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Giap n.1, VIa serie - Moto ondoso in aumento - 14 settembre 2004


0. Preambolo: Like a Bridge over Troubled Water
1. Diario veneziano - di Guido Chiesa
2. Il titolo è: Lavorare con lentezza [WM1, WM2, WM4, WM5]
3. Una nota sul regime del trash [WM1]
4. L'annosa questione Mondadori: appunti 2004 [WM1]
5. Due articoli a margine del caso Battisti [WM4, WM1]
6. 1994-2004: dieci anni di attività, un'intervista a La Repubblica
7. Operazione trasparenza: il venduto 1999-2003
8. Seconda metà di ottobre: New Thing, romanzo solista di WM1
9. Varie ed eventuali: Q in America, Q a teatro, Nandropausa cambia policy
10. Benvenuta, Babelteka!


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Canzone consigliata: "Bridge Over Troubled Water" (nell'interpretazione di Johnny Cash e Fiona Apple, dall'album American IV: The Man Comes Around, 2003)

Baghdad. "Mi servono dei saggi e dei romanzi", dice al telefono Simona Pari, nelle immagini di repertorio trasmesse dai tg. All'altro capo del filo, l'Italia. Portami dei romanzi dall'Italia. Altro tg, telecamera inquadra la libreria. Saggi e romanzi. Romanzi dall'Italia. Non per forza romanzi italiani.
Di che ha bisogno una persona che combatte in prima fila nella guerra per la pace, la vita, la dignità? Al pari di tutti noi, ha bisogno di narrazioni. Storie che, per quanto possibile, insegnino a vivere. Far tesoro delle mille esistenze "vicarie" che ci dona la letteratura, mettersi nei panni altrui, lasciare che la scrittura allarghi il campo dell'immaginabile. Raccontare e ascoltare storie arricchisce la voglia di esperienza, e quindi l'esperienza stessa. I campi sinaptici si estendono. Quali libri, film e canzoni hanno contribuito, anno dopo anno, alle scelte delle due Simone?
Raccontare può salvare la vita, come accadde a Sherazade, altra donna che a Baghdad aveva bisogno di storie e tra la sera e l'alba gettava "un ponte per". Le storie possono salvarti la vita, lo diceva Wenders del rock'n'roll e anche il rock'n'roll racconta storie (anche i giochi di ruolo, anche...).
Un romanzo può aiutare a fare la pace. I reietti dell'altro pianeta di Ursula K. Le Guin dovrebbero leggerlo tutti quanti. Sostiene Amos Oz che le opere di Shakespeare, Kafka o Cechov possan fare molto contro il fanatismo.
Che i narratori continuino a narrare. E' il loro contributo, il loro stendersi a mo' di ponte sulle acque agitate. Non c'è spazio per alcun come-potevamo-noi-cantare, perché se sei un cantastorie canti, cantare fa parte della lotta.
Su Giap si parla di libri, film, siti web, dischi e teatro. Anche in queste ore. Portami dei romanzi dall'Italia. O da qualunque altro posto.
Buona lettura.


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VENEZIA 2004: MOTO ONDOSO IN AUMENTO
di Guido Chiesa, in esclusiva per Giap


3 settembre

Nel tragitto dalla stazione al Lido, la lancia passa vicino a uno striscione con la scritta "Stop al moto ondoso". è il '68 dei gondolieri? O una battaglia corporativa tipo "quote latte"? E poi, perché i gondolieri ce l'hanno con il moto ondoso? Chi può avercela con le onde del mare?

Che la Mostra di quest'anno, al di là di tutti i proclami efficientisti della nuova direzione della Biennale, navighi in acque confusionarie me ne accorgo appena arrivato al celebre Des Bains, dove mettono a dormire registi e attori. La signora alla concierge mi dice desolata che la mia stanza non c'è più. O, meglio, la mia prenotazione è stata disdetta. Panico loro, telefonate concitate, scarico di responsabilità. Alla fine si risolve tutto, ma la perplessità rimane: perché, invece di spendere tutti quei soldi in alberghi/cene/party/ospiti tipo erede di casa Savoia/scenografie miliardarie, non li usano per assumere qualche lavoratore in più alla Biennale e magari meglio organizzare la faccenda?
Il problema si ripresenterà in maniera comicamente drammatica nei giorni successivi: proiezioni che partono con ore di ritardo, biglietti stampati in numero superiore alla capienza delle sale, caos organizzativo costante. Se non fosse che chi ne paga le conseguenze sono gli incolpevoli spettatori o gli accreditati di "basso rango", verrebbe voglia di citare il celebre detto sulla "grande confusione sotto il cielo"… Ma lo sapevate che il direttore della Mostra, Marco Muller, è stato sinologo di prima grandezza e, si dice, pure maoista? Magari stava seguendo alla lettera l'insegnamento del grande capo…

