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Giap 2006
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Quasi/giap - C'e' modo e modo di andare in America - 3 marzo 2006

0. Free Karma Food - Una sezione speciale e un web magazine dedicato
1. C'è modo e modo di andare in America
2. 1954. Un racconto, una coincidenza - di Luca Pettinelli
3. "Permesso d'autore". Interviste sull'uso del copyleft in Italia (Stampa Alternativa)


FREE KARMA FOOD

"Per girare questo film servirebbero 28 limo nere, 13 tonnellate di sostanze di sintesi, un drago cinese, un furgoncino per le consegne della macelleria, sette miliardi di comparse. Servirebbe macellare 1.000.000 bovini, 1.000.000.000 polli, un numero non quantificabile di esseri umani. Per fortuna, è solo un libro. Per ora."

"L'aviaria? Tsk. Non avete ancora visto un cazzo."

Tra pochi giorni va on line la sezione del sito dedicata all'ultimo romanzo di WM5 (in libreria il 22 marzo).
Oltre alle cose "normali" (scheda del libro, anteprime, rassegna-stampa etc.), troverete:
- un racconto "spin-off" adiacente al romanzo;
- una lunga intervista a WM5;
- interventi d'autore;
- le "recensioni che vorremmo": apocrifi firmati da pezzi grossi del giornalismo nostrano, vivi, vivacchianti o notoriamente defunti (condizione che inficia non poco la loro prosa, che in alcuni casi ci appare putrefatta);
- voci dall'oltretomba (non le stesse di cui sopra).
Tutto ciò in un vero e proprio magazine.
In via del tutto eccessionale, questa parte del sito l'ha realizzata, collaborando con noi, un designer esterno al collettivo. Designer sui generis. Ne riconoscerete lo stile.
Tra pochi giorni.
Intanto, qui potete vedere il pdf con copertina, quarta di copertina, bandelle etc.




C'E' MODO E MODO DI ANDARE IN AMERICA

Quando Q fu pubblicato in America, i pre-recensori ostentarono disprezzo.
Cosa sono i pre-recensori? Sono quelli che, di mestiere, leggono i libri prima che escano. Li leggono a cottimo ed esprimono giudizi a gragnuola, in piccole schede che poi finiranno (se positivi i giudizi) in quarta di copertina, oppure (positivi o negativi che siano) sulle pagine di Amazon, dello store di Barnes & Noble etc.

I due organi di pre-critica più influenti sono Publishers Weekly e Kirkus Reviews.
A proposito di Q, il primo scrisse:
"La vivida storia delle religioni si trasforma in narrativa tronfia e tediosa in questo romanzo epico sulla Riforma, scritto da quattro anonimi che si nascondono dietro uno pseudonimo".
Niente male, eh? Ed è solo la prima frase. L'ultima era anche meglio:
"Grandi quantità di dati storici vengono gettate qua e là, ma il periodare è legnoso e la storia non prende mai piede né spinge il lettore ad andare avanti."

E cosa scrisse Kirkus Reviews?
"Che modesto intrattenimento, trascorrere ore a mettere in fila gli anacronismi, una volta finito il gioco del chi-ha-scritto-cosa".
Va bene, grazie.

Tutti, dal primo all'ultimo, si lamentarono delle "parolacce", a loro avviso anacronistiche. A tale insensata osservazione rispondemmo qui.

[A proposito di parolacce: un tizio di Springville, Utah, che si firma col nomignolo "NeverSurrender", scrisse un commento interessante sulla pagina Amazon del romanzo , sotto il titolo: "Horrible!".
"Non sapevo che la parola f**** fosse così diffusa nella Germania del diciassettesimo secolo. Anche perché fu coniata solo nel diciottesimo secolo, in Inghilterra. Questo per quel che riguarda l'accuratezza storica. Non sono riuscito ad andare oltre il primo capitolo, perché questo libro è offensivo in modo stridente."

Ehm...

Prima di tutto, il romanzo si svolge nel sedicesimo secolo, non nel diciassettesimo. In secondo luogo, la parola "fuck" ha origine sassone-germanica e nasce molto, molto prima del Settecento. Tant'è che è inclusa in un dizionario inglese del 1598.
Terzo, anche se quel che scrive il tipo fosse vero, il ragionamento rimarrebbe assurdo. In Germania si parla il tedesco, non l'inglese. Il testo inglese è una "traduzione". Anche il testo originale italiano era una traduzione: la traduzione di un originale tedesco mai scritto. La parola f**** pronunciata dai personaggi è in realtà "ficken", di uso comune nel sedicesimo secolo, proprio come "fottere" in italiano (fa fede, tra tanti, l'Aretino) e "foutre" in francese (dal latino "futuere" e dal greco "phiteyo", letteralmente "piantare", e figuratamente "generare", "dare origine").
Quarto, nel primo capitolo di Q non compaiono parolacce.]

