Guerra agli Umani - commenti dei lettori
Cap. 3 - L'inizio del fall-out (luglio-ottobre 2004)

Ho scaricato Guerra agli Umani - e l'ho divorato.
Non mi dilungo in recensioni accademiche: mi è semplicemente piaciuto, sono solo una lettrice. Una lettrice avida, questo sì.
E il fatto di poter scaricare e poter leggere subito è una gran figata.
Soprattutto quando cerchi disperatamente di far finta di lavorare. Allora ti stampi il libro e poi leggi al lavoro, facendo finta che sia che ne so, un contratto d'appalto o una nuova - inutile policy sul codice etico o su quante volte al giorno è consentito andare in bagno inviata dai "padroni" americani. Fanculo anche a loro.
Poi tanto il libro se ti piace lo compri lo stesso, quando le tue finanze te lo permettono, per conservarlo e rileggerlo ancora, e amarlo certo, come si fa con le fotografie e i ricordi.
Una cosa che mi ha colpito è questo "filo" che appunto collega chi - per un motivo o per l'altro - pensa che il genere umano sia solo un errore. Una malattia. Un virus. Questa sensazione io l'ho sempre provata, e non certo perchè i miei genitori mi hanno insegnato a pensarla così.
Chissà. Forse appunto in alcuni uomini tra gli uomini sono rimasti più animali e meno alieni.
Di Walden mi sono innamorata. Però io avrei preferito un finale in cui lui e il lupo (e anche il facocero) rimanessero insieme. In una capanna spersa in mezzo ad un campo di fave e maria. Circondato da alberi di mele, naturalmente. Altrimenti con la rota, come fa, il supercinghiale?
Beh insomma, volevo farti/farvi i miei complimenti.
Baci.

Betty

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ho appena finito guerra agli umani e mi è piaciuto: bravo, bravo. inizialmente mi aspettavo molto di più, per via della lettura di q, che mi aveva folgorato - senza mezzi termini - e anche perché avevo trovato gli ingredienti descritti in quarta (e risvolti) di copertina molto azzeccati, accattivanti. quando poi mi sono accorto che il tono brutale di q stavolta non c'era ho storto il naso. ma a ogni lettura, walden e i suoi mi facevano 'tagliare' (che significa che ridevo a crepapelle come un coglione). insomma alla fine ho cambiato idea e ho promosso il libro, la qual cosa vale solo per me e per il tempo da considerarsi 'non' sprecato. ho letto un po' di commenti sul sito, e francamente non trovo giusto dire che il libro non ha ritmo. anzi, direi che una delle caratteristiche principali è proprio il ritmo. te lo conferma uno che si è appena finito di leggere tutto asimov, e che tra l'altro adora ellroy da sempre.
non è da poco scrivere bei libri in italia all'epoca di emeriti coglioni tipo andrea de carlo e baricco, quindi complimenti. ma dimmi una cosa: è sbagliato dire che il tuo stile al singolare è molto molto molto molto molto simile a q, che invece è opera collettiva? non penso che voi altri di wm abbiate un 'codice' di scrittura da seguire, in stile dogma e cazzi vari, però per me la somiglianza tra i due modi di raccontare è netta.
casomai non rispondi non fa niente, mi tengo la curiosità. alla prox