Verso le 0.40 (proiezione stampa ritardata di mezz'ora perché il film precedente era iniziato con un'ora di ritardo perché quello prima…) ci giunge notizia che i critici hanno applaudito il film, a dispetto del fatto che, prima dell'inizio, ci fosse in sala chi andava dicendo che il film era una merda, prima ancora di averlo visto…
La notizia dell'applauso ci giunge un po' a sorpresa perché nei giorni precedenti le proiezioni per la stampa a Milano e Roma, pur avendo registrato l'apprezzamento di numerosi addetti ai lavori, avevano pure segnalato il disorientamento e il malumore di alcuni critici verso un oggetto che sfugge a molte delle categorie che sono soliti utilizzare. E, soprattutto, che rifugge (orrore!) spiegazioni didattiche, intenti pedagogici e (orrore degli orrori!) l'unità stilistica!
Nei giorni successivi alla proiezione veneziana, queste perplessità della critica mi verranno nuovamente riferite, anche se, in ogni caso, circolerà attorno al film un'atmosfera (positiva) di film "diverso", comunque interessante.
Il problema della critica, soprattutto italiana, è complesso e non può essere certo esaurito qui. Ma la sensazione principale che emerge da quanto letto e ascoltato in questi giorni è che, di fronte alla molteplicità dei discorsi (linguistici e non) che abbiamo, volutamente e coscientemente, inserito nel film, ci sia sempre qualcosa che convince e sempre qualcosa che non convince gli addetti ai lavori. Come se l'esercizio della critica consistesse nel dire che c'è qualcosa che funziona o non funziona in questo o quel testo. Con la curiosa capacità poi di indicare tutto e il contrario di tutto: bello il pretesto narrativo, debole il pretesto narrativo; delude il finale, eccellente il finale, ecc..
Ma è veramente questa la funzione della critica? Mah...
Eppure, si sa, sono pagati per scrivere qualcosa.


4 settembre

Si inizia presto con una cavalcata di interviste, conferenze stampa, apparizioni televisive, che durerà 3 giorni. è un inferno, ma un inferno da privilegiati, per cui non mi lamento. L'unico aspetto sinceramente noioso è il dover ripetere sempre le stesse cose: ma non si potrebbe fare un'unica conferenza stampa per tutti e chi si è visto si è visto? No, troppo facile.
I "coloristi" dei quotidiani vogliono la loro piccola conferenza stampa separata, idem le tv e i settimanali importanti. Ti fanno mille domande e poi trovi scritte sempre le stesse cose. Ma dopo l'esperienza di Il partigiano Johnny (2000), ho deciso quest'anno di non lamentarmi. Per cui sorrido, sorrido, sorrido.
In realtà, credo sia necessario sforzarci per cercare di capire chi sono i nostri interlocutori mediatici: la maggior parte degli accreditati a Venezia (o, se per questo, a qualsiasi altro festival) è composta infatti da lavoratori mal pagati o non pagati, che scrivono o filmano per siti internet, giornali semi-sconosciuti e canali tv minori. è gente che vive nella frustrazione di star incidendo ben poco nel dibattito culturale, e ancor meno sull'industria della cultura di questo paese.
Il problema è quando questa frustrazione si trasforma in rancore. Non ho visto il film di Michele Placido, per cui non lo giudico, né voglio difenderlo a priori: ma il linciaggio a cui è stato sottoposto alla proiezione per la stampa è stato quanto meno vergognoso, perché pieno di astio, di risentimento mal riposto, di frustrazioni mal espresse.
Demolire l'opera di un comunicatore (regista, scrittore, musicista, politico, ecc.) è legittimo e per nulla censurabile. Ma un conto è farlo ad armi pari, con un avversario che gioca la tua stessa partita, criticando e decostruendo riga dopo riga, nota dopo nota, inquadratura dopo inquadratura, il lavoro di quel comunicatore. Un conto è farlo nel doping dell'anonimato della sala buia, dell'insulto all'attore che non può risponderti dallo schermo, dello scherno idiota di chi guarda il dito e non la luna.

Ogni tanto, ovviamente, l'eccezione. L'intervista spiazzante, la critica acuta, il rapporto umano immediatamente sincero. La domanda più bella è certamente: "ma perché il film finisce male?".
E' la Storia che è finita male, baby.

