma davvero, chiudiamola qui.

    [Ah, dimenticavo: un “mantra” per essere tale deve essere ripetuto molte volte, e anche con un certo svuotamento mentale. A quanto mi risulta, questa è la prima volta che scrivo due righe su biotech etc., e sono in condizioni di piena lucidità. Quindi mi sembra del tutto improprio parlare di un mio “mantra biotech = multinazionali”. Le parole sono importanti, misuriamole please.]

  45. Direi che con questa conclusione abbiamo trovato un punto comune :D.
    Grazie della pazienza.
    Ciao

  46. Correggo, non il “tuo mantra” ma il mantra che impera nell’ immaginario colletivo e di cui ti sei fatto portavoce. Poi se avrai voglia di approfondire il discorso, magari con un bel post te ne sarò grato.

  47. L’ultimo rifugio delle canaglie. Si diceva.
    Non siamo come loro, non siamo come loro, non siamo come loro. E’ il mantra che recitiamo di continuo, per tutto, e intanto ci inserriamo in anfratti sempre più angusti, ridotti fino all’asfissia.
    Loro chi?
    La parola chiave è Territorio. De e Ri. Due facce, una medaglia.
    Medesimi mandanti.
    La figura chiave, qui da noi, è Tremonti. Prima: finanza globale, indebitamento predatorio posticipato, cartolarizzazione (messa a debito di ciò che è già mio), astrazione esoterica dei luoghi decisionali. Dopo: tornare a leggere la Bibbia; dio, patria, famiglia; tornare ai dazi; sono tornati i banksters. Tornare alla rigidità contabile, tornare ai valori. Tornare, tornare, tornare. Si muove a suo agio su entrambi i fronti, per niente contrapposti se non nell’apparente retorica.
    Aspen e Adro.
    Non siamo come loro.
    Loro chi?
    La parola chiave è Identità. Io chi? Io Niente.
    Non esco quasi più di casa. Eppure non ho paura, non è per quello. I miei legami sono saltati, non ho più una comunità, nè un ruolo. Non ho più identità, nè la cerco. La mia è una resa.
    Ma chi non si arrende, afferra quello che trova. E arriva Ivan. Tutti gli Ivan che ciascuno di noi può contenere. Si tratta di una folla sterminata. Possiamo provare a esorcizzarla. Con il mantra. Ma non andrà via. Ci guarda dritto negli occhi. Meglio guardare per terra, allora.
    Europa o Caos?
    Quanto ha ragione wm5, e quanto importanti le sue riflessioni.
    Questa Europa E’ Questo Caos.
    L’ultimo rifugio del capitale canaglia si chiama guerra civile, ad ogni intensità, modulata sui territori. Ce n’è un fottuto bisogno.
    Il movimento globale contro il liberismo e la guerra, di cui ormai non si sente più nemmeno l’odore del cadavere, fu la speranza finale dell’occidente.
    Ci penseranno altri, se ne saranno capaci, e forse non poteva essere altrimenti.
    Noi siamo come loro.
    Mentre lo guardo in tv, annientato, solo e muto, sul divano di casa, Ivan sono Io.
    L.

  48. Il discorso sul biotech (ma più in generale sul rapporto capitale-ambiente) è interessante ma merita un thread a parte (è un’esortazione ai WM of course). Io provo a rifocalizzare il discorso:

    @ maizena
    il nesso tra le bombe della NATO sull’ex Yugoslavia e l’ultranazionalismo serbo è secondo me efficacemente sintetizzato qui:

    http://www.militant-blog.org/?p=3038

  49. I miei dubbi trovano una parziale conferma in questo articolo
    di cui cito un passo http://www.repubblica.it/online/dossier/vlatko/vlatko/vlatko.html
    -Il nazionalismo serbo è caratterizzato da una specie di odio atavico nei confronti di altre etnie e specialmente verso i croati, musulmani ed albanesi. Quest’ odio fu creato prima dell’ inizio delle guerre jugoslave ed era ben camuffato nella tesi: “Sono le altre nazioni che odiano i serbi”. Un alto funzionario del Partito socialista, tuttora al potere nella Serbia, dichiarò esaltante, durante una sessione del Parlamento serbo nell’ aprile del 1991: “Noi serbi siamo odiati dai croati, gli sloveni non ci amano, i musulmani ci odiano, i macedoni non ci amano, gli albanesi ci odiano.”-

    C’era qualcosa già prima delle bombe nato.

  50. @ Luca,

    esattamente così, Luca.
    Anch’io, davanti alla TV, lo guardavo, Ivan, e pensavo: sono io. Sono io non solo perché conosco la curva, il tifo ultra-, le bandiere (certo, WM5)…
    Sono io, a cavalcioni di una vetrata; sono io, dietro una rete; sono io, nascosta tra i bagagli di un pullman. Attonita. E questa consapevolezza mi è necessaria: per essere lucida, per non lasciarmi ingannare (sì, assurdo Maroni che dice “abbiamo evitato l’Heysel2”), per stirare le labbra e costringerle a ridere (come un’inconsapevole iena) di quei 4 commentatori che sono stati capaci di dire: “Ah, sì, Stankovic fa 3 con le dita per dire del 3-0 dell’altra settimana”… Da qualsiasi parte la si prenda, siamo come loro, Luca. Sì.

  51. @ Maizena:
    E’ ovvio che c’è qualcosa prima delle bombe NATO. Quello che stiamo dicendo è che le bombe NATO hanno rafforzato quel qualcosa. Stiamo dicendo che l’ansia nevrotica di definire quel qualcosa come radicalmente altro da noi è un tentativo di negare il fatto che l’Occidente capitalistico è totalmente preda e al contempo fomentatore di certe dinamiche di deterritorializzazione e riterritorializzazione. Non c’è alcuna supposta estraneità che tenga. Tra l’altro l’avanzata della destra più retrogada e xenofoba in tutta Europa dovrebbe parlare chiaro in questo senso…

  52. @ Maizena, ma se i tuoi dubbi riguardavano questo, bastava dirlo e te li avremmo dissipati noi. E’ ovvio e banale che il nazionalismo serbo esistesse prima delle bombe NATO, dato che si era già espresso con virulenza durante la guerra dei primi anni Novanta. Quello tra nazionalismi balcanici e occidente è un rapporto dialettico che dura ormai da quasi trent’anni. I primi sono stati risuscitati e costantemente riattizzati anche dalle scelte delle potenze occidentali (la neo-riunita Germania e gli USA above all) e del Fondo Monetario Internazionale. Cito (toh!) da un vecchio scritto del Luther Blissett Project:

    […]

    Nel frattempo, le prescrizioni del Fondo Monetario Internazionale (il cui intervento era stato sollecitato dal premier Ante Markovic durante una visita negli Usa) stavano smantellando l’economia pubblica di un’indebitata Jugoslavia: nonostante l’inflazione galoppante, nel novembre ’89 l’Fmi impose un congelamento dei salari. Nei primi sei mesi del ’90 il potere d’acquisto dei lavoratori calò di un drastico 41%. L’Fmi prese in ostaggio la Banca Centrale, poi fece in modo che i fondi destinati a sostenere il sistema fiscale-previdenziale delle repubbliche federate fossero dirottati per pagare una parte del debito estero. Ciò accrebbe il malcontento, soprattutto in Croazia e Slovenia, e favorì la propagazione di umori secessionisti. La pressione del capitale: è questa la realtà che sta dietro tutte le “guerre etniche” e le re-invenzioni delle identità.

    Già prima che scoppiasse il bubbone, forse quando ancora si trattava di un brufoletto, non si parlava più di “cittadini” jugoslavi o genericamente di persone: sul proscenio c’erano soltanto gli eserciti ready-made della guerra di sangue: “i Serbi”, “i Croati”, “gli Sloveni” etc. Le pseudo-analisi iniziarono a risalire indietro di millenni, in cerca dei precedenti più pretestuosi, per costruire una identità “serba” da sempre basata sulla guerra, sul saccheggio, sulla prevaricazione, sul fanatismo religioso. Quanti manifestavano contro la follia fratricida, magari portando in corteo i ritratti di Tito (a simboleggiare la liberazione e l’unità interetnica del paese) vennero quasi subito definiti “nostalgici” e poi, ovviamente, “serbi” (anche quando si trattava di croati o di bosniaci).

    Le potenze occidentali (nelle prime fasi, soprattutto l’appena riunificata Germania) gettarono sempre più benzina sulle braci di vecchie rivalità, galvanizzando opposti ceti politici e adottando la politica del “due pesi e due misure”. Tudjiman era ed è chiaramente un macellaio parafascista, le sue “pulizie etniche” erano speculari a quelle di Milosevic, ma il ruolo del “cattivo” era già stato scritto per quest’ultimo (e va detto che gli calzava come un guanto), poiché a dover essere destrutturate non erano le spinte centrifughe-separatiste bensì quelle centripete-jugoslaviste. Nel mezzo del carnaio, furono commessi stupri dai miliziani di tutte le fazioni, ma solo quelli commessi dai serbi furono definiti “stupri etnici”. Tudjiman “ripulì” la Croazia dai serbi che la abitavano, ma la “pulizia etnica” doveva essere solo quella di Milosevic. Croazia e Slovenia vennero riconosciute come stati indipendenti prima ancora che si separassero, e la Jugoslavia fu definitivamente inchiodata al ruolo di “nemico dell’occidente”. C’è da stupirsi se in questo modo si è rafforzato il revanscismo grande-serbo?

