Sei sul sito ufficiale di Wu Ming, in una pagina della sezione "Archivi tematici", sotto-sezione "Cultura pop".
back home
Home
page in italiano
outtakes
Prima pagina "Cultura pop"
Wu Ming - A Band of Writers
Chi siamo - pagina biografica
XML feed in English
feed en
XML feed in Spanish
feed es
XML feed in Italian
feed it
XML feed in Portuguese
feed pt
Creative Commons LicenseSalvo diverse indicazioni, il contenuto di wumingfoundation.com è pubblicato con licenza Creative Commons "Attribuzione - Non Commerciale - Condividi allo stesso modo 2.5". Se ne consente la riproduzione, diffusione, esposizione al pubblico e rappresentazione, purché non a fini commerciali o di lucro, e a condizione che siano citati l'autore e il contesto di provenienza. E' consentito trarre opere derivate, per le quali varranno le condizioni di cui sopra.

virile digrignar di dentiALLEGORIA E GUERRA IN "300"

di Wu Ming 1

[Nel periodo maggio-ottobre 2007 l'mp3 della mia "LEZIONE SU 300" è stato scaricato all'incirca 8000 volte e fin dai primi giorni ha suscitato reazioni contrapposte.
Bene, poco dopo la messa on line ho riletto i miei appunti sul film e, tenendo conto anche delle varie reazioni e discussioni, ho scritto un testo più approfondito, in seguito pubblicato sulla rivista di cinema e audiovisivi del Dams di Torino ( "La valle dell'Eden", anno IX, n.18, dossier su "Cinema e televisione negli Stati Uniti dopo l'11 Settembre", a cura di Giaime Alonge e Giulia Carluccio).
Poiché nel frattempo il film è uscito in DVD e sta incontrando un pubblico che non lo aveva visto in sala, mi è parso giusto tornare, il più indelicatamente possibile, su quel "luogo del delitto" che è la terra del mito tecnicizzato, e mettere a disposizione il mio saggio. Buona lettura.]



You know it's bad when the audience laughs at your main villain and,
when they boo as the end credits begin to roll, all there's left to do is
whisper -- not scream -- "This is Sparta?"
- Erik Davis, Berlinale Review: 300, 14/02/2007

Voglio parlare di 300 in entrambe le sue forme, il fumetto di Frank Miller e il film di Zack Snyder (di cui Miller risulta consulente ed executive producer). Ho visto il film in Toscana, al Cineplex di Pontedera, dove mi trovavo di passaggio. Avevo letto la recensione di Roberto Saviano su "L'Espresso". Saviano, collega che stimo molto, aveva scritto:

Il film ti carica. Come se dietro la poltroncina del cinema qualcuno ti stesse girando la molla esattamente all'altezza del midollo [...] E non sai se sono stati gli effetti speciali, o i racconti che ti hanno formato da bambino, ma alla fine del film ti sale una voglia strana. Ti va di andare da tuo figlio, se ce l'hai. O di raccogliere per strada un ragazzino qualsiasi, prenderlo per un braccio e portarlo in qualche angolo dove l'Italia è ancora Magna Grecia, davanti al tempio di Poseidon a Paestum, o a Pozzuoli al tempio di Serapide, o dinanzi all'orizzonte marino del tempio di Selinunte in Sicilia, e raccontargli delle Termopili e di come 300 spartani, 300 uomini liberi, hanno resistito contro un immensa armata di soldati-schiavi. E ti viene voglia di prendergli la testa fra le mani e urlargli affinché non se ne dimentichi mai le parole di Leonida: «Il mondo saprà che degli uomini liberi si sono opposti a un tiranno, che pochi si sono opposti a molti e che... persino un dio-re può sanguinare.» [1]

Un grande studioso di miti, l'americano Joseph Campbell (1904-1987), ha paragonato il cinema a un tempio e l'attore-personaggio a una divinità:

...la persona che vedi sullo schermo è anche, nello stesso momento, da qualche altra parte: questo è uno degli attributi della divinità. Ancora, quello che vediamo sullo schermo non è realmente lui eppure è proprio "lui", l'attore. Ci sta di fronte grazie alla molteplicità delle forme, alla forma delle forme, da cui tutto proviene [2].

Si è detto da più parti che 300, coi suoi fondali sintetici demiurgicamente creati al computer, con la quasi totale abolizione del profilmico, traghetta il cinema via dal ghetto del reale, verso una nuova epoca d'epica. Sono pure questi attributi del divino: l'esistere su diversi piani di realtà (attori "veri" che si muovono in ambienti virtuali) e la capacità di creare mondi.
Eppure, quando ho visto 300, la sala non pareva affatto un tempio e la divinità era sì chiamata in causa, ma con espressioni scurrili, terragne, plebee. Il pubblico scherzava e sghignazzava, interagendo con la pellicola in maniera creativa. In una scena del film l'attore brasiliano Rodrigo Santoro - che veste (si fa per dire) i panni di Serse - si abbandona a un muto scoppio d'ira. Muto non perché trattenuto, ma perché sovrastato dalla musica. Egli grida, ma noi non sentiamo le parole. Si è incaricato di supplire a tale mancanza un ragazzo seduto alle mie spalle, "doppiando" Serse con una bestemmia, dove si accostava il Padreterno al sus domesticus, parole odoranti di campi e prosaico letame.
La recensione di Stefano DisegniHo raccolto diverse testimonianze di comportamenti del genere da parte degli spettatori. Il disegnatore satirico Stefano Disegni, autore di una bellissima recensione di 300 in forma di strip, testimonia di battutacce durante la visione in un cinema di Roma [3]. Alla Berlinale 2007, la prima del film è stata accolta con fischi, boati e risate [4].
D'altro canto, si ha anche notizia di platee di militanti neo-fascisti impegnati a salutare ogni scena di vittoria col saluto romano [5]. In una sala di Latina «nel momento in cui la moglie di Leonida ha infilzato [Terone] c'è stato un "Olè" da goal di Totti nel Derby» [6]. E si ha anche notizia di platee silenti.
L'accoglienza in Europa è stata, insomma, molteplice nelle forme e nei contenuti, ma con una lieve preponderanza - almeno così mi è parso - della fruizione ironico-beffarda. Ed è forse questa la reazione più salutare, di fronte a un film statunitense che ti salta addosso, impone il punto di vista americano, ti aggredisce e sbatte sul tuo grugno da vecchio mondo la Weltanschauung statunitense, passando a mo' di rullo compressore su ogni discrepanza, contraddizione e manifestazione di complessità. Di questo film ho disprezzato l'ideologia, il razzismo, la mortifera coerenza dell' impianto allegorico, eppure mentre guardavo scoprivo in me sentimenti di immedesimazione e addirittura di commozione. Il film si rivolge agli ormoni, è probabile che nessun maschio, per quanto critico del proprio genere, del proprio ruolo e dei propri comportamenti, possa restare indifferente di fronte a una simile apologia della Maennerbund, del cameratismo maschile di guerra. Il legame tra i maschi del branco umano si tempra nella lotta contro un nemico e si esprime nella forma più alta al momento della vittoria, dove collassa ogni distinzione e affondiamo nel carnaio del sacro: per un orgasmico istante si oblitera il mondo, il colpo decisivo annichilisce la realtà e la fa scomparire, c'è solo l'arma che affonda nella carne, il nemico che stramazza, i compagni intorno a me. Se sopraggiunge la morte ci stringiamo la mano e pronunciamo la parola "onore". Viva la muerte!, grida il mio cervello rettile.
Persino il doppiaggio italiano concorreva a rapirmi: di solito detesto il doppiaggio, ma quello di 300 (fatta eccezione per Serse, della cui voce dirò più avanti) mi è suonato perfetto per gli scopi espressivi del film. Almeno alle mie orecchie, qualunque accento dell'Europa continentale s'intona a quella storia (europea) più dell'American English. In quel contesto le voci italiane riverberavano d'antico, in particolare quella del narratore Delio, unico (e immaginario) sopravvissuto alla mattanza, poiché scelto da Leonida per tornare a Sparta e raccontare l'impresa. Una voce, quella di Mimmo Mancini, non "rotonda", non eccessivamente "maschia" (non alla Pannofino, per intenderci), un po' incrinata, dolente, lievemente stridente. Voce vera, di quelle che senti per strada. Il fatto che tale voce dia testimonianza di quel che accade, per giunta parlando al presente come in una telecronaca, rende Delio uno di noi. Per suo tramite ci commuoviamo quando Leonida si scopre il capo ("...l'elmo lo soffoca..."), trepidiamo mentre getta lo scudo, ci commuoviamo al comprendere il motivo di quei gesti.
Tutto questo mi ha inquietato: 300 è un film che porta lo spettatore vigile e critico alla schizofrenia, costringendolo ad accomodare lo sguardo, per conciliare distanza dal contenuto e intimità con l'espressione. Se guardi il paesaggio scompare il vetro, se guardi il vetro si sfoca il paesaggio.
Quella che voglio esercitare nei confronti di 300 - e di Frank Miller - è un'ironia diversa da quella beffarda dei miei compagni di visione al Cineplex. Si tratta dell'"ironia erotica" di cui parlava Thomas Mann, l'amore per ciò che sto tradendo, nel caso specifico per l'opera che intendo uccidere con la parola analitica, per forza di cose crudele [7].
Non "uccidere" nel senso di prevalere sull'opera, stroncandola e rispingendola nel nulla pre-creativo. Io "ucciderò" perché scomporrò un'opera che si presenta come un tutto unico, monolite inscindibile e quindi non analizzabile. 300 non è un film che chiede di essere scomposto, come ad esempio The Prestige di Christopher Nolan. È un film che si presenta come esperienza unitaria, da prendere in blocco o lasciare in blocco. È una falange spartana, muraglia di opliti che urta e travolge. Tuttavia, noi abbiamo il dovere di scomporre, scompaginare, fare ciò che il film non chiede di fare e che - con ogni probabilità - chi l'ha girato non vorrebbe fosse fatto.