Prima della conferenza stampa e della proiezione in Sala Grande, Valerio Binasco ha letto a nome di troupe e cast un comunicato che dichiara tutto il nostro disagio per il ritrovarci lì, in quella sede, dopo quel che era successo il giorno prima in Ossezia, e succede tutti i giorni in Iraq, Sudan, ecc..
Scriverlo è stata un'idea di Valerio Mastandrea, persona e attore dall'intelligenza acuta e dalla coscienza politica ben superiore a coloro che lo sbeffeggiano per le sue passate apparizioni al Costanzo Show (vedasi un patetico botta e risposta su Indymedia...).
Abbiamo scritto insieme un testo breve, asciutto, la cui chiusa chiama in causa i governi, come quello statunitense e quello russo, responsabili principali di quello che sta accadendo.
Certamente poco, anzi nulla di fronte alla gravità della situazione. Ma è anche l'unico atto che ci siamo sentiti di fare senza paura di risultare retorici.

Conferenza stampa, ore 13, prove di stato d'emergenza.
Chi ha letto i giornali sa dell'irruzione degli Intermittenti francesi, del loro tentativo di leggere un comunicato bloccato in malo modo dal servizio d'ordine. Nessuno, fortunatamente, si è fatto male, ma l'episodio resta comunque sintomatico di un clima generale ben poco incline al dialogo e alla tolleranza.
I retroscena sono semplici. Conosco da tempo Pablo, portavoce all'estero degli Intermittenti (perché parla 4 lingue, non per altro), e insieme ci siamo accordati per ospitare un intervento dei precari dello spettacolo francesi alla nostra conferenza stampa a Venezia. né più, né meno quello che hanno fatto altri registi a Cannes.
Pablo, nelle settimane precedenti, mi aveva più volte chiesto se mi avrebbero fatto problemi perché li lasciavo intervenire. Io gli spiegavo che, a differenza di Cannes, a Venezia il clima è più provinciale e, per questo, anche meno teso, ufficiale. Per cui, credevo che una volta dentro il Casinò, nessuno avrebbe fatto storie a loro o a noi. Mi ero sbagliato.
L'ostacolo principale alla loro presenza sembrava essere l'accesso al Casinò, sede degli incontri con la stampa. Invece, lì, tutto liscio. Dentro, invece, il servizio d'ordine ha individuato Pablo e gli altri appena entrati in sala e ha fatto di tutto per non permettergli di intervenire. Quando Pablo ha preso il microfono, non sono serviti a nulla i miei ripetuti inviti a lasciarlo parlare in quanto nostro ospite. "Caricati" dal timore degli attentati, dalla fobia della bomba, dalla presenza di Al Pacino nella stanza accanto, e probabilmente dall'avversione per questi smidollati intellettuali che frequentano il festival, i Signori del Servizio d'Ordine sono prontamente scattati per impedire a Pablo di parlare e agli altri di sbandierare il loro striscione.
Per fortuna la presenza della stampa e la solidarietà di gran parte dei presenti ha frenato l'ardore dei buttafuori e ha tramutato il loro assolutamente incongruo uso della forza nel consueto boomerang.
Ma questa è l'Italia, e l'Occidente, del 2004. Dove chiunque non si allinea diventa Al Qaeda.

Proiezione in Sala Grande, il solito casino organizzativo, WM3 in incognito resta fuori, al pari di Manuel Agnelli e Greg Dulli (Afghan Whigs), per non parlare di altri 400 incazzati. L'applauso alla fine dura esattamente 3 minuti - non dieci come dicono i giornali: la verità è sempre rivoluzionaria, nevvero? - poi chiedo di interromperlo per far sentire, sulla coda dei titoli, l'audio originale dell'irruzione della polizia il 12 marzo 1977 nei locali di Radio Alice.
Non so se mai sia capitato prima: un regista, il produttore e il cast che bloccano un applauso…!
A me piace pensare che se non l'avessimo bloccato sarebbe durato ben di più di 10 minuti...


5 settembre

La mattina dopo, in genere, si leggono i quotidiani fin dalla buon'ora. Io ho dormito fino alle 10, poi ho fatto colazione, fingendo un'indifferenza che non avevo, ma che era l'unico antidoto di cui disponevo in quel momento.
A tuttora, non li ho ancora letti, anche se, a forza di sentirne parlare dagli altri, ho la sensazione di sapere a memoria che cosa hanno scritto.
Amen.

