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GQ a modo nostro

La notte del Chueco

ovvero: 27 ore nella vita di Juan Manuel Fangio

Juan Manuel Fangio, 1911 - 1995

La Havana, 23 febbraio 1958, h. 20:45. Un uomo distinto, non tanto alto, i capelli tirati indietro sulla fronte spaziosa, percorre il vestibolo dell’Hotel Lincoln in compagnia di due persone. Gli addetti alla reception lo salutano ammirati, l’uomo ricambia con un sorriso e un cenno del capo. Gli ospiti seduti nella hall si voltano a guardarlo, dandosi di gomito. Due stanno un po’ in disparte, si alzano e vanno incontro al terzetto che avanza verso le scale. L’uomo al centro rallenta il passo e li scruta. Reporter? No, niente macchine fotografiche. Ammiratori? Probabile. Ha firmato autografi tutto il giorno, conteso tra fans, puttane in svendita e un attore americano che voleva a ogni costo una foto insieme a lui. Ora brama soltanto la cena in camera e una notte di buon sonno, per affrontare al meglio la gara dell’indomani. Dall’incidente di Monza non ha più commesso l’errore di presentarsi stanco a una partenza. Quella volta aveva guidato tutta la notte da Parigi, arrivando in Brianza appena mezz’ora prima dello start. Risultato: riflessi lenti, una sbandata in curva, la Maserati sale sul terrapieno, si invola, piroetta per aria prima di schiantarsi. Stagione e titolo compromessi. E’ passato del tempo, ma ogni tanto ci pensa ancora: la vita poteva finire quel giorno. Invece eccolo lì, a 47 anni, ancora pronto a infilarsi in un abitacolo e a interrogare con lo sguardo tre ammiratori cubani, in attesa che gli porgano una foto da autografare.
Me desculpe… – dice quello più alto, con la giacca di cuoio. Prosegui la lettura ›

Robespierre e noi. Pensare l’uguaglianza, capire il Terrore

Maximilien de Robespierre

1775. Diciassettenne, Maximilien de Robespierre viene incaricato di tenere un discorso di benvenuto davanti al Re, che deve visitare il collegio dove il giovane vive e studia. Tutti schierati, studenti e tutori attendono Luigi XVI e Maria Antonietta sotto una pioggia battente, e l’attesa dura ore. La carrozza come dio vuole giunge; la coppia reale non ne scende per paura di bagnarsi.
Se si dovesse indagare il personaggio per renderlo un carattere da film o da romanzo, questo sarebbe un buon punto di partenza. La camera inquadra in primo piano gli occhi dell’adolescente, che sono fermi, inespressivi. Poi si allontana, lenta, rende prima la figura intera, poi il gruppo, finché Robespierre giovane non è che una figura tra le tante nell’aria diaccia.
Un’altra scena topica potrebbe essere quella del suo arresto. La mattina del 28 luglio 1794 le Guardie Nazionali irrompono all’interno dell’Hotel de Ville e arrestano Saint-Just. Il fratello di Robespierre, Augustin, si getta dalla finestra. Viene raccolto moribondo, nella polvere della via. E Maximilien? C’è chi dice che oppose resistenza, ma il gendarme Charles-Andrè Merda, dicono, gli fracassò la mascella con una pistolettata. Altri sostengono che tentò il suicidio. Altri ancora, che il colpo partì accidentalmente dalla pistola di Robespierre, mentre tentava la fuga. Il regista, o il romanziere, dovrebbe scegliere.
E una volta fatta la scelta, che cosa avrebbe in mano? Prosegui la lettura ›

