da L'Unità, lunedì 12 gennaio 2004, sezione "Orizzonti", pag.23:

Ossessione samurai

Kill Bill, Zatoichi, Matrix. E poi fumetti, cartoon, videogames e gli spettacoli dei monaci Shaolin: l'industria culturale globale è invasa da combattimenti ed esibizioni di arti marziali. Tra sottoculture ed esotismi intanto si spostano i confini tra Oriente e Occidente.

Wu Ming 5


"Colpirne uno per educarne cento"

1. L'uscita nelle sale italiane di L'Ultimo Samurai di Edward Zwick si pone alla fine di un ciclo di uscite che da Kill Bill a Zatoichi sembra ribadire la vera e propria ossessione marziale che da qualche decennio pervade l'industria culturale globale. Al di là del valore dell'operazione, il film si presta comunque a una serie di considerazioni che paiono rivestire una certa importanza.
Nel film, Tom Cruise è il capitano Nathan Algren, reduce della guerra di Secessione, un uomo che ha perso l'anima da qualche parte nelle grandi pianure dell'Ovest americano. Algren diviene istruttore del neonato esercito giapponese all'epoca della restaurazione Meiji, dopo che la politica delle cannoniere aveva aperto le porte del paese del Sol Levante. La transizione da una concezione castale, tradizionale a una concezione popolare dell'esercizio del mestiere delle armi fu traumatico, e il film romanticizza in realtà un conflitto reale, che segnerà le coscienze per molti anni a seguire. Tutti i tradizionalisti, fino a Mishima e oltre faranno appello ai vecchi valori che l'industrializzazione aveva cancellato: ironicamente, Mishima compirà il proprio spettacolare seppuku proprio di fronte agli eredi di coloro che, nel film, sconfiggono lo spirito del vecchio Giappone, finendo per ereditarlo e facendolo passare tra le maglie di una società in costruzione. Due culture militari a confronto, quindi: l'americano rimarrà segnato in modo indelebile da valori estranei, profondi, per certi versi fuori dalla storia.
E' un segnale. Come se l'occidente cercasse, nel pieno della retorica attuale sullo scontro di civiltà, di eticizzare la figura del combattente, anche se per farlo è costretto ad attingere al lontano, all'esotico, al fondamentalmente estraneo. La prosaica realtà del combattente contemporaneo è, d'altra parte, tragicamente sotto gli occhi di tutti. E, in modo stranamente profetico, il confronto avviene, nel film, proprio con la cultura guerriera che, massificata e resa ancor più inumana, partorirà nel corso del II conflitto mondiale la figura del kamikaze.

2. Scriveva Domenico Meccoli su Epoca del 15 aprile 1973: "Nel 1972 a Cannes i film di Hong Kong erano offerti al ridicolo prezzo di 1500-2000 dollari, ma nessuno li voleva. Oggi i noleggiatori li pagano anche dieci volte tanto".
Il 26 gennaio 1973, alle ore 14, il kung fu e la nuova versione pop dell'oriente (l'India un po' dandystica di George Harrison non si adattava così bene alle periferie urbane scosse da nuovi conflitti) approdarono fragorosamente anche qui da noi. Nei cinema America, Royal, Ritz e Eden di Roma venne proiettato Cinque Dita di Violenza, di Chang Cheng Ho, protagonista Lo Lieh: la locandina, una mano che stringeva bulbi oculari. Bruce Lee venne subito dopo e divenne, tra il disinteresse o l'aperto disprezzo della critica, una superstar planetaria, transculturale (forse la più amata di tutti i tempi).
In Italia i film di scazzottate cinesi venivano definiti "tristi scemenze per fascisti", "boiate sotto tutti i punti di vista", non erano considerati meritevoli di recensione. Certo i capolavori non abbondavano, anzi: non c'erano, semplicemente. Ma sul piano dell'immaginario si stava producendo un riassestamento importante, in grado, a posteriori, di definire la cultura pop planetaria in termini di ante quem e post quem proprio a partire da quell'inaspettata esplosione.
Mentre l'America perde in Oriente una guerra decisiva, Jim Kelly, già con Bruce Lee in Enter The Dragon, (I 3 dell'Operazione Drago, 1973) difende la comunità nera a colpi di karate (Black Belt Jones, 1975). L'anno dopo, esce l'hit disco-marziale Kung Fu Fighting di Carl Douglas. Le palestre si riempiono di giovani di tutte le classi sociali e di tutte le etnie determinando quell'ossessione marziale di cui parlavamo che, a tutt'oggi, sembra ben lungi dall'essersi esaurita. Anzi, l'ossessione è declinata in forme sempre più spettacolari e invasive. Il kung fu è ovunque, dagli spettacoli semi-circensi dei monaci Shaolin ai videogames come Mortal Kombat, da fumetti e cartoni animati non solo giapponesi fino alla produzione recente di Hollywood, da Matrix in poi. L'oriente è stato fagocitato, assorbito nelle sue forme più semplici e superficiali, funzionali e affascinanti dalla cultura globale, addomesticato secondo il nostro gusto e poi rimesso in circolazione in modo da integrarsi nel nostro sistema simbolico in questa forma priva di problemi e complessità.