***


Un solco a difesa della democraziaUna massima di Gustav Mahler recita: «l'artista può essere un cacciatore che spara nel buio e non sa né a cosa mirava né cosa eventualmente abbia colpito» [8].
E' vero, accade, può accadere, è il bello del creare, del narrare. Si prende la mira anche con l'inconscio, e a volte si trafiggono i cuori con precisione da medaglia d'oro. Ne vengono opere d'arte che rimangono, dialogano coi millenni. Tuttavia, credo che l'artista, una volta chiamato a rispondere degli esiti del suo lavoro, non possa, non debba abusare di questa giustificazione [9].
Ebbene, ho la netta impressione che Zack Snyder ne abbia abusato. Per mesi il regista di 300 ha ripetuto - con minime variazioni - che «300 è solo un film; non abbiamo voluto dargli nessun messaggio; non ha senso pretendere di trovarci dentro la politica; sono solo storie di 2500 anni fa; non si parla del presente»:

You know, when I see that, when I see someone use words like "neocon," "homophobic," "homoerotic" or "racist" in their review, I kind of just think they don't get the movie and don't understand. It's a graphic novel movie about a bunch of guys that are stomping the snot out of each other. As soon as you start to frame it like that, it becomes clear that you've missed the point entirely.[10]

Questo è stato anche l'atteggiamento di molti spettatori, i quali hanno espresso irritazione o addirittura collera di fronte a qualunque lettura politico-ideologica del film:

...non fate l'errore di abbandonarvi a segaroli intellettualismi, con metafore, politiche, rovinereste la visione.. sono 2ore e le tiene tutte senza cali, e non è poco, dell'ideologia, ma cazzo, è crollato il muro di berlino e parlate ancora di ideologia... [11]
E' facile guardare un qualsiasi film del cavolo e poi trovargli tutti i significati del mondo. Mi ricorda quello che dicevano di Guerre stellari o di Starship troopers. Tutta fuffa, paranoie inutili, un film di propaganda un cervello normale lo riconosce subito. [12]
...se ogni regista, ogni scrittore si dovesse fare le paranoie su chi deve essere il cattivo per non ferire i fragili animi, non si scriverebbero più storie ne fumetti ne si girerebbero più film. Quindi mi faccino il piacere, fatevi meno pippe mentali e gotetevi le cose belle che la quotidianità vi offre. [13]
La difficoltà di vedere oltre lo schermo, di spogliarsi dei pregiudizi, di rendere puro lo sguardo privandolo di dannose contaminazioni politiche. Sono i grandi problemi che da sempre affliggono la quasi totalità della critica cinematografica nazionale [14].
a riga'……….ma guardateve i film e fatevi meno pippe mentali… musica, doppiaggio, storia reale o meno. che palle…
[15]

"Pippe mentali" è come definisce il pensiero altrui chi non è in grado di esprimerne uno proprio.
Anche osservatori "insospettabili", che in altre occasioni avrebbero spaccato il capello in quattro, si sono uniti al mantra deresponsabilizzante di Snyder.
Vi è pure chi ha azzardato letture "rovesciate" dell'allegoria proposta nel film, interpretando l'impero persiano come riflesso di quello americano, e i "kamikaze" delle Termopili come antesignani dei resistenti islamici [16], esercizio di lettura paradossale che può avere una qualche utilità (anche anagrammi e calembours fanno bene al cervello, in fin dei conti), ma del tutto inutile per capire l'impatto e il successo di 300.
Vi sono infine i cinéphiles finto-bastiancontrari che si sentono intellettualmente liberi solo quando indulgono nel prevedibile épater les camarades, attaccando un presunto "senso comune di sinistra". E' una tecnica collaudata, si inizia dicendo: "Io sono di sinistra ma..." e poi si dicono cose di destra.
E' possibile che qualcuno si sia sentito in colpa per avere amato un film che semina odio. E' possibile che molti spettatori normalmente avveduti abbiano tentato di riconciliare ormoni e raziocinio, cervello rettile e cervello evoluto, con l'unico risultato di operare una rimozione. L'importante è far passare i crampi alla coscienza.

Ma volete spiegarmi cs'è sta mania d fare i moralisti alla cazzo?? Il messaggio dl film nn è fascista, c mankerebbe ke lo fosse, nn sarei andato a vederlo. [17]

Siccome il film mi è piaciuto, mi ha coinvolto, mi ha esaltato e io non sono fascista, non può essere un film fascista. E' in fondo il paralogismo che tutti conosciamo: io sono di sinistra; mi piace la cioccolata; la cioccolata è di sinistra.
Da qui la tendenza a trovare in 300 qualcosa di più obliquo e raffinato di quel che effettivamente c'è, di proporre un'interpretazione che vada sotto la superficie in cerca di significati meno scontati, ignorando però che nel "mito tecnicizzato" (ne parleremo tra poco) sotto la superficie non c'è niente, né esistono significati meno scontati.
Questi arguti détournements ci lasciano intellettualmente inermi di fronte al successo di 300 e alla sua "presa" di massa, poiché scelgono di ignorare l'effetto del film sulla stragrande maggioranza degli spettatori, soprattutto americani (ovvero, con tutta evidenza, il target prescelto).
E' una proiezione del tutto empirica, ma azzardo che le letture sottili/spiazzanti provengano dallo 0,001% del pubblico, e vengano soprattutto dall'Europa. Tuttavia, è quel che ha provato l'altro 99,999% degli spettatori, e specialmente in America, a stabilire di quale film si tratti, a chi si rivolgeva e come. Le masse conservatrici americane, senza farsi troppi problemi, si sono entusiasmate vedendo massacrare i selvaggi orientali con la pelle scura. Quei bastardi terroristi iracheni. Quei fanatici iraniani che vogliono farsi le bombe atomiche. E la più importante rivista conservatrice americana, la "National Review", ha scritto che il bello di questo film ("real all-American stuff, in which our heroes stood up for God and country") è proprio nel suo non essere ambiguo, sfumato né tantomeno obliquo. Dopo aver visto 300, ha scritto David Kahane, "we are not left with the usual postmodern quandary 'who are the good guys'" [18].
Io non ho sensi di colpa, né ho il timore di apparire "vetero". Anziché l'obbligo di épater les camarades, sento il dovere di dire con chiarezza come la penso. Sono dell'idea che a volte – e di recente sempre più spesso – sia necessario ripetere l'abc, e lo faccio senza tirarmi indietro. Tutte le opere d'arte hanno un'impronta ideologica, senza eccezione alcuna. Hanno un'impronta ideologica perché chi le crea non vive fuori dal mondo. Dire che un'opera ha un'impronta ideologica non significa sminuirla, non significa contestarne la riuscita sul piano estetico e formale. La cinematografia del Terzo Reich ci ha offerto alcune opere molto riuscite, artistiche, belle, a loro modo poetiche. Il primo nome che viene in mente è quello di Leni Riefenstahl, i suoi documentari furono brillanti, innovativi sul piano formale, contenevano scene di intensa bellezza, ma non mi si venga a dire che non erano apologie del regime nazista. Non possiamo ritenere assoluta l'autonomia dell'opera d'arte, che è sempre e comunque l'esito di un negoziato - consapevole o meno - dell'artista col proprio tempo, le condizioni storiche, la società in cui vive, la formazione che ha avuto.

***


Dopo l'antipolitica, l'uomo forteFrank Miller, impavido cavaliere oscuro, viene in nostro soccorso. Le sue dichiarazioni più recenti sono aria fresca, fresca proprio perché viziata, nel senso che l'ideologia vi irrompe a zaffate, senza infingimenti né ipocrisie. Sia inteso: quel che dice Miller nelle interviste non equivale automaticamente a quel che dicono i suoi fumetti, poiché è noto che esiste un'autonomia - pure questa relativa - dell'opera dal proprio autore. Tuttavia, le sue esternazioni ci aiutano a capire il mondo in cui questi fumetti nascono e crescono.
Il 24 gennaio 2007, durante lo show radiofonico Talk of the Nation in onda sulla NPR, Miller ha criticato George W. Bush da destra, perché dopo l'11 settembre

he didn't call the nation into a state of war. He didn't explain that this would take a communal effort against a common foe. So we've been kind of fighting a war on the side, and sitting off like a bunch of Romans complaining about it [19].