Mi riferiscono che a Spike Lee è piaciuto il film e l'ha detto pure sul TG 5. Conosco Spike da 20 anni e so che, di tutto quel che si può dire di lui, non è capace di mentire. Anche nel torto, è sincero.
Altrettanto sinceri sono sicuramente Marcello Veneziani e la signora Ferrara, Anselma Dall'Olio, che ci attaccano mezzo stampa e tv, accusandoci di esser parte di una congiura mafiosa che vede coinvolti critici, pubblico e registi, tutti protesi a sinistra.
La signora Ferrara, ospite di Marzullo, ammette senza alcuna vergogna di non aver visto il film, ma di ritenerlo comunque opera indegna e censurabile.
Alla signora Ferrara e al signor Veneziani vorrei ricordare che:
1) Radio Alice non fu mai vicina alla sinistra ufficiale e non. Anzi, ne fu osteggiata e pure denunciata. Forse, se avessero visto il film, se ne sarebbero accorti e non ci avrebbero accomunati ad altri con cui non gradiamo essere accomunati.
2) Sui titoli di coda del film c'è una canzone di Rino Gaetano, che recita: "Mio fratello è figlio unico perché non ha mai criticato un film senza prima vederlo". Infatti, oltre a mancare di stile, si fa la figura dei cretini a parlare di ciò che non si conosce.
3) Ci appenderemo al petto le loro accuse, quelle sì mafiose!, i loro attacchi, le loro contumelie. Le indosseremo come medaglie, di cui andare orgogliosi. Medaglie d'amore.

Mi dicono del gran successo delle proiezioni della rassegna dedicata al cinema italiano di serie B.
Obtorto collo, lo ammetto: detesto i cinefili, di ogni razza e specie. Non individualmente, per carità, ma come categoria culturale e come residuo marginale della post-modernità. La cinefilia pretende di separare ciò che è inseparabile - il cinema dalla realtà e la realtà dal cinema - invocando una specificità che è invece un ghetto, un serbatoio di liquidi onanistici, la definitiva resa di ogni tentativo di interpretare il mondo e quindi di trasformarlo.
I cinefili che più detesto, poi, sono quelli che dicono di essere a sinistra.
Molti di questi cinefili di sinistra a Venezia hanno fatto la coda per imperdibili capolavori come W la foca. A costo di inimicarmi qualche giapster o eventuale ammiratore di Lavorare con lentezza, ribadisco anche in questa sede la convinzione, già espressa dai Wu Ming, che la monnezza di trent'anni fa resta monnezza oggi.
Quella rassegna, priva di una contestualizzazione e di un'analisi critica, è nient'altro che l'infantile esaltazione di una cultura che si crede trasgressiva, ma in realtà è funzionale ad un sistema che considera i film-solo-merce e lo spettatore-solo-consumatore. Naturalmente non voglio fare di tutte le erbe un fascio e sono sicuro che in quella rassegna c'erano anche onesti artigiani, attori superbi (Renzo Montagnani in primis) e persone meravigliose. Il punto è un altro: è lo snobismo demagogico di ritenere entusiasmante un fenomeno solo perché ha un pubblico "popolare". Vorrei ricordare che il "popolo" ha anche applaudito Mussolini, votato D.C. e oggi consuma a go-go soap e fiction televisive.


6 settembre

Global Beach, proiezione del documentario Alice è in paradiso. Nei giorni precedenti al festival ci era venuto il timore che si trattasse dell'ennesimo evento di movimento subalterno, come se il movimento non potesse agire autonomamente, ma solo come riflesso dell'attività altrui.
Invece, complice l'inettudine organizzativa della Mostra e la sua straordinaria incapacità di uscire da quel carrozzone che le hanno costruito addosso, Global Beach ha fatto la sua porca figura, meritandosi un'ottima stampa e una presenza numerosa e per nulla scontata.
Bello sapere che Naomi Klein e Tim Robbins hanno equamente diviso la loro presenza tra festival e spiaggia, bello vedere tanta gente che rimette a posto un angolo abbandonato del Lido e si crea uno spazio autonomo di incontro.
Per una volta, lasciamo perdere le polemiche.

Sull'Unità un pezzo sulla disorganizzazione del Festival. Titolo: Mostra con lentezza. Sulla Nuova Venezia l'incipit legge: "La Mostra del Cinema ha preso alla lettera il titolo del primo film italiano in concorso: lavorare con lentezza".
Bene, vuol dire che quel titolo "resta".

Riparto da Venezia con un responsabile di Medusa, società che il film ha finanziato e apprezzato, anche se sono sicuro che, senza la caparbietà e l'attitudine al rischio della Fandango e del produttore Domenico Procacci (che questo film ha fortemente voluto e difeso), non saremmo mai riusciti a farlo.
Medusa non è il diavolo, né la CIA. E' una società legata al gruppo Fininvest, politicamente molto più "sveglia" e "libera" della RAI dei Gasparri e Vespa, che investe nei film perché vuole guadagnarci. