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Palestina

Combattenti per la verità. Anas al-Sharif e i suoi colleghi, una strage avvolta nella menzogna

Anas al-Sharif

Anas al-Sharif, 1996 – 2025.

di Girolamo De Michele *

Il 10 agosto scorso il giornalista Anas Jamal Mahmoud al-Sharif, uno dei volti più noti delle corrispondenze giornalistiche da Gaza, è stato assassinato insieme ad altri cinque operatori dell’informazione.

Al-Sharif sapeva di essere da tempo nel mirino dell’esercito di occupazione israeliano. Nondimeno, come molti suoi colleghi e colleghe – Anna Politkovskaya, Giancarlo Siani, Pippo Fava, Mauro De Mauro, Simone Camilli, Maria Grazia Cutuli, Daphne Caruana Galizia, Veronica Guerin, Peppino Impastato, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, Mauro Rostagno – ha continuato fino all’ultimo la sua battaglia per la verità, con le armi di cui disponeva: una telecamera, un microfono, i suoi occhi e la sua voce. Prosegui la lettura ›

Una sera di giugno a Ventotene parlando di alberi, di fiumi e di Gaza

Ventotene, doppia presentazione de Il gelso di Gerusalemme e Gli uomini pesce

Ventotene, 20 giugno 2025, foto di Paola Libralato. Ascolta l’audio della serata.

«Che tempi sono questi, quando
parlare d’alberi è quasi un delitto,
perché su troppe stragi implica il silenzio!»
Bertolt Brecht, A coloro che verranno

«[…] ho scritto del cielo e della mela,
ora scrivo di Stalingrado.»
Pablo Neruda, Nuovo canto d’amore a Stalingrado

Sono i versi parafrasati da Wu Ming 1 durante una conversazione con Loredana Lipperini e con Paola Caridi, autrice del magnifico Il gelso di Gerusalemme. L’altra storia raccontata dagli alberi (Feltrinelli, 2024), giornalista esperta di Asia occidentale – non «Medio Oriente», espressione eurocentrica e tossica –, instancabile nel denunciare il genocidio in corso a Gaza.

Gaza che oggi è una distesa di macerie dentro una «striscia» ma, come racconta Paola, è una città antichissima, che da migliaia di anni ha lo stesso nome. Città che fu aperta al mondo, incrocio di vie transcontinentali, cerniera economica e culturale tra mondi marittimi e contadini.

Derubata dell’entroterra verde con cui era in simbiosi, chiusa ermeticamente e assediata, bombardata e scientemente affamata, oggi Gaza è ridotta al proprio fantasma. Ma questo fantasma tormenterà a lungo la società israeliana, le nazioni intorno e l’occidente uccidente tutto. Prosegui la lettura ›

Chiamare genocidio il genocidio

Gernika/Guernica, Euskadi, 9 dicembre 2023. Migliaia di manifestanti riproducono la bandiera palestinese accanto a un dettaglio del quadro che porta il nome della città, dipinto da Picasso per denunciarne il bombardamento (1937).

[WM: Stavamo impaginando quest’articolo quando, il 13 giugno, le forze armate israeliane hanno avviato l’operazione «Leone che sorge», colpendo numerosi obiettivi in territorio iraniano. L’escalation in Asia occidentale – «Medio oriente», in fondo, è un’espressione eurocentrica di derivazione colonialista – e lo scontro diretto tra il regime del Likud e quello degli Ayatollah, a cui si aggiunge la distruzione da parte dell’IDF dell’ultimo collegamento Internet di Gaza, hanno momentaneamente oscurato il genocidio in corso nella Striscia, ma la situazione resta quella descritta da Girolamo De Michele. Gli ultimi sviluppi non solo non inficiano le analisi e riflessioni che seguono, ma le rafforzano.]

di Girolamo De Michele *

0. Premessa

Il conto totale dei morti è quasi impossibile, ma in qualche modo va tentato; ci sono le vittime dichiarate dal Ministero della Sanità di Gaza, ritenute attendibili da organizzazioni internazionali; cui vanno aggiunti i morti ancora sepolti, e che forse non saranno mai disseppelliti; cui vanno aggiunti i morti per cause conseguenti – ferite con lungo decorso, malattia, denutrizione. Uno studio ospitato su Lancet lo scorso luglio – quando la stima dei morti era di circa 37mila, poco meno della metà del conteggio al momento in cui scrivo, più 10mila sotto le macerie secondo le stime dell’ONU – affermava:

«Anche se il conflitto terminasse immediatamente, nei prossimi mesi e anni continuerebbero a verificarsi numerose morti indirette dovute a cause quali malattie riproduttive, trasmissibili e non trasmissibili. Si prevede che il bilancio totale delle vittime sarà elevato, data l’intensità del conflitto, la distruzione delle infrastrutture sanitarie, la grave carenza di cibo, acqua e alloggi, l’impossibilità per la popolazione di rifugiarsi in luoghi sicuri e la perdita di finanziamenti all’UNRWA, una delle pochissime organizzazioni umanitarie ancora attive nella Striscia di Gaza. Nei conflitti recenti, tali morti indirette vanno da 3 a 15 volte il numero di morti dirette. Applicando una stima prudente di 4 morti indirette per ogni decesso diretto ai 37.396 decessi segnalati, non è improbabile stimare che fino a 186mila o anche di più decessi potrebbero essere attribuibili all’attuale conflitto a Gaza. Utilizzando la stima della popolazione della Striscia di Gaza del 2022 di 2.375.259 persone, ciò si tradurrebbe nel 7,9% della popolazione totale della Striscia di Gaza.» Prosegui la lettura ›

Notes for a Musical Intifada

Oday al Khatib

Oday al Khatib

di Dimitri Chimenti (guest blogger)

[Chimenti, oltre che un acuto studioso di cinema e letteratura e uno dei più curiosi indagatori di “oggetti narrativi non-identificati”, è autore del documentario Just Play (2012).
Just Play racconta la storia di Al Kamandjâti (Il Violinista), un’associazione culturale che da 10 anni porta le sue scuole di musica in un territorio che dai campi profughi del Libano arriva sino alla Striscia di Gaza. La musica come mezzo di liberazione. “Che senso ha suonare Bizet tra le sbarre di un checkpoint? Perché un’orchestra sfida un esercito? Qual è la posta in gioco?” In questo articolo/racconto per Giap, Dimitri racconta cos’è accaduto a uno dei protagonisti del film.]

19 marzo 2013

Sono le 21.51 quando ricevo il messaggio di Jibril su Skype: hanno arrestato Oday. Il capo d’accusa non si conosce e nessuno sa dove è rinchiuso; l’unica notizia certa è che tre giorni fa è partito da Ramallah per fare visita ai genitori nel campo profughi di Al Fawwar, pochi chilometri a sud di Hebron. Da allora più niente. Prosegui la lettura ›