Bush non ha richiamato la nazione allo "stato di guerra" (cioè? Doveva dichiarare la legge marziale?) e ha permesso che una parte dell'opinione pubblica si opponesse alla guerra o coltivasse umori disfattisti. "Like a bunch of Romans" è una similitudine che introduce una metafora, non inusuale nel mondo anglosassone: "Romani" significa "decadenti", riferimento a un impero demotivato e in declino. Lo scenario dell'incubo americano è quello descritto dallo storico Edward Gibbon, autore dell'imponente e pionieristico The History of The Decline and Fall of the Roman Empire (1776-1789).
Miller ha proseguito, rivelando anche una notevole ignoranza:

For some reason, nobody seems to be talking about who we're up against, and the sixth century barbarism that they actually represent. These people saw people's heads off. They enslave women, they genitally mutilate their daughters, they do not behave by any cultural norms that are sensible to us [20].

Miller mette in un unico mucchio l'infibulazione - pratica pre-musulmana e prevalentemente africana - e il terrorismo di matrice islamica [21].
Il top però lo ha raggiunto pochi minuti dopo, quando ha concluso l'intervista dichiarando che, "come la Germania nazista", l'Iraq ha dichiarato guerra agli Stati Uniti. Lampante il riferimento alla solita panzana, il coinvolgimento iracheno negli attentati dell'11 settembre, credenza smentita più volte e addirittura in via ufficiale, nel rapporto della National Commission on Terrorist Attacks Upon the United States [22].
Qualche mese prima, Miller aveva annunciato il suo nuovo progetto, una graphic novel in cui Batman affronta e sconfigge Al Qaeda, opera da egli stesso definita "di pura propaganda", poiché "è ridicolo che chi lavora nell'entertainment non stia mostrando contro cosa stiamo combattendo" [23].
Ed è così che il mondo interiore di Miller, abitato dai fantasmi dello Scontro di Civiltà, si schiude e mostra il processo creativo che ha plasmato 300 (fumetto e film). Possiamo dunque andare oltre quella che Roland Barthes chiamava la "fisica dell'alibi" [24]: "non sono dove credi che io sia, sono dove credi che io non sia", cioè: non sono dove tu mi critichi, non volevo dire quella cosa.
Oggi la "fisica dell'alibi" è ovunque, perché il post-moderno offre la scusa perenne, quella di un'ironia fredda ma allucinata, esatto contrario dell'ironia erotica. È tutto fatto con distacco, è tutto ironico (nonché cinico), «ma come, non l'hai capito che ho detto questo ma in realtà ho detto tutt'altro?», «Guarda che sei tu che hai frainteso»... Sono pochi, oggi, gli artisti che ammettono di aver detto proprio quella cosa, e di averla detta sul serio. [25]
Un altro soggetto che si è espresso su 300, e con che peso!, è la Warner Bros.
La major cinematografica si è ben guardata dal nascondere la natura allegorica del film, anzi, nella sinossi ufficiale è scritto che alle Termopili si tracciò "un solco nella sabbia a difesa della democrazia" ["a line in the sand for democracy"]. Affermazione al massimo semi-veridica, in cui si confondono a bella posta l'esito oggettivo, e a lungo termine, delle guerre persiane (indipendenza dell'Ellade, ergo: sviluppo di quel modello ateniese che, mutatis mutandis, sarebbe tornato in auge nel 1789 e dintorni) con l'intenzione di quanti combatterono agli ordini di Leonida. Il quale non ebbe mai il minimo interesse a "difendere la democrazia", e si stupirebbe molto nel sentirsi attribuire tale intento.
Sparta non era una democrazia, ma un'oligarchia. Il potere lo aveva una casta chiusa, quella degli Spartiati, che lo esercitava in modo brutale su una grande massa sfruttata, gli Iloti. La celeberrima politica di selezione eugenetica della casta dominante, con il lancio dei neonati gracili o deformi giù dalla rupe del Taigeto, era resa necessaria dall'endogamia, ovvero dal fatto che gli Spartiati si accoppiavano tra loro, con paradossale aumento dei danni genetici (malformazioni, malattie ereditarie etc.)
La frase di lancio della Warner non è storicamente fondata, non ha alcun valore letterale. La sua "verità" va dunque cercata sul piano allegorico. Gli Spartani siamo noi, gli Spartani sono gli Stati Uniti d'America, "one nation under God".

***


QuintilianoL'abc, l'abc...
Che cos'è un'allegoria? E' una figura retorica che, per dirla con Quintiliano, aut aliud verbis, aliud sensu ostendit ["espone una cosa con le parole e in realtà ne intende un'altra"] [26]. A differenza della metafora, che è composta da una singola parola-immagine, l'allegoria è un concatenamento di parole-immagini e può distendersi su un'intera frase, su un'intera pagina, addirittura può abbracciare un intero testo. In quest'ultimo caso, consiste nel raccontare una storia al fine di raccontarne un'altra.
I promessi sposi racconta una storia di soprusi nella Lombardia del Seicento dominata dagli Spagnoli, ma parla della Lombardia dell'Ottocento dominata dagli Austriaci. Manzoni stesso ammise di "parlare a nuora (Spagna) perché suocera (Austria) intend[esse]".
Il Nabucco di Giuseppe Verdi (1842, libretto di Temistocle Solera) racconta la rivolta degli Ebrei a Babilonia, ma anch'esso parla dell'Italia sotto il giogo dell'impero austriaco. Idem per I Lombardi alla prima crociata (1843, stessi autori).
Il crogiuolo di Arthur Miller (1953) racconta la storia delle "streghe di Salem" del 1692, ma parla di un'altra "caccia alle streghe", quella anticomunista scatenata da Joe McCarthy negli USA degli anni Cinquanta.
Chi continua a ripetere che 300 non parla dell'oggi bensì del 480 a.C.[27], rivela di non sapere cosa sia un'allegoria e compie l'errore di cui parlava Campbell a proposito della metafora:

pensare che la metafora si identifichi con il suo significato sarebbe come andare al ristorante, chiedere il menù, leggere "bistecca" e mangiare il menù. [28]

Il fumetto di Frank Miller era già fortemente allegorico: diceva a Nonna Persia perché intendesse nipotino Islam. Tuttavia, si era nel '98, prima dell'11 Settembre, prima della Guerra in Iraq. Non posso dire che l'ideologia fosse "sfumata", perché non è da Miller "sfumare"; è certo però che il film ha amplificato, esagerato, sovraccaricato quell'allegoria, calcando nel fango misto a sangue l'impronta ideologica della graphic novel. Ciò grazie al contesto storico più agitato, alle (bellissime) immagini in movimento, alle musiche enfatiche, alla recitazione stentorea, e all'inserimento di una sottotrama che nel fumetto non c'era, digressione del tutto inconcludente per quanto riguarda l'intreccio ma coerente e molto ben inserita nell'impianto allegorico.
Vediamola a volo d'uccello, quest'allegoria, per poi andare a sezionarla. Sparta è l'America della "War on Terror", è gli Stati Uniti e quindi, per mezzo di un'altra figura retorica (sineddoche: dire la parte per intendere il tutto), l'intero Occidente minacciato dai mostri.
Atene è solo nominata, ed è l'Europa.
Gli Efori - luridi, corrotti vecchiacci - hanno un ruolo simile a quello dell'ONU, con le sue risoluzioni e i vari cessate-il-fuoco (le Carnee), tutti bastoni tra le ruote degli USA.
La Persia è l'Islam, è l'Iran, è Al Qaeda, ed è anche la Cina. In una scena del film (assente nel fumetto) si vede una sorta di "squadra speciale" lanciare... bombe a mano. Un riferimento al fatto che i Cinesi furono i primi a scoprire la polvere nera (benché non prima del IX secolo d.C.) L'estesissimo e variegato impero persiano, ricco di nòmoi ed etnie, si presta bene all'allegoria: il pericolo è pan-asiatico. A marciare contro "la piccola Grecia" sono gli eserciti di un intero continente, e gli Spartani fronteggiano mostri "dell'altra metà del mondo" [29]. Il pericolo è pan-asiatico e, in definitiva, ha gli occhi a mandorla. Il terrorismo di matrice islamica è un problema di corto respiro, che si presenta sul breve e medio termine. Le economie che lo finanziano si basano su un combustibile fossile in via di esaurimento. Quei paesi, cicale cantanti al ritmo di trivelle e motori a scoppio, sono destinati a sprofondare nella povertà, e il problema mediorientale è destinato a ridimensionarsi. Non così quello cinese, per ragioni che mi pare superfluo esporre in questa sede.
Il consiglio di Sparta somiglia molto al Congresso USA a maggioranza democratica, che incrocia le corna con la Presidenza sul rifinanziamento della missione irachena. E' accaduto proprio nelle settimane in cui 300 usciva nelle sale di tutto il pianeta.
Torniamo a Leonida e compagnia.
La presa di MacallèDa quando esiste la moderna propaganda, si è sempre attinto alle immagini della grecità per descrivere i guerrieri. Lo spiega molto bene lo storico George L. Mosse che ha studiato la propaganda lungo l'arco delle guerre mondiali e ha scritto saggi fondamentali per capire il XX secolo [30]. Quando Mosse tratta di come erano rappresentati i soldati tedeschi durante la prima guerra mondiale sui giornali e sul fronte interno dice che «essi erano Greci nella loro armonia, nelle loro proporzioni, nella loro forza controllata» [31].
Rappresentazione tipica dei tempi di guerra e dei regimi totalitari: pensiamo a Sparta com'era vista dal fascismo, tendenza sbertucciata da Andrea Camilleri ne La presa di Macallè (2003), nella figura del professor Gorgerino. Protagonista del romanzo è un bambino di nome Michele (Michilino), figlio di un dirigente locale del PNF, piccolo balilla alla scoperta della propria sessualità. Il libro si svolge nella solita città di Vigàta, luogo della mente camilleriano, anno di grazia 1937, durante la guerra d'Abissinia, e l'evento cardine è appunto la presa di Macallè (Mek'elē), capitale della regione etiopica del Tigray. Questo precettore, Gorgerino, dà lezioni pomeridiane al bambino e gli insegna "alla maniera degli Spartani", poiché questi ultimi erano «i fascisti dell'antichità». La maniera degli Spartani è la sodomia. Ogni pomeriggio, Gorgerino fa spogliare l'allievo e lo penetra da dietro. Quando il padre lo scopre fa irruzione nell'appartamento, massacra di botte il precettore e gli intima di lasciare Vigàta. Il passaggio merita di essere riportato testualmente:

Gorgerino fece un lamento. 'U papà si calò verso di lui.
"Mi senti?".
"Fi, fi" arriniscì a diri il professori che doviva aviri la lingua spaccata.
"Te lo dico in siciliano: tu, tra mezzura, apprisenti una littra di dimissioni dall'Opira Balilla. E dumani a matinu, entro mezzojornu, devi essiri partuto da chisto paìsi e nun ci devi cchiù mettiri pedi. Chiaru?"
"Fi".
"E ora ti parlo in italiano: se non fai quello che ti ho detto, ti denunzio ai carabinieri. Hai capito?".
"Fi".
"E ora ti parlu spartanu, comu piaci a tia: si dumani doppupranzu ti trovo ancora in paìsi, ti pigliu davanti a tutti e t'infilu 'n culu un manicu di scupa, Mi capisti, grannissimu garrusu?".
"Fi."
[32]

Il fascismo che guarda agli Spartani, la grecità evocata nella propaganda di guerra durante le guerre mondiali... Di cosa stiamo parlando esattamente?
Parliamo della "tecnicizzazione del mito". Ancora un po' di pazienza, però, ché c'è ancora qualcosa da dire su Frank Miller.

***


Il capitano KurtzFrank Miller è un autore e disegnatore dal curriculum sbalorditivo, i cui meriti artistici sono indiscutibili. E' con ogni probabilità l'autore di fumetti più famoso del pianeta e la sua influenza sulla cultura pop contemporanea è seconda soltanto a quella di Stephen King.
Nel citato libro-conversazione con Will Eisner, ad un certo punto Miller fa un riferimento sottilmente apologetico al quattordicenne che incide la svastica sul banco della scuola, come gesto di sfida, provocazione, auto-affermazione vitalistica [33]. Io credo che Miller non abbia mai superato del tutto quella fase. Con gli anni, poi, si è spostato sempre più a destra, spingendosi agli estremi limiti della comunità democratica.
Lo spartiacque nella produzione di Frank Miller è sicuramente Sin City, oggi il suo fumetto più famoso. Lo afferma egli stesso: «con Sin City per la prima volta ha fatto tutto quello che voleva, senza limiti né controlli esterni». Sin City è il suo fumetto più personale, è il giro di boa, da quel punto Miller va ritenuto più responsabile di quel che mette sulle tavole... ivi compresa l'inversa proporzionalità tra violenza (onnipresente) e complessità della trama (prossima allo zero).
300 viene dopo Sin City.
Alcuni tra i fumetti precedenti avevano fatto accogliere Miller come un autore anti-autoritario, libertario, nemico dei poteri costituiti. Si trattava di letture frettolose: il Batman di Miller è testimonial di una campagna a favore del vigilantismo contro il crimine nonché, come nota il blogger "Leonardo":

un personaggio marziale e mascellone che si appartava negli inferi a crescere una nuova razza di uomini superiori. Le sue ultime parole erano: "Robin, sta composto!", e Robin gli rispondeva "Sissignore". Miller è un fascista perché, in fin dei conti, quel che gli importa è essere Uomini, con la schiena dritta, i valori saldi e i riflessi pronti. Dietro questa grande idea di mascolinità ti aspetti sempre che ci sia qualcosa di più, ma alla fine non c'è [34].

Chi cerca di difendere Miller da queste accuse cita invariabilmente il "ciclo di Martha Washington" [35], inaugurato nel 1990 da Give Me Liberty e seguito da diverse altre puntate, fino al roboantemente titolato Martha Washington Saves The World (1997) [36]. Quel fumetto, che vede Miller impegnato soltanto come autore dei testi, andrebbe ripreso in mano e riletto. Di primo acchito, sembra una distopia critica, che prende di mira le multinazionali, la politica estera statunitense e la guerra. Le cose sono meno semplici. Io vedo Give Me Liberty e i suoi sequels come risposte parossistiche ed esagerate al nuovo fumetto inglese affermatosi nel frattempo, soprattutto opere di Alan Moore come V for vendetta e Watchmen [37].
Frank Miller non è abile quanto Alan Moore nel prefigurare scenari futuri che siano coerenti allegorie del presente, né è all'altezza del collega inglese nel conferire complessità psicologica ai personaggi. Diciamo che tende a "sbracare", preme sul pedale della speculative fantasy in maniera alquanto confusa, e i nuclei concettuali che affiorano sono luoghi comuni dell'immaginario di destra e conservatore americano.
Per fare qualche esempio: c'è un presidente degli USA liberal, Howard Nissen, che è finito alla Casa Bianca per puro caso, quando il suo predecessore Rexall è rimasto vittima di un attentato incendiario, insieme al vice e a tutti i "papabili". L'unico superstite dell'amministrazione Rexall è Nissen, da poco nominato a un ministero periferico. Nissen diventa presidente e sembra avere ottime idee, ritira tutti i contingenti militari USA dai teatri di guerra in cui erano impegnati, avvia trattative di pace coi nemici dell'America e cerca di salvare l'Amazzonia dalle grinfie delle multinazionali della carne. Peccato che, nel corso del fumetto, si riveli un utopista velleitario, inetto ed alcolizzato, sempre più collerico e meschino, in fin dei conti peggio del quasi-dittatore Rexall.
In Martha Washington va alla guerra Miller ci propone la struggente e per niente ironica apologia di un personaggio ricalcato su Capitan America, vale a dire il Capitano Kurtz. Capitan America è un supereroe patriottardo inventato durante la Seconda Guerra Mondiale come arma di propaganda interna. Non c'è nessuna ironia nel rappresentare Kurtz: si tratta di un grandissimo eroe che difende gli Stati Uniti contro un'orda di nazi-froci.
Il ciclo di Martha Washington, spacciato come fumetto libertario, è in realtà un invito a riprendere le redini del Paese e unire di nuovo la nazione contro ogni spinta centrifuga e disgregante ad opera dei seguenti soggetti: i politicanti, le femministe e i gay. Questi ultimi sono sempre rappresentati come nazisti. Alcuni pensano che Miller abbia preso per i fondelli i nazisti. Io credo abbia inteso burlarsi dei gay.
Il messaggio, insomma, non è distante da quello della famosa "maggioranza morale" degli anni Ottanta.

***


Furio JesiFurio Jesi (1941-1980), il più grande e illuminante studioso di miti che abbiamo avuto in Italia dal dopoguerra in avanti, distingueva tra l'approccio "genuino" e disinteressato alla materia mitica che si rivolge a noi dal nostro passato e l'evocazione a forza del mito per precise finalità contingenti. Quest'ultima operazione viene definita "tecnicizzazione" del mito [38].
Dopo aver visto 300 mi è tornata alla mente la frase di un altro studioso, l'archeologo Andrea Carandini:

lo studioso dei mito deve avere nel retroscena della mente la Germania nazista e nella botola del suggeritore il dramma del conflitto tra modernità e tradizioni culturali non occidentali [39].

