MITOPOIESI

0. Brevissimo preambolo
1. Lettera a Limes sulle tute bianche
2. La notte delle statue parlanti
3. "La Repubblica" sulle statue parlanti
4. Lo storico Franco Cardini commenta "Dalle moltitudini d'Europa in marcia contro l'Impero e verso Genova"

 

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Noi siamo scrittori di narrativa. Abbiamo cercato di dare un contributo al movimento globale anche e soprattutto usando gli strumenti della letteratura. NON siamo gli "intellettuali organici" delle tute bianche, anche se abbiamo indossato la tuta bianca. Non siamo "scrittori di partito", e del resto non c'è nessun partito. Il togliattismo (sia culturale sia politico) è finito, se Dio vuole (e anche se non vuole). Siamo narratori, e narrare significa già prendere posizione.
Questo non è un numero di /Giap/, ma viene spedito agli iscritti a /Giap/ perché rende conto di alcuni risultati del lavoro nostro e di molte altre persone. E' l'ultima spedizione straordinaria, poi riprenderà la numerazione e arriverà il /Giap/ + letterario in senso stretto.
 

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Lettera a Limes sulle tute bianche
 

Spett.le redazione di LIMES,

Con riferimento all'articolo (disinformato e sciatto quant'altri mai) di Francesco Vitali sull'ultimo numero [3/2001, "I popoli di Seattle"],
tralasciando il fatto che le tute bianche non sono MAI, nemmeno per un secondo, uscite dal Genoa Social Forum, che all'interno di quest'ultimo hanno piena legittimità e riconoscimento, che il GSF ha rifiutato qualunque logica di divisione tra presunti "buoni" e presunti "cattivi", e che la "dichiarazione di guerra" era un atto simbolico che ha avuto il merito di "stappare" la situazione, col governo che si è accorto di non poter cincischiare oltre...

... mi sembra che il fraintendimento di fondo sia sulla "disobbedienza civile" messa in campo dalle tute bianche, e più in generale, su cosa diamine siano le tute bianche medesime.

Preciso che non scrivo "a nome delle tute bianche", io do la mia interpretazione, che però è molto diffusa e condivisa dai più.
Le tute bianche non sono un movimento, sono uno *strumento* approntato nel contesto di un movimento più vasto (quello dei centri sociali) e messo a disposizione di un movimento ancor più vasto (quello globale). Le tute bianche esistono ormai in decine di paesi.
Le tute bianche non vogliono "istituzionalizzarsi" come corrente politica, né vanno identificate con Ya Basta! o coi centri sociali del Nord-Est.
Chiunque è libero di mettersi la tuta bianca purché rispetti (anche modificando le forme d'espressione) lo *stile* affermatosi: rifiuto pragmatico della dicotomia violenza/non-violenza, riferimento allo zapatismo, distacco dalle esperienze novecentesche, pratica del terreno simbolico dello scontro.
Il motto rimane: "Ci siamo messi la tuta bianca perché altri se la mettano. Ci siamo messi la tuta bianca per potercela togliere".
Qualunque ragionamento (critico o apologetico) che non parta da tale presupposto è viziato all'origine.

La tuta bianca non è una divisa, e l'immaginario che suscita non è, NON DOVREBBE MAI ESSERE di stampo militaresco. Chi si muovesse in quella direzione commetterebbe un grave errore politico/simbolico.
La tuta bianca non è un'identità, un'appartenenza, un "intruppamento". La tuta bianca è uno strumento. Non si dovrebbe mai dire "Sono una tuta bianca", bensì: "Indosso la tuta bianca".
Le tute bianche sono goffe, ridicole, più volte sono state paragonate agli omini della Michelin, vicendevolmente si scoppiano a ridere in faccia, quando la polizia carica non possono scappare e sono bersagli facili, è come investire in bicicletta una mucca in un corridoio.
Il saluto semi-ufficiale delle tute bianche è ridicolo (un pugno chiuso col mignolo alzato), le azioni delle tute bianche sono quasi tutte volte a titillare l'ugola dei ridanciani, vedi le statue parlanti di Bologna.
Gli slogan delle tute bianche sono ironici in un'accezione *calda* ("Peace & Love" associato a immagini di scontri, "Stiamo arrivando / bastardi stiamo arrivando!" cantato sull'aria di *Guantanamera* mentre si avanza a mani alzate sapendo che si prenderanno un sacco e una sporta di mazzate).
Le narrazioni che le tute bianche scrivono su sé stesse sono auto-sarcastiche, come "La favola della scimmia bianca", scritta durante la Marcha de la Dignidad Indigena dell'EZLN, febbraio 2001.

Le tute bianche sono consapevolmente ridicole, e sinora è stata questa la loro forza. Quando cesseranno di esserlo, urgerà cambiare strumento. Ma per il momento le cose funzionano.

Riguardo al rapporto fra tute bianche e media:
Vitali descrive una sorta di rapporto di subalternità delle prime nei confronti dei secondi.
Non è così. Le tute bianche hanno sempre giocato d'anticipo, il più delle volte spiazzando gli stereotipi giornalistici.
Ci sono stati appuntamenti dopo i quali e' stato oltremodo difficile per i media presentare lo stereotipo degli "spaccavetrine", perche' il comportamento e' stato responsabile e se qualcuno faceva grosse cazzate si capiva che era farina del suo sacco personale, non di quello delle tute bianche etc.
Mi riferisco a Mobilitebio, 24-26 maggio 2000: in quell'occasione ci fu un fronteggiamento tra polizia e tute bianche, nel contesto di un corteo variegatissimo, eppure 1) nessuno prese le distanze dalle t.b.; 2) il movimento non risultò comunque demonizzabile; 3) uno sparuto drappello di dementucoli lanciò sanpietrini contro alcune vetrate, ma fu chiaro che erano soggetti auto-isolantisi. Lo scontro servi' a scatenare il dibattito (ancora in corso) sugli OGM, e l'immagine diffusa fu talmente forte che poche settimane dopo passò la moratoria sul transgenico, con tanto di contrasti in sede di commissione europea.

Mi riferisco agli scontri bolognesi in occasione del NO-OCSE, giugno 2000: le immagini diffuse dalla TV erano inequivocabili, mostravano tute bianche che *si proteggevano* con scudi dall'aggressione di agenti di polizia scalmanati, se non addirittura dopati. In quell'occasione non ci fu
 demonizzazione, anche perche' il corteo, *responsabilmente*, non assalto' McDonalds e affini.
Mi riferisco a diversi articoli dalla corretta impostazione usciti sulla stampa internazionale dopo il corteo anti-FMI a Praga, settembre 2000.
Mi riferisco alla mobilitazione contro il G8 sull'ambiente di Trieste, aprile 2001. Di fronte allo stolido ottimismo di Bordon e alle false promesse degli americani, le tute bianche urlarono che Bush non avrebbe MAI E POI MAI rispettato l'accordo di Kyoto. Quod erat demonstrandum. Nelle settimane precedenti, la stampa locale presentò "quelli dei centri sociali" come barbari che sarebbero calati sulla Venezia Giulia mettendola a ferro e fuoco. Il corteo fu pronto all'autodifesa, ma anche pacifico, ironico, ricco di inventiva. La sera, i TG furono costretti ad ammettere che non era successo niente di disdicevole, e a Trieste la cittadinanza si domando' il perche' di tanta militarizzazione e tanto allarme preventivo.

Anche nel caso della mobilitazione contro il G8, le tute bianche hanno dimostrato una grande capacità di spiazzare, costringendo i media a interpretazioni schizoidi e all'incapacità di collocare stabilmente le tute bianche tra i "buoni" o tra i "cattivi".
D'altro canto, che le tute bianche siano tirate in ballo troppo spesso e a sproposito è altrettanto vero, ma è un effetto collaterale (sgradito, ve l'assicuro) di una "cura" che al movimento ha fatto e sta facendo bene. Non commettiamo il solito errore "situazionista", che appena qualcuno comincia a capirti e il tuo messaggio "prende" significa che ti stanno fottendo, che ti "recuperano", che fai parte dello "spettacolo". Quest'impostazione è una macchina retorica che giustifica l'inazione e l'elitarismo, e va rifiutata.
[Casomai, risulta molto più utile il concetto di "egemonia" definito da Gramsci e perfezionati dagli studiosi di sottoculture e stili pop della Scuola di Birmingham, ma questo è un altro discorso...]