Raffa

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In un momento blue ho deciso di leggere "Guerra agli umani". In poco più di 5 ore suddivise in tre fasi nell'arco di 36 ore l'ho assimilato. E l'ho trovato un romanzo di svolta stilistica. Un vero esercizio di scrittura e di modo di raccontare da almeno tre punti di vista diversi: il narratore, l'io narrante e il reporter. Ho avuto l'istintiva sensazione di leggere un Hemingway dei nostri giorni, capace di entrare con poche parole nella storia personale delle creature del racconto e di dare quel soggettivo sguardo alle cose che non impedisce al lettore di avere una sua personale visione del narrato anzi lo accompagna a farsi parte integrante del racconto. Ma dietro all'"esercizio di stile" c'è una capacità notevole a raccontare storie ordinarie di distorta normalità immersa nei luoghi comuni e dei stereotipi di una melassa indecifrabile di sensi e segni. A reggere il tutto una costante ironia un sardonico riso, che forse a volte è anche compiaciuto, ma non impedisce di mostrare la tragicità di un'esistenza priva di legami duraturi e convinzioni verificabili. Mi è piaciuto molto il profilo disegnato degli extracomunitari (Sidney e i suoi compagni e Mahmeti) concreto senza sbavature e sentimentalismi e la variegata fauna umana del mondo dei cacciatori e delle scommesse clandestine sui combattimenti con cani che nella loro apparente normalità e ritualità rendono ancora più tragica la dimensione patologica di alcuni fenomeni. In questo gioco di piani coerentemente contraddittori il profilo del protagonista cavernicolo è icona reale dell'incapacità di staccarsi dal nostro vivere immersi nel mondo. La sua volontà "rivoluzionaria" è poeticamente lucida in una ricerca di coerenza che sembra una pallina del flipper sollecitata semplicemente a fare il massimo punteggio. Ma anche le figure femminili sono secondo me raffigurate in modalità stilisticamente ineccepibile: il mondo dei cacciatori (Arci caccia?) è maschile e basta. Ed affiancarlo in un immaginario passaggio di testimone alle citazioni del romanzo aiuta a vederlo reale e concreto.
Credo insomma che questo romanzo dica molto più sul tuo talento letterario di quanto invece emerge da Q. Se l'evoluzione (devoluzione che sia) è così veloce non so dove potresti arrivare. Ma non ti vedo molto lontano da Ellis (ammesso che per te un confronto simile risulti piacevole. Per me lui è la best practice del modo che preferisco di raccontare la realtà quotidiana) come capacità di dare un senso (ed un sesso) al narrare senza mai innamorarti della tastiera o della penna.
Infine è un cammeo come sia nato il racconto ed una vera forma di democrazia della parola scritta i riferimenti forniti.
Alla prossima

Rocco

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G.A.U. l'ho finito stanotte. un racconto mai statico, in perenne movimento. Attorno a diversi centri.
La struttura narrativa - l'intermittenza del periodo, la continua punteggiatura - permettono tecnicamente di comunicare questo fluire.
Confesso che alle volte mi sono anche perso tra le valli del Valdemaro e Budadda. Ma credo che sia dovuto alla mia deconcentrazione facile.
L'eroe troglodita mi ha ricordato l'ultimo Pleeskeen di 2019 fuga da Los Angeles. spegnere la civiltà schiacciando un interruttore.

Carlo

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Da qualche parte sull'Appennino Pistoiese. 4 ottobre 2004