Quali sono le differenze tra mito "genuino" e mito "tecnicizzato"? Proviamo a dedurle dal (densissimo) discorso di Jesi ed elencarle.

1. Solitamente, nel mito si riscontra un equilibrio - talvolta precario, talora più solido - tra luce ed ombra, vita e morte. Vi è una sorta di accordo tra cacciatori e cacciati, vincitori e sconfitti, chi uccide e chi viene ucciso, perché esiste un ciclo più grande, di morte, sepoltura e resurrezione, al cui interno si trovano tutti i personaggi e le storie, un ciclo che rigenera la vita e rimette in circolo ogni elemento. Il mito "genuino" si orienta sempre verso quest'equilibrio e lo ritrova anche dopo oscillazioni spaventose.
Al contrario, il mito "tecnicizzato", il mito-Frankenstein, viene evocato al fine di demolire un nemico, creare un'opposizione molare tra due metà del mondo. L'ombra predomina sulla luce, la morte predomina sulla vita, la distruzione dev'essere irreversibile, il nemico è assoluto e va annientato. Jesi scriveva che "le immagini del mito tecnicizzato [divengono] supporto del gesto", e il gesto è di guerra, di aggressione (anche solo simbolica) verso l'altro, l'estraneo alla comunità. Il mito è banalizzato e brandito come un'arma da taglio ("la nostra spada lucente"), mostrato dal balcone per mobilitare la massa che riempie la piazza. Si pensi al mito di Roma imperiale rievocato dal fascismo in modo cialtronesco per giustificare l'attacco all'Abissinia [40].

2. Il mito è una narrazione universale. Anche quando è il mito fondativo di una tribù, di un clan, di una tradizione locale, ha in sé tòpoi e archetipi che lo rendono universale, potenzialmente rivolto all'intera comunità degli umani. Al contrario, il mito evocato tecnicamente per un determinato scopo non appartiene mai all'intera umanità, si rivolge ad un gruppo preciso scelto come target, si tratti di una comunità nazionale, un partito politico, una classe sociale, un gruppo etnico... In questo 300 è emblematico, perché non vuole e nemmeno potrebbe essere una narrazione universale: è una narrazione statunitense, bianca e – sopratutto - maschile.

3. Il mito tecnicizzato ci prende in massa (i grandi comizi dei leader totalitari, di fronte a centinaia di migliaia di persone), però ci colpisce uno alla volta. Mi viene da dire: proprio come alle Ardeatine, se non fosse che il mito non ti spara alla nuca bensì dritto in faccia. Coloro che si trovano in un condizione isolata – benché dentro la massa - e subiscono il fascino del mito tecnicizzato vengono chiamati da Jesi - riprendendo Kerènyi - "i dormienti", poiché non sono in stato di veglia (lo stato dell'attenzione critica: infatti "vigile" significa "sveglio"), ma in stato di sonno, e nel sonno vengono svuotati e di nuovo riempiti dalla potenza delle immagini mitiche, come succede a chi va a vedere 300. Non vi è alcuna barriera, come fa notare Jesi, tra le immagini mitiche e il nostro inconscio, il mito tecnicizzato inonda l'inconscio perché le sentinelle dormono e nessuno dà l'allarme. Al contrario, il mito "genuino" è vissuto in stato di veglia e, soprattutto, di ascolto. Ci si pone in ascolto del mito, lo si studia, lo si va a cercare con umiltà, siamo noi a fare escursioni nel suo territorio, con tutto il rispetto del caso, senza pretendere di catturarlo e portarlo a forza nel nostro mondo, nel nostro presente. E' un pellegrinaggio, non un safari.

***


This moral universe would have appeared as bizarre to ancient Greeks
as it does to modern historians. Most Greeks would have traded their
homes in Athens for hovels in Sparta about as willingly as I would trade
my apartment in Toronto for a condo in Pyongyang.
- Ephraim Lytle, "Sparta? No. This is madness", The Toronto Star, 11/03/2007


Quali sono le strategie all'opera in 300? Le analizzerò ispirandomi – invero piuttosto liberamente - a una catalogazione fatta da Barthes in Miti d'oggi. Per "mito" Barthes intende una cosa in parte affine e in gran parte diversa da quella che stiamo analizzando, ma il suo metodo espositivo è utile a chiunque voglia dar la caccia a figure retoriche nascoste.

Der PatriotLa prima strategia è produrre un dissolversi della Storia.
In un'opera di fiction, di fantasia, c'è sempre una rinuncia alla fedeltà storica, rinuncia necessaria per poter raccontare una storia che abbia un capo e una coda, e che abbia confini, contorni, perché se si dovesse rispettare in toto la veridicità storica il racconto sarebbe sterminato, infinito, perciò irriconoscibile in quanto racconto. Le fonti rimettono sempre in gioco qualcosa, trovi sempre nuovi elementi che sfuggono, che non avevi messo dentro.
Ponendo dei limiti al raccontabile, di fatto ci poniamo fuori dalla pretesa della fedeltà storica. Ma se tutte le storie rinunciano alla fedeltà storica, allora quello che conta - e che va analizzato - non è se vi rinuncino, ma come lo facciano. Scegliere, tra le tante possibili, una "licenza poetico-storica" non è mai un'azione neutra e innocente.
Quando nel 2000 la Columbia Pictures sguinzagliò nelle sale il ringhiante The Patriot (di Roland Emmerich e con Mel Gibson), risibile film sulla guerra d'indipendenza americana, si aprì un dibattito sui limiti della licenza poetico-storica.
Nel film le truppe inglesi sono dipinte come mostri assetati di sangue, le cui atrocità non sono inferiori a quelle perpetrate dalle SS nell'Europa occupata. Non solo gli ufficiali di Sua Maestà non danno quartiere ai feriti o a chi si arrende, ma ad un certo punto radunano in una chiesa tutti gli abitanti di un villaggio, sprangano il portone e danno fuoco all'edificio, come i nazisti a Oradour-sur-Glane (10 giugno 1944). E infatti scene come quella, fino a quel momento, si erano viste soltanto in pellicole sulla barbarie nazista, come Vai e vedi di Elim Klimov.
Scrisse Jonathan Foreman, critico del "New York Post":

In the past, Hollywood has played with historical details in order to make a narrative more compelling or the look of a film more appealing. But it has been an unwritten rule of the American film industry that you try to hew vaguely to the generally accepted account of how things were in the past. It's hard to define, but there is clearly a point where dramatic and poetic license shade into something much more sinister [41].

Anche questo è un "solco nella sabbia", oltre il quale gli enunciati si fanno inaccettabili. Ebbene, 300 è tutto così, dalla prima all'ultima scena. Il fatto che quest'ultimo film si svolga in un'epoca molto più antica, le cui ricostruzioni cinematografiche hanno sempre sconfinato nella fantasy, non deve farci ignorare il modo capzioso in cui gioca con i dettagli della storia. Andiamo ad elencare le "licenze" più significative.

1. Infanzia, adolescenza e addestramento militare e guerriero (agogè) di Leonida. In realtà i futuri re non dovevano passare per l'agogè, ma Leonida era terzogenito [42] ed è possibile che non abbia goduto del privilegio. Nessuna fonte menziona la sua agogè, ma non ne esiste nemmeno una che escluda la cosa, perciò passiamo oltre.
In 300 il futuro sovrano supera una prova di iniziazione seminudo in mezzo alla neve, in una foresta, armato solo di un bastone affilato. Viene attaccato da un lupo e, in un'anticipazione di quello che farà alle Termopili, si ritira in un budello tra le rocce dove il lupo passa a malapena, e quando la fiera lo raggiunge egli la infilza e uccide.
Solo che l'iniziazione guerriera degli Spartani non avveniva a quel modo. Il rito di passaggio si chiamava krypteia e consisteva non nell'affrontare una bestia selvaggia disarmati, ma nell'uccidere a sangue freddo uno o più iloti inermi [43].
Qui cominciamo a vedere che, per dirla in ferrarese, a ghè quèl ac tragia. C'è qualcosa che "strascica", che stride.

this is madness2. I messaggeri gettati nel pozzo. Erodoto racconta questo aneddoto, nel settimo logos delle Storie, ma nel fumetto e nel film è molto, molto diverso. Vediamo re Leonida accogliere una delegazione persiana, guidata da quello che oggi si direbbe un advance man. Costui chiede a Sparta l'usuale tributo di sottomissione ("acqua e terra"). Per tutta risposta, il re spartano lo getta vivo in un pozzo profondissimo, e con lui tutta la delegazione. Un istante prima di morire il messaggero dice che "nessuno, né greco né persiano, minaccia un messaggero", e aggiunge: "Questa è empietà. Questa è follia". Leonida lancia un grido possente: "Follia? Questa è Sparta!", e con un calcio consegna il messaggero alla morte.
Risulta vero che messaggeri persiani furono gettati in un pozzo a Sparta, ma non lo fece Leonida in persona, e gli Spartani che si macchiarono di quel crimine attirarono sulla città la sventura, poiché i sacrifici compiuti nei giorni seguenti nel santuario di Taltibio ottennero responsi infausti sul futuro di Sparta e della Grecia.
La pòlis si fece un esame di coscienza e riconobbe che era stata un'azione disonorevole, così decise di riparare al torto mandando in Persia due Spartani da sacrificare, due vite in cambio di due vite. Furono scelti due spartiati, Buli e Spertia, che partirono verso la loro sorte [44].
Facendo compiere l'azione da Leonida in persona e ammantando di gloria una condotta vigliacca e riprovevole, Miller e Snyder non solo dissolvono la Storia, ma dicono che è giusto disumanizzare il nemico, inaugurando l'applicazione di un'altra strategia - di cui, però, ci occuperemo tra poco. Tempo al tempo.