Ok, questo era il passato. Il romanzo era troppo europeo, lo sapevamo. Le vendite non andarono affatto male, tenuto conto dell'accoglienza.

Passiamo a 54. Questo romanzo è forse "europeo" quanto lo era Q? Non lo sappiamo. A naso, diremmo di no. Quel che è certo è che verrà pubblicato negli States a luglio... e, d'un tratto, i pre-recensori ci amano!

Ecco cosa scrive Kirkus nell'anteprima uscite primavera-estate 2006:
"L'anonimo gruppo di scrittori italiani che ci ha dato Q, intrigante romanzo epico sulla riforma, è tornato con un nuovo capitolo del suo misterioso progetto. L'enigma comincia con l'identità dell'autore, anzi, con le identità degli autori. Il loro primo pseudonimo, Luther Blissett, col quale pubblicarono Q, era un tributo a un calciatore giamaicano che nella sua carriera aveva subito insulti razzisti. Gli autori hanno cambiato il loro nome collettivo in Wu Ming, che in cinese significa 'nessun nome', e il loro secondo progetto è una veloce, cinematografica avventura in epoca di guerra fredda, con protagonista Cary Grant e un boss napoletano dell'eroina e degli ippodromi [Ehm... Si tratta di Lucky Luciano]. Muovendosi rapidamente da una città glamorous all'altra [?], 54 coniuga con perizia la suspence di un thriller e l'astuto commento sociale. 'C'è il glamour, c'è la guerra fredda e c'è Cary Grant. Che altro può chiedere un lettore", dice Jennifer Gilmore, direttrice dell'ufficio PR. 'E' anche accessibile, divertente e commerciale.'"

Ed ecco la scheda di Publishers Weekly:
"La crisi di mezz'età di Cary Grant, la fondazione del KGB e gli anni napoletani del mafioso Lucky Luciano sono solo tre delle sotto-trame intrecciate in questo denso, gioco e sempre sorprendente behemoth letterario, ambientato principalmente nell'anno da cui prende il titolo, al culmine della guerra fredda. Ad ancorare il racconto con una storia relativamente convenzionale c'è un giovane bolognese di nome Robespierre (Pierre), che s'imbarca per un'odissea transcontinentale in cerca di suo padre, Vittorio Capponi, ex-seguace di Mussolini [?] che ha lasciato l'esercito italiano per unirsi ai comunisti jugoslavi. Nel frattempo, il servizio segreto britannico MI6 contatta Cary Grant (la cui carriera è in fase di stallo) con una proposta bizzarra: interpretare il leader jugoslavo Tito [?] in un film biografico di propaganda.
Pare impossibile che la moltitudine di storie e di fili narrativi possano convergere, eppure lo fanno magnificamente. Accade in Jugoslavia, dove Grant incontra Tito, Pierre incontra suo padre, e l'autista di Luciano Steve 'Cemento' Zollo s'invischia con il KGB [?], che sta per fare un grosso colpo. L'ultimo sforzo congiunto (dopo il romanzo Q) di Wu Ming - un collettivo di cinque intellettuali italiani che si sono chiamati "anonimo" in mandarino - offre all'amante di rompicapi intrattenimento complicato unito a commenti sulla nostra società"

Non poche imprecisioni, ma stavolta la prima e l'ultima frase non sono male. Boh. Staremo a vedere che succede.
Chiaramente, non vediamo l'ora di leggere il parere di NeverSurrender sul primo capitolo, il quale - come ben sapete - è offensivo in modo stridente. Contiene, infatti, la parola c********.



[Abbiamo messo sul sito un racconto intitolato "1954", scritto sette anni or sono dall'anconetano Luca Pettinelli. Di seguito, la premessa dell'autore, dove si spiega perché lo abbiamo pubblicato.]

1954: UN RACCONTO, UNA COINCIDENZA

di Luca Pettinelli

Mi è stato giustamente (e, aggiungo, cortesemente) chiesto di redigere una nota introduttiva al racconto per dare conto in qualche modo della sua genesi e delle motivazioni che mi hanno spinto a scriverlo.
Dato che non sono uno scrittore affermato con un pubblico dotato di aspettative, non credo di deludere nessuno dicendo la pura e semplice verità e cioè che non so perché l'ho scritto. Giusto o sbagliato che sia, nella mia testa è nato così come lo leggete, come un bambino che venga al mondo già con baffi, basette, jeans e camicia.
D'altronde però, come per altre mie cose, ricordo abbastanza bene il momento in cui l'idea si affacciò e i sentimenti che devono aver contribuito al suo formarsi. Questo per dire che probabilmente niente è privo di una spiegazione ma quelle che leggerete qui sono state dedotte in seguito.
Correva l'autunno del 1999. Era sera, si fumava, parlava e beveva fuori da un locale del centro approfittando degli ultimi avanzi di calore nell'aria. Dall'altra parte della strada incombeva un palazzone umbertino di proprietà di qualche ente pubblico, un fabbricato di quattro piani in disuso almeno da quando ho memoria di me. Senza quasi accorgermene mi estraniavo dalle chiacchiere che si accatastavano pigre e inconsistenti una sull'altra e tentavo di attribuire un significato qualsiasi a quel monumento al degrado. Immaginavo vite lontane animare le stanze e i corridoi nascosti dietro le imposte ormai corrose, passi leggeri di ragazze varcare i battenti del portone oggi malamente accostati e mantenuti chiusi da un catenaccio arrugginito, parole, gesti, gioie e dolori di un'umanità che per decenni doveva essersi mossa là dentro senza poter prevedere che di loro non sarebbe rimasta traccia se non nell'immaginazione (per la verità un po' fomentata dal whisky) di uno che in quel momento non aveva di meglio da fare. Un attimo dopo avevo in mente la storia: potevo vedere questo ragazzo di tanti anni prima fuori da una sala da ballo, un ventenne come avrebbe potuto essere allora mio padre, fermo su quello stesso marciapede con la sigaretta tra le dita a chiedersi se tra dieci anni sarebbe stato ancora lì a fare le stesse cose o se la vita gli avrebbe riservato qualcosa di diverso.
A parte alcuni cugini di una nonna partiti per le varie americhe agli inizi del secolo, non ho precedenti di emigrazione in famiglia. Più che un pur ovvio desiderio di maggiore benessere economico, la scelta del giovane protagonista di raggiungere il fratello in Svizzera ha un valore simbolico di recisione netta dei legami affettivi, un voler ricominciare da capo in un posto che non si conosce e dove non si è conosciuti come se questo potesse tirare una riga su un passato per lo più oscillante tra noia e dolore. Anni dopo ho capito che forse la sua partenza cercava di compensare il mio ritorno nella provincia sonnolenta dopo una estenuante e improduttiva stagione di studi universitari in una grande città. "Vattene" ci dicevamo l'uno con l'altro io e la mia creatura "Qui non c'è più niente per te". Lui alla fine parte, io invece sono rimasto.
Chi mi ha invitato a scrivere queste righe ha giustamente trovato curioso che nel 1999 vari cervelli stessero elaborando contemporaneamente l'idea di una narrazione ambientata nel 1954, ma se la scelta dei Wu Ming è stata dettata dall'esigenza di plasmare le vicende dei protagonisti sulla storia di quegli anni, la mia è stata, più semplicemente, in parte funzionale e in parte estetica. Funzionale perché mi serviva un periodo che giustificasse la giovane età del protagonista rispetto al suo essere ancora un bambino al momento della scomparsa del padre in guerra, estetica perché, per qualche motivo insondabile, pronunciare "1954" pareva riempirmi la bocca più di altri anni in quei dintorni.
Chi ha avuto la pazienza di arrivare fin qui avrà cominciato a chiedersi: "Ma perché il racconto di questo tizio appare qui sopra?". Il racconto venne pubblicato, se così si può dire, nel 1999 sul gruppo di discussione it.arti.scrivere e là è rimasto sepolto in pace finché, circa un mese fa, ho acquistato una copia di "54". Mano a mano che avanzavo nella lettura prendeva piede in me l'idea frivola che qualcuno degli autori, sapendoli frequentatori della letteratura telematica, avesse tratto ispirazione del mio racconto per tratteggiare alcuni dei caratteri di Robespierre, il protagonista di "54". Giovane, di umili origini, grande appassionato di ballo, cresciuto senza padre. Pochi giorni fa la curiosità mi ha spinto a scrivere ai Wu Ming per ricevere una eventuale conferma del mio sospetto e mi è stato risposto cordialmente che no, non c'era alcun legame dato che nessuno di loro al tempo era al corrente del mio racconto. Chi mi ha risposto mi ha fatto inoltre notare, e a ragione, che nel 1954 essere spiantati, senza padre e appassionati di ballo non era certo appannaggio esclusivo di pochi (s)fortunati e che basta andarsi a leggere la genesi del romanzo per capire che si è trattato di una pura e semplice coincidenza. Va da sé che Il mio minuscolo e sconosciuto "1954" non può in alcun modo essere paragonato a "54", resta però la sensazione che entrambi abbiamo più o meno consciamente fatto riferimento a un periodo della nostra storia in cui un'Italia in macerie cercava faticosamente di rifarsi una verginità. E' in questo quadro che vivono e si muovono due giovani neanche troppo sottilmente simili. Sia il mio ballerino che quello dei Wu Ming sentono che la realtà così com'è non gli basta, che nessuna chiacchiera da bar o da balera riuscirà a dare conto di ciò che sentono agitarsi dentro, che la vita non finisce alle soglie del quartiere, che ballando e nient'altro passeranno settimane, mesi, anni e tutto resterà come prima. Non conosco personalmente i Wu Ming e quindi non mi azzardo a formulare ipotesi sui loro caratteri personali, quel che è certo è che sia nel mio protagonista che nel loro Robespierre ho avvertito queste caratteristiche che, almeno nel mio caso, raccontano piuttosto fedelmente il mio sentire di ormai sette anni fa e, credo, quello di molti altri ai quali l'adagiarsi nel ventre materno delle consuetudini e la saggezza pigra e immobile da detto popolare non sono mai bastati e probabilmente mai basteranno. Se è vero che i personaggi rispecchiano almeno in parte la personalità dei loro creatori e se il mio protagonista e Robespierre un po' si somigliano, mi arrischio ad affermare che forse anche io e i Wu Ming qualcosa in comune dovremmo averlo. In caso contrario mi riuscirebbe difficile darmi conto della similitudine tra le due intuizioni e questo voler parlare (anche) di noi e di oggi attraverso un passato che troppo spesso si vuol far passare per remoto.
Ringrazio i Wu Ming per avermi dato la possibilità di spiegare l'equivoco e di presentare il racconto su queste pagine. Spero che piaccia anche solo una frazione del romanzo di cui è curiosamente coevo e omonimo.

