Da Infoxoa - rivista di quotidiano movimento - #17, novembre 2003

Meglio del gingko biloba
Lottare contro il copyright fa bene alla memoria

di Wu Ming 1

Se nel futuro remoto saranno all'opera archeologi, siederanno inquieti e perplessi di fronte alle poche vestigia dell'era del capitalismo come sull'orlo di un buco nero, con l'antimateria che sfiora la punta delle scarpe e fa rabbrividire di solletico.
Già, perché il nostro tempo rischia di diventare niente più che un enigma, come Atlantide, come Mu, come la civiltà che dipinse le piste di Nazca. La formazione sociale che dalla notte dei tempi ha prodotto la maggiore quantità di informazioni rischia di essere tra le meno conosciute nei secoli a venire. Le uniche "testimonianze" che siamo più che sicuri di tramandare sono scorie nucleari, rifiuti tossici e rovine.
Ma come, e la letteratura, la scienza, il cinema, la musica...?
I problemi, a una prima occhiata, sono tre:
- la deperibilità dei materiali (e quindi dei supporti dell'informazione);
- l'obsolescenza delle tecnologie (parte della generale obsolescenza pianificata delle merci);
- la proprietà intellettuale, per difendere la quale si impone un'informazione "a numero chiuso" che non è consentito copiare. I monaci che durante il medioevo copiarono e salvarono gli antichi libri, oggi sarebbero perseguibili a norma di legge.
Diversi romanzi e racconti di science-fiction descrivono il grande problema di un futuro senza passato. Il più volte citato racconto di Robert Silverberg Breckenridge and the Continuum [1] ha in comune con The Telling, l'ultimo romanzo di Ursula K. Le Guin [2] l'idea che il problema si possa risolvere soltanto narrando e copiando, copiando e narrando, facendo circolare le storie, rimuovendo gli ostacoli a questa circolazione.
Le Guin, nata nel 1929, è la grande decana della s-f libertaria, creatrice del famoso ciclo dell'Ekumene. Anche The Telling fa parte del ciclo ma, come tutti gli altri episodi, si può leggere anche da solo. Sul pianeta Aka vige la dittatura dello "Stato-Azienda", una sintesi di fanatismo neoliberista e "polpottismo", che insediandosi ha cercato di distruggere tutte le storie e i miti pre-esistenti. Le comunità, tra cui quella rangmana della città di Okzat-Ozkat, resistono e ricorrono a mille sotterfugi pur di continuare a raccontare storie. "The Telling", la Narrazione, è per l'appunto il nome di questa religione del raccontare, priva di entità soprannaturali, con elementi affini al taoismo e allo zen. "Dharma senza karma" è una delle descrizioni approssimative che ne dà la protagonista, la terrestre Sutty, inviata dall'Ekumene per studiare questa cultura di resistenza e, copiandone i testi, salvarla dall'estinzione.
Ad un certo punto un maz (sciamano-narratore) afferma che non solo la guerra e lo sfruttamento ma anche l'inquinamento e l'ecocidio sono conseguenze di un grave disturbo nella trasmissione delle storie, di un'interferenza causata dalla logica capitalistica:

Senza la narrazione, le rocce, le piante e gli animali vanno avanti benissimo. Ma le persone no. Le persone vagano smarrite. Non distinguono una montagna dal riflesso della montagna in una pozzanghera. Non distinguono un sentiero da un dirupo. Si fanno male. Si arrabbiano e si fanno male a vicenda. Vogliono troppo. Trascurano le cose. Le coltivazioni non vengono seminate. Ne vengono seminate troppe. I fiumi si sporcano di merda. La terra è sporca di veleno. La gente mangia cibo avvelenato. Tutto è confuso. Tutti stanno male. Nessuno si prende cura della gente malata, delle cose malate. Ma questo è grave, gravissimo, no? Perché badare alle cose è il nostro compito, no? Badare alle cose, badare a noi stessi. Chi altri dovrebbe farlo? Gli alberi? I fiumi? Gli animali? Quelli fanno solo ciò che sono. Ma noi siamo qui, e dobbiamo imparare in che modo starci, come fare le cose, come mandare avanti le cose nel modo giusto. Il resto del mondo sa il fatto suo. Noi sappiamo soltanto come imparare. Come studiare, come ascoltare, come parlare, come narrare. Se non raccontiamo il mondo, noi non conosciamo il mondo. Ci perdiamo nel mondo, moriamo. Ma dobbiamo raccontarlo bene, in modo veritiero. Chiaro? Dobbiamo prenderci cura di esso e raccontarlo com'è davvero. Ecco cos'è andato storto. Laggiù, laggiù nella regione di Dovza [...] Ingannare la gente per denaro! Arricchirsi con le bugie, tiranneggiare la gente! Non c'è da meravigliarsi se la polizia ha preso il potere!