3. Gli Efori e le feste Carnee. Leonida non partì con un sotterfugio: il suo drappello era inteso come un'avanguardia, l'armata avrebbe seguito le loro orme non appena terminate le Carnee [45]. A sentire Erodoto, poiché si prevedevano tempi più lunghi, si cercò di rispettare le Carnee ma al contempo di mandare avanti un'avanguardia. Non vi sono testimonianze che gli Efori si siano opposti al progetto di Leonida. Va anche detto che gli Efori, in 300 presentati come vecchiacci lebbrosi e orripilanti, avevano in realtà cariche elettive e il loro era un mandato annuale.

4. Gli Ateniesi (e tutti gli altri). Nel fumetto, e ancor più nel film, è all'opera una rimozione: quella degli Ateniesi e di molti degli alleati che combatterono (e morirono) alle Termopili al fianco degli Spartani. Partiamo dagli Ateniesi. Nella sequenza di cui al punto 2, quando il messo persiano chiede "acqua e terra", Leonida dice più o meno (cito a memoria): «Io so che Atene ha già rifiutato. E se quei filosofi, quei pederasti [boy-loving] hanno avuto questo coraggio...».
E' l'unico riferimento esplicito agli Ateniesi, da qui in avanti nel film gli Ateniesi scompaiono. Nel fumetto sono fatti oggetto di sparuti frizzi e lazzi.
Peccato però che i Persiani non abbiano subito la sconfitta decisiva dagli Spartani, bensì dagli Ateniesi, e ben due volte, in entrambe le guerre Persiane: la prima volta nel 490 a.C. a Maratona, la seconda volta due mesi dopo le Termopili, a Salamina, nella battaglia navale più importante dell'antichità. Nel fumetto e nel film, dopo la scena madre dell'eccidio alle Termopili, la narrazione salta avanti di un anno e troviamo Delio a Platea, luogo dell'ultima battaglia campale. Lo vediamo arringare un contingente di trentamila Greci guidati da diecimila Spartani. Nel film, allo spettatore non è dato sapere che se i Persiani sono già allo sbando, sconfitti in mare, è grazie alla lungimiranza e sapienza strategica di Temistocle e degli Ateniesi.
Chi prendesse per buona la ricostruzione di 300, concluderebbe che gli Spartani sconfissero la barbarie allogena, gli alieni ed i mostri dell'altra metà del mondo, prima da soli e poi alla guida di una "coalition of the willing", come quella che ha invaso l'Iraq.
EschiloNella tragedia I persiani di Eschilo, al verso 250, arriva alla corte persiana un messaggero, di ritorno dalla Grecia. Egli riferisce alla regina madre Atossa della sconfitta a Salamina, non risparmiandole alcun dettaglio, dopodiché giunge anche Serse, lacero ed esausto. Prima di questa scena, Atossa chiede al coro:

REGINA: Questo voglio sapere, amici: in quale parte della terra dicono si trovi Atene?
CORO: Lontano, verso occidente, dove tramonta il divino sole.
REGINA: E mio figlio [Serse, N.d.R.] aveva desiderio di catturare questa città?
CORO: Sì, perché così tutta la Grecia sarebbe divenuta suddita del re [46].


Le fonti sopravvissute sono tutte di parte ateniese e vanno prese cum grano salis, ma sono le uniche che abbiamo, e le stesse che ha consultato Frank Miller. Non possiamo fingere che non esistano.
Secondo tali fonti, prendere Atene era la pre-condizione per conquistare tutta l'Ellade. Qui Atene è centrale, Sparta periferica. Tuttavia, siccome sul piano allegorico di 300 gli Ateniesi sono gli Europei (intellettuali, sinistrorsi, imbelli, pacifisti, inaffidabili, e anche quando ti appoggiano un'invasione lo fanno tentennando), occorreva una "rivoluzione copernicana" della narrazione. E' così che Sparta diviene centrale, e Atene periferica.
Un anno prima delle Termopili, nel 481, le pòleis greche si incontrarono a Corinto, dove decisero di lasciar perdere le reciproche ostilità e unirsi per resistere all'invasione persiana. In 300 non se ne fa menzione alcuna, e sembra proprio che Leonida – con trecento persone – sia stato l'unico ad avere l'idea di scendere in campo e combattere contro Serse.
Nel fumetto e nel film si vedono gli Arcadi e si nominano i Focesi, e sembra che tutti scappino quando il gioco alle Termopili si fa duro. Non andò così. Erodoto racconta che nell'ultima battaglia morirono anche settecento Tespiani, che restarono a ricevere l'urto persiano fino all'ultimo, e morirono da eroi e martiri non meno degli Spartani [47]. In 300 i Tespiani non esistono, e il motivo è chiaro: la gloria finale e il martirio che rende immortali, a imperitura memoria presso i posteri, devono essere solo americani. D'altronde, Hollywood lo fa sempre: non si contano i film sulla seconda guerra mondiale in cui scompaiono gli alleati e gli Americani fanno tutto da soli. A volte, addirittura, si attribuiscono il merito di imprese non loro.

5. Serse. Nel fumetto e nel film, "Serse" è solo un nome applicato con un post-it a un personaggio ridicolo e bidimensionale che con il Serse descritto dalle fonti non ha davvero nulla a che fare, e non mi riferisco soltanto all'aspetto fisico.
È vero, anche in Erodoto e in Eschilo Serse pecca di hybris, cioè di arroganza, di superbia, quella superbia che porta a sfidare il mondo, gli dèi e il destino stesso. Tuttavia, il re persiano è un personaggio umano, sfaccettato, complesso. In Erodoto, Serse è pieno di dubbi e titubanze sull'invadere o meno l'Ellade, chiede continuamente conferme a chi gli sta accanto, e prima che il suo consigliere Mardonio lo convinca a muovere guerra, egli non ha tanta voglia di marciare contro i Greci, è infatti perseguitato da visioni, incubi, sogni ammonitori [48]. In Erodoto, Serse è comunque un essere umano, mentre in 300 è una specie di semi-demone checca dalla voce robotica. Una caricatura.

Il gobbo traditore6. Gli intrighi "parlamentari" a Sparta. Questa sottotrama è presente soltanto nel film. Mentre Leonida è alle Termopili, sul "fronte interno" la sua consorte Gorgo cerca di convincere il Consiglio (cioè il Congresso USA a nuova maggioranza democratica truffaldina e intrallazzatrice) a mandare i rinforzi. Le si replica che Leonida è empio, poiché non ha rispettato le Carnee. Abbiamo già spiegato come ciò non abbia alcuna attinenza con le fonti, e la rappresentazione del sistema politico spartano è alquanto fantasiosa. Oltre agli Efori, nel film il villain "domestico" è tale Terone, politicante identico al cantante Morgan (ex-Bluvertigo), che ovviamente è a libro paga dei Persiani.

7. Efialte. In 300, tutti i cattivi sono mostruosi e deformi. Mostri zannuti, giganti con lame al posto delle mani, vecchi ricoperti di piaghe e croste, e infine il gobbo traditore, Efialte.
Nelle fonti non ho trovato riferimenti alla deformità di Efialte. Perlomeno non di questo Efialte. Ve n'è un altro, ma è un personaggio mitologico, un gigante figlio di Poseidone e di Efimedea, e non c'entra niente.
Miller si inventa che Efialte sia uno Spartano nato deforme, ma scampato alla rupe del Taigeto perché i genitori lo portarono via dalla città. In realtà era un abitante della Malide, tradì i Greci semplicemente perché gli fu offerto un compenso, poi per paura scappò in Tessaglia. Nel frattempo gli fu messa una taglia sulla testa, e poco tempo dopo fu ucciso da un certo Atenade [49].
Trasformare Efialte in un mostro rancoroso introduce nel film un'apologia dell'eugenetica, nemmeno tanto implicita. La morale è: se questo deforme schifoso l'avessimo buttato giù dalla rupe appena nato, Leonida non sarebbe stato tradito alle Termopili.

Fine dell'elenco. Nessuno di questi dettagli è stato rimosso o cambiato a caso: le "licenze" vanno tutte in un'unica direzione.

