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Marcello Veneziani

Quello che Cristicchi dimentica. Magazzino 18, gli «italiani brava gente» e le vere larghe intese

Simone Cristicchi

di Piero Purini (guest blogger),
con una postilla di Wu Ming e una breve linkografia ragionata.

[Abbiamo chiesto allo storico Piero Purini  – o Purich, cognome della famiglia prima che il fascismo lo italianizzasse – di guardare il discusso spettacolo di Simone Cristicchi e recensirlo per Giap.
Purini è autore del fondamentale Metamorfosi etniche. I cambiamenti di popolazione a Trieste, Gorizia, Fiume e in Istria. 1914-1975appena ristampato da KappaVu con una prefazione di Jože Pirjevec.
Consigliamo questo libro a chiunque voglia conoscere e capire la storia del confine orientale nel Novecento. L’autore ha scovato, consultato e confrontato non solo fonti “nostrane”, come troppo spesso accade, ma anche fonti in lingua tedesca, slovena, croata e inglese.
Per potersi dedicare alla ricerca degli «esodi» e delle migrazioni forzate nella zona che va dal Friuli orientale al Quarnero, Purini è dovuto andare all’Università di Klagenfurt, visto che in Italia aveva trovato solo porte chiuse. Metamorfosi etniche è l’espansione della sua tesi di dottorato.
Piero è modesto e non lo dice in giro, ma un paio di settimane fa lui e Poljanka Dolhar hanno messo in fuga da Radio 3 Marcello Veneziani, e senza nemmeno fargli «Buh!» Cliccare e ascoltare per credere, ma solo dopo aver letto l’articolo qui sotto.
In calce, una nostra postilla su «memoria condivisa» e rimozione del conflitto.
Ricordiamo che sotto il post ci sono due comandi: uno permette di salvarlo in ePub, l’altro lo apre in versione ottimizzata per la stampa.
AGGIORNAMENTO DEL 26/02: in fondo al post, ospitiamo la replica di Cristicchi.
AGGIORNAMENTO DEL 19/03: in fondo al post, Purini analizza la seconda replica di Cristicchi (e Bernas).]

Magazzino 18 di Simone Cristicchi mi è sembrato un’operazione teatrale molto furba con uno scopo politico più che evidente: fornire uno strumento artistico efficace per propagandare la cosiddetta memoria condivisa, tanto cara al mondo politico «postideologico», secondo cui tutti gli italiani devono riconoscersi in una storia comune. Storia comune di cui, fin dal nefasto incontro Fini-Violante del 1998, le foibe e l’esodo sono pietre angolari.

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