    Il risultato di queste politiche da apprendisti stregoni lo si vide soprattutto nella tragedia di Sarajevo, città dalla tradizione multietnica assurdamente attribuita, anziché alla tenuta pluridecennale del progetto di Tito, a un non meglio definito “carattere bosniaco”. L’occidente restò sorpreso dalle dimensioni dell’incendio che aveva attizzato, così scelse la via dell’intervento diplomatico e militare, coi bombardamenti Nato della prima metà del ’94 e con gli accordi di Dayton dell’autunno ’95. La linea rimase quella della pulizia etnica, della creazione di repubblichette, minimondi monoculturali, protettorati internazionali con cui circondare la Jugoslavia e stabilire teste di ponte Nato sempre più a est, in un’area importantissima dal punto di vista strategico ed economico.

    […]

  53. @maizena

    l’articolo è interessante. Io però avrei estrapolato questo passaggio:

    “Anche la base sociale del nazionalismo è più o meno la stessa: i loro seguaci sono reclutati tra lumpenproletariato, tifosi ultras, gang di strada, da criminali e assassini che spesso diventano vere “truppe d’ assalto”

  54. P.S. Per “avanzata” ovviamente non intendo solo quella parlamentare di certi partiti nazional-fascisti, ma soprattutto quella della xenofobia e del fascismo nel discorso corrente.

  55. Grazie Wu ming1 , articolo molto interessante.
    Sono convinto che le fonti in questo caso sono più valide di un “il Mondo secondo Monsanto” qualsiasi ;)

  56. Un libro non si liquida con una battuta, suvvìa. Non riproponiamo l’OT.

  57. Ho postato il commento prima di leggere quello di WM1.
    Nessuna nostalgia per i regimi pre-89 dell’europa dell’est (anche se la Yugoslavia presentava tratti peculiari sicuramente interessanti), ma il lumpenproletariato è un prodotto degli interventi del FMI

  58. questo per dire che, certo, il nazionalismo serbo esiste da molto tempo, ma che oggi recluta le sue truppe all’interno di una base sociale che è in buona parte stata creata dalle azioni del capitale (soprattutto finanziario) europeo e mondiale.

  59. Il Capitale non ha bisogno della democrazia, la Cina ne è l’esempio più lampante, quindi anche l’equazione che ne fa discendere il benessere è stata confutata.
    Rimane che inevitabilmente il capitalismo è destinato ad esaurirsi, in quanto nasce dal principio di “mercato di beni che soddisfano bisogni”ed entrambi si stanno esaurendo.
    Come scrivevano Toni Negri e Michael Heardt, non esistono più spazi di espansione per il mercato. Possiamo aggiungere che alcuni beni sono in via di esaurimento.
    Il fatto è che si sta guardando al futuro con gli occhi del passato (specie a sinistra) ma quello che succederà non potrà essere gestito con gli strumenti sociali dei secoli passati.
    Dovrà per forza esserci una nuova modernità.

  60. Mio nonno fu costretto, suo malgrado, nonostante un paio di diserzioni, ad andare in Croazia con il genio ferrovieri, durante la seconda guerra mondiale.
    Raccontava degli Ustascia che recavano, come trofeo di guerra, un cesto di occhi cavati ai partigiani titini.
    Nazionalismi che esistevano anche prima dei bombardamenti NATO.

  61. Sto finendo di scrivere la mia tesi (su identità e riconoscimento, guarda che caso!), e nonostante tutto non sento di poter esprimere un’idea precisa al riguardo, quindi mi limito a segnalare una presa di posizione sull’identità molto netta. Remotti, un professore di antropologia, ha scritto due libri per me molto importanti sul tema: “contro l’identità” e “ossessione identitaria”.
    Le considerazioni sull’identità tecnicizzata mi sembrano ottime. Grazie agli spunti qui raccolti ho potuto impostare un capitolo in cui le teorie di Jesi mi servono per *smontare* la costruzione dell’archetipo identitario come dispositivo di esclusione e non di inclusione.
    Dopo i vostri link su Valerio Marchi ho tentato un paio di riflessioni. Odio il calcio e tutto ciò che vi gira intorno, da quel punto di vista sono un pessimo italiano. Se la religione era l’oppio, il calcio sembra la cocaina. Hai la faccia scomposta e vuoi spaccare tutto. Mi stupiscono le chiacchere da bar perché il confine fra calcio, politica e mafia è labile. E’ un segnale, pessimo. Ma perché è un terreno così prensile per l’ideologia fascista? Due dei quattro campionati del mondo vinti dall’Italia siano stati vinti in piena epoca fascista, e mi richiedo: sarà mica che l’intolleranza per l’altro una volta fuori dal gioco, si infrange su tutto?

  62. @ Paco
    “Come scrivevano Toni Negri e Michael Heardt, non esistono più spazi di espansione per il mercato”

    Premetto che non ho (ancora) letto Impero, ma non condivido questa tesi.
    Prima di tutto, come è già stato fatto notare, distinguerei fra mercato e capitale, e rifocalizzerei la domanda di conseguenza: esistono ancora spazi di espansione per il capitale?
    Purtroppo si. E mi sentirei di individuarli nei seguenti macro ambiti:

    1. Servizi ecosistemici. Forniti soprattutto dai paesi africani e dell’America del Sud a vantaggio dei paesi maggiormente industrializzati.

    2. Servizi alla persona prodotti nell’ambito della sfera della socialità e della convivialità.

    3. Produzione di conoscenza prodotta dall’intelligenza e dalla creatività nell’ambito di tempo di “svago”.

    Intendiamoci, da tempo il capitale ha già invaso queste sfere, ma il processo di appropriazione non è ancora del tutto completo, nè stabile. La conseguenza è che, ovviamente, il capitale ha ancora margini di espansione, ma anche che i movimenti di resistenza a tali espansioni hanno a loro volta ancora margini di manovra.

  63. @ Paco,

    per carità, conoscendo gli Ustascia non è una cosa implausibile, ma solo per aggiungere una curiosità: un cesto di occhi umani appare e scompare nelle mani di questo o di quello, a seconda dell’ideologia di chi racconta. Ad esempio, nei racconti della destra triestina e non solo (io l’ho sentito citare da Piergianni Prosperini!) compare tra le mani degli “infoibatori” slavi. Io sapevo che era una specie di leggenda urbana, costruita a partire da un’invenzione di Curzio Malaparte. Lo afferma anche questa fonte (che però è croata e uno potrebbe dire: “Bella forza!”):
    http://mirror.veus.hr/myth/eyes.html
    Comunque cambia poco. I tedeschi deturparono cadaveri cavando loro gli occhi anche sull’Appennino bolognese. I nazisti e i loro movimenti-satellite hanno – notoriamente – fatto cose anche più efferate.

  64. @WM1 e 5
    rispondo fuori tempo massimo.
    il mio commento era difatti una “provocazione”, peraltro con un maledetto copia-incolla errato, che ha tolto un pezzo di post…
    perchè non ditemi che non vi è mai passato per la testa un pensiero simile, magari facendo le letture dei contatori (che non ho mai fatto, in compenso ho lavorato porta-porta con il censimento ISTAT.. siamo un esercito di rilevatori….)
    Le provocazioni possono talvolta produrre crisi e di conseguenza cambi di rotta. Ad esempio per comprendere dove esistono spazi di manovra e, nel caso, le modalità di azione.
    Pertanto era il mio commento era solo uno spunto con il quale si andrebbe fuori tema.

  65. ” Se non se ne esce, se non si esce dall’eterno presente dell’oppressione e della merce, quella che viviamo potrebbe essere la fine del pianeta, ed è giusto chiamare l’oppressione con il suo nome.”

    Questo si che è catastrofismo allo stato puro!

  66. No, questa è catastrofe, e ce l’abbiamo sotto gli occhi. O almeno, ce l’ha sotto gli occhi chi non distoglie lo sguardo. Ma “fine del pianeta” va intesa come una metonimia, perché il pianeta andrà avanti per conto suo. Il rischio è la fine della civiltà umana sul pianeta.

  67. Posso chiedere a WM 5 di esplicitare il suo concetto di “fine del pianeta”. Fine della specie umana? O di tutte le specie viventi? Implosione della Terra?
    Oppure sono domande troppo OT?

  68. Maizena, scusa, ma se non vedi l’ecocatastrofe incombente e per molti aspetti già in corso, non so davvero in quale camera anecoica tu abbia scelto di confinarti (forse in compagnia delle tre scimmiette; una specie di “microarca” della routine quotidiana). Invece c’è bisogno di guardare e prefigurare. Sul rapporto tra “fine del pianeta” e “fine della specie”, ovvero sulle ragioni di uno sguardo “ecocentrico” (visualizzare la fine della specie come cautionary tale per riappropriarci di un’idea di futuro), consiglio il nostro libro New Italian Epic e il mio racconto “Arzèstula” (scaricabile da questo sito).

  69. Cavolo, forse ero troppo distratto e mi son perso quello che VOI avevate da sempre sotto gli occhi. Embè?
    Dal mio limitato punto di vista per evitare questa metonimia (il contenitore per una piccola parte del suo contenuto) l’unico modo è la modernità. Io per modernità intendo un’ agricoltura più razionale non una per anime belle, un’ intensificazione della produttività (che vuol dire riduzione “relativa” ma anche assoluta delle superfici coltivate). E un calo del tasso di crescita della popolazione mondiale che sappiamo benissimo essere correlato positivamente con l’aumento del benessere. Tutto questo, ovviamente sarebbe irrealizzabile se i conflitti bellici e gli enteressi delle classi dirigenti prevarranno.

  70. Comincio a sospettare che tu sia venuto qui con l’intenzione di spostare di continuo la discussione verso il discorsetto sull’agricoltura bio-tech che avevi già pronto (cioè la tua tesi precostituita), a prescindere da qualunque focus e qualunque cosa stiano dicendo gli altri. Sappi che qui siamo “democratici” finché non ci stufiamo.