***


de te fabula narraturLa seconda strategia è di ordine vocativo, nel senso che chiama il destinatario del messaggio e gli dice: "De te fabula narratur, lasciati dire chi devi odiare". Identificazione per contrapposizione all'altro (e spesso disumanizzazione dell'altro).
Coincide in parte con una figura retorica del mito identificata da Barthes, l'identificazione, in cui l'altro – l'estraneo alla nostra comunità di valori – diviene esotico, spettacolo, caricatura, infine puro oggetto.
Fateci caso: nel film il sostantivo "Spartani" è gridato in modo ossessivamente vocativo: "Spartani!" "Spartani!", "Spartani!". E' un modo per creare immedesimazione. Siete voi, audience americana, gli Spartani. Siete voi questi guerrieri, lasciatevi portare in guerra contro ogni laidume del mondo. Il campo persiano è mostrato come decadente luogo di orge, è tutta una danza dei sette veli, una partouze, un'ammucchiata, in un luogo che ricorda un sordido privé della nostra penisola. L'esotismo, difetto dell'occhio occidentale, è sempre descrizione di decadenze. Torniamo agli studi di Mosse sulla propaganda di guerra: il nemico è sempre decadente, lo è per definizione.

La parola "decadenza" apparteneva originariamente al lessico medico, e designava una deviazione dal tipo umano normale destinata a condurre progressivamente alla distruzione [...] La decadenza era l'esatto opposto della mascolinità; e in bocca a coloro che praticavano il culto della virilità (i quali vi ricorrevano spesso) la parola esprimeva una maledizione, e insieme una paura: la decadenza era naturalmente un tratto del nemico; ma se si falliva la vittoria, la nazione stessa rischiava di scivolare nella decadenza. La propaganda degli anni di guerra alimentava questa visione del nemico e delle proprie paure [50].

Mosse scrive anche: "Mentre in tempo di pace la caricatura era una normale forma di rappresentazione, in tempo di guerra il suo effetto divenne ipnotico" [51]. Serse, infatti, è un gigante muscoloso ed effeminato, le cui movenze devono suscitare nell'audience un misto di ilarità e ribrezzo.
E' tipico di questo genere di operazioni trasferire omosessualità e bisessualità nel campo avverso. La vicenda del precettore Gorgerino ci ricorda però che la bisessualità era un tratto distintivo del mondo greco, Sparta compresa, anzi, Sparta in special modo. [52]
Ritengo importante chiarire una cosa: i Greci non disumanizzavano i Persiani. Anzi, la particolarità del loro approccio consiste nell'averci raccontato le guerre persiane (non soltanto le due invasioni della Grecia, ma anche altri conflitti relativi a quell'impero) anche dal punto di vista del nemico, per giunta senza farne un puro oggetto. Come detto poc'anzi, ne I persiani (472 a.C., otto anni dopo le Termopili e Salamina) Eschilo rappresenta la corte Persiana mentre riceve la notizia della sconfitta a Salamina. Ed è quasi proverbiale il rispetto di Erodoto per tutti i nòmoi (le consuetudini e costumi dei popoli), compresi quelli persiani. E ricordiamo Senofonte, opere come la Ciropedia.
Noi siamo passati da quest'attenzione e da questo rispetto a una rappresentazione del nemico bestiale e reificante. Per noi il nemico è assoluto, i Greci appena usciti dalle guerre persiane ne avevano un'idea molto più relativa della nostra.

***


Un'altra strategia è l'inoculazione, così la chiama Barthes: "piccola inoculazione del male riconosciuto" [53]. Si ammettono alcuni mali del sistema per meglio farne l'apologia. A Sparta c'è corruzione, c'è irresolutezza, c'è Terone che intrallazza, e gli Efori che schiavizzano le ragazze e mettono i bastoni tra le ruote ai nostri eroi. Ma non è questa la vera essenza di Sparta: quella sopravvive nella Sparta degli eroi grazie al cui sacrificio il sistema si purga e si redime. Stiamo parlando dell'America, ovviamente. Land of Freedom, Home of the Brave.

***


EurasiaAbbiamo detto che il mito tecnicizzato non è una narrazione universale. Esso può rivolgersi soltanto a un particolare gruppo di umani. E' proprio ciò di cui oggi non abbiamo bisogno: non ci servono eroi tribali e localistici, miti che si rivolgano a gruppi angusti. Siamo preoccupati per le sorti dell'intero pianeta. Come diceva Joseph Campbell, abbiamo bisogno di mitologie planetarie di fratellanza. Al mito tecnicizzato che fabbrica odio, bisogna contrapporre l'apertura al mito che ci arriva spontaneamente. Una nuova fase di mitopoiesi, dare vita a narrazioni in grado di farci vivere meglio.
Europa era una ragazza asiatica, mediorientale, oggi la diremmo libanese. Figlia di Agenore, sovrano di Tiro e Sidone. Una notte Europa sognò di essere contesa tra due donne che lottavano per stabilire chi l'avrebbe portata con sé. La ragazza restava a guardare. Riconobbe una delle due donne, poiché aveva tratti familiari, sembrava una donna del suo popolo. Quella donna è l'Asia. L'altra era una straniera mai vista prima. Quest'ultima aveva la meglio: afferrava Europa e la trascinava via. Ciò avveniva nel nome di Zeus, diceva. Europa si destò nella sua stanza del palazzo reale. Sorto il sole, raggiunse le sue amiche sulla spiaggia di Sidone. Ad un tratto arrivò un toro bianco, si avvicinò a Europa e iniziò a farle delle moine. Un toro bianco e profumato. Si chinò, le offrì la groppa. Europa salì e il toro iniziò a correre verso il mare. Quel toro che s'immerse nell'acqua era Zeus, e nuotò con la ragazza sulla schiena finché non arrivò all'isola di Creta, l'isola dove inizia la nostra civiltà. Europa, infatti, è la madre di Minosse, il grande re di Creta vissuto, si dice, tre secoli prima della guerra di Troia. Il toro bianco è lo stesso che troviamo nelle costellazioni: è il Toro dello zodiaco.
L'Europa è figlia dell'Asia. Ce lo racconta la mitologia, ce lo confermano la linguistica e la storia. Noi civiltà europea non saremmo qui senza l'apporto asiatico, non sarebbero qui le parole che usiamo, non sarebbe qui il Dio che la maggior parte di noi prega o insulta. In Asia Minore e ancor più in là, nell'area turanica e in India, là sono le nostre origini.
Ancora: noi umani, nessuno escluso, veniamo dall'Africa. Lo dice la genetica delle popolazioni, lo dimostrano le ricerche sul mitocondrio.
Europa, Asia, Africa. I destini di questi tre continenti sono da sempre indissolubili. Questo vecchio mondo, come veniamo chiamati. Un mondo che vive dentro di noi grazie al mito. Da qui possono generarsi le narrazioni universali che facciano da contrappeso all'odio. Dobbiamo essere disponibili ad ascoltare quel che emerge da quel passato, come dal mito di Europa emerge che siamo figli dell'Asia. E' certamente un terreno più fertile di quello degli scontri tra Civiltà, tra occidente e resto del mondo, tra USA e resto dell'occidente e così via.
Noi non siamo alle Termopili e nemmeno nel braccio di mare tra Atene e Salamina. È vero, dobbiamo combattere il fanatismo, ma dobbiamo farlo su entrambe le sponde del Bosforo, di qua e di là dall'Ellesponto. Questo implica la lotta anche contro il nostro fanatismo, il fanatismo di film come 300, non soltanto quello espresso da altre culture. E quando combattiamo quello altrui, la prima cosa da fare è non disumanizzare le popolazioni che per prime lo subiscono.
E' questa la sfida che ci lancia 300: prendere le emozioni che il film ci costringe a provare ("Come se dietro la poltroncina del cinema qualcuno ti stesse girando la molla esattamente all'altezza del midollo"), riflettere su tali emozioni e poi capovolgerle, usarle per uscire dalla logica della guerra globale.

Chiudo con un'altra frase di Carandini: "Serve un'educazione pubblica che non regali l'intero patrimonio emozionale al demagogo".
Di fronte a noi c'è il demagogo. Raccogliamo la sfida.

NOTE

1. Roberto Saviano, "Spartani di George Bush", L'Espresso, 26/03/2007.

2. Joseph Campbell, Il potere del mito, TEA, Milano 1994, pag. 39.

3. Stefano Disegni, "300!", http://www.stefanodisegni.it/Vignette.aspx?comicID=324

4. Erik Davis, "Berlinale Update: 300 Screens to Chorus of Boos in Berlin", cinematical.com, 14/02/2007.

5. Episodio riportato dallo scrittore Gianni Biondillo sul blog Lipperatura, maggio 2007.

6. Testimonianza firmata "The Scyther", trovata sul newsgroup it.arti.cinema, aprile 2007.

7. Cfr. Joseph Campbell, Erotic Irony and Mythic Forms in the Art of Thomas Mann, Robert Briggs Associates, Mill Valley, 1991.