Invio questo contributo iniziato a scrivere il 3 luglio... veramente lavorato con lentezza!
Abito in un paese di poco piu' di 1000 anime - che in questo momento mi piace lasciare senza nome - tipo Castel Madero ma con sostanziali differenze, che non rientra nemmeno nei termini del teorema dei tre bar. Il municipio è in un paese a circa otto chilometri da qui, ma essendo al di là dello spartiacque, appare lontanissimo. I bar sono due; il numero di gendarmi procapite e' tra i piu' alti d'Italia causa, sembra, la presenza di una ormai quasi ex-fabbrica militare; il numero di immigrati invece non è ancora grandissimo causa scarse opportunità: anche loro non saprebbero cosa venire a fare quassu'.
In questo contesto la mia lettura di GAU e' partita con un equivoco di fondo: all'inizio avevo identificato Marco Walden con un supereroe della mia infanzia, mio cuggino di 11 anni piu' grande di me, che in casa aveva manuali di sopravvivenza e sulla costruzione di capanne di legno. A quei tempi sfidava il vento e i metri di neve per raggiungere di notte il "Rifugio del Montanaro" situato appena sotto il crinale appenninico. In un periodo inizio' a costruirsi una capanna nel bosco appena fuori il paese, creando anche un certo scompiglio in famiglia.
Avevo scambiato il Marco per un tipo massiccio, che si era preparato all'impresa che stava per affrontare, e mi ero goduto il secondo capitolo con la fantastica lettera alla sorella e il quarto con il viaggio in autobus. Tutto questo fino alla grottesca scena in cui cerca di offrire il tè ai neri che disboscano, e poi al padrone. Lì mi sono cadute le braccia; il Marco era tutto l'opposto dell'eroe che mi ero immaginato: mi sembrava ora uno di quei tipi che vivono in un loro mondo esclusivo, non molto accessibile agli altri, e che con i loro personalissimi parametri pretendono di rapportarsi con l'esterno, facendo spesso casino. Insomma uno sprovveduto, un imbecille.
La mia lettura è andata allora inevitabilmente in crisi, e solo dopo qualche giorno sono ripartito alla luce del nuovo Marco Walden. Sono riuscito a godermi il resto della storia, benchè ogni tanto l'iniziale *imprinting* si sia fatto sentire. anch'io, esattamente come Miriam, mi ero segnato la frase di pag. 254 "la società dell'incertezza si specchia nei suoi paladini" e l'ho inserita nella collezione di citazioni da usare all'occorrenza.
Nello stesso periodo mi sono capitati altri due libri che evocano in qualche modo una fuga da Babilonia: Un altro giro di giostra di Terzani e A walk along the Ganges di tale Dennison Berwick. Quest'ultimo si e' fatto a piedi in 5 mesi tutto il percorso del fiume Gange. Anche lui e' partito un po' da sprovveduto, ma assieme all'indurirsi dei suoi piedi si e' formata l'esperienza. Dopo qualche tempo, pensando un giorno a come anche il viaggiare possa diventare senza senso, all'improvviso un'illuminazione: un viaggio a piedi ! Dove? Dentro l'India. Sicuramente per me l'unico modo sensato di tornarci.
Sempre in quel periodo, esattamente il 25 aprile, e' iniziato il mio viaggio di liberazione (per ora difficile) verso il vegetarianesimo. Il 25 settembre ho festeggiato il ventesimo giorno consecutivo senza carne, salvo poi dover tornare a consumare cio' che passa il convento.
Chissà quale dei tre libri mi ha contagiato di più ? Ma in fondo è la sostanza del contagio che conta. Risfogliando ora *Guerra agli umani* trovo sulla penultima pagina un ulteriore elemento di commistione tra i tre libri: "O cammineremo intere giornate, per raggiungere paesi che disterebbero da casa un'ora di guida?"

Secondo Calibano
www.mapsulonnaise.net

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Giusto un paio di veloci annotazioni alla lettura - soddisfacente - dell'assolo di Wu Ming 2, primo approccio di un neo-giapster alla produzione letteraria dell'anonimo quintetto.

uno
Sono rimasto piuttosto sorpreso dal fatto che nessuno, per quanto ne so, abbia accostato "Guerra agli Umani" alle opere di un autore che ha scritto magnifiche black comedies dalla forte componente ambientalista, dall'umorismo irresistibile, dalle incredibili gallerie di personaggi tutti superbamente caratterizzati... Mi riferisco all'americano Carl Hiaasen ("marchiato" purtroppo dalla balorda trasposizione cinematografica del suo "Striptease") ed a romanzi quali "Alta stagione" ('86) o "Cane sciolto" ('99). Colpa della scarsa notorietà di Hiaasen in Italia o di una mia errata analogia? I pregi dei suoi romanzi mi è parso di ritrovarli in "Guerra agli Umani", arricchiti da una riflessione sulla contemporaneità assente in quei prodotti di ottimo entertainment.
Comunque, per chi ha apprezzato (o addirittura scritto?) "Guerra agli Umani", Hiaasen è una lettura fortemente consigliata.

due
La copertina ha un indubbio impatto visivo, eppure non l'ho trovata granché in sintonia con il testo. Avrei preferito un'immagine fumettosa di un muso di cinghiale, sopra la Dichiarazione di Guerra agli Umani, oppure una rielaborazione pop della
celeberrima opera-manifesto del romanticismo, "Viaggiatore sopra il mare di nebbia" (1818) di Caspar David Friedrich, con il nostro supereroe troglodita nei panni del viaggiatore, oppure ancora una finta cover del primo numero del fumetto supereroistico Marco Walden... Insomma, qualcosa di più "personale" rispetto ad una cover bella, professionale, ma abbastanza anonima (in senso negativo, in questo caso).


Ciao,

Gawain