  71. WM1, ti spiego. Purtroppo ho una laurea (in ecologia) che non mi permette di parlare dello scibile umano ma di fare delle considerazioni basandomi su dati, non su impressioni. Vedi, l’agricoltura è una delle attività più impattanti del mondo, certo ne esistono altre ma il problema ecologico può essere riconducibile in gran parte alla domanda “come faremo a sfamarci TUTTI nel 2050?”. Per te e per me che per adesso abbiamo disponibilità di cibo può essere un discorsetto ma dillo a chi ha veramente fame. Parliamo di ecocatastrofe o biocidio o ecobioarmageddon? Ti ho chiesto se hai qualche idea per ridurre il consumo mondiale di carne mica mi hai risposto. Vogliamo parlare di politiche ambientali? Di conservazione delle risorse naturali? Di biodiversità? Di gas serra? A me va bene. Ma per la mia limitatezza preferirei affrontare un argomento alla volta.

  72. un saluto e due parole da trst.

    puo’ essere utile ricordare cosa accadde nel ’90 in occasione della partita dinamo-stella rossa:

    http://it.peacereporter.net/articolo/22166/La+bandiera+strappata

    ricordo che una quindicina di anni fa paolo rumiz mi disse che la guerra in jugoslavia era cominciata sui campi di calcio.

    sul sottoproletariato urbano in jugoslavia: mi piacerebbe molto poter pensare che sia stato creato solo dal capitale. purtroppo pero’ bisogna riconoscere anche le responsabilita’ dell’ ingegneria demografica attuata durante il periodo socialista: creazione di immensi quartieri dormitorio, a belgrado come a zagabria, in cui far affluire contadini, pastori, artigiani delle regioni piu’ povere e meno toccate dalla modernita’ (vi ricordate di dolly bell?). il resto e’ facilmente immaginabile: spaesamento, perdita di identita’, ri-costruzione di identita’ attraverso quelli che voi chiamate miti tecnicizzati (il famoso discorso di milosevic a kosovo polje…). quando il FMI impose le sue misure alla jugoslavia, il materiale infiammabile era gia’ li’ bello pronto.

  73. Di tale cautionary o meno ne abbiamo fin troppi, ormai. Secondo me invece dobbiamo riappropiarci di un’ idea meno romantica di natura che va tanto di moda oggi. Chiudo l’ OT con questa citazione di Dawkins
    -Può sembrare paradossale, ma se vogliamo sostenere il pianeta nel futuro, la prima cosa che dobbiamo fare è smetterla di accettare consigli dalla natura. La natura è un profittatore darwinista con una prospettiva di breve periodo. Lo ha detto lo stesso Darwin: “Quale libro potrebbe scrivere un cappellano del diavolo sulle goffe, dispendiose, incapaci, basse e orribilmente crudeli opere della natura!”-

  74. @ paperinoramone

    quoto

  75. @bocio

    Il libro è di 10 anni fa, nel frattempo sono successe un po’ di cose…
    Quello che viene sostenuto in “Impero” è che esistono due tipi di espansione possibile per l’economia. La prima è quella dei nuovi territori e delle loro risorse da sfruttare e questa si ritiene esaurita. La seconda è quella di una espansione dei saperi e dei prodotti non primari nelle società in via di sviluppo. Questa però, secondo TN e MH non sarebbe stata in grado di assorbire il debito creato nella produzione dei beni stessi e avrebbe portato al collasso dell’economia.
    A questo punto, loro prevedevano che la biopolitica avrebbe preso il sopravvento sul capitalismo classico, attraverso l’utilizzo dello strumento internet.

  76. @ Maizena

    Fine del pianeta: cioè proprio consunzione. Come quando finisce un “bene”, o una “risorsa”. Intendo proprio quello. E’ ovvio che è una fine “per noi”, cioè per la specie. Poi sai, gli scorpioni sopravvivono anche dopo lo scoppio di una bomba nucleare. In questo senso, anche nella prospettiva più catastrofista, il pianeta certo continua. Noi non siamo scorpioni, o batteri. Abbiamo bisogno di un Mondo, attorno. Ecco, sì: è il Mondo, che è concepibile solo da una specie intelligente, che finisce. Il pianeta continuerà.
    In altri termini, più tcnici: la crisi ecologica non può essere affrontata con “moderazione”. O si decide che non c’è, e allora vaffanculo tutto, destroy, via libera agli stupendi sollazzi dell’Ultimo Uomo. Se si decide che c’è – allora tutte le energie della specie vanno spese per contrastare questo momento d’inerzia. Senza alcuna forma di speranza, si badi bene: questa cosa, questa inversione di tendenza che è possibile solo con una direzione economica pianificata mondiale, va fatta nella consapevolezza paradossale che è troppo tardi. Forse così tra cinque, dieci generazioni un Mondo ci sarà ancora.

  77. Negri e il suo “impero” non mi convincono per niente. Tanta presunta originalità, e poi si torna a Kautsky.

    La recensione di “Impero” che condivido è questa: http://www.leftcom.org/it/articles/2002-06-01/l-impero-che-non-c-%C3%A9-la-moderna-presentazione-del-vecchio-superimperialismo

  78. D’accordo con WM5: non c’è ecologia senza anticapitalismo.
    Decrescita? E’ come chiedere al capitale di non essere se stesso.

  79. Ho letto la recensione di Impero e trovo che i passaggi del libro indicati come “debolezze” del pensiero degli autori siano proprio la forza del libro.
    Nella recensione vengono confuse le analisi delle situazioni specifiche con il loro utilizzo per dimostrare che esiste un progetto globale di creazione di un “governo del mondo” del tutto analogo con la definizione che si dava negli anni settanta di SIM (Sistema Imperialista delle Multinazionali).
    Ma mi fermo qui perchè è un OT.

  80. @ Maizena

    tu scrivi:
    “Ma per la mia limitatezza preferirei affrontare un argomento alla volta.”
    Appunto, e qui si stava parlando della destra populista in Europa, dei nuovi nazionalismi e del loro rapporto “reattivo” con la deterritorializzazione operata dal capitale. Tu sei venuto qui con l’intenzione di parlare di agricoltura, tu stesso hai ammesso di essere OT. E’ chiaro che tutto è collegato a tutto, ma è altrettanto chiaro che una discussione senza argini diventa solo cazzeggio, e noi non siamo interessati.

    Inoltre, noi:
    1) non siamo dei tuttologi col dovere di esprimersi su tutto, ma dei narratori che scelgono volta per volta i settori di immaginario su cui intervenire;
    2) al contrario di te, non pensiamo di avere ricette su come risolvere i mali del mondo.

    Quindi il tuo rivolgermi domande con fare ricattatorio (“ti ho fatto una domanda e tu non mi hai risposto”) è tre volte fuori luogo in questa sede, come è fuori luogo sventolare i titoli di studio (quando tu hai scritto commenti sbrigativi sul nazionalismo o hai sfondato porte aperte sui Balcani, io non ti ho sventolato in faccia la mia laurea in storia contemporanea) o continuare a rivolgerti a me/noi come se fossimo in qualche modo “nemici della modernità” – quando è evidente l’esatto opposto – o apologeti di una natura benigna e materna, visione che invece abbiamo sempre criticato e cercato di mettere in crisi (rimando qui alle opere soliste di WM2).

    Quindi direi che il tuo approccio è stato cinque volte fuori luogo e fondato su una mancanza di informazione sugli interlocutori che hai deciso di incalzare.

    Devi accettare il fatto che non tutti condividano la tua impostazione, che a me sembra troppo fiduciosa e scevra di spirito critico.

    Concludo facendo notare che:

    1) di cautionary tales ne circolano, ma sono tutti inscritti in un frame di impotenza, schiacciati sulle angustie del presente o di un futuro prossimo, mentre noi proponiamo una immaginazione anti-antropocentrica che si proietti avanti nei millenni e addirittura nei milioni di anni.

    2) sul consumo di carne nel mondo abbiamo già scritto in diverse occasioni, articoli/post (qui e qui) e anche un romanzo distopico (Free Karma Food), rimarcando in diversi modi che la strada per ridurre il consumo di carne nel mondo (che è poi in gran parte il nord del mondo) è – sarà pleonastico – l’aumento del numero di vegetariani, in stretta correlazione con un massiccio lavoro informativo/educativo sui guasti della cultura della “bistecca quotidiana”. E chi non ce la fa a diventare vegetariano, riduca almeno la quantità di carne rossa che ingurgita. Poi ci sono anche altre strategie complementari, ma non posso parlarne perché sarebbe apologia di reato.

  81. Ho già avuto modo di dire che, a mio avviso, seguendo le teorie di “Impero” di Negri & Hardt (e più in generale seguendo Negri) non si arriva da nessuna parte. In passato ho cercato, ingenuamente, di usare le categorie di quel filone teorico come antidoto allo sconfittismo e al culto dell’impotenza tipico di certa critica radicale totalizzante (a diciannove-vent’anni avevo avuto una ridicola infatuazione per Debord e i situazionisti), ma col passare degli anni mi sono reso conto che certo “trionfalismo” teorico post-operaista è solo l’altra faccia dello sconfittismo, l’assenza di sbarre è soltanto la gabbia d’acciaio teorica della società del controllo. E mi sono detto, canticchiando una celebre canzone dei Fleetwood Mac, “you can go your own way”.

    Bisogna rimuovere troppe parti del reale, del conflitto e dei traumi del mondo per condividere la visione negriana (e più in generale post-operaista, anche se ci sono eccezioni) di un capitale che si costruisce da solo il comunismo sotto il sedile e aziona pure la leva per essere sbalzato fuori dall’abitacolo.
    In questo mondo non esiste dolore né angoscia, non esiste sconfitta, tutto quel che accade è psichedelicamente interpretato come una vittoria, come una conferma della tendenza che, socializzando ogni processo, ha già marginalizzato i capitalisti e va costruendo il comunismo senza bisogno di rivoluzione. La sussunzione reale è diventata comunismo, il capitale non è altro che puro (e residuale) comando su un lavoro mentale che ha già virtualmente in mano tutti i processi. Se qualcosa non trova posto in questo quadro, si tratta per forza di un fenomeno arretrato, regressivo, una sopravvivenza del vecchio etc. Perché il comunismo è già qui, c’è già tutto, l’unico problema è che i capitalisti, meschinelli, non vogliono ammetterlo e la sinistra, retrograda com’è, non se n’è accorta.

    Troppe cose non mi sono chiare in quella teoria, troppe cose mi sfuggono.
    Ad esempio, il post-operaismo non mi sembra fare i conti in modo adeguato con il fatto che nel mondo il lavoro manuale industriale (ripetitivo, parcellizzato, a basso o bassissimo costo) non solo non è scomparso, ma sembra sempre più importante.
    E come possiamo affrontare, armati di una dottrina che afferma (spesso apoditticamente) la fine della teoria del valore, quel limite esterno al capitalismo che O’Connor ha chiamato le “condizioni di produzione”, ovvero il limite ambientale, ovvero il fatto che le risorse (materie prime) sono sempre più scarse e quindi procurarsele richiederà sempre più lavoro fisico, che dovremo per forza vedere incorporato nella merce prodotta?
    Soprattutto, come si passa dal presunto comunismo di cui sopra al… comunismo? Qual è lo scarto, l’échappement, lo “scalino” da salire?

    “Impero” mi sembra sempre più l’ipostatizzazione teorica di un periodo della storia mondiale, cioè gli anni ’90 del “clintonismo”, del miraggio di un comando unipolare, della New Economy pre-esplosione della bolla, di tutto il chiacchiericcio inconcludente sull’immateriale.

  82. Cambiando argomento, mi interessa molto quello che diceva Giorgio1983 a proposito del legame tra calcio e fascismo. A me sembra che la diffusione della destra neo-fascista nel microcosmo delle tifoseria calcistiche organizzate possa avere dinamiche simili a quelle qui proposte a proposito del riacutizzarsi del nazionalismo serbo, in seguito agli interventi occidentali nel conflitti balcanici.
    Lo stadio avrebbe fornito ad una congerie di forze politiche fortemente, e giustamente, marginalizzate una sorta di zona franca in cui riaffermare la propria identità. Se non sbaglio, la politicizzazione verso destra delle curve inizia negli anni’ 80, una volta chiusa la stagione della violenza politica.
    Insomma, per dirla schietta, una volta cacciati a mazzate dalle strade e dai quartieri, i neo-fascisti si sono accasati nelle curve per circa vent’anni. E solo di recente ne sarebbero usciti in versione non-conforme (Casa Pound et simila)

  83. E soprattutto, è vero che l’Italia ha vinto due mondiali sotto il fascismo: quello casalingo del 1934 (e vabbè) e quello francese del 1938. Ma è anche vero che i due mondiali successivi sono stati vinti sotto il segno della resistenza uno e del “centro-centro-sinistra” l’altro: 1982 Pertini Presidente della Repubblica. 2006 Prodi presidente del consiglio.
    Per ora si può gongolare che Berlusconi avrà pur vinto tutto a livello di club, ma a livello di Nazionali ha ancora tutta da dimostrare.

  84. per collegare il tutto al tutto forse è meglio chiedersi..
    che si mangerà Ivan solitamente
    Sarebbe interessante conoscere l’approccio verso i temi agro-alimentare della destra populista e nazionalista balcanica e nel resto dell’Europa.
    Ad esempio la lega in Italia appoggia la distruzione dei campi OGM in Friuli, ma dubito che si muova contro gli allevamenti industriali.
    Con queste tematiche non credo che la discussione diventi la discussione.

    p.s.:non mi si dica per piacere che affiancare la lega agli ultrà serbi è un’operazione azzardata

  85. comincio a pensare che ci sia qualcosa che non va nella mio word. non riporta in modo preciso ciò che scrivo con il “copia e incolla”.
    “Con queste tematiche non credo che la discussione diventi la discussione”
    DOVEVA ESSERE
    “Con queste tematiche non credo che la discussione diventi cazzeggio”
    L

  86. Suppongo che Ivan si nutra molto male.

  87. Devo dire la verità, non ho mai pensato che Impero contenesse una “exit strategy”, anzi, al contrario, come si conclude American Psycho, mi sembra che ci sia un bel cartello con su scritto “questa non è una via d’uscita”.
    Possiamo dire che la conclusione della vicenta ha avuto un finale a sorpresa: ancora una volta il capitalismo è scampato al proprio crollo scaricando le conseguenze dei propri eccessi sul resto della società.
    Comunque quella biopolitica di cui parlano TN e MH non è certo sconfittismo, ma una strada da percorrere per cercare una soluzione.
    Se esiste.

  88. Premessa: quando si parla di “ecologia” sarebbe meglio mettersi prima d’ accordo sui termini, l’ha detto benissimo WM1 : “le parole sono importanti”. Per me ecologia ha un significato diverso da ecologismo. Il motivo per cui ho tirato in ballo la mia laurea non era finalizzato ad acquistare credibilità ma ad esplicitare la mia formazione, poiché WM1 con grande spocchia ha supposto una mia totale ignoranza rispetto agli ecodrammi o ecobiocidi o come vi aggrada chiamarli.
    I miei commenti sui Balcani erano mossi da impressioni e vi ho già ringraziato per avermi dato un punto di vista più ampio e concreto.
    -Risposta In altri termini, più tcnici: la crisi ecologica non può essere affrontata con “moderazione”.-
    D’ accordissimo. Alcune soluzioni già ci sono ma sono ostacolate da attivisti (vedi Ya Basta!) che non capiscono una cippa di biologia ma credono di avere in mano la verità. Io non ho ricette caro WM1 ma ti parlo di esperienze concrete che hanno già portato dei risultati positivi. In Cina e in India con l’adozione del cotone bt (e qui la carne non centra) il consumo di pesticidi si è notevolmente ridotto insieme alle perdite dei raccolti e il reddito degli agricoltori è aumentato.
    Fonte: http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/files/2009/10/tabella3.gif
    “entre noi proponiamo una immaginazione anti-antropocentrica che si proietti avanti nei millenni e addirittura nei milioni di anni.” Scusa ma detta così non mi ispira molto…chi è che non veva delle ricette? :D
    Infine WM1 fai attenzione a citare libri come “Il Mondo secondo Monsanto” perchè spesso dice usando un eufemismo inesattezze. In questa sede la tua autorevole fonte è stata smontata in maniera egregia http://biotecnologiebastabugie.blogspot.com/2010/09/il-mondo-secondo-monsanto-film-verita-o.html.
    Attenzione a vedere la propaganda in senso unico.

    Grazie per lo spazio

  89. @ Paco,
    la mia critica a quell’impostazione non è a un suo presunto sconfittismo, ma al suo contrario, a un eccessivo trionfalismo “teorico”, cioè: ogni cosa conferma la tendenza individuata.

    @ Maizena,
    “WM1 con grande spocchia ha supposto una mia totale ignoranza rispetto agli ecodrammi o ecobiocidi”
    A parte che non mi sembra proprio, in ogni caso, se permetti, quando si discute con un estraneo è normale e inevitabile dire anche cose che l’altro già saprà per conto suo. Tu sei uno che si firma “Maizena” e di cui non so assolutamente nulla, non posso preoccuparmi se quello che scriverò lo conosci già o meno. Mi limiterò a esprimere la mia opinione.
    Invece io, nel bene o nel male, meritandolo o non meritandolo, sono, ehm, un “personaggio pubblico”, che ha scritto e detto cose pubblicamente. Non è obbligatorio conoscerle, ma siccome vieni qui, sul nostro sito, a discutere con noi, forse un minimo sforzo di informazione sarebbe d’uopo, prima di attribuirci opinioni, “mantra” e impostazioni che non abbiamo.

    Sul “Mondo secondo Monsanto”, ok, secondo te il blog “Biotecnologie basta bugie” è una fonte autorevole e quel post “smonta in maniera egregia” il libro. Io allora potrò linkarti, chessò, il blog “Biotecnologie basta propaganda”, dove qualcuno smonta in maniera egregia lo smontaggio. Su certi argomenti mi è capitato di vedere anche sette passaggi di “smontaggi” reciproci: lo smontaggio dello smontaggio dello smontaggio dello smontaggio dello smontaggio dello smontaggio dello smontaggio di una tesi. Cospirazionisti contro debunker, nutrizionisti vegetariani contro nutrizionisti carnivori etc.

    Sul fatto che la nostra letteratura non ti ispiri molto: siamo in un paese libero. Ma per arrivare a dire questo, non c’era bisogno di fare tutti quei giri. Adesso, per favore, basta. Ad maiora.

  90. @Maizena
    Per ciò che riguarda il campo distrutto dagli attivisti di Yabasta! in Friuli.
    Il problema è soprattutto sui brevetti:
    se le sementi OGM contaminano i campi vicini, (cosa che può accadere in natura e per questo concetto basta la mia terza media) il proprietario del suddetto campo dovrebbe pagare i diritti sui brevetti. Questo è sfruttamento, non trovi?
    Inoltre se il fantomatico proprietario ha scelto di investire in agricoltura biologica, ipotizzo non sia contentissimo che nel giro di un anno le sue piantagioni passino da biologiche a OGM.

    @wm1
    secondo me ivan mangia troppa carne e troppi dolci della mamma. un giorno diventerà vegano con i programmi psicoterapeutici per neonazisti tipo Scandinavia.

  91. “Non so davvero in quale camera anecoica tu abbia scelto di confinarti (forse in compagnia delle tre scimmiette; una specie di “microarca” della routine quotidiana)” Questa io la chiamo spocchia.
    Per ora ho solo comprato “Il sentiero degli dei” e devo dire che è notevole. Si Il blog BBB non intervista scienziati che hanno pubblicato articoli scadenti o santoni dell’ ultima ora ed ogni fonte è verificabile. Forse se fai tu uno sforzo a leggerti quel post converrai con me. Oppure continuiamo a credere in non meglio precisati complotti per “avvelenarci tutti”. E’ ovvio che la preoccupazione per i disastri ecologici è alta ma attenzione a banalizzare le questione. Prometto che non intervengo piu…finchè non avrò letto Free Karma Food (ne immagino delle belle!).
    Ciao!

  92. elle: scusa ma ne parliamo in altra sede, me la suggerisci tu. Direi che la pazienza dei WM è stata già tanta. Comunque non ti offendere ma hai detto in tre righe quattro cavolate.

  93. @ Maizena, se io scrivo un periodo ipotetico e tu stralci solo la seconda parte, non è più un periodo ipotetico. Se poi metti l’iniziale maiuscola e “…non so” diventa “Non so”, come se la frase iniziasse in quel punto e prima non ci fosse niente, a me sembra distorsione. Se (se) fai così anche con la pubblicistica pro- o anti-OGM, c’è da mettersi le mani nei capelli. La premessa era: se non vedi l’ecocatastrofe. Tu hai detto che la vedi, no? E allora qual è il problema?

    Comunque, purtroppo sei riuscito nel tuo intento. Sei riuscito a dirottare questo thread nella direzione di una propaganda pro-OGM pre-confezionata (nel senso che ce l’avevi già bella e pronta, da infilare qui alla prima occasione).

    Del resto, ci avevi già provato tempo fa. Avevi postato un lungo commento pro-OGM in calce al post con il calendario delle nostre presentazioni. Poiché era un commento platealmente e arrogantemente OT e disinteressato al contesto in cui cadeva, non te l’avevamo sbloccato dalla moderazione. Stavolta ti è andata meglio, ma stai sicuro che non ricapiterà.

  94. Commento molto tardi e a questo punto, dopo l’estenuante OT da master in biotech, non so se abbia molto senso, ma a me viene in mente invece che bestie e barbarie sono sinonimi, nell’accezione comune del secondo termine. Quindi opporre il socialismo e barbarie della Luxemburg allo sdegnoso “bestie” dei piddini nostrani non mi sembra molto efficace sul piano retorico, per quanto sia più che condivisibile su quello politico, o meglio, mi sembra altrettanto offensivo, se il tentativo era quello di non appiattirsi sul bello-brutto/buono-cattivo (per quanto non è che stiamo parlando esattamente di un fine retore…). Inoltre, da qualche tempo al termine barbaro mi pare si tenda ad associare una valenza positiva – a partire da quel libro di Baricco che ha suscitato parecchie riflessioni. Insomma, magari vado fuori tema anch’io, però mi sembra che la parola “barbarie” stia assumendo sempre più una connotazione ambigua, cosa che mette in discussione – non nella sostanza ma nella forma – l’alternativa che WM5 cita con le migliori intenzioni come riflessione finale del suo peraltro efficacissimo articolo. Forse siete sfiniti dall’ot per rispondere, ma mi interessava rilevarlo comunque. grazie e ciao!

  95. Si può solo dire che da quando è stato scritto “Impero” sono successe molte cose che hanno confutato alcune delle ipotesi postulate.

  96. Per rispondere dei due campionati del mondo vinti “fuori” da un contorno fascista. Giuseppe Genna, in due sedi, fornisce letture più o meno leggibili come iperbole del teatro dell’assurdo. Una è in dies irae (che purtroppo non ho sottomano), e parla di oscure machinazioni per far vincere l’Italia mentre detona la P2, l’altra la fa notare di sfuggita nella storia schizoide che lui definisce una fantasia più realistica che allegorica, che mi permetto qui di postare.

    http://www.carmillaonline.com/archives/2010/10/003646.html#003646
    In ogni caso: sono convinto che non tutte le curve siano fasciste, però è interessante ripeto, la collusione fra calcio e politica in questo paese: anche se di politica non sembra se ne parli mai, alla fine se ne parla sempre, sotto mentite spoglie.
    Dopo la sbornia bio-tech (che non h ancora capito da cosa sia scaturita) mi chiedo: dati gli sviluppi, perché il tizio fermato aveva una valigia con dei soldi? e perché casa pound ha avuto all’improvviso così tanti soldi per fare le proprie azioni? Perché con i fasci si vedono sempre un sacco di quattrini? I limiti della democrazia non risiederanno proprio nella necessità di uno spettro fascista per mantenere gelate le spinte al cambiamento?

  97. Al Mundial del 1982 passammo il primo turno comprando la partita col Camerun. E’ risaputo.

  98. E in quello del 2006 eliminammo l’Australia 1 a 0 segnando su rigore… che palesemente non c’era.

  99. @ Claudia

    Non è per fare il puntiglioso, ma bestialità e barbarie non sono sinonimi. Così come bestialità non è sinonimo, ad esempio, di animalità. Un “barbaro” non è nemmeno un “selvaggio”. Si può dire che un barbaro si comporta come una bestia, ma non che lo sia.
    Le intenzioni che mi attribuisci poi sono tutt’altro che buone :-)
    Una chiusura quasi archeologica, qualcosa di ossificato, uno slogan: questo serviva per chiudere e per provocare una reazione, che a quanto pare c’è stata.
    Non che credo che basti Baricco per ampliare il campo semantico corrente di una parola o per invertirne la valenza.
    Poi certo c’è chi è più bravo ad organizzare retoricamente una pagina di me.

  100. Ma perché la figc si comprò la partita, per esempio?
    Tornando a bomba: sembra che la strategia della tensione abbia fatto un salto negli stadi. A me preoccupa solo che qualcuno cavalchi l’onda. Poi ripeto: io di calcio ne so poco o nulla, è uno sport che mi ha sempre risvegliato pessime impressioni. Da praticante di sport minori ho sempre odiato vedere che le leghe minori erano comunque molto più ricche dei circuiti nazionali di sport meno mediatici. Per esempio il rugby, sport impressionante, quando ero piccolo non se lo cagava nessuno (e quante mazzate ho preso, vacca boia), o il baseball (gioco dove se sei come Totti, sei fottuto). Dopodiché, io non ho seriamente idea del perché sia un territorio così attraente per l’ideologia fascista, l’unica cosa che mi viene in mente è che al mito del calciatore finito corrisponde una finitezza del tifoso.

  101. @Giorgio 1983

    Non è il gioco del calcio ad essere attraente per i fascisti. Sono le curve, che sono un estensione della strada, del territorio-attorno-a-casa, e in più sono un palcoscenico perfetto. Lì c’è gente che ama una retorica violenta, e una percentuale di questi ama passare dai cori offensivi allo scontro. E’ questo materiale umano che interessa. La condizione “originaria” della curva è prepolitica. Ai fascisti interessa politicizzare, rendere gli ultras potenziali “soldati politici”. Culturalizzare, etnicizzare, rendere identitario il conflitto. La mia sensazione è che la strategia non possa dirsi riuscita. Ci sono tifoserie anche importanti in cui l’orientamento politico prevalente è opposto. Ci sono nuclei non-politici in curve considerate tradizionalmente di destra. C’è addirittura un ritorno dell’estrema sinistra in curve che sembravano ormai fascistizzate. Ma qui può servire leggere, appunto le analisi di Valerio Marchi, o sentire una voce più addentro a questi nodi, visto che io sono lontano dalle curve da anni.

  102. Ciao cari, quanto tempo :)

    Anche a me manca Valerio. Voci come la sua ci sarebbero preziose, oggi. Ci restano i fantasmi, il loro esempio, ci suggeriscono un metodo. Provo a seguirlo, incespicando.

    Guardo la foto di Ivan pubblicata sui giornali. A torso nudo, fermato dagli agenti. Forse sorride. “Inebetito”, scrive un giornalista. Colpisce l’enorme tatuaggio sul petto, copre il lato sinistro del torace. All’altezza del cuore. Non mi capacito di come una stella rossa possa finire dentro una croce celtica. Come due poli opposti possano distorcersi così tanto da entrare uno dentro l’altro, un anello di Moebius rossobruno.

    Ci vuole una foto migliore di quelle che si trovano in Rete. Ingrandendo, i contorni si fanno più chiari. Dentro la croce, sul petto di Ivan, c’é questo: http://tinyurl.com/24a8pf9 Lo stemma di una squadra di calcio, il FC Red Star di Belgrado. Stella rossa su scudo biancorosso; sfondo blu e strisce. In alto, piccole, due lettere cirilliche. La Stella Rossa di Belgrado: la stessa squadra degli scontri del ’90 con la Dinamo Zagreb.

    Una ricerca rapida su wikipedia: “Red Star fans are called Delije (Serbian Cyrillic: Делије). A rough English translation might be “courageous and brave young men” or simply “The Heroes” “. Gli Eroi. Alcuni giornali (Repubblica, forse) parleranno di siti serbi in cui Ivan viene acclamato come eroe. Fraintendimenti.

    http://en.wikipedia.org/wiki/Delije
    La storia della Delije, gli Ultras della Stella Rossa. Una squadra fondata nel 1945 da un gruppo di giovani, membri della Serbian United Antifascist Youth League. Wikipedia avverte, “la pagina riporta informazioni senza fonti”. Ci racconta che i primi supporters della squadra erano giovani che venivano dai quartieri periferici, figli di lavoratori.
    “Almost all of these young Serbs did not like the JNA or the communist system in general. Because of this, and because many decedants of “chetniks” (military of Karadjordjevic dynasty in World War II) were in Delije, they are often called “reactioners” by communist regime.”
    Discendenti dei cetnici, i nazionalisti paramilitari serbi che combatterono i nazisti per poi collaborare. Nella loro bandiera compare il teschio e le ossa incorciate. Come la maglietta indossata da Ivan.

    I Red Star hanno i Partizan Belgrado come squadra rivale. I tifosi della Stella Rossa sono chiamati dagli Ultras del Partizan “Zingari”. I Delije chiamano quelli del Partizan “Grobari”, becchini, e Ustasha, come i nazionalisti croati.

    “Members of the Delije provided the base for Arkan’s Tigers, a Serbian paramilitary force later implicated in multiple acts of genocide during the war in Yugoslavia. […] Arkan was then director of the Red Star supporters’ association.”

    Nel 1990 il Red Star Belgrado vinse la Coppa Europea e L’Intercontinentale a Tokyo. Gli ultras coniarono lo slogan “Srbija do Tokija”, “Serbia fino a Tokyo”. Quello slogan fu ripreso dalle milizie serbe, scritto sui muri durante il conflitto jugoslavo.

    I Delije si dichiarano nazionalisti di fede ortodossa. Ecco come una stella rossa, socialista, può finire nello stemma di un club, e lo stemma in una croce celtica, e la croce in un tatuaggio di un ultras, e l’ultras all’interno di un vortice nazionalista e violento che ha radici profonde, e che l’illusione totalitaria della tv e l’ignoranza italiana sui Balcani sembra rendere assoluta.

  103. D’altra parte la stella rossa campeggia pure nello stemma del Partizan (abbreviazione di “Società sportiva dell’Armata partigiana yugoslava”)…

  104. Ora intendiamoci, io di calcio so poco, e di tifosi (se possibile) anche meno. Per anni ho provato antipatia istintiva per il gioco, poco da fare. In sé non era mica male, però il contorno era di una grettezza assurda e quell’immaginario mi feriva a morte. A voler prendere sul serio Adorno, sembra che si stia descrivendo una personalità autoritaria, non-politica, ma politicamente schierata nel suo essere impolitica. A me il grave sembra più che altro quello. Una cosa che Valerio Marchi sembra aver capito del movimento skin meglio di chiunque altro è l’importanza del dress-code, che sembra *in sé* politico. A mio parere è impolitico. Non si può fare politica con le magliette, così si può solo coltivare proto-fascismo, la cui ideologia spicciola ha presa perché più superficiale, come le magliette.. :)
    Se fosse così sarebbe troppo semplice.
    Però è solo una delle mille storie possibili, il calcio totale è una delle altre. E poi il Partizan. Mi viene sempre in mente la Luger, che da pistola dei nazisti divenne uno dei simboli con il quale richiamarsi alla resistenza (!).
    Però di nuovo: perché le curve calcistiche sono sempre così irrequiete. E perché a lungo si è scesi più volentieri in piazza per protestare contro la dirigenza del Torino che contro la Fiat?

  105. @ Giorgio1983,
    quando parli di Valerio Marchi non capisco bene a cosa tu ti riferisca: Valerio era naturalmente e perfettamente nell’estetica skinhead, con tanto di “dress code”
    http://www.carmillaonline.com/valerio_marchi_sl.jpg
    Sulla scia di autori come Hebdige, Valerio ha scritto molte riflessioni sull’importanza della “resistenza simbolica” delle sottoculture (giovanili o non più tanto giovanili). Con le magliette magari non si fa “politica” in senso stretto, ma si fa comunicazione e quindi politica in senso lato. I segni di una particolare “retorica vestiaria” sono sempre stati importanti nella storia della classe operaia e, più nello specifico, del proletariato giovanile. Si pensi a come un indumento (la maglietta a strisce) sia diventata subito il simbolo degli scontri di Genova ’60 contro il governo Tambroni. Non ce l’hanno soltanto gli skin il “dress code”, ma tutte le sottoculture di resistenza simbolica (definizione che si deve alla “scuola di Birmingham” di sociologi influenzati da Gramsci). Dire che lungo quella strada si coltiva solo “proto-fascismo” è, permettimi, una fesseria, ed è anche un’asserzione smentita dai fatti: anche se i media si occupano quasi esclusivamente dei naziskin (o “boneheads”), la grande maggioranza degli skin è orgogliosamente antifascista.
    Su questo tema abbiamo scritto diverse cose. L’alter ego di WM5 ci ha scritto pure un libro, Skinhead. Lo stile della strada (NdA Press). Libro che nasce da una proposta di Valerio Marchi, guardacaso.
    Consiglio anche le mie vecchie “note sulla dressing up option” (2001):
    http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/stile.html

  106. Da una rapida scorsa dei post, mi pare che siamo andati, anche giustamente, parecchio nell’astratto dell’analisi su modernità e capitalismo allontanandoci dalla storia concreta. La storia ci dice che gli ultras della stella rossa di belgrado erano capeggiati da Zeliko Raznatovic (scusate la grafia abbozzata), la tigre Arkan. Quella curva ha una tradizione di violenza politica alle spalle di tutto rispetto. Ed in effetti è uno dei miti di tante altre curve, vedi ad es. la Lazio. Forse prima di scomodare Bauman o le bombe della N.A.T.O. bisognerebbe anche pensare che sì, ci sono delle cause precise al fervore del nazionalismo serbo (non ultimo l’essere i principali eredi delle strutture politico-militari della ex-Jugoslavia), ma tra le cause e gli effetti ci dovrebbero essere delle persone capaci di riflettere e rendersi conto che i loro problemi politici, in teoria, c’entrano poco con le qualificazioni agli europei. E il popolo, quello che lavora e che ogni tanto dopo una giornata di merda avrebbe voglia di vedere una partita di calcio, scaldandosi un pò con il tifo, che implica il fingere che da quel pallone passi per te qualcosa di molto importante (è una finzione, ma funziona e uò essere salutare), ecco questo popolo è costretto a restare basito di fronte a quelle teste di cazzo che fanno, loro sì i metalmeccanici no, il cazzo che vogliono, una volta ancora. Succede il casino e tu, stanco, dopo aver passato una giornata a far quadrare conti che non tornano, invece di goderti la partita e la mezza bottiglia di rosso che aspettavi da tutta la giornata (non potevo andare allo stadio, non ci vado, abito in culo a tutto e devo lavorare), ti tocca correre a cercare qualche libro, qualche articolo di giornale, una scorsa a wikipedia, per capire perchè questi sono così incazzati, ma con chi ce l’avranno? E allora sforzo di comprensione. Diagnosi: masse proletarie in crisi economica, vessate politicamente e militarmente da organismi internazionali, tradite dalle loro stesse istituzioni, strumentalizzate dalle loro elite politico-militari nazionaliste. Ok. Niente partita. Il vino mi va di traverso. Vado a letto.

    Italia.Gli sbirri ammazzano Gabriele Sandri. Devastazioni. Studio, analisi, comprensione. Plebi ‘dde Roma tradizionalmente ingovernabili, curve tradizionalmente organizzate, vissute e di popolo, assurdi atti aggressivi della polizia e goffi tentativi di insabbiamento. Intanto, il popolo ripaga il costo della verità per Gabbo.
    Io ho sempre di fronte questo problema quando si parla degli ultras. E’ che godono di troppo rispetto in quanto oggetti sociologici di prima scelta: collettività autoorganizzate, antagoniste, identitarie, tutti caratteri che attizzano un occhio analitico. Dall’altra godono di un rispetto da parte delle istituzioni che non ho mai visto applicato ad altri gruppi. Faccio un esempio: all’inizio di questa stagione calcistica alcuni ultras dell’Atalanta sono andati a lanciare molotov a Maroni per protestare contro la tessera del tifoso. Il giorno dopo, intervista di un minuto e rotti sul Tg1 ad uno dei capi ultras di Bergamo che, in sostanza, diceva che si, abbiamo sbagliato, condanno cazzi mazzi e molotov, ma insomma, noi volevamo anche comportarci bene, però la polizia ha cominciato a menarla e a reprimere con questa tessera del tifoso, e noi ce la mettiamo tutta ma quello che è troppo è troppo…Ma come? Al tg1, dove Vendola (Vendola!) viene fatto passare come un essere socialmente destabilizzante e pericoloso, il tg1 più schifosamente moralista, perbenista benpensante e borghesotto della storia, lascia libero spazio a questi soggetti qua? Ma chi sono? Chi li appoggia? Perchè questo rispetto, in un’epoca in cui Fiom è sinonimo di Bierre?
    Io litigo (“letico”) sempre con alcuni amici ultras e su tanti punti ognuno può dire la sua, per fortuna, ma c’è un punto su cui nessuno mi ha mai convinto. Ed è quando dico che in questi gruppi di ragazzi che amano stare insieme e andare in giro a condividere, tempo, energie, alcool etc… non ci vedo niente di strano nè di male, solo che mi incazzo quando vogliono far passare il loro benessere ed il loro svago come qualcosa di grande valore sociale. Grande valore, si, ma per loro!Questa convinzione di fare qualcosa di importante, di essere qualcosa di importante, è ciò che li fa sentire legittimati a fare cazzate come incendiare roba, saccheggiare negozi, etc… perchè in fondo siamo popolo e nun ce devi rompe il cazzo, e se qualcuno esagera troppo, dai, vabbè, ma quello è giggetto, se conoscemo da ‘na vita, daje…l’autoindulgenza collettiva, poi, è sport nazionale in Italia, e qualcuno tocca l’eccellenza.

    Lo stadio è una vetrina e gli ultras ci godono a recitare la parte dei cattivi e pericolosi, i più ottusi, mentre quelli più acuti e lungimiranti sono consapevoli del rispetto loro accordato come esseri sociologicamente interessanti. E’ questo che mi disturba. Analizzare è importante, certo, e anche comprendere, chiaro. Però tutta questa attenzione pecca di astrazione e presunzione, perchè mette l’oggetto su un piano obbiettivo, separarato da quello dell’osservatore, dove l’oggetto può scorrazzare liberamente. L’osservatore non dialoga con l’oggetto, lo lascia stare, lo osserva perchè vuole capirlo senza interferenze nè pregiudizi. Ma l’oggetto chiamato uomo lo sa, lo sente, e mette in scena una recitina adatta ai suoi scopi e perfettamente calzante con ciò che l’osservatore vuole (o non vuole, o non sa di volere) vedere. L’ossevatore viene strumentalizzato dall’oggetto sociologico che si finge incoscientemente mosso da dinamiche che vanno oltre lui stesso. Quindi, secondo me, comprendere e analizzare, si, ma anche rispondere con due ceffoni, se necessario. Io sono un animale sociale che con quegli animali sociali condivide spazio e risorse, e occorre dialogare per giungere a regole condivise. Il dialogo orizzontale è dialettico, e prevede anche l’eventualità di darsi due scapaccioni. Il dialogo verticale invece è paternalista e astratto. Borghese, direi.