Il capitalismo disturba la trasmissione delle storie. E' un modo di produzione terrorizzato dal "passatismo" e dunque ammalato di futurofobia: in nome dell'eterno presente della produzione e del consumo, pregiudica la trasmissione della cultura e della memoria ai nostri discendenti (e nel mentre ne mette in pericolo la salute e la vita stessa).
Viviamo un nuovo incendio della biblioteca di Alessandria, silenzioso e invisibile. I nastri si graffiano e smagnetizzano, le pellicole sbiadiscono, le memorie elettroniche si deteriorano, la carta si sbriciola. Tra i "testimoni" che resistono e sopravvivono, molti rimangono muti perché abbiamo perso le tecnologie utili a interrogarli.
Dal paleolitico in avanti è aumentata sempre più la fragilità e la vulnerabilità dei supporti. I disegni di Altamira e Lascaux, affidati alla nuda roccia, sono sopravvissuti per quindicimila anni, per essere rinvenuti - rispettivamente - nel 1879 e nel 1940 (e rischiare oggi, nel caso di Lascaux, di essere cancellati da un fungo portato dalle orde di turisti). Il Codice di Hammurabi, inciso su una stele di diorite circa quattromila anni fa, è stato trovato e tradotto nel 1901. La stele di Rosetta, incisa su basalto nel 196 a.C., è stata tradotta da Champollion più di duemila anni dopo. Le tavolette d'argilla incise in cuneiforme, diffuse in Mesopotamia dal III° al I° secolo a.C., sono ancora leggibili. Molti documenti scritti su papiro (fino al IV° secolo d.C.) e su pergamena sono consumati ma in genere leggibili e restaurabili (e in ogni caso ci sono). La carta utilizzata fino al 1870 circa è ingiallita ma integra.
Al contrario, la carta di cellulosa fabbricata dal tardo Ottocento fino a oggi viene consumata dagli acidi che contiene [3]. Si è calcolato che sia già andato distrutto il 25% dei libri post-1870 presenti nelle biblioteche di tutto il mondo. Alcuni cilindri di cera per fonografo, benché logori, sarebbero ancora ascoltabili, ma scarseggiano i fonografi. I dischi in vinile si riempiono di graffi e piccoli buchi, cominciano a "friggere" e "saltare", ascoltandoli li si uccide. I film su pellicola (acetato di cellulosa) sono fragilissimi e vanno restaurati sempre più spesso. Il suono dei nastri magnetici si fa via via più sordo e ovattato, e spesso non c'è più modo di leggerli, come accade alle vecchie cartucce Stereo 8. L'immagine dei VHS si fa sempre più sbiadita.
E il digitale?
Lo sviluppo vorticoso dell'hardware e del software si brucia tutti i ponti alle spalle. Abbiamo già perso una sterminata quantità di dati salvati (per modo di dire) su floppy da 5,25 pollici, perché abbiamo rottamato i computer che potevano leggerli. Ora tocca ai floppy da 3,5. Inoltre, sono state spinte all'estinzione numerose specie di software (chi è più in grado di leggere un testo scritto in Wordstar?).
La diffusione di software libero, dal codice-sorgente aperto, può essere una soluzione: limita l'obsolescenza pianificata dell'hardware [il suo fine è girare bene su qualunque macchina, non farti comprare un computer nuovo] e tutela la "biodiversità" [si basa sulla libera collaborazione, non c'è interesse a fare piazza pulita dei "perdenti"]. Rimane però la deperibilità dei supporti magnetici e magneto-ottici. Anche i dati immagazzinati su un cd o cd-rom non rimangono al sicuro per molto tempo: sempre più spesso i cd cominciano a "saltare" e a "incantarsi" come facevano i dischi in vinile (anche se la dinamica è diversa). E' questione di tempo prima che succeda la stessa cosa ai dvd.
Oggi si fanno esperimenti su batteri usati come "biblioteche", documenti salvati su filamenti di DNA (versione nanotecnologica dei quipos incaici). Insomma, stiamo passando al supporto più deperibile di tutti i tempi, per giunta impossibile da decifrare - e persino da riconoscere come tale - da chi non disponga della necessaria tecnologia. Una nuova frontiera dell'informazione chiusa.
Di fronte a quest'ordine di problemi, che dovremmo fare? Tornare a incidere i messaggi sulla pietra? Sul pianeta non resterebbe una sola montagna.
No, l'unica è fare come gli amanuensi d'antan: copiare, copiare, copiare. In gergo tecnico si chiama "migrazione" (nel caso di dati spostati continuamente da un computer a uno più nuovo) o "refreshing" (nel caso di dati spostati da un supporto vecchio a uno nuovo: dall'analogico al digitale etc.). A pensarci, è sempre successo: "migrazione" di un testo da un libro logoro a un libro nuovo, "refreshing" di un documento dalla scrittura umana alla stampa. Dobbiamo continuare a farlo. Ma il capitale fa di tutto per metterci i bastoni tra le ruote. Qui rientra il problema del copyright, della proprietà intellettuale, come ha spiegato Paolo Attivissimo:

L'avvento dei sistemi anticopia permette di creare supporti revocabili. Consente al discografico e al magnate di Hollywood di definire una data di scadenza, di limitare l'esecuzione a determinate persone o a determinati luoghi o apparecchi. Sono cose che già avvengono adesso, per esempio, con i dischi promozionali degli Oasis allegati ai giornali, con i codici regionali dei DVD e con i film e brani musicali scaricati dai siti legali come Movielink.com (che fra l'altro è accessibile solo dagli USA, come volevasi dimostrare).
In sostanza, la diffusione dei sistemi anticopia... cambia drammaticamente le carte in tavola. I brani digitali protetti possono essere disattivati a distanza e hanno comunque una data di scadenza intrinseca: infatti dipendono da formati proprietari, da un sistema operativo specifico e da un hardware specifico, che fra pochi anni saranno obsoleti e non più disponibili, e non possono essere trasferiti ad altro supporto (se non ricorrendo alla pirateria), perché sono cifrati. La cultura diventa revocabile.
Chissà come saranno contenti gli storici del futuro, quando non potranno studiare la musica, i film e i libri digitali del nostro secolo perché non sarà possibile sproteggerli: i supporti esisteranno ancora, e i singoli bit saranno perfettamente leggibili, ma non ci sarà modo di decodificarli, perché si saranno perse le chiavi di accesso. (Paolo Attivissimo, "Pirati? No, custodi della cultura", www.apogeonline.com, 17 dicembre 2002).

Attivissimo prosegue e conclude:

...qualcuno, grazie al cielo, si sta adoperando per preservare la nostra cultura e tramandarla ai posteri nonostante i tentativi di imbrigliarla. L'ironia della situazione è che questo "qualcuno" non è un'istituzione, una biblioteca o un ente governativo: è un pirata informatico.
Infatti le copie pirata di film e DVD non contengono codici di protezione, e usano formati non proprietari per consentirne la massima diffusione. Quei formati sono indipendenti dal sistema operativo e sono pienamente documentati, per cui per le generazioni future sarà banale ricreare la tecnologia per leggerli. Lo stesso non si può dire per i formati benedetti dai grandi gruppi dell'industria del disco e del cinema, che ambiscono anche a blindare l'hardware [...]
Come gli amanuensi nel medioevo, questi mastri masterizzatori creano copie delle opere, che così non andranno perse per colpa della miopia collettiva di un'epoca. Certo non è questo lo scopo primario delle loro duplicazioni, ma è un gradevole effetto collaterale da non sottovalutare (Ibidem).

In parole ancor più povere: il copyright è nemico (e la "pirateria" è amica) del futuro, della migrazione, del refreshing.
A voler essere pignoli, Attivissimo si pone il problema di un antidoto all'obsolescenza delle tecnologie e dei formati proprietari, ma non quello della deperibilità dei supporti. Non siamo tanto sicuri che nel futuro "i supporti esisteranno ancora, e i singoli bit saranno perfettamente leggibili". Tuttavia, l'antidoto (migrazione e refreshing grazie alla "pirateria") funziona anche per quest'altro veleno. Continuando a raccontare, tutto rimane in movimento e ci si protende oltre l'eterno presente.
Chiaramente, al mondo non c'è solo il problema della testimonianza e della trasmissione della memoria: c'è anche un'intera vita da riconquistare, per noi e per le persone di cui siamo gli antenati. Per questo compito, la critica pratica alla proprietà intellettuale è condizione necessaria ma non sufficiente, perché il problema è la proprietà tout court. Siamo talmente condizionati dal No Future da non capire che la terra e la Terra non sono proprietà di nessuno, al contrario, ci sono state "concesse in usufrutto" dai posteri, dei quali tendiamo a dimenticarci. Un giorno saranno qui, e noi non ci saremo più. Dovremmo riconsegnare loro la terra in condizioni migliori di come l'abbiamo trovata, e invece potrebbero ereditarla piena zeppa di scorie, miasmi e veleni. Se proprio non riusciamo a invertire la rotta, cerchiamo almeno di lasciar loro testimonianze, così potranno studiarci, condurre ricerche sul perché eravamo così stronzi... e arrivare a qualche conclusione che a noi sfugge.

Bologna, 18 ottobre 2003


NOTE

1) Cfr. Wu Ming, Giap! Storie per attraversare il deserto, Einaudi, Torino 2003.
2) In italiano La salvezza di Aka, Mondadori 2002 e "Urania" n. 1471, 30/07/2003.
3) Da qui in avanti cfr. Tullio Gregory e Marcello Morelli (a cura di), L'eclisse delle memorie, Laterza, Roma-Bari, 1994, e Alexander Stille, La memoria del futuro. Come sta cambiando la nostra idea del passato, Mondadori, Milano 2003.


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