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Michael Hardt

«Su due piedi» di Giuliano Santoro – Prefazione di Wu Ming 2

Su due piedi - copertina con fascetta
[Che bel libro! Al contempo riflessione autobiografica/esistenziale, reportage in presa diretta e indagine “passoscopica” sul territorio, Su due piedi di Giuliano Santoro – aka @amicoFaralla su Twitter e @Jimmyjazz su Identica e Giap – sorprende, smuove e qualche volta commuove. Non solo:  è anche un bell’oggetto, di quelli che fa piacere tenere in mano, e ha un prezzo intelligente (€ 7,90), non scemo come certi che si vedono in giro (*)
Su due piedi è anche un blog che consigliamo di seguire. Anzi, era già un blog prima di diventare un libro. Leggendo, capirete.
Eccovi la prefazione scritta da Wu Ming 2. In questo testo, prosegue il rimuginare avviato in un’altra prefazione, quella al libro di Luca Gianotti L’arte del camminare. Consigli per partire con il piede giusto (Ediciclo, 2011).]

L’autore di questo libro ha impiegato un mese della sua vita a percorrere le strade e i sentieri della Calabria, con l’obiettivo di raccontarla, di penetrarne lo spirito, di “rompere i pregiudizi di chi non conosce un luogo e la pigrizia mentale di chi pensa di conoscerlo fin troppo bene”.
Ha scelto di farlo “su due piedi”, a passo d’uomo, eppure nessuno dei paesi che ha visitato era inaccessibile con altri mezzi: poteva usare il treno, l’auto, il pullman, l’elicottero, la bicicletta… Nessun indovino gli aveva predetto la morte su uno di questi veicoli, né aveva scommesso con gli amici sulla riuscita dell’impresa. Dunque perché proprio le gambe e lo zaino in spalla? Perché la fatica fisica del viandante, in aggiunta a quella mentale del narratore? Prosegui la lettura ›

«Bartleby deve morire!»

«Potere salumiere / e sporca disciplina.» (Nabat, 1983)

Capitano cose strane di questi tempi. Anche stranissime.
A Bologna c’è un collettivo
di studenti, ricercatori, giovani lavoratori precari, che si chiama “Bartleby” (da un celebre racconto di Herman Melville) e da due anni organizza iniziative culturali nei locali assegnatigli dall’Università di Bologna, in via San Petronio Vecchio. Da qualche tempo l’assegnazione è scaduta e l’ateneo ha deciso di non rinnovarla, poiché pare che in quegli stessi locali dovranno essere eseguiti lavori strutturali per ampliare gli spazi della Facoltà di Scienze Politiche. L’ateneo non intende offrire alternative al collettivo Bartleby: probabilmente non ritiene interessante né utile l’attività che svolge.
Ecco la prima stranezza. Prosegui la lettura ›

Toni Negri sull’autostrada, ovvero: tirannia del tempo e momento utopico


Il 19 aprile scorso Wu Ming 1 è intervenuto all’ incontro “Conflitto, rivoluzione, potere, immaginario”, organizzato a Roma dal collettivo Militant.
L’intento di Militant era gettare luce sul tema di un “immaginario comune” di sinistra, tra attivismo politico e lavoro artistico/intellettuale. L’idea era di sollecitare interventi molto diversi per impostazione e linguaggio, da parte di tre persone differenti per età, genere, percorsi di vita e attività “militante” nei rispettivi ambiti d’intervento. I relatori dovevano essere WM1, il collega – e nostro traduttore – Serge Quadruppani (proveniente dal mondo libertario e dell’ultragauche francese) e Geraldina Colotti (scrittrice, poetessa e redattrice del Manifesto, proveniente da esperienze di lotta armata e carcere duro). Prosegui la lettura ›

Siamo tutti il febbraio del 1917, ovvero: A che somiglia una rivoluzione?

[Comincia la pubblicazione su Giap degli interventi fatti da WM1 e WM2 alla UNC (University of North Carolina) di Chapel Hill, il 5 aprile scorso.
Il giorno prima abbiamo fatto gli stessi interventi alla Duke University, Durham, NC. Una sorta di “prova generale”: dalla sessione di domande e risposte, grazie soprattutto a Michael Hardt e Federico Luisetti, sono emersi elementi che ci hanno permesso di migliorare l’esposizione. La versione che state per leggere/ascoltare è quella “2.0”.
Per quest’esperienza siamo grati a molte persone. In particolare, ringraziamo: Mimmo Cangiano, Roberto Dainotto e Federico Luisetti, per l’invito, per aver organizzato tutto l’ambaradan e per la scanzonata compagnia; Laura Moure Cecchini, che ci ha lasciato per cinque giorni il suo appartamento, con licenza di messa a soqquadro; le compagne e i compagni del centro sociale El Kilombo Intergalactico, per un illuminante pomeriggio di  “contro-turismo”; Michael Hardt, che si dimostra sempre un gentiluomo; Fredric Jameson, per l’appoggio all’iniziativa e la chiacchierata; Michal Osterweil, con cui abbiamo in comune preziosi ricordi della penultima ondata.
Qui sotto, l’intervento di WM1. La prossima settimana toccherà a quello di WM2, intitolato: “Come distinguere una rivoluzione da tutto il resto”.
Entrambe le versioni inglesi sono già disponibili in pdf ed entrambi gli mp3 ascoltabili/scaricabili in calce a questo post.]
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Qualche settimana fa, sul Guardian è uscito un articolo di Antonio Negri e Michael Hardt intitolato «Arabs are democracy’s new pioneers». In esso, i due autori cercavano di fornire una cornice per interpretare le recenti sollevazioni popolari in Nordafrica e nel Medio Oriente. A un certo punto scrivevano che:

«chiamare “rivoluzioni” queste lotte sembra aver depistato i commentatori, che danno per scontata una progressione degli eventi che obbedisca alla logica del 1789, o del 1917, o di qualche altra ribellione europea del passato, contro re o zar.» [1]

Nel preparare questa conferenza, l’interrogativo è stato: è possibile descrivere una sollevazione odierna come “rivoluzione” senza essere depistati in quel modo? E come possiamo raccontare una rivoluzione oggi? Prosegui la lettura ›