Il problema (relativo) della sovra-esposizione mediatica può essere risolto "raddrizzando" continuamente la rotta, non trovandosi mai dove ti aspettano (e checché ne dica Vitali, è proprio quello che è successo con la "dichiarazione di guerra").

Dicono che sei violento?
Tu scompagini completamente il dibattito su violenza e non-violenza, proponendo forme che non rientrano in nessuna delle due categorie.
Dicono che sei una minoranza estremista?
T'infiltri nella cultura pop, costruisci consenso, metti in crisi le rappresentazioni ordinarie.
Cercano di contrapporti al Black Bloc?
Tu difendi quest'ultimo, smontando le calunnie e gli stereotipi.
Cercano di descrivere la parte come se fosse il tutto, dicendo che le tute bianche *sono* il movimento, e così cercano di inchiodarti a un "dialogo" che tanto meno ha senso tanto piu' viene mediaticamente strombazzato?
Tu precisi che non c'e' bisogno di "dialogo", che il governo deve limitarsi a garantire l'essenziale e che comunque la linea rimane la stessa: bloccare il G8 ora e per sempre.
Ti infilano dappertutto come il prezzemolo?
Silenzio-stampa.
Ti chiedono pareri anche sulle cose che non fai tu?
Tu dici che sei solo una parte del movimento, e che tocca agli altri spiegare ciò che fanno.

L'intero ragionamento di cui sopra è basato su informazioni accessibili nella sezione "From the forum" di www.tutebianche.org, che raccoglie i messaggi più significativi del gruppo di discussione "Referendum".
Bizzarro che Vitali non ci abbia dato un'occhiata, dato che il soggetto del suo temino era: "Vita e morte dei gruppi antiglobalizzazione al tempo di Internet".

Faccio infine presente che, da Seattle in poi, se siamo qui a parlare di un vero e proprio "movimento", e non di una semplice rete di associazioni (a maglie tanto larghe che non la si identifica nemmeno come rete), e' anche soprattutto perche' centinaia di migliaia di persone hanno messo a rischio i loro corpi, rischiando le bastonate, l'intossicazione da lacrimogeni, e ora anche le pallottole.

Cordiali saluti e buon lavoro,

Roberto Bui, 30 giugno 2001
 

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Le Tute Bianche presentano:

LA NOTTE DELLE STATUE PARLANTI
 

Nella notte tra il 20 e il 21 giugno 2001, in corrispondenza del magico Solstizio d'Estate, le statue di Bologna si sono messe a parlare, esprimendosi contro i potenti della Terra che si riuniranno a Genova per il G8. Da troppo tempo costretti al mutismo, i personaggi che popolano le vie e piazze di Bologna hanno parlato  esponendo cartelli - per ricordarci qual è la funzione originaria dei monumenti: ammonire, appunto. Comunicare. L'ecocatastrofe planetaria indigna tutti gli esseri sotto la volta del cielo, animati e inanimati, senzienti, non-senzienti e soprattutto dissenzienti. Stranamente, la polifonia dei messaggi è analoga a quella delle molteplici anime del movimento.

A metà di via Indipendenza, il generale Garibaldi è sbottato:

"DISOBBEDISCO! CAMICIE ROSSE CONTRO IL G8!"

In Piazza Galvani, l'eponimo scienziato ha dichiarato:
"IL CAPITALISMO E' UNA RANA MORTA! NO AL G8!"

Ai Giardini Margherita, l'ex-sovrano Vittorio Emanuele II° si è così espresso:
"BUSH & BERLUSKA SONO PIU' RIDICOLI DI ME!"

Ai Giardini di Porta Galliera, l'eroe risorgimentale Ugo Bassi, puntando un dito ammonitore, ha intimato:
"FUORI DALLE CITTA' I VERTICI DEI POTENTI!"

I Partigiani di Porta Lame hanno annunciato:
"DOPO BOLOGNA, LIBEREREMO GENOVA!"

