A proposito di Havana Glam (di Wu Ming 5)

di Girolamo De Michele (*)

 

La prima cosa che colpisce di questo libro è il particolare senso di temporalità sospesa che, soprattutto nella prima parte e nelle pagine finali, spiazza il lettore. Se è concesso un paragone nobile, sembra di trovarsi dentro una storia di Will Eisner: c'è un tempo ritmato dal succedersi degli eventi, che va da un prima a un poi (il tempo narrativo), che scorre all'interno di un secondo tempo (il tempo percepito); ma accade che questo secondo tempo dia l'impressione - merito dell'autore, ovviamente - di non scorrere. Il tempo dell'eternità, che non passa da un prima a un poi, ma resta lì. E poi c'è il tempo continuamente alterato dalle incursioni temporali dei personaggi che vengono dal futuro o da un'altra storia (come chiamarlo? Tempo dell'intempestività? Il tempo a-logico dell'inconscio?), e perturbano il ritmico succedersi del prima-e-poi. A me ha affascinato questo tempo immobile, perché vi ho ritrovato molte vecchie (ma non per questo passate) passioni, a partire dal buddhismo zen di Huang Po (nume tutelare di quel gioiello che era Opzioni di Sheckley: è un caso?). E al tempo stesso ho temuto di trovare, prima o poi (come in un bel film irrimediabilmente rovinato dall'etichetta del Whiskey o dalla marca di sigarette in primo piano), una tirata teorica sull'essere, il non-essere e il buddhismo (tipo quella scritta in un recente Giap: ma quella era la sede adatta): merito di WM5 essersi trattenuto dal farlo. E non certo perché non condivida l'idea che il reale è fatto di relazioni, e non di oggetti: ma in un romanzo questo deve emergere dall'interazione tra l'autore e il lettore. Di narratori onniscienti, e soprattutto di narratori saccenti, non se ne sente più il bisogno.

Dopo di che un patito della citazione come me si è goduto la schiera di cammei che si intersecano nella trama e ne costituiscono la struttura portante, sotto forma di fanta-storia. Altro dato non secondario: l'estrema franchezza con cui viene raccontata, seppure in una chiave alternativa, la situazione cubana, della quale raramente si riesce a leggere qualcosa che non sia già in partenza schierato in un bipolarismo ipocrita (da ambo le parti), o sorretto da un desiderio di abiure e/o di intransigenze dure-e-pure.

Aggiungo qualcos'altro, di più generale. Questa sorta di genere che non saprei come definire (non che ci passi le notti a pensarci, del resto), se post-moderno o no (per me il post-moderno è tutto ciò che ha una qualche parentela con Calvino, ed è privo di quello sperimentalismo fine a se stesso tipo Pynchon), che si interseca con la fantascienza e la fantastoria, ha una stretta parentela con l'uso del giallo (spesso del noir) alla Ellroy o alla Didier Daeninckx, e che da noi sta prendendo piede (senza offendere nessuno né per le assenze né per le presenze, da Lucarelli a De Cataldo, passando per Valpreda ecc. ecc.) merita una riflessione. A me sembra di poterlo provocatoriamente chiamare "romanzo neorealista", in un duplice senso, letterario e politico. Letterario: Deleuze ha capito molto bene come l'essenza del cinema neorealista italiano fosse tutto l'opposto del realismo. Lì, come nei libri di cui sto parlando, il reale viene smontato e ricostruito, attraverso un'operazione di puro costruttivismo che dimostra come il reale non sia un dato, ma una costruzione. Politico: attraverso questo operazione di decostruzione/ricostruzione si riesce ad essere più realisti del re, perché si gettano al lettore spunti per la ricostruzione di quel reale che il re e i suoi sciocchi servi continuamente ammantano di latte e miele, di oblio e di noia (la Marsiglia allucinata di Izzo è più realistica di una guida turistica, e ci senti dentro il cronista di nera). Da questo punto di vista, se da un lato Ellroy dimostra come si possa (perché si deve) parlare proprio di ciò di cui non si può parlare, Daeninckx, col suo Meurtres pour mémoire, ha raggiunto un obiettivo impensato per un giallo (credo in seguito replicato da Tabucchi, ma non l'ho letto): sollevare il velo su un crimine (il massacro di centinaia di immigrati algerini a Parigi da parte della polizia di Papon) realmente accaduto, e far riaprire le indagini a suo tempo insabbiate. Moltiplicare i tentativi e gli approcci, da Luther Blissett a Wu Ming, da Lucarelli a Evangelisti a Carlotto, serve ad affilare gli strumenti, e ad avvicinarsi, a piccoli passi, al momento in cui qualcuno riuscirà a sollevare non un lembo, ma l'intero tappeto. Da questo punto di vista, ben vengano i romanzi ben fatti (Havana Glam dice, tra le righe, qualcosa di importante sulle atomiche di Hiroshima e Nagasaki), e ben vengano anche i tentativi letterariamente più deboli, da Sbancor a Tassinari.


(*) Girolamo De Michele è autore di Tiri mancini. Walter Benjamin e la critica italiana (Mimesis, 2000), Felicitą e storia (Quodlibet, Macerata 2001), e numerose voci filosofiche dell'enciclopedia multimediale Encyclomedia e di diversi saggi sul pensiero filosofico contemporaneo. E' anche co-autore (assieme a Umberto Eco) di una storia del concetto di Bellezza in CD-Rom (Opera Multimedia). Ha curato un volume su Deleuze («Gilles Deleuze. Una piccola officina di concetti», Discipline filosofiche 1, 1998), l'edizione italiana di Michael Hardt, Gilles Deleuze, Un apprendistato in filosofia (a/change, 2000) e un inedito di Člie Wiesel («La memoria e l'oblio», in arcipelago. 4, 1999).
Nei primi mesi del 2004 Einaudi Stile Libero darà alle stampe il suo primo romanzo, Tre uomini paradossali, segnalato alla casa editrice dal gruppo di lettori-giapsters I Quindici.

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