Breed's Hill - Immagine di Claudio Madella - clicca per ingrandireGiap #7, VIIIa serie - Fare come in Inghilterra, ma cosa? - 5 febbraio 2007


00a. Preambolo: verso Manituana (e manituana.com)
00b. Il pazzo, corrotto, violento mondo del calcio italiano
01. Mitologia, epica e creazione pop al tempo della Rete [WM1 & WM2]
02. Che fine ha fatto la controcultura? [Vittore Baroni & WM1]
03. Con tua madre sulla nerchia + Gladiatori: nuovi MP3 sul sito
04. Le inquiline di Radio Alice
05. Sul sito di "Lavorare con lentezza"



PREAMBOLO: VERSO MANITUANA (E MANITUANA.COM)

Nella giornata di oggi, cinque febbraio 2007;
nella giornata di oggi, 62esimo compleanno di Bob Marley;
nella giornata di oggi, 93esimo compleanno di William Burroughs;
nella giornata di oggi, 71esimo anniversario dell'uscita di Tempi Moderni di Charlie Chaplin...
Nella giornata di oggi noialtri, nel nostro piccolissimo, spediamo l'ultimo numero di Giap prima dell'apertura di manituana.com e della messa on line del quinto e ultimo racconto di avvicinamento, o "prolegòmeno".
L'uscita del romanzo è confermata per il 20 marzo 2007. Manituana avrà 616 pagine. Come tutti i nostri libri Einaudi da tre anni a questa parte, sarà stampato su carta Cyclus Offset della cartiera danese Dalum Papyr, riciclata al 100% e sbiancata senza uso di cloro. Il prezzo di copertina sarà di €18 ma si sta lavorando per abbassarlo un poco.
Nello scorso numero di Giap abbiamo proposto un'immagine di Claudio Madella ispirata al quarto prolegòmeno, Warraghiyagey. Nel frattempo Claudio ce ne ha mandata un'altra, stavolta ispirata al primo racconto della serie, Breed's Hill. La vedi in alto a destra, clicca per ingrandirla.
In questo numero di Giap, prosegue il discorso sulla cultura pop, le sue potenzialità, le sue contraddizioni. Buona lettura. Noi torniamo a preparare l'uscita del romanzo.
Fidatevi di noi.


IL PAZZO, CORROTTO, VIOLENTO MONDO DEL CALCIO ITALIANO

Terna arbitraleAll'esplodere di Calciopoli (ve lo ricordate? Si trattava di uno scandalo sportivo, il campionato truccato etc.) dedicammo un numero di Giap allo "sport più bello del mondo". Anzi, agli strani rapporti tra noi e lo sport più bello del mondo. Era il maggio 2006.
Un mese dopo continuammo a parlare di calcio su Nandropausa 10, con letture comparate di Gomorra, Dies Irae di Genna e Indagine sul calcio di Beha, più una "Nota su Calciopoli e il futuro del Paese". Tra le varie cose, Wu Ming 3 scriveva:

La bolla del calcio, che molti architetti proveranno a tenere su con ogni sforzo, è l'ultima stazione, senza fermata e senza freni, prima di un capolinea che è un muro, un muro che non fa sconti. Da qualunque punto si parta, in Italia si giunge sempre al medesimo approdo: il blocco sovietico-mafioso che permea, soffoca e comanda ogni brandello di territorio esistente. La Triade: banche, borghesia industriale di prima e nuova generazione, intrecci politicocriminali.

Era il giugno 2006. Nel frattempo è successo di tutto, oppure poco e niente, dipende da come la si guarda e la si vede. Abbiamo vinto i Mondiali, le stangate son diventate "stangatine" e poi buffetti sulle guance, Carraro non c'è più, la GEA non c'è più, Matarrese c'è ancora, la Juve è in B ma ancora per poco, il Milan è in crisi, l'Inter vince e stravince, Moggi impazza come personaggio pubblico, Biscardi è sul satellite. Le inchieste sono andate avanti ma se ne parla pochissimo. Si pensi al disinteresse che da mesi avvolge la più clamorosa, quella su Giorgione Chinaglia che - in combutta con una parte della curva e sostenuto dal clan camorristico dei Casalesi - faceva la guerra sporca a Lotito per mettere le mani sulla Lazio (almeno stando a quanto dice la magistratura romana: vale sempre la presunzione d'innocenza).

Oggi, dopo i fatti di Catania, è ripartito lo show, si rifà da capo tutto il discorso sulla crisi del calcio, sulla violenza, fingendosi stupiti. E' anche ripartito il mantra: "Fare come in Inghilterra", "Fare come in Inghilterra", "Fare come in Inghilterra". Sì, perché "In Inghilterra hanno risolto il problema degli hooligans".

Per anni, in virtù di chissà quale distorsione percettiva, in Italia si è creduto che "fare come in Inghilterra" significasse far passare ondate di leggi speciali, aumentare a dismisura il numero dei celerini, usare il pugno di ferro.
Non è proprio così. In Inghilterra, allo stadio, i celerini non ci sono. Arrivano solo se succede qualcosa di grave. La sicurezza è demandata alle società di calcio, sono loro a pagare il servizio d'ordine, sono loro a rimetterci se le cose vanno male.

[Impensabile, nel paese del liberismo a parole, del calcio iper-assistito e del "Decreto spalmadebiti". Eppure persino qui, dopo Catania, si è iniziato a parlarne in modo meno vago, come strategia per mettere in crisi i legami para-mafiosi tra certe società e "dirigenti" delle tifoserie (sovente micro-caudillos neofascisti). Un po' di coraggio, suvvìa: i soldi per la security li cacciano i club, e se falliscono amen. L'avete fatta voi, l'apologia del mercato. Avete blaterato voi, di privatizzazioni. Eccovi l'uno e le altre, adesso son cazzi vostri, finitela di fare i finocchi col culo degli altri (sempre absit iniuria).]


Inoltre, in Inghilterra non si sono concentrati solo sulla repressione, come si fa da noi. Dopo la tragedia di Hillsborough (1989, novantatre morti) hanno ristrutturato gli stadi, quasi tutti vecchi e pericolosi. Hanno tolto fossati e reti protettive, che trasformavano gli spalti in trappole per topi. Hanno messo quasi ovunque posti a sedere, e la partita si guarda con le chiappe adagiate.
Dopodiché, certo, hanno le diffide a vita, sono proibiti gli striscioni etc. Se ne può discutere, certi aspetti si possono criticare duramente, ma il punto è che questo viene dopo. Qui invece si parla di repressione prima di qualunque altra cosa, anzi, in sostituzione di qualunque altra cosa.

Da noi le reti sono ancora onnipresenti, alte anche venti metri, e 69 stadi su 122 sono ufficialmente insicuri. Nel 2003, ogni settimana per il calcio venivano mobilitati 8000 tra poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa, che costavano a tutti noi 31 milioni di euro. Nell'arco di un campionato, fanno un miliardo e duecentoquaranta milioni di euro, sperperati per creare e mantenere un clima di tensione, machismo e belligeranza, dall'effetto inevitabilmente criminogeno, mentre negli ospedali si crepa perché va via la corrente.

Il miglior modo per rendersi conto di come siamo messi è prendere in prestito gli occhi altrui. Sempre ai tempi di Calciopoli, abbiamo creato una pagina su squidoo.com (una "lente", come viene chiamata da quelle parti). Sostanzialmente, è un aggregatore semi-automatico di notizie in inglese sugli aspetti più lerci del calcio italiano. Infatti si chiama "The Crazy, Corrupted World of Italian Soccer".
La finalità era ed è duplice: raccontare questo delirio ai lettori di altri paesi, e far vedere agli italiani come ci descrivono all'estero (soprattutto sulla stampa britannica). La "lente" è ancora lì, piena di testi, video, feed rss, link a libri etc. In questi giorni, crediamo sia una risorsa utile.



MITOLOGIA, EPICA E CREAZIONE POP AL TEMPO DELLA RETE

Il mondo conosciuto dai Greci nell'età arcaica e i viaggi di Ulisse secondo l'antica tradizione. Clicca per ingrandire.[Questo è il terzo articolo di una serie dedicata alla complessità dell'odierna popular culture, alle narrazioni trans-mediali e alle dinamiche di creazione collettiva nell'epoca della Rete.
Il primo testo, scritto da WM1, è apparso su L'Unità il 31/12/2006 ed è stato riproposto su Carmilla con il titolo
Stephen, Lisey e la complessità pop;
il secondo, scritto da WM2, è uscito sullo stesso quotidiano il 13/01 scorso ed è stato riproposto su Giap n.6, VIIIa serie, con il titolo
Create nuovi mondi e nutrirete il cervello;
quello che segue, scritto a quattro mani da 1 & 2, è uscito su L'Unità del 28/01, con il titolo "Crescete in Rete e moltiplicatevi", integrato da un articolo di Renato Pallavicini sulla continuity nel mondo epico e mitologico dei supereroi. E' stato ripreso il giorno dopo su Carmilla]



Se gettiamo uno sguardo ai rapporti tra narrazione e patrimonio mitologico nella Grecia antica dall'invasione dorica all'età classica (suppergiù dal XII al IV secolo a.C.), vediamo che il mito ha un carattere plurale e policentrico. La versione più celebre di ciascun episodio coesiste e s'incrocia con tante versioni alternative, sviluppatesi ciascuna in una delle molte comunità del mondo greco, cantate e tramandate dagli aedi locali. Aedi che non sono una casta chiusa, a differenza di quanto avviene nelle civiltà più a Oriente: i rapsodi greci non sono detentori esclusivi della facoltà di raccontare e tramandare, né selezionatori - autorizzati da un potere centrale - delle versioni "ufficiali" di ciascuna storia. La civiltà che si riorganizza dopo il crollo del mondo miceneo è (letteralmente) un arcipelago di città-stato, il potere è frammentato e non può garantire l'unitarietà del sapere né condensare l'immaginario a proprio uso e consumo. Le storie iniziano a cambiare e divergere, a diramarsi e intrecciarsi.

Per questo la mitologia greca ha una sola koiné ma "sparse membra", cosa che non accade in altre tradizioni. C'è un nucleo centrale in buona parte condiviso (macro-eventi come la Titanomachia, la Gigantomachia, l'impresa degli Argonauti e la Guerra di Troia), e poi una nube di diramazioni, fastelli di vicende intersecate. Mille soluzioni di continuità perturbano l'andamento delle storie, sovente troviamo gli stessi dèi e semidei in luoghi e tempi incompatibili tra loro.
In diversi filoni narrativi, nel medesimo periodo in cui si impegna nelle dodici fatiche, Eracle trova il tempo di compiere altre imprese: combatte contro i Centauri, libera Prometeo, ha un corpo-a-corpo con Ares, uccide Busiride etc. Queste avventure sono ancora collocabili negli spazi tra una fatica e l'altra, in modo da salvaguardare una coerenza, ma ci sono pervenute anche storie incollocabili, come la partecipazione alla spedizione degli Argonauti o la sepoltura di Icaro caduto dal cielo. Eracle è protagonista di decine e decine di peripezie divergenti o innestate a forza sul corpo centrale della sua storia. Ciò testimonia la sua grande popolarità in un mondo plurale e diversificato.

Questo è solo uno degli esempi possibili: quasi ogni personaggio dei miti greci (e sono migliaia) si muove in un grande gioco di rimandi. Inoltre, dall'Iliade partiva un grande ciclo epico oggi perduto: oltre all'Odissea esistevano altri nòstoi (poemi sui ritorni degli eroi da Troia). Dèi dell'Olimpo e reduci di Ilio erano protagonisti di tanti altri episodi, che con ogni probabilità incrociavano e perturbavano altre storie.
Già così, i dizionari di mitologia classica sono vorticosi ipertesti, ed è forse la più importante eredità lasciataci dagli aedi: un precedente che aiuta ad allontanare e capire meglio l'odierno transmedia storytelling alimentato dalla Rete.

Lo scrittore Giuseppe Genna incita spesso i suoi colleghi - almeno quelli che sente più vicini alla sua sensibilità - a considerare le loro narrazioni nòstoi di un grande ciclo epico potenziale, unico e molteplice, coerente e divagante.
Molto bene, bella proposta, ma perché? Perché dovremmo riprodurre il modello omerico - tipico della cultura orale - in un'epoca digitale fatta di schermi, fibre ottiche e gigabytes? Chi ce lo fa fare?
Prima di tutto, i lettori. L'età della partecipazione, sostenuta da Internet, sta modificando il DNA del consumatore. Al cospetto di un prodotto, non siamo più una semplice risposta binaria comprare / non comprare. Possiamo far esistere la nostra opinione, grazie a un formato stabile (scripta manent) e accessibile.
Negli ultimi cinquant'anni la televisione ci ha combinato un brutto scherzo, dandoci a bere che il pubblico di massa è passivo per definizione e solo una nicchia può essere creativa. Al contrario, oggi sempre più lettori sperimentano l’interazione con un testo e con chi lo produce, fenomeno sinora ristretto ai fan di certi generi letterari, la fantascienza sopra ogni altro.

Eppure, l'introduzione in letteratura di un modello omerico e partecipativo procede con più fatica che in altri campi. John Tulloch, un ricercatore inglese, ha intervistato per oltre un decennio due distinti gruppi di patiti - quelli di Star Trek e quelli di Cechov - con domande sui personaggi delle due narrazioni. Le risposte dei trekker variavano moltissimo da un appassionato all'altro; quelle dei cechoviani erano uniformi, prevedibili, poco intime. Strano: la cultura popolare non era uno schiacciasassi per livellare le differenze? E la cultura alta non dovrebbe impegnare il cervello in vorticose elucubrazioni?

Di sicuro c'è un problema di approccio. I Classici - e più in generale la Letteratura - ci sembrano più sacri e inviolabili di una serie televisiva. Molti amano Cechov, ma nessuno di loro si comporta da fan. Nel suo saggio Highbrow/Lowbrow: The Emergence of Cultural Hierarchy in America (Harvard University Press, 1990) Lawrence Levine descrive il processo che in un secolo ha portato l'opera di Shakespeare dalle stalle alle stelle. Dall'essere cultura viva - e dunque oggetto di modifiche, riappropriazioni e riletture continue - al far parte di un museo polveroso. Da un testo che si poteva amare d'istinto a una Sacra Scrittura che solo un sacerdote può insegnarti ad apprezzare. Lo stesso si potrebbe dire per le opere di Verdi, Wagner e molti altri.
Esiste tutta una categoria di appassionati che pratica il nitpicking, ovvero fare le pulci a una fiction da un punto di vista tecnico: fisici in erba che cercano spiegazioni più realistiche per la fantascienza di Battlestar Galactica, studenti di medicina che indagano la verosimiglianza di Doctor House etc.
In letteratura accade più di rado. Forse l'approccio dipende dal contesto: siamo abituati a considerare un romanzo qualcosa di compiuto e definitivo. Un palazzo da visitare, ma non da abitare.

Se si cambia il contesto, può cambiare l'approccio. Un esempio è la mailing list di The Wondering Minstrels. Chi la amministra spedisce agli iscritti una poesia al giorno (ma valgono anche testi di canzoni, rap e simili). Chi la riceve può postare un commento - di solito legato al modo in cui i versi hanno interagito con la sua giornata - oppure inviare una poesia per l'archivio. Il risultato è una comunità che si confronta e discute, intrecciando competenze diverse, su Lorca e su Eminem, in una maniera che l'aula di un liceo non riuscirebbe a riprodurre.

Poi c'è una distorsione percettiva: i fan non ci sembrano gente seria. Sono barbari, li conosciamo da quando si andava a scuola, erano quelli che si compravano i gadget e le figurine, che conoscevano la filosofia vulcaniana ma non la prima declinazione. Erano plagiati, indottrinati, imbevuti come spugne dei loro cult, dunque un po' scemi. Oggi sono cambiati - ma in realtà erano già diversi, la Rete ha soltanto esaltato certe caratteristiche: i fan sono critici, partecipi, creativi e vitali. E soprattutto: non sono più una nicchia. Sono la punta dell’iceberg di una sensibilità sempre più diffusa.

Se dunque noi narratori vogliamo produrre una cultura viva, dobbiamo capire questa sensibilità e incentivare scambi e interazioni. Che fare?
La prima indicazione l'abbiamo appena trovata: cambiare i contesti. Far uscire le storie dai libri, trasformarle in fumetto, cortometraggio, pagina web, lettura, concerto rock, videogioco. La tavolozza del cantastorie non è mai stata così piena di colori, perché continuare a usarne soltanto uno?
La seconda indicazione non può che essere: creare mondi, come dicevamo nel secondo articolo di questa serie. Henry Jenkins, professore del MIT e autore di Convergence Culture, sostiene che l'atteggiamento del fan è una strana alchimia tra fascino e frustrazione. La mitologia greca è così complessa anche perché al fascino delle storie principali si univa la frustrazione per dettagli non chiariti, personaggi secondari troppo sacrificati, diramazioni possibili ma appena accennate. Ebbene, un mondo nuovo affascina ma è sempre imperfetto, incompiuto, dunque genera la frustrazione benefica che spinge a integrarlo e spesso a renderlo migliore.
Poi occorre aprire la mente ai diversi contributi, per valutarli nel modo migliore. Se un appassionato di Guerre Stellari gira un suo episodio del ciclo, come deve comportarsi la Lucas Art? Deve bloccarlo? Deve lasciarlo fare purché non ci guadagni sopra? Deve decidere in base alla qualità del prodotto? O alle ricadute che potrebbe avere sul futuro della saga?
E' anche necessario fornire il “codice sorgente”. Per interagire con una storia e partecipare alla sua narrazione, non basta leggerla nella propria lingua. Occorre un bagaglio di conoscenze, perché ogni racconto è parte di un ipertesto più vasto, fatto di nozioni ed emozioni. E' possibile isolare un pacchetto minimo, un manuale per la co-creazione di un mondo?
Infine, si tratta di educare, fornire competenze, allenare alla trattativa, al pensiero collaborativo, all’uso della Rete. Completare la mutazione genetica: da consumatori a moltiplicatori.

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Narrazione collettiva e transmediale: botta e risposta Blepiro / Wu Ming 2


CHE FINE HA FATTO LA CONTROCULTURA?

[Funziona molto bene come appendice al "Trittico" di cui sopra: sul numero della rivista Rumore in edicola in questi giorni (#181, febbraio 2007), Vittore Baroni cura uno speciale intitolato: "Che fine ha fatto la controcultura?", basato su due conversazioni (e scambi di appunti) con Matteo Guarnaccia (celebre pittore, grafico e storico dei movimenti underground) e Wu Ming 1. Il lungo e fitto articolo ferma su carta una conversazione avvenuta nel luglio scorso, a margine del funerale di Piermario Ciani. Su Carmilla c'è un frammento dell'introduzione di Baroni (che riproduciamo anche qui) + la seconda parte dello speciale, quella che ospita le opinioni di WM1.]

Per una sventurata fatalità di eventi, in Italia il 2006 ha visto la scomparsa di alcuni stimati personaggi legati al mondo delle sottoculture giovanili: l'artista ed editore Piermario Ciani e il saggista Valerio Marchi, il fumettista/designer Professor Bad Trip e il musicista dj Pappa Rodriguez. Nei numerosi ricordi e tributi che si sono succeduti sulla stampa cartacea e sul web, sono stati frequentemente spesi nei loro riguardi termini come "controcultura", "underground", "cultura alternativa", che in epoca internettiana di comunicazione globale e orizzontale suonano però, a ben vedere, sempre più sorpassati e svuotati di senso [...] La controcultura si sta forse estinguendo, non solo nella figura di suoi validi rappresentanti ma anche nei presupposti teorici e nelle sue più tipiche espressioni comunitarie? [...]
Continua a leggere qui


CON TUA MADRE SULLA NERCHIA + GLADIATORI

Tavola di CatwomanGli iscritti al nostro podcast lo sanno già, ma gli altri no. Abbiamo aggiunto all' Audioteca due pezzi dai reading/concerti del 2004-05, quello di Guerra agli Umani (Wu Ming 2 + ElSo) e quello di New Thing (Wu Ming 1 + Switters).

Partiamo da quest'ultimo. Tua madre (My Third Leg) è una versione funk-rap di una delle "dirty dozens" ricreate nel "romanzo" di Wu Ming 1. Ricordiamo che le "dozzine" sono invettive improvvisate in rima o comunque fortemente ritmiche, molto importanti nella cultura orale afroamericana. La variante esplorata in New Thing, per il tramite giornalistico di Sonia Langmut, è il cosiddetto "Yo' Momma Joke": due sfidanti si rimpallano insulti diretti alle rispettive madri. Francesco Cusa alla batteria, Gianni Gebbia al sassofono contralto, Vincenzo Vasi al basso e seconda voce, Wu Ming 1 on vocals. Due minuti e cinquantasette secondi. Registrato dal vivo al Teatro Villa dei leoni, Mira (VE), la sera del 17/12/2004.
Qui mp3 a 160 kbps
Qui mp3 a 64 kbps

Passiamo a Guerra agli Umani. Il pezzo proposto è tratto dal primo capitolo del romanzo di Wu Ming 2. Descrive il combattimento tra uomo e cane, sequenza fortemente "visiva", rimasta impressa nel cervello di chiunque abbia letto il libro. ElSo: Paul Pieretto e Agostino Di Tommaso, feat. Egle Sommacal (chitarre) e Alessandro Tumscitz (tromba). Voce recitante: Wu Ming 2. Undici minuti e tredici secondi. Registrato dal vivo al Club 74 di Bologna, la sera del 9/01/2005.
Qui mp3 a 160kbps
Qui mp3 a 64 kbps

Ricordiamo che a questo capitolo ha reso omaggio lo sceneggiatore di fumetti Matteo Casali, che lo ha preso e inserito in un nuovo contesto, il n.41/42 dell'edizione americana di Catwoman (maggio 2005). Qui potete ammirare le due tavole, magari ascoltando l'mp3: Prima tavola - Seconda tavola
 

LE INQUILINE DI RADIO ALICE

Ci sono due tipe che vivono nell'appartamento di via del Pratello 41, a Bologna, dove trent'anni fa aveva lo studio Radio Alice. Una si chiama Sara, l'altra non lo sappiamo. Bene, queste due tipe hanno scoperto che lì c'era la radio anche grazie a noi. Nel senso che l'hanno scoperto andando a vedere Lavorare con lentezza. E a noi ci fa piacere. Le ha intervistate Smargiassi sull'Espresso, per trentennale e palle varie - cioè, ha intervistato solo Sara, l'altra no - e l'articolo non è male.
Una sera eravamo con Valerio Minnella (la voce dello sgombero di Radio Alice, quello con l'erre moscia) in un locale di via Pietralata, all'angolo col Pratello. Siamo usciti chiacchierando, e a un certo punto passiamo davanti al 41. Minnella, che stava parlando, interrompe il flusso, si blocca e s'inchina davanti al portone. Rende omaggio, poi riprende il discorso.
Quello è un ònphalos urbano e non lo sa quasi nessuno, ma lo sanno Sara e la sua coinquilina, e si comportano di conseguenza. Leggere per credere.


SUL SITO DI "LAVORARE CON LENTEZZA"

Se nelle ultime settimane sei entrat* nel sito di Lavorare con lentezza e hai cercato di scaricare la sceneggiatura del film, di sicuro non ci sei riuscit*.
Se nelle ultime settimane sei entrat* nel sito di Lavorare con lentezza e hai cercato di scaricare il testo di Franca Menneas "11 marzo: cronaca di una giornata di scontri", di sicuro non ci sei riuscit*.
Perché?
Perché quei link si erano "rotti" con il cambio di dominio, da lavorareconlentezza.com a lavorareconlentezza.wumingfoundation.com.
Li abbiamo riparati. Quei documenti sono di nuovo scaricabili, rispettivamente qui e qui.
Saranno anche il trentennale e palle varie, ma quel sito e quel film continuano a vivere. Sentiamo di proiezioni un po' ovunque e siamo felici. Grazie, davvero.