Presso la chiesa dell'Annunziata di Porta S. Mamolo, S. Francesco d'Assisi, allargando le braccia a comprendere tutti i viventi, ha salmodiato:
"TUTTE LE CREATURE DI DIO CONTRO IL G8!"

In Piazza del Nettuno, il dio dei mari ha tuonato:
"MAREMOTO CONTRO IL G8!"

Gesù Cristo ha abbandonato la croce di via dell'Osservanza non dimenticandosi di avvertire:
"TORNO SUBITO, SONO A GENOVA CONTRO IL G8!"

I caduti del monumento all'VIII Agosto hanno gridato:
"SOLIDARIETA' AI FERITI DI GOTEBORG!"

La "Madonna grassa" di via Saragozza ha lanciato il suo coordinamento:
"MAMME CONTRO IL G8"

Su Viale Carducci S. Antonio, riferendosi alla celebre reliquia, ha precisato:
"LA LINGUA DEL SANTO NON LECCA IL CULO AL G8!"

Infine, con tono decisamente più dimesso, l'ex-premier Minghetti ha bofonchiato:
"SONO UNO SFIGATO: NON VADO A GENOVA."

A seguire, le foto dello straordinario evento.

TUTE BIANCHE



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da La Repubblica-Bologna, 22 giugno 2001

CARTELLI FANNO PARLARE LE STATUE
BLITZ NOTTURNO CONTRO IL G8
Iniziativa delle "Tute bianche". Le scritte rimosse dai pompieri con le autoscale
 

di Luciano Nigro

Statue parlanti. Il sogno di Michelangelo Buonarroti si è avverato per una notte a Bologna nel segno delle manifestazioni contro il G8. Nella notte che precede il solstizio d'estate tutti i monumenti della città hanno lanciato appelli contro la globalizzazione. Garibaldi e Vittorio Emanuele, i partigiani di porta Lame e San Francesco, Minghetti e persino Gesù Cristo sono stati coinvolti. Non c'entra, però, il martello del
grande scultore che già aveva fallto nell'impresa di dare la pa rola al Mosè. I colpevoli questa volta sono le Tute Bianche, ala creativa del popolo di Seattle che con un blitz, armate di cartelli, corde e scale, l'altra notte sono riuscite a dare la parola con cartelli a tutti i monumenti e a trasformare in fumetti i simboli di pietra e di bronzo della città.
"Il capitalismo è rana morta. No al G8": si è trovato a protestare in piazza Galvani l'inconsapevole scienziato che gli anfibi li faceva muovere anche da morti e con i suoi studi spianò la strada alla scoperta dell'elettricità.
"Disobbedisco, camicie rosse contro il G8" è lo slogan che l'Eroe dei Due Mondi si è ritrovato per le mani sul suo cavallo di fronte all'Arena del Sole. E che dire del Santo di Assisi della chiesa dell'Annunziata di porta San Mamolo che a braccia aperte ha dovuto recitare, suo malgrado, "Tutte le creature di Dio contro il G8"?
Scontata, e tuttavia diretta e di una certa efficacia, la parola d'ordine appesa al tridente del Nettuno: "Maremoto contro il G8". E sulla stessa falsariga il "Dopo Bologna libereremo Genova", gridato dai partigiani di Porta Lame, e il "mamme contro il G8" della Madonna Grassa di via Saragozza.
Alla Croce di via dell'Osservanza è stato appeso un quasi rispettoso "Torno subito, sono a Genova contro il G8". Ai limiti dell'oltraggio alla memoria del Romano Prodi del secolo scorso, invece, il cartello per Marco Minghetti: "Sono uno sfigato: non vado a Genova". Improponibile, persino, la scritta dedicata al Sant'Antonio di viale Carducci.
Nessuno è stato risparmiato dalle Tute Bianche, che teorizzano di aver voluto far uscire "dal mutismo" i personaggi che popolano vie e piazze di Bologna per protestare "contro i grandi della terra". E così se l'eroe del Risorgimento Ugo Bassi ai giardini di porta Galliera ha intimato "Fuori dalle città i vertici dei potenti", l'ex capo di stato e sovrano Vittorio Emanuele II è stato costretto a proclamare dai giardini Margherita che "Bush e Berluska sono più ridicoli di me". E i caduti del monumento dedicato ai moti del 1848 in piazza VIII agosto hanno espresso "solidarietà ai feriti di Goteborg".
L'operazione propagandistico goliardica, tuttavia, è durata poco. I vigili del fuoco sono prontamente intervenuti e nell'arco di una mattinata sono riusciti a liberare i grandi simboli della città e del paese della città da quei pericolosi cartelli anti globalizzazione distribuiti nottetempo con rapidità e buona conoscenza della toponomastica cittadina dai contestatori in divisa bianca che stamparono i biglietti falsi dell'Atc contro
il caro bus, che timbravano nei supermercati i cibi prodotti con organismi geneticamente modificati e che al corteo NoOcse si presentarono con i famosi "gommoni". E c'è da scommettere che sia solo l'inizio: a Genova manca ancora un mese.
 