  107. @ wm1,
    Vado in giro con una testa rasata, lo so che gli skin non sono solo nazisti. :)

    Se non si inseriscono dei contenuti dietro a un dress-code (cosa ovvia per te, meno per un ragazzino di 15 anni catapultato in curva) non si può tirare fuori molto da un simbolo. E il problema è quasi ovvio: quello dello stile senza contenuto.
    Ti racconto una cosa antipatica, successa a me.
    5 anni fa, all’Hiroshima (locale torinese da sempre legato a un’immaginario per me “amico”) conosco una ragazza al club to club (festival di musica elettronica). Il dress-code era quello giusto, era davvero carina, bionda, una maglietta dei RATM (!), kefiah, un paio di jeans a vita bassa, e delle all star rosse. Grandi momenti di ballo intenso, e si finisce a casa sua. Io sbronzo la mattina dopo vado in bagno, mi lavo, torno da lei, tiro su le tapparelle e sopra al letto c’è un poster enorme di AN (sì, proprio quella). Sbigottito, chiedo lumi, e nel frattempo mi infilo i pantaloni. Lei è fiera di essere fascista, ma dei RATM “le piace il suono, potente” e per quel che riguarda il dress-code neanche si preoccupa di giustificarlo. A me crolla il mondo addosso, sul serio. Mi sembra di essermi preso il colera.
    Cazzo ci faceva una di AN (magari non militante, ok, ma simpatizzante sicuro) all’Hiroshima con la maglia dei RATM?!?!?!?!? Cazzo era vestita praticamente come me (che ho una maglia similissima). Ok, il dress-code, ma se scolli i contenuti dal simbolo è un casino assurdo. Tornando al discorso di prima: è il problema della curva in primis: se poi capita in una curva di sinistra magari diventa anche *compagno*, ma la testa sei sicuro che sarà così diversa? Io resto dell’idea che le intuizioni sulla personalità autoritaria di Adorno & Co. siano decisamente adottabili al discorso curve. Il proto-fascismo lo intendo da questo punto di vista.
    “Dire che lungo quella strada si coltiva solo “proto-fascismo” è, permettimi, una fesseria, ed è anche un’asserzione smentita dai fatti: anche se i media si occupano quasi esclusivamente dei naziskin (o “boneheads”), la grande maggioranza degli skin è orgogliosamente antifascista.”
    Ma infatti nessuno dice che gli skin siano tutti fascisti, ripeto. E poi non mi sembra che nelle curve della Juventus sia pieno di boneheads. Il punto è decisamente un altro, per quel che mi riguarda. Da ragazzino i proto-fascisti li chamavamo i nazi-chic. Non erano boneheads, non erano iscritti o militanti, erano solo idioti di 14 anni con le bottiglie di vino di mussolini a casa e i cappellini con scritto “boia chi molla”.
    Erano ragazzini che subivano il fascino della curva (juventina soprattutto). Il dress-code di curva non era dissimile, e a loro il fascismo (che ha ideologia profonda come una pozzanghera) penetrava dal dress-code, appreso in curva. Epoi potrai anche dire che quelli non sono fascisti veri, però menano le mani come gli altri.
    Per chiudere il discorso: Per me la politica del dress-code resta un ENORME buco nell’acqua, o meglio. Un primo punto di contatto a cui dovrebbe seguire altro, ben altro. Se si rimane a quel punto, si arriva dritti al proto-fascismo, o se preferisci a una personalità autoritaria pronta a farsi affascinare dall’ideologia populista del momento, pronta a divenire topo.

  108. Prima di tutto, solidarietà per la tua disavventura politico-sessuale :-)
    Chiariti i termini del tuo discorso, ho poco da eccepire. E’ ovvio che il dress code non possa rimpiazzare la politica, e una politica che *si fermi* al dress code non può che esser fatta di buchi nell’acqua. Ma una politica che sappia anche *partire* dall’abbigliarsi, far leva su di esso, mi sembra irrinunciabile.
    Tanti anni fa un amico anarchico mi disse:

    «Se nel tirare su il circolo della mia piccola città non mi fossi rivolto a chi portava la spilla con la A cerchiata senza nemmeno sapere cosa significasse, magari accanto a una spilla dei Motorhead o con la linguaccia dei Rolling Stones, il circolo non sarebbe mai esistito. A uno così gli chiedo: ‘Vuoi sapere qualcosa di più sull’A cerchiata, su quello che c’è dietro?’, e gli passo del materiale.»

    Un fenomeno simile accade con l’icona di Che Guevara. Non è vero che sia del tutto svuotata dalla mercificazione e dalla sovraesposizione. Si può passare dal portare la T-shirt con la foto del Che a guardare il film con Benicio Del Toro e poi, incuriositi, a cercare qualcosa su Google. Su questo percorso (magari minoritario ma non certo infrequente) hanno scritto in diversi. Molto bello questo passaggio di Nestor Kohan:

    «Il Che si diffonde attraverso la sua immagine. E partendo da qui domandiamo: perché i/le giovani di tutto il mondo non indossano una maglietta con la faccia di Bush o dei suoi miserabili torturatori in Iraq e a Guantanamo? Perché i/le giovani di tutto il mondo non mettono felpe e magliette con l’immagine di Ratzinger o di quelli che dirigono il Fondo Monetario Internazionale e la Banca mondiale? Quale sarà il motivo? […] Crediamo che il Che sia divenuto un modello attraente e seducente per la gioventù che non ne può più del neoliberismo poiché [il Che] esprime proprio quello che né [Vargas Llosa] né Milton Friedman, né Von Hayek, né Karl Popper, né George W. Bush né nessuno di questi personaggi mediocri è riuscito a rappresentare: un altro modo di vivere. Anche se è ovvio che il mercato fa soldi col suo volto, è anche vero che quei milioni di giovani non si mettono felpe e magliette con un simbolo del dollaro o un’immagine dell’euro.» [tratto dallo “Speciale Che Guevara” della rivista Latinoamerica, n.93, 4.2005]

  109. Ho avuto prese per il culo non male, durano tutt’ora. :)
    Sulla maglia del Che sono perfettamente in accordo.

    Appunti di viaggio letterario. Rimbalzo fra voi, Fenoglio, Pavese e il Battaglia, ormai consunto. Pavese è quasi da latte alle ginocchia, dispiace. Rilevo nel partigiano Johnny una attenzione SPASMODICA per il vestiario, per lo stile di battaglia. La costruzione di una divisa perfetta che rilevi l’appartenenza di corpo e nel contempo la gara a chi è più originale con la stessa dotazione, o l’invidia cocente per il coro comunista, per LA canzone.
    Lo stile puro che deve rivestire una truppa di disperati all’addiaccio, di Banditen che rivendicano una esistenza normale e inventano un dress-code fatto di fazzoletti e stracci, di chi non si sente bandito, ma di colui che difende l’idea stessa di libertà.
    Vestire l’idea di libertà di stracci consunti o divise inglesi difettose. Mica spille e felpe sotto cui speri nasca un gremlin, mica pugnette. :)

  110. Beh, potrei dire che i fans di paparatzi o di bush, hanno un altro dress code che non la maglietta con la loro immagine, senza per questo dire che non costituiscono comunque un modello per qualcuno. Sono ambienti che andrebbero frequentati per capirli più a fondo.
    Per il discorso più generale del dress code come componente di una identità politica, forse ci si dimentica che la società postmoderna è molto più complessa di come la si tenda a schematizzare, anche senza tenere conto della massa di lobotomizzati che fa televisione.
    Se volessimo usare una definizione, questa sarebbe sicuramente quella di “sottoproletariato” secondo la più storica definizione che usava Pasolini, ma anche noi come lui, pur avendo individuato il problema, siamo bel lungi dall’avere una soluzione.
    La società attuale viene analizzata in modo “lineare” secondo il principio causa-effettO, mentre andrebbe analizzata con un modello “a matrice” causa-effettI.
    L’unico che ha trovato un percorso fruttuoso è il capitale, perchè ha un effettO sui cui modulare tutti gli interventi (cause): massimizzare il profitto.

  111. Ho seguito la discussione, alcuni interventi sono interessanti, pero’ secondo me sono leggermente fuori fuoco. Abitando a Trieste, certe cose le ho viste e le vedo piu’ da vicino.

    Paolo Rumiz, in un libro del ’96, faceva notare che nella guerra del ’92-’95 i paramilitari croati si vestivano alla rambo, mentre quelli serbi si facevano crescere la barba e si vestivano di pelli di montone. E raccontava che un giorno, nel centro di Milano, per caso si era ritrovato faccia a faccia con un cetniko, uno che qualche tempo prima aveva visto di persona falciare un vecchio con una mitragliata in un villaggio della Bosnia. Solo che a Milano il cetniko non era vestito di pelli di capra, ma indossava abiti firmati all’ ultima moda. Rumiz dice che in quel momento ha capito il grande imbroglio della guerra in Jugoslavia. Ha capito che le pelli di capra, il tribalismo, il primitivismo, erano una sceneggiata ad uso degli “occidentali”. Servivano a far credere che i balcani fossero una terra di pazzi selvaggi, e che tanto valeva lasciare che i balcanici si scannassero tra di loro. In realta’ la guerra era stata preparata scientificamente da una casta politica corrotta, allo scopo di mantenere il potere, a Belgrado come a Zagabria, grazie all’ indifferenza complice ed interessata delle cancellerie europee.