8. Parafrasi di Furio Jesi, da: Letteratura e mito, Einaudi, Torino, 1981, pag. 19.

9. Frank Miller, negli anni passati, ha spesso rivendicato un approccio impetuoso e viscerale al proprio lavoro. Ha dichiarato di scrivere/disegnare quasi in trance, "senza pensarci". Le sue storie, a suo dire, vanno avanti per "forza di inerzia". Secondo il già citato Joseph Campbell, l'artista dovrebbe avere il senso di responsabilità di uno sciamano che officia un rituale, mentre in Miller l'approccio è guerriero: «il bianchetto me lo passo anche in faccia, è una specie di danza di guerra» (in: Eisner/Miller, Conversazione sul fumetto, Kappa Edizioni, Bologna, pagg. 20, 24, 71 e 74).

10. Jonah Weiland, "300 Post-Game: One on One with Zack Snyder", Comic Book Resources, 14/03/2007.

11. Messaggio a firma "Huncke Zanardy" lasciato sul newsgroup it.arti.cinema, aprile 2007.

12. Messaggio a firma "Sider" lasciato nel forum hwupgrade.it, maggio 2007.

13. Messaggio anonimo lasciato sul sito news.kataweb.it, marzo 2007.

14. Stefano Perosino, "Ancora su 300 e la mancanza di trasparenza dello sguardo", da sentieriselvaggi.it, 17/04/2007, corsivo mio.

15. Messaggio a firma "peppone" lasciato su cineblog.it, maggio 2007.

16. Cfr. Slavoi Zizek, "The True Hollywood Left", http://www.lacan.com/zizhollywood.htm

17. Messaggio anonimo lasciato sul blog leonardo.blogspot.com, maggio 2007.

18. David Kahane, "300 Shocker: Hollywood Takes a Detour to Reality", National Review, 12/03/2007. La stessa cosa la scrive Rebirth of Reason, sito di destra (ayn-randita) americano: "300 presents heroes without doubt or apology. There are no anti-heroes to be found, none just going through the motions, no muddled or conflicted ‘heroes' succumbing to this or that weakness or folly. The rhetoric of Leonidas and others inspire, touting reason, freedom, and deriding the mysticism not only of the East but of the Greek's own gods and Oracle. Their confidence is unshaken, resolve unrelenting, and words matched by actions to the last stand. Not just imagery, not just presentation, but heroism and sense of life make this film awesome." (Aaron, rebirthofreason.com, 13/03/2007)

19. Cit. in: Tony Kashani, "300: Proto-Fascism and the Manifacturing of Complicity", in www.dissidentvoice.org, 05/04/2007.

20. Ibidem

21. Poco prima aveva dichiarato: "We're constantly told all cultures are equal, and every belief system is as good as the next. And generally that America was to be known for its flaws rather than its virtues. When you think about what Americans accomplished, building these amazing cities, and all the good its done in the world, it's kind of disheartening to hear so much hatred of America, not just from abroad, but internally." (Ibidem) Forse se Miller avesse mostrato una minima curiosità per le altre culture, avrebbe evitato strafalcioni come quello appena riportato.

22. Rapporto del 22 luglio 2004, http://www.9-11commission.gov/

23. Geoff Boucher, "Revenge of the Dark Knight", Los Angeles Times, 29 aprile 2007.

24. Cfr. Roland Barthes, Miti d'oggi, Einaudi, Torino 2007.

25. Interessante l'annuncio che Zack Snyder sta per realizzare il film ispirato al fumetto Watchmen, capolavoro delle graphic novels dove ogni personaggio è ricco di sfumature e la distinzione tra Bene e Male è talmente vaga da dare le vertigini.

26. Quintiliano, Institutio oratoria, liber octavus, caput VI, 44.

27. Così scriveva Alberto Crespi su "L'Unità" del 23 marzo 2007: "per la cronaca, dovrebbe essere arcinoto ma è sempre meglio dirlo, nel 480 a.C. l'Islam non esisteva: Maometto sarebbe nato più di 1000 anni dopo".

28. Joseph Campbell, op. cit. pag. 81.

29. Trattasi di elefanti da guerra (che però nessun Europeo si trovò a fronteggiare prima della Battaglia di Gaugamela tra l'esercito di Alessandro e quello di Dario III, 331 a.C.) e di... un rinoceronte corazzato.

30. La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1815-1933), Il Mulino, Bologna, 1975; Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti (Laterza, Roma-Bari, 1990); L'uomo e le masse nelle ideologie nazionaliste (Laterza, Roma-Bari, 1999).

31. Mosse, Le guerre mondiali, cit., pag. 84.

32. Andrea Camilleri, La presa di Macallè, Sellerio, Palermo, 2003, pag. 89.

33. Eisner-Miller, cit., pag. 116. In un passaggio in cui Eisner e Miller esprimono ammirazione per autori ed editori che abbiano una "comprensione viscerale" nei confronti del lettore e "scrivano per il pubblico", Miller afferma: "Il modo migliore in cui sono mai riuscito a descriverlo è questo: c'è un momento nella tua vita, più o meno quando hai quattordici anni, in cui tiri fuori il coltellino e incidi una svastica sul banco di scuola."

34. Leonardo, "Fascisti da Sparta: corso di martirio illustrato", 27 marzo 2007, http://leonardo.blogspot.com/2007/03/fascisti-da-sparta.html

35. L'edizione italiana del ciclo di Martha Washington è pubblicata dalle edizioni Magic Press.

36. Mentre scrivo è imminente l'uscita in America del capitolo finale, Martha Washington Dies.

37. Quest'ultimo condivide con il ciclo di Martha Washington il disegnatore Dave Gibbons.


38. Cfr. il saggio "Mito e linguaggio della collettività", in: Furio Jesi, op. cit., pagg.33-44
.

39. Andrea Carandini, Archeologia del mito. Emozione e ragione fra primitivi e moderni, Einaudi, Torino, 2002, pag. 9
.

40. "Tutti i nodi furono tagliati dalla nostra spada lucente e la vittoria africana resta nella storia della patria, integra e pura, come i legionari caduti e superstiti la sognavano e la volevano. L'Italia ha finalmente il suo impero. Impero fascista, perché porta i segni indistruttibili della volontà e della potenza del Littorio romano, perché questa è la meta verso la quale durante quattordici anni furono sollecitate le energie prorompenti e disciplinate delle giovani, gagliarde generazioni italiane [...] Il popolo italiano ha creato col suo sangue l'impero. Lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi. In questa certezza suprema, levate in alto, o legionari, le insegne, il ferro e i cuori, a salutare, dopo quindici secoli, la riapparizione dell'impero sui colli fatali di Roma." Benito Mussolini, Discorso sulla proclamazione dell'Impero, 9 maggio 1936.

41. Jonathan Foreman, "The Nazis, er, the Redcoats are coming", su Salon.com, 03/07/2000.

42. Erodoto, Storie, VII, 204-205.


43. Plutarco, Vite parallele, Vita di Licurgo, 28, 3-7.

44. Erodoto, cit., VII, 133-137.

45. Ibidem, VII, 206.

46. Eschilo, I Persiani, vv. 230-234.

47. Erodoto, cit., VII, 222-228.

48. Ibidem, VII, 5-19.

49. Erodoto, cit., VII, 213-214.

50. G. Mosse, Le guerre mondiali, cit., pag. 70.

51. Ibidem, pag.190.

52. In 300, il transfert sul nemico di "difetti" propri è evidente anche in altre circostanze: i Persiani sono qualificati come "vigliacchi" perché combattono da lontano, grazie alle frecce. Tuttavia, sono gli Stati Uniti a fare la guerra dall'aria, "Shock And Awe", bombardamenti strategici da diecimila metri d'altezza, al riparo dalle contraeree nemiche. Bombardamenti spesso condotti da UAV, Unmanned Aerial Vehicles, aeroplani senza pilota comandati a distanza, come il Global Hawk, impiegato dall'aviazione USA in decine di missioni dal 2001 in avanti.

53. R. Barthes, cit., pp.230-231.


Sei sul sito ufficiale di Wu Ming, in una pagina della sezione "Archivi tematici", sotto-sezione "Cultura pop".
back home
Home
page in italiano
outtakes
Prima pagina "Cultura pop"
Wu Ming - A Band of Writers
Chi siamo - pagina biografica
XML feed in English
feed en
XML feed in Spanish
feed es
XML feed in Italian
feed it
XML feed in Portuguese
feed pt
Creative Commons LicenseSalvo diverse indicazioni, il contenuto di wumingfoundation.com è pubblicato con licenza Creative Commons "Attribuzione - Non Commerciale - Condividi allo stesso modo 2.5". Se ne consente la riproduzione, diffusione, esposizione al pubblico e rappresentazione, purché non a fini commerciali o di lucro, e a condizione che siano citati l'autore e il contesto di provenienza. E' consentito trarre opere derivate, per le quali varranno le condizioni di cui sopra.