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Israele

Chiamare genocidio il genocidio

Gernika/Guernica, Euskadi, 9 dicembre 2023. Migliaia di manifestanti riproducono la bandiera palestinese accanto a un dettaglio del quadro che porta il nome della città, dipinto da Picasso per denunciarne il bombardamento (1937).

[WM: Stavamo impaginando quest’articolo quando, il 13 giugno, le forze armate israeliane hanno avviato l’operazione «Leone che sorge», colpendo numerosi obiettivi in territorio iraniano. L’escalation in Asia occidentale – «Medio oriente», in fondo, è un’espressione eurocentrica di derivazione colonialista – e lo scontro diretto tra il regime del Likud e quello degli Ayatollah, a cui si aggiunge la distruzione da parte dell’IDF dell’ultimo collegamento Internet di Gaza, hanno momentaneamente oscurato il genocidio in corso nella Striscia, ma la situazione resta quella descritta da Girolamo De Michele. Gli ultimi sviluppi non solo non inficiano le analisi e riflessioni che seguono, ma le rafforzano.]

di Girolamo De Michele *

0. Premessa

Il conto totale dei morti è quasi impossibile, ma in qualche modo va tentato; ci sono le vittime dichiarate dal Ministero della Sanità di Gaza, ritenute attendibili da organizzazioni internazionali; cui vanno aggiunti i morti ancora sepolti, e che forse non saranno mai disseppelliti; cui vanno aggiunti i morti per cause conseguenti – ferite con lungo decorso, malattia, denutrizione. Uno studio ospitato su Lancet lo scorso luglio – quando la stima dei morti era di circa 37mila, poco meno della metà del conteggio al momento in cui scrivo, più 10mila sotto le macerie secondo le stime dell’ONU – affermava:

«Anche se il conflitto terminasse immediatamente, nei prossimi mesi e anni continuerebbero a verificarsi numerose morti indirette dovute a cause quali malattie riproduttive, trasmissibili e non trasmissibili. Si prevede che il bilancio totale delle vittime sarà elevato, data l’intensità del conflitto, la distruzione delle infrastrutture sanitarie, la grave carenza di cibo, acqua e alloggi, l’impossibilità per la popolazione di rifugiarsi in luoghi sicuri e la perdita di finanziamenti all’UNRWA, una delle pochissime organizzazioni umanitarie ancora attive nella Striscia di Gaza. Nei conflitti recenti, tali morti indirette vanno da 3 a 15 volte il numero di morti dirette. Applicando una stima prudente di 4 morti indirette per ogni decesso diretto ai 37.396 decessi segnalati, non è improbabile stimare che fino a 186mila o anche di più decessi potrebbero essere attribuibili all’attuale conflitto a Gaza. Utilizzando la stima della popolazione della Striscia di Gaza del 2022 di 2.375.259 persone, ciò si tradurrebbe nel 7,9% della popolazione totale della Striscia di Gaza.» Prosegui la lettura ›

A proposito di una notizia falsa sul nostro conto

I dolori del giovane Raul.

[Aggiornamento h.15:27 03/06/2022: nell’edizione on line dell’intervista il passaggio in cui eravamo tirati in ballo (noi e… Kafka) è stato espunto. Ci dicono che su Facebook Montanari ha riconosciuto di aver «infilato nell’intervista un errore» e annunciato che domani l’edizione cartacea del Corriere–Bergamo pubblicherà una rettifica. Noi siamo a posto così. WM]

In un’intervista rilasciata all’edizione bergamasca del Corriere della Sera il collega scrittore Raul Montanari, parlando dei fatti suoi, ha inspiegabilmente sentito l’impulso di tirare in ballo noi, totalmente a sproposito, attribuendoci una fantomatica richiesta che avremmo fatto non si capisce quando al Salone del libro di Torino:

«A me sta avvelenando la vita, il politicamente corretto, non mi sento più libero di fare una rappresentazione del femminile nelle cose che scrivo, come lo ero vent’anni fa. Mi pongo problemi, devo andare con il bilancino, cerco di equilibrare. Nel caso di Nori la cosa più grottesca è che hanno cercato di imporgli di parlare di autori ucraini accanto a quelli russi, per tenere il corso. Anni fa successe una cosa del genere al Salone del Libro, quando Wu Ming protestò contro gli autori israeliani, chiedendo che venissero ospitati anche autori palestinesi. Ma, insomma, mettere gli autori palestinesi accanto a Kafka o ad altri grandi autori ebrei non aveva alcun senso. E, mi tocca precisarlo, sono tutto meno che un sionista.»

La circostanza è inventata di sana pianta. Prosegui la lettura ›

Notes for a Musical Intifada

Oday al Khatib

Oday al Khatib

di Dimitri Chimenti (guest blogger)

[Chimenti, oltre che un acuto studioso di cinema e letteratura e uno dei più curiosi indagatori di “oggetti narrativi non-identificati”, è autore del documentario Just Play (2012).
Just Play racconta la storia di Al Kamandjâti (Il Violinista), un’associazione culturale che da 10 anni porta le sue scuole di musica in un territorio che dai campi profughi del Libano arriva sino alla Striscia di Gaza. La musica come mezzo di liberazione. “Che senso ha suonare Bizet tra le sbarre di un checkpoint? Perché un’orchestra sfida un esercito? Qual è la posta in gioco?” In questo articolo/racconto per Giap, Dimitri racconta cos’è accaduto a uno dei protagonisti del film.]

19 marzo 2013

Sono le 21.51 quando ricevo il messaggio di Jibril su Skype: hanno arrestato Oday. Il capo d’accusa non si conosce e nessuno sa dove è rinchiuso; l’unica notizia certa è che tre giorni fa è partito da Ramallah per fare visita ai genitori nel campo profughi di Al Fawwar, pochi chilometri a sud di Hebron. Da allora più niente. Prosegui la lettura ›