    Queste cose mi sono tornate in mente oggi, quando ho visto che la stampa riporta la notizia che 60 ultras della Crvena Zvezda (i Delje di Arkan) sarebbero stati pagati 200,000 euro da un boss della mafia serba, per fare casino a Genova.

    p.s. Nel suo libro Rumiz racconta anche di quando e’ entrato a Vukovar al seguito dell’ esercito regolare jugoslavo, dopo che le tigri di Arkan avevano fatto il lavoro sporco. Dice che quando i soldati sono entrati in citta’, sono rimasti sconvolti da quel che hanno visto. Li hanno riportati a Belgrado un po’ alla volta, di notte, in silenzio. Molti sono finiti in ospedale psichiatrico.

    http://en.wikipedia.org/wiki/File:%C5%BDeljko_Ra%C5%BEnatovi%C4%87.jpg

  112. il fatto e’ che, al netto delle pelli di capra, certi dispositivi sono assolutamente riproducibili in qualunque paese europeo (magari in modi piu’ puliti e asettici)

  113. @ tuco
    dire che le narrazioni nazionalistiche, etno-centriche, “ancestraloidi”, suolo-e-sangue, mito tecnicizzato e chi più ne ha più ne metta sono solo una “sceneggiata” è corretto a un certo livello, ma è una verità parziale. Il fatto che siano una mascherata, una messa in scena, non vuol dire che la gente in maschera non ci creda (o “creda di crederci”, che in fondo è la stessa cosa). Queste narrazioni non avrebbero alcuna presa se il sentimento prevalente nella popolazione fosse, come sembra implicare il tuo ragionamento, un disincanto cinico (“Faccio tutto questo ma non ci credo”). In realtà la psicologia delle folle si basa proprio sull’incanto, sull’assenza di distacco, sulla fusione di volontà. Certo, poi c’è chi strumentalizza sapendo di strumentalizzare, c’è chi dirige senza crederci, c’è chi lo fa per soldi. Ma l’azione di costoro non sarebbe possibile senza un sostrato di fede. Nel caso specifico, anche se alcuni ultras serbi si fossero fatti pagare da qualche boss per agire a Genova, rimane il fatto che quella massa di manovra si nutre di simboli infetti, di miti velenosi, di un’idea raccogliticcia di passato e di tradizione, e la rabbia che prova la prova davvero. L’essere – occasionalmente o regolarmente – pagati per agire è una cosa che viene dopo, e in fondo è sempre successo (“Se vincete avrete diritto allo stupro e al saccheggio”: pagamento in natura e in soldoni).
    Due cose:
    – quella di UE e USA nei Balcani non è stata solo “indifferenza”, quella è una narrazione già semi-assolutoria. Le potenze occidentali hanno operato attivamente per trarre vantaggio dalle guerre balcaniche degli anni ’90, fino a diventarne primi protagonisti nella seconda metà della decade.
    – domanda: a fronte di uno scenario dove i tagliagole erano trasversali e la pulizia etnica era il pallino di quasi tutti, non trovi che Rumiz tenda a dare, se non tutte, comunque quasi tutte le responsabilità al campo serbo?

  114. sono d’ accordo. solo una cosa: l’ odio etnico era quasi assente nelle realta’ urbane dove le varie etnie, religioni e culture convivevano da secoli. per “evocarlo dalle tenebre” i vari leader nazionalisti hanno fatto leva sulle popolazioni delle aree rurali piu’ povere, che erano gia’ “etnicamente pure”, ed erano rimaste tali anche quando si erano inurbate durante gli anni ottanta. la “sceneggiata” consiste nel fatto che i nazionalisti hanno fatto credere ai vari mediatori europei che la separazione delle etnie fosse necessaria per il raggiungimento della pace.

    e’ vero, nel libro che ho citato rumiz parla soprattutto delle responsabilita’ serbe. ma tieni conto che in quel periodo in italia c’era ancora chi considerava milosevic un difensore della jugoslavija socialista e multietnica (a dire il vero c’e’ chi lo pensa ancora). quindi dire certe cose, nonostante alcune forzature, in quel momento era comunque importante.

  115. Mi sembra che questa vicenda di Genova mostri abbastanza chiaramente quanto ci siamo detti spesso sull’ “agire” e l’ “essere agiti”. Cioè i tifosi serbi, Ivan in testa, hanno ‘agito’, ma le loro azioni erano ‘agite’ da mille e mille ‘condizionamenti’…
    Interessante anche la questione del racconto di Rumiz: perderne il contesto (la necessità, in quel momento, per il testimone/narratore di uscire da una certa “narrazione” della questione jugoslava) ci farebbe, ora, interpretare la vicenda balcanica, e a cascata le vicende dei tifosi serbi, da una prospettiva direi “astigmatica”, fuori asse…

  116. @ Wu Ming 1

    “Due cose:
    – quella di UE e USA nei Balcani non è stata solo “indifferenza”, quella è una narrazione già semi-assolutoria. Le potenze occidentali hanno operato attivamente per trarre vantaggio dalle guerre balcaniche degli anni ’90, fino a diventarne primi protagonisti nella seconda metà della decade.
    – domanda: a fronte di uno scenario dove i tagliagole erano trasversali e la pulizia etnica era il pallino di quasi tutti, non trovi che Rumiz tenda a dare, se non tutte, comunque quasi tutte le responsabilità al campo serbo?”

    Mi consigli qualche lettura per approfondire la questione?

  117. @ Noodles,
    le potenze occidentali parteggiarono smaccatamente per un nazionalismo contro l’altro. Faccio un esempio: nella prima metà degli anni ’90 il Fondo Monetario Internazionale sostenne la Croazia con 250 milioni di dollari, senza farsi troppi problemi per il suo status di belligerante.
    Al contrario, nel 1992 l’ONU decise un embargo contro la Serbia, e da quel momento quest’ultima fu esclusa da ogni rapporto con il FMI. I prestiti ripresero solo nel 2000, alla fine dell’era Milosevic. Fonte: Balcanicaucaso.org
    E sul ruolo del FMI *prima* della guerra abbiamo già detto.
    Va ricordato che l’espressione “pulizia etnica” nacque per descrivere quello che facevano i croati. Il suo primo uso documentato risale al 9 luglio 1991 ed era riferito alla cacciata dei serbi dalla Croazia. Fonte: New York Times. Nell’agosto del 1995, l’offensiva croata in Krajina fece 14.000 vittime civili serbe e mise in fuga oltre 300.000 persone. Fonte: Global Security.
    L’UE e gli USA non hanno mai preso alcun provvedimento contro la Croazia, nessuna sanzione.
    Le vicende dell’ex-Jugoslavia rientrano inoltre nella casistica della “shock economy” analizzata da Naomi Klein nel suo omonimo libro.

  118. Grazie! :-)

  119. per dare un’ idea del casino che c’era in quegli anni.

    visto da trieste-trst.

    “È il 2 agosto del 1991. La Jugoslavia, o quel che resta di quella che fu la «creatura» di Tito, brucia. La Slovenia e la Croazia se ne sono andate. La Serbia reagisce e i suoi connazionali della Slavonia proclamano l’indipendenza. Zagabria risponde al fuoco. È l’inizio delle fine. Eppure in quel fatidico 2 agosto Gianfranco Fini, allora segretario nazionale dell’Msi-Dn, si reca a Belgrado accompagnato dal dirigente del dipartimento esteri del partito, Mirko Tremaglia (oggi ministro degli Italiani all’estero) e dal presidente del Fuan Roberto Menia (oggi deputato triestino di An). Oggetto dell’incontro è «un’eventuale richiesta dell’Italia per la restituzione dell’Istria e della Dalmazia». Fini decide di partire perchè la commissione Esteri della Camera guidata dal presidente Piccoli non aveva posto nella sua agenda i temi proposti dal leader missino. Ma non basta. Fini sostiene di essere venuto in Jugoslavia anche per dare appoggio alla Repubblica serba relativamente ai diritti umani e ai confini. Fini relaziona poi gli esiti dei suoi incontri all’allora capo dello Stato Francesco Cossiga e conferma che esponenti del Movimento di rinascita serbo hanno esplicitamente detto alla delegazione dell’Msi-Dn di trovare legittima una richiesta (italiana, ndr) sull’Istria e sulla Dalmazia.Chi viene indicato come il «grande mediatore» dell’operazione Istria e Dalmazia è l’allora senatore socialista Arduino Agnelli.”

    da “il piccolo” del 30 agosto 2003

    http://ricerca.gelocal.it/ilpiccolo/archivio/ilpiccolo/2003/08/30/NZ_02_FINI.html

  120. per quanto riguarda i crimini croati, impossibile non ricordare la distruzione di mostar est, con relativa pulizia etnica. ora sul colle che sovrasta mostar e’ stata eretta una croce di cemento armato alta 50m.

  121. […] leggendo su GIAP dei sempre ottimi WuMing questo post sugli scontri prima della partita Italia – Serbia. Il post, ma soprattutto i commenti, a […]

  122. Ciao a tutti, sono novizio di queste parti. Ho dato una fugace occhiata ai commenti in calce a questo post. Non me la sento di dare dei commenti personali, ma per quel poco che posso, condivido serenamente alcuni spunti di Wu Ming 5. Ha ragione quando scrive che non si deve aver paura di criticare il capitale. Oltretutto è un mezzo, non un fine. Purtroppo non per tutti. Ed è vero che il baricentro dell’Europa è erroneamente spostato a nord. Ma non è una novità. Più di duemila anni fa, per alcuni era ovvio, oggi non lo è più! Se ho scritto delle fesserie perdonatemi