4-------------------------
 

[Senz'altro commenta pro domo sua (Franco Cardini è storico medievista di idee filo-"tradizionaliste", la destra cattolica che rivalute le crociate etc.), pero' gli abbiamo trafitto il cuore, su certe cose ci azzecca alla grande ("Se il 13 maggio avesse vinto la sinistra, la
repressione che le tute bianche avrebbero subito sarebbe stata forse molta dura, e mass media, politici, sindacati e piazze non avrebbero fiatato o quasi." "D'Alema e Diliberto non possono dirlo a chiare lettere, ma più o meno condividono per i ragazzi dei centri sociali i sentimenti di Tremonti e di Gasparri.") e su altre scazza di brutto (l'assenza di Marx & co. dal proclama: basti leggere "La guerra dei contadini" di Federico Engels). Soprattutto, fa capire quanto si possa "squadernare" l'immaginario (il proprio e quello del nemico) e deludere le aspettative.]
 
 

da "L'Espresso" uscito in edicola il 22/6/2001:
 

GLOBALIZZAZIONE / MITI ED EROI DELLE TUTE BIANCHE VISTI DA UNO STORICO
MAMMA LI CIOMPI!
Esaltano i ribelli medievali. Ignorano Marx e l'antifascismo. Spaventano sia Berlusconi che D'Alema...

