/no/Giap/s.n. - Le statue parlanti del Buena Vista Social Forum - 12 novembre 2002



1. Buena Vista Social Forum
2. Una modesta proposta per Piazza Donatello
3. Prima Firenze, poi il Pianeta




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Questo articolo è comparso giovedì 7/11 su Quarto Stato, quotidiano dell'Arci per i giorni del FSE, distribuito gratuitamente nelle strade di Firenze.

BUENA VISTA SOCIAL FORUM

di Wu Ming

Da Seattle a Porto Alegre. Da Genova a Firenze. Nel mezzo: il manifestarsi della recessione planetaria e il conseguente declino del 'sogno' neoliberista; il welfare di guerra come governo unico dell'economia; Enduring War; l'evidenza dell'incompatibilità ambientale di questo modello economico; il terrorismo come camicia di forza per soggiogare l'opinione pubblica mondiale.
Ma anche il manifestarsi di una società civile globale, consapevole, da Nord a Sud, dei meccanismi in atto e della posta in gioco, che pur scontando quotidianamente la sua 'mancanza di potere', ha avuto l'enorme merito di ribaltare e dettare l'agenda politica degli anni a venire, entrando anche in conflitto con le leadership dei paesi forti, comprese quelle di tradizione socialdemocratica.  
Se è vero che contano i fatti, più delle parole e degli slogan, i recenti importantissimi passaggi elettorali in Svezia, Germania, Brasile, la mobilitazione permanente della società civile in Italia come in Argentina (e quasi tutto il Sudamerica), sarebbero stati concepibili senza il concorso fondamentale, nei discorsi e nelle pratiche, del cosiddetto movimento 'No Global'?
Pensiamo di no.
Pensiamo anche che una volta riconosciuto, questo innegabile merito non sia già più sufficiente.
Da più parti è stato detto che, almeno nel Nord del mondo, il movimento No Global è composto dai 'figli del benessere', 'il primo movimento che non chiede niente per sé, ma per gli altri'.
E' innegabile che in Nordamerica e in Europa alle origini del movimento vi sia stata una preponderante spinta etica. Ancora oggi le istanze di giustizia sociale e accesso ai diritti rivestono un ruolo fondamentale. Ma l'avanzare della recessione globale comporta significative modifiche a quelle premesse. La necessità del conflitto sociale si sta spalancando anche qui, nei paesi che hanno accesso a quell'80% di ricchezza planetaria, e non solo per via della presenza sempre più massiccia di migranti, riserva di 'carne da lavoro' da mantenere nell'illegalità e nell'esclusione dai diritti di cittadinanza.
Una moltitudine crescente di cittadini e lavoratori finora considerati 'garantiti' e comunque fuori da ogni preoccupazione di emarginazione sociale, vede oggi assottigliarsi certezze e soprattutto prospettive esistenziali.
Cassaintegrati della vecchia fabbrica fordista e precari delle nuove imprese in rete si ritrovano paradossalmente accomunati dalla stessa crisi, dalla stessa incertezza. Tutto ciò è già molto visibile nella composizione stessa del movimento, spesso capace nella sua 'percezione di base' di essere più avanti dei propri rappresentanti, interpreti e portavoce.
Forse a questo momento fondativo e condiviso, il Forum Sociale Europeo di Firenze, si può chiedere proprio di rendere quanto più esplicita possibile questa evoluzione. La consapevolezza cioè che all'etica sacrosanta della protesta e alla battaglia per i diritti universali vadano affiancati discorsi e pratiche capaci di affrontare la 'nostra' crisi: quella del Nord, dell'Occidente, dell'Europa e dell'Italia. Perché è solo vincendo che i movimenti possono continuare ad espandersi ed è vincendo qui che il movimento globale può provare a ridare speranza al mondo.  


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I due interventi che seguono sono stati scritti all'indomani della manifestazione di Firenze. Per vari motivi, riusciamo a spedire questo /no/Giap/ soltanto a due giorni di distanza, quando molti stanno già traendo conclusioni più approfondite sui giorni fiorentini. Poiché molte di queste conclusioni fanno letteralmente cascare le braccia - i complimenti a Pisanu e i complimenti, inspiegabili, al segretario dei DS - queste parole scritte di getto, sull'onda di un grande entusiasmo, ci sembrano comunque un buon antidoto all'immobilismo sconfortante che domina questo Paese. E ci sembrano anche una buona risposta, per ora, a quanti ci provocano, in questi giorni, dicendo che se volevamo sbarazzarci di Fassino e Pisanu, in un colpo solo, forse l'unica mossa possibile era incendiare gli Uffizi e mettere a sacco la città...


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[wm2 & wm4 ]

Oggi ci sono le bandiere, davanti a Porta Lame. Ci sono le corone d'alloro, con le coccarde e i nomi.
Ci sono le bandiere davanti alle statue dei due partigiani, plasmate col bronzo fuso di una statua equestre di Mussolini.
Prima di Genova, oltre un anno fa, durante la notte delle 'Statue Parlanti', gli mettemmo al collo un cartello. Gli facemmo dire che il naziliberismo non sarebbe passato a Genova, come il nazismo non era passato di lì, da Porta Lame, sessant'anni prima.
7 novembre 1944: l'unica battaglia aperta combattuta dai partigiani italiani dentro le mura di una città. La più grande, tra le pochissime ingaggiate in tutta Europa. Chi c'era, oggi è lì per ricordare. Per guardare le bandiere e deporre corone col nome di vecchi amici.
9 novembre 2002, Firenze: la più grande manifestazione contro la guerra che l'Occidente abbia visto sfilare per le strade di una città.
Non importa se mezzo milione abbondante o un milione scarso.
Importa che la folla fosse strabordante, enorme, troppo grande perché il suo NO suonasse soltanto come rifiuto per una guerra locale, quella all'Irak di Saddam Hussein, come un tempo l'Algeria o il Viet Nam. La moltitudine era così gigantesca perché voleva dire NO alla guerra globale, alla guerra come sistema di governo del pianeta, alla guerra come strategia economica, alla guerra come politica e come spettacolo, alla guerra permanente.
Chi c'era, non se lo potrà scordare, questo nuovo pacifismo.
E' l'immagine del cavalcavia sopra i binari di Campo di Marte, gremito come la curva di uno stadio da uomini e donne in movimento, per tre ore di fila, e il brillare dei flash, quando è sceso il buio, neanche fosse il calcio d'inizio alla finale di Coppa del Mondo.
Sono i ragazzi che giravano coi rollerblade e il sacchetto dell'immondizia in mano, per raccogliere bottiglie, cartacce, fischietti.
E' il collettivo di transessuali che ha rispolverato il vecchio slogan, sempre eccezionale: 'Perché mai perché mai sempre in culo agli operai? D'ora in poi d'ora in poi lo vogliamo pure noi!'. Vecchio, d'accordo, ma molto meglio di 'Palestina libera, Palestina rossa' e 'Le nostre idee non moriranno mai'.
A Porta Lame la parola d'ordine era: 'Garibaldi combatte!'
Il mantra di questi giorni fiorentini è stato 'One solution: Revolution!' che i trotzkisti inglesi non smettevano di cantare, in quanto non smettevano neppure di bere.
Ieri, l'unica cosa che mi sono sentito di gridare è stata: 'Siamo tutti clandestini!'. Per il resto, propongo che d'ora innanzi venga rilasciato un patentino europeo per lo speakeraggio da manifestazione. In alternativa, tutto il potere al napoletano pazzo che ha sequestrato per almeno due ore i microfoni dei S.in.COBAS, gridando contro il lavoro, contro la fatica, per il reddito di cittadinanza, contro gli investimenti che il governo avrebbe in programma a favore dei disoccupati, ma che ancora non si decide a fare, non avendo chiaro se usare camionette o jeep, e come eventualmente disporre i disoccupati per riuscire a investirli tutti. Il microfono, alla fine, hanno provato a toglierglielo, ma come fai, quando intorno ci sono centinaia di persone che ridono e che chiedono il bis?
D'altronde, certe occasioni offrono una platea a chiunque, anche al predicatore apocalittico che si è trovato a recitare brani di Ezechiele e di Michea davanti a una cinquantina di ragazzi allibiti.

Pare, si dice, si vocifera, che in piazza Donatello non faranno una statua al dimostrante globale.
Meglio così: i partigiani di Porta Lame si sono guadagnati la loro con molto sangue versato, e io ringrazio di essere nato in un tempo e in un luogo che non ha bisogno di armi per lottare contro i suoi nazismi. Anche se questo non vuol dire che la posta in gioco sia meno importante.

Ma nel caso qualcuno la volesse fare, quella statua, suggerisco  di fondere le costose paratie metalliche che hanno protetto le vetrine dei commercianti fiorentini. Sul percorso del corteo ne ho viste appena una decina, ma mi dicono che il centro di Firenze ne fosse pieno. E questa, purtroppo, è l'amara dimostrazione che c'è gente che crede più ai media che ai propri stessi occhi, che ritiene la televisione più reale della realtà stessa. Non si spiega altrimenti che un cittadino di Firenze, respirando il clima di questi giorni, non sia riuscito a capire che nulla sarebbe successo, che tenere la serranda alzata era la mossa più giusta, anche solo dal punto di vista economico. Spero chiedano i danni a quella signora che abita a New York, e crede più alle sue nevrosi che alla realtà stessa.
Quello che è successo ai negozi di Firenze credo sarebbe successo, senza distinzione, in qualsiasi città d'Italia. Non altrettanto si può dire per la gente alle finestre, i lenzuoli bianchi, gli applausi di chi stava ai margini del corteo, come spettatori del Giro d'Italia al passaggio di Bartali. L'ombrello nero tenuto alto da un signore sugli ottant'anni, con sopra la scritta bianca: 'Grazie Ragazzi!'. La carrozzina di un bimbo di due anni con appeso il cartello: 'Grazie. Domani anch'io lotterò per un mondo migliore'. Commovente, anche a distanza di un giorno. E che dire dei due tizi sulla cinquantina, facce anglosassoni, capelli grigi un po' lunghi, occhi azzurri, e giubbotti di pelle, con un piccolo cartello: 'Vietnam Veterans Against the War'? O del parrucchiere che al passaggio del corteo ha mollato lì lo shampoo che stava facendo a una signora e con le mani insaponate si è precipitato alla vetrina per salutarci...

Oppure potrebbero fare una scultura di recupero, in Piazza Donatello, e usare i materiali di scarto di tutti i ristoranti McDonald's che stanno chiudendo i battenti quest'anno, per la prima volta in saldo negativo, più quelli chiusi di quelli nuovi che aprono.
O ancora potrebbero metterci una lapide, in piazza Donatello. Una lapide per commemorare gli unici morti di questa giornata di festa. E la lapide potrebbe dire: "Qui giacciono i partiti della sinistra, incapaci di leggere la storia, di cambiare e di cambiarla. Qui giacciono le ultime tribù che ancora guardano con diffidenza questa moltitudine, perché temono di perdercisi dentro, incapaci di valorizzare la propria differenza per metterla al servizio di un intero movimento."
Sui cadaveri di queste sparute legioni, la moltitudine di ieri ha ballato con gioia, e noi con essa, stappando bottiglie di champagne e levando in alto calici colmi di nettare.
Qui giacciono partiti, clan, tribù e milizie. Ma coloro che ne ingrossavano le fila sono ancora vivi, e spetta soltanto a loro scegliere: se chiudersi addosso la bara o venirne fuori, prima di trasformarsi in vampiri e succhiare il sangue di tutti gli altri.
Sappiano che noi li attendiamo, qui, nel cuore generoso della moltitudine.
E non mi dispiacerebbe nemmeno una colonna, in piazza Donatello, come quella di Traiano, tutta a bassorilievi, che rappresentasse i diversi momenti di questa settimana fiorentina e celebrasse così il trionfo dell'auto-organizzazione, acefala ma organizzata, fatta di volontari, di associazioni diverse che si sono messe in rete perché tutto potesse funzionare al meglio, molto meglio, in effetti, di qualsiasi G8: con più contenuti, con più discussione, con più gioia e con molta, moltissima partecipazione in più. Si parla tanto della necessità di costruire un'Europa che non sia soltanto mercato: in poco più di un anno, da Genova a Firenze, centinaia di migliaia di persone hanno dato la risposta più concreta a questa necessità.

Ma anche senza statue, obelischi e lapidi, ce la ricorderemo lo stesso questa vittoria.
E a partire da subito, faremmo bene a tenerci stretta questa energia e ad usarla al meglio nelle direzioni che cominciamo a intravedere.



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[wm3, sempre nel Day After]

Il grande movimento globale per la dignità e i diritti e un'altra qualità della vita, passa per le strade, attraversa le città, come una scossa vivificante, si sparge come unguento benefico a rigenerare tessuti sociali lacerati, mortificati, impoveriti, incattiviti. Passa e semina domande, energia, intelligenza; passa e dona speranza, senso, calore. Fino a ora è questa la principale 'virtù operativa' di questo vento, chiamato con disprezzo no-global, che da qualche anno spazza e rinnova la funesta aria della politica, ridotta a puro esercizio della forza, elementare coercizione del più debole.
Firenze, come  mille altre città del pianeta prima, ha assaggiato  la carezza del soffio della mente globale che prova a pensare sé stessa e a lenire le sue sofferenze indicibili, provocate dallo squilibrio delle risorse, dalla patologia del dominio, dall'ingordigia cancerogena di ristrette caste parassitarie. Il movimento dei movimenti parla al cuore delle donne, degli uomini e dei territori.
Arriva suscitando allarme, diffidenza, paura, se ne va lasciando un segno difficile da cancellare di convivenza, possibilità di altre relazioni, restituzione ai luoghi stessi come di una loro funzione originaria ed esclusiva, culle della comunità umana. Si tratta, in tempi di enduring freedom, di una qualità, di una virtù appunto, quasi miracolosa: riaccendere la fiducia nella capacità di una moltitudine di diversi di incontrarsi per arginare, dal basso dei senza potere, il collasso dell'ecosistema e il disastro di una politica imperiale paranoica e omicida.
L'overdose di parola e discorsi del Forum Sociale Europeo di Firenze lascia dietro di sé un'impronta difficile da calcolare oggi, ma le cui conseguenze non tarderanno a manifestarsi in ogni aspetto della vita associata. L'enorme partecipazione, la qualità e l'attenzione dei seminari, la strabiliante capacità di autoregolazione di una folla più che biblica, per di più vessata e inquinata da ogni sorta di allarme e veleno, sono l'evidenza del fatto che il movimento per la dignità del genere umano non smetterà di stupirci.
Per la prima volta abbiamo visto la società civile europea riunita insieme, mostrarsi per incontrare il resto del mondo, e abbiamo sentito l'enorme potenza che da questo incontro emana. Dall'Ungheria alla Grecia,dalla Turchia al Portogallo, dalla Norvegia alla Sicilia e quanto c'è nel mezzo, più generazioni hanno riversato saperi, pratiche, desideri, tecniche e tradizioni pronti a contaminarsi, nell'unica consapevolezza che nessuno è più autosufficiente, che rinchiudersi equivale a condannarsi, che la presunta opulenza dell' occidente è l'incubo di una mente sociale depressa e autodistruttiva.
Ancora una volta il respiro planetario e globale del movimento indica la rotta da seguire ad ogni suo nucleo, cellula, aggregato o organismo, non viceversa.
Grandi responsabilità si riversano su questo Atlante che apre il nuovo secolo con una sfida apparentemente impossibile. La terribile questione del potere dopo quella meravigliosa e inebriante della potenza. Non dobbiamo averne paura, bisogna guardarla dritta negli occhi, il nemico è troppo oltre nella colonizzazione della vita, si deve osare. Possiamo governare territori, possiamo progettare e realizzare ambienti a scarso impatto e alta qualità relazionale, possiamo produrre e gestire economie solidali e non vessatorie, lo abbiamo dimostrato. Dunque dobbiamo accingerci a farlo su una scala nemmeno mai immaginata finora. L'Impero ha dichiarato guerra al mondo perché ha fretta di sedare le resistenze che incontra, è innervosito dalle falle che si aprono di continuo nel suo comando, tra la monarchia militare e le aristocrazie economiche in difficoltà. E' forte e feroce, ma va sfidato ora perché è ancora giovane e poco compatto.
Bisogna prepararsi a governare il Pianeta.


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P.S. Nell'ultimo Giap spedito abbiamo dato notizie su una presentazione in quel di Cesena, dimenticando purtroppo la cosa più importante: la data.

15/11/2002
Libreria Mondadori
Vle Carducci, 27
Cesena
ore 21.00