Yojimbo di Akira Kurosawa

3. Le idee sull'Oriente e quelle presuntamente provenienti da quella parte del mondo agiscono, in realtà, sin dagli albori della cultura occidentale e sono sempre state usate, del resto, in maniera ideologica. Ma in molti casi le stesse idee aprivano prospettive di potenziale liberazione. Anche i greci avevano il loro Oriente, quello dei gimnosofisti (strano gruppo di ginnasti filosofi in cui riconosciamo oggi gli appartenenti alla scuola filosofica indiana Yoga e Vedanta) provenienti da un'India lontana eppure descritta minuziosamente, indagata con passione e reverenza, già in qualche modo idealizzata. Appartiene del resto alla vulgata da manuale per i licei la tesi che vuole la filosofia scettica di Epitteto in qualche modo influenzata dal pensiero brahamanico e buddhista.
Testimonianze di questo incontro esistono anche da parte indiana. Uno dei testi più importanti del buddhismo del Piccolo Veicolo, il celebre Milindapanha vede Milinda, (Menandro) sovrano degli Yonaka (Ioni) dialogare con il monaco Nagasena, che lo guida attraverso i risvolti filosofici più importanti e controversi della dottrina dell'Illuminato. Milinda-Menandro fu forse il primo europeo a essere plagiato da un guru orientale, ben prima del viaggio dei Beatles in India, della parabola in più di un senso esemplare di Osho Rajneesh e dei suoi adepti e dell'interesse di Sting per il Tantra.

4. Tra gli alfieri di un'ambigua Nuova Era esiste ormai da tempo una figura marziale che riassume tratti giapponesi, cinesi, orientali in genere, che coniuga mondi lontani banalizzandoli, adattandoli l'uno all'altro, con nessun rispetto delle culture dei paesi d'origine ma con una vocazione naturale al sincretismo, alla gestualità ampia, all'immediata fruibilità. Una figura riassuntiva di un gergo divenuto paradossalmente comprensibile a tutti. Trent'anni dopo Cinque Dita di Violenza, tra corsi e ricorsi, la paccottiglia gialla sembrerebbe dunque aver vinto la partita, definitivamente. Fare a cazzotti in modo stilistico sembra da un po' di tempo molto cool.
Ma i lunghi combattimenti, tanto in Kill Bill quanto In Matrix Reloaded, a dispetto delle accurate coreografie tratte pari pari dai film di Hong Kong, sono di plastica. Patinati. Noiosi, almeno tanto quanto la riproposizione, in Matrix, dell'idea stantìa (e occidentale) che la realtà, interpretata come mondo esterno, sia intrinsecamente illusoria.
A dimostrare che la realtà concreta è un luogo duro, impietoso, l'eroe di Zatoichi (l'ultimo Kitano) in realtà non combatte. Uccide, tagliando tutta la parte in cui si suppone un guerriero debba dimostrare valentia, tecnica, coraggio & tutto il resto, seguendo in questo, forse, lo spirito del Gorin no Sho (Libro di Cinque Anelli) di Miyamoto Musashi, un samurai senza padrone del XVI secolo che affrontò e vinse nel suo lungo vagabondaggio molti duelli all'ultimo sangue.
La realtà, suggerisce Kitano, non è posto da elaborate coreografie. Si sguaina la spada, si uccide. Un solo gesto è decisivo.

5. Anche per l'autore dell'Hagakure (All'ombra delle Foglie, libro che guida i passi e la vendetta di Ghost Dog, il killer nero del film di Jim Jarmusch) il singolo gesto è tutto. Ma il fulcro emozionale del Samurai si è ormai spostato verso il servizio devozionale incondizionato e decadente (Mishima considerava l'Hagakure un testo fondamentale) verso il proprio signore. Yoritomo Minamoto volge la riflessione al modo di darsi la morte nel rituale del Seppuku (ma anche a come dissimulare con il belletto i postumi di una sbornia) piuttosto che all'individuare e analizzare i fattori che portano alla vittoria in un duello all'ultimo sangue. Va detto che, in realtà, Ghost Dog parla di un'altra devozione, quella agli ideali dell'Hip Hop della vecchia scuola. La colonna sonora, importantissima, è di RZA, esponente dei Wu Tang Clan, il gruppo rap di New York alfiere dei vecchi valori di strada e influenzato pesantamente dall'immaginario marziale cinese.
Il Clan Wu Tang (Wu Tang è un gruppo di montagne del nord della Cina che ospita eremiti taoisti dediti alle Arti Marziali della branca cosiddetta "interna") sono solo un esempio (indubbiamente eccitante, ben più del manierismo alla Kill Bill) di incontro culturale tra un gruppo asservito e represso (gli africani americani) e una cultura combattentistica divenuta in qualche modo sottoculturale. Le stesse Pantere Nere citavano il presidente Mao come ideologo di riferimento.
E forse è nell'interazione con le culture minoritarie all'interno dell'occidente, culture naturalmente "marziali" e stoiche come quella degli afroamericani, che l'innesto dell'immaginario marziale orientale sembra meno parodistico e abnorme.


Lo Lieh, protagonista di Cinque dita di violenza

6. Al termine di queste note sarà forse utile ricordare che "Oriente" è un concetto prima di tutto astronomico e geografico, e in questa accezione del tutto relativo. Anche quello che per noi è già "oriente" conosce, a tutti gli effetti, una terra pura posta ancora più un là.
Il concetto sembra pervaso da una forza in grado di informare di sé intere culture. Il Giappone da cui abbiamo preso le mosse ne è esempio eclatante, avendo modellato se stesso sull'idea di essere davvero "il paese del sol levante". Il sole doveva pur levarsi da qualche parte, e oltre il Giappone non c'era nulla. Un' accettazione gravida di conseguenze della proiezione che un'altra cultura (quella cinese) aveva sulle terre poste oltre mare: è in questo modo che il Giappone divenne il paese degli dei, guidato da una divinità.
Sull'altro versante occorre dire che, in qualche modo, anche "occidente" sta diventando un concetto relativo. Si prepara a includere la Russia, minaccioso oriente di un tempo, e ha come "estremo occidente", in tutti i sensi, l'appendice culturale, ideologica e militare (certo non guerriera) che ne incarna nel modo più controverso i valori: l'America.

 


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