Sul tuo capo quel sangue cadrà

[Celebriamo – con qualche giorno d’anticipo – un anniversario “inconsueto”. Il 17 maggio 1900 l’anarchico toscano Gaetano Bresci, emigrato negli USA due anni prima, si imbarcava a New York per tornare in Italia. Quale fosse il suo intento è cosa nota a molti.
Sono (siamo) ancora in tanti a ricordare il regicida. Se n’è avuta prova nel febbraio scorso, quando la ributtante partecipazione di un sig. Savoia al Festival di Sanremo riaccese sul web l’odio per una dinastia infame e spinse molti, su blog e social network, a rimpiazzare il proprio avatar col volto di Bresci, vindice fantasma e perenne monito. Il principino mancato salmodiava: “Io credo nella mia cultura e nella mia religione, / per questo io non ho paura di esprimere la mia opinione. / Io sento battere più forte il cuore di un’Italia sola, / che oggi più serenamente si specchia in tutta la sua storia.” Pura apologia della “smemoria condivisa”: un’Italia tarallucci-e-vino unita nell’oblio di ogni sopruso passato e nella rimozione di ogni schifezza presente. E Ghinazzi ci metteva il carico da undici cantando: “Tu non potevi ritornare pur non avendo fatto niente…” Tra i conati di vomito, decidemmo di scrivere un ritratto di Bresci per la rubrica “Wumingwood” che teniamo su GQ.
Il pezzo è uscito il mese scorso col titolo “L’amico americano”, e oggi lo riproponiamo.  Magari non dirà nulla di nuovo a chi conosce la vicenda, ma nel contesto di quella rivista ammetterete che fa la sua non scontata figura. L’illustrazione, come al solito, è di David Foldvari. Cogliamo l’occasione per segnalare che su Bresci esiste un documentario, Colpo al cuore: morte non accidentale di un monarca, a cura di Teleimmagini? e XM24. Non lo abbiamo ancora visto, comunque lo proiettano pure domani sera, 14 maggio, al circolo anarchico Berneri di Bologna, Piazza di P.ta Santo Stefano 1, h.20.] Prosegui la lettura ›

Chi ha rubato il mestiere a Uri Geller?

Il paragnosta Uri Geller

[Come molti di voi sanno, noi teniamo una rubrica sul mensile GQ, si chiama “Wumingwood” ed è un’indagine sui modelli di riferimento maschili (buoni e cattivi). L’ultimo numero del vecchio Giap (ottobre 2009) conteneva la nostra dichiarazione d’intenti e un pdf con le prime cinque puntate, dedicate a Filippo d’Edinburgo (no buono), Peter Kolosimo (buono), Mobutu Sese Seko (no buono) e Mirek Topolanek (no buono).
Da allora abbiamo curato i “ritratti” di Angus Young (buono), Jean-Marie Le Pen (decisamente no buono), Christopher Lee (buono), Johnny Thunders (boh), Uri Geller (no buono) e Gaetano Bresci (molto buono). Il prossimo numero sarà dedicato all’eroe della Resistenza Bruno Fanciullacci.
Pian piano, non seguendo alcun ordine, li pubblicheremo qui sul nuovo Giap. Iniziamo dalla puntata del mese scorso, dedicata al “sensitivo” Uri Geller. L’illustrazione, come sempre, è di David Foldvari.]

UN GERRY SCOTTI TRAVESTITO DA MANDRAKE

Dell’ex-paracadutista israeliano Uri Geller, l’uomo che “piega i cucchiai con la forza del pensiero”, si parlava moltissimo nei primi anni Settanta. Oggi è ancora famoso, ma è una stella di grandezza medio-piccola, uno dei tanti che si arrabattano per far parlare di sé: ha partecipato all’edizione inglese de L’isola dei famosi (il cimitero degli elefanti dello show-biz); manda querele a destra e a manca per futili motivi (es. ha adito le vie legali contro i Pokemon per via di un personaggio, Kadabra, concepito come sua parodia); approfittando di un guasto del Big Ben, ha dichiarato di averlo fermato lui grazie alla telecinesi (lo stato dovrebbe fargli pagare le riparazioni); ogni tanto millanta appartenenze a diversi servizi segreti (compare in questa chiave nel libro di Jon Ronson L’uomo che fissa le capre) etc. etc. Prosegui la lettura ›