Luca Pettinelli, Ancona, 13/02/2006



PERMESSO D'AUTORE

Pubblicato da "Libera Cultura" di Stampa Alternativa, esce con licenza Creative Commons il libro Permesso d'Autore, un viaggio tra gruppi informali, associazioni e aziende che fanno della propria professionalità strumenti per veicolare informazioni. Specificamente dedicato alla scena italiana, il libro si articola in capitoli-schede dedicati ad alcune di queste realtà sottolineando motivazioni di partenza, risultati raggiunti, consolidamento di network, strumenti software. E lo fa dando voce ai diretti protagonisti di questo genere di produzione culturale. Protagonisti accomunati dalla scelta delle licenze Creative Commons o della nota del copyleft letterario in modo che i contenuti siano quanto meno liberamente riproducibili.

A presentarsi, nelle pagine di Permesso d’Autore, sono Wu Ming, iQuindici, PeaceLink, il progetto F1rst, IlariaAlpi.it, Libera Cultura, Politica Online, Vita.it e l’Associazione Nazionale Infermieri di Area Critica. Inoltre un bookmark finale traccia una linea di partenza per chi voglia intraprendere un viaggio autonomo nel mondo della libertà di cultura che parla italiano. Il libro vuole inoltre aprire la strada per un cantiere in costruzione, attraverso il relativo sito Permessodautore.it, dove altri produttori di cultura libera potranno proseguire ed estendere la linea tracciata dall’autrice.

Antonella Beccaria, "Permesso d’Autore: percorsi per la produzione di cultura libera", 2006

Il testo integrale viene diffuso in tre formati: HTML, SXW (OpenOffice.org) e PDF:

- File PDF (1010KB)

- File HTML (290KB)

- File SXW (81KB)


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