di Franco Cardini
 

Noi siamo nuovi, "ma siamo quelli di sempre... Loro si dicono nuovi, ma non c'ingannano, sono quelli di sempre. Oggi hanno un nuovo impero, su tutto l'orbe impongono nuove servitù della gleba, si pretendono padroni della terra e del mare. Contro di loro, ancora una volta, noi moltitudini ci solleveremo". Così inizia un appello "Dalle moltitudini d'Europa in marcia verso l'Impero e verso Genova" che si legge nel sito
<www.qwerg.com/tutebianche/it/maggio/index.html>.
Proprio così, senza scherzi. Ed ebbene sì, non mi hanno convinto ma mi hanno commosso. Se la mia quasi calvizie di sessantenne mi permettesse di ascoltare solo le raisons du coeur, perdinci, sarei con loro con tutte le mie vecchie midolla reazionarie ed eversive, con tutte le mie vecchie ossa di sessantottino guevarista che non solo non si è pentito, ma anzi se ne vanta. C'è quasi tutto, nell'appello delle "moltitudini d'Europa in marcia contro l'impero e verso Genova" ch'è una dichiarazione di guerra delle tute bianche contro l'impero di Star Wars, quello Che Colpisce Ancora e che, a sentire loro, ha colpito sempre, fin dalla notte dei tempi.
L'appello è una dichiarazione di guerra. Politica e storica: ma anche transtorica e transpolitica, metastorica e metapolitica. I potenti della Terra riuniti a Genova per il G8 e i loro colti e strapagati consulenti e collaboratori non si troveranno davanti solo il "popolo di Seattle", i ragazzini delle scuole, i ragazzacci dei centri sociali e un po' di disgraziati e di fricchettoni assortiti in vena di suonar chitarre e di spaccar vetrine. O meglio, quelli ci saranno, certo: ma con loro, dietro di loro, assieme a loro, dentro di loro marcerà un immenso Popolo di Morti. E il documento le passa in rassegna, queste armate coperte dalla polvere dei secoli e disperse dal vento della storia e le chiama per nome, con  l'epica pignoleria dell'omerico "Catalogo delle Navi", e seguendo la nomenclatura proposta da "I fanatici dell'Apocalisse" di Norman Cohn.
Siamo quelli di sempre. Siamo i dannati della terra della Jacquerie, i ciompi di Firenze, i contadini inglesi di Wat Tyler e di John Ball, i taboriti di Jan Huss e di Jan Ziska, i 34 mila tedeschi del Tamburino di Nicklashausen, gli alsaziani della "Lega dello Scarpone", gli svevi del povero Konrad, i contadini ungheresi del 1514, la gente di Thomas Muentzer, i dannati della terra del Surrey, i servi della gleba e i cosacchi di Pugaciov, i sottoproletari inglesi di Ludd e di Swing, i precari del 1848, quelli della Comune di Parigi.
C'è qualche amateur di storia, nel piccolo popolo che vedremo sfilare, cantare, gridare e quasi certamente far qualcos'altro a Genova, mentre i signori del G8 celebreranno i loro riti severi e mondani. Gli uni spaccheranno qualche vetrina, forse qualche testa; gli altri stabiliranno come dovremo vivere, produrre, consumare, arricchire o impoverire nei prossimi anni. Non ho dubbi che l'antico e sempre nuovo esercito dei ribelli turberà i sonni del presidente Berlusconi, nelle prossime notti. Se il 13 maggio avesse vinto la sinistra, la repressione che le tute bianche avrebbero subito sarebbe stata forse molta dura, e mass media, politici, sindacati e piazze non avrebbero fiatato o quasi. Ma, col governo di centro-destra l'occasione è troppo ghiotta.
Tutto ciò, d'altronde, è tattica politica e non lede la sostanza delle cose. Ch'è quella evidente, appunto, nell'appello delle "moltitudini d'Europa". Dove non solo manca qualunque cenno (e c'è chi se ne stupirà) all'antifascismo, ma dove gli eredi presunti del Sessantotto non evocano neppure un'idea o una suggestione che in qualche modo possa risalire anche indirettamente al vecchio Marx. Anzi. Questa gente, contro i padri storici della quale il dottor Lutero invocò la spada dei "buoni signori" tedeschi che li massacrasse "come cani rognosi", il vecchio Marx la disprezzerebbe. Questi sono o immaginano di essere il Lumpenproletariat, il "proletariato straccione". Se una residua pruderie di sinistra non avesse impedito, gli estensori del documento avrebbero ben potuto citare, accanto alle plebi tedesche della Riforma o a quelle parigine della Comune, anche quelle della Vandea, i "briganti" italomeridionali, gli zapatisti e i cristeros messicani...
Non saranno i fratelli minori o i figli di Cipputi a protestare contro il G8; i colletti blu ormai portano il colletto bianco, giocano in Borsa, sparlano moderatamente della globalizzazione, ma ne godono i prodotti e sperano di vedersene cadere i frutti maturi sui loro conti di banca.
D'Alema e Diliberto non possono dirlo a chiare lettere, ma più o meno condividono per i ragazzi dei centri sociali i sentimenti di Tremonti e di Gasparri. La globalizzazione e la sua onda lunga creano nuove trasversalità, nuove consonanze e dissonanze. Nuovi vincitori e nuovi perdenti, nuovi sfruttatori e nuovi sfruttati. Può anche darsi che il domani appartenga al signor Bush e al "baffo" della Nike. Ma può anche darsi che si debba prestar maggior attenzione al maleducato malumore di Monsieur Bové e ai petulanti libroni di Miss Klein. Non è poi detto che le ragazze indonesiane e filippine accettino in eterno di farsi sfruttare senza capire che cosa sta succedendo, e che la coscienza etica dell'Occidente venga monopolizzata ancora a lungo dai soli ragazzacci di Seattle e di Genova e dalle loro magari scomposte reazioni.
Bentornato, intanto, generale Ludd.

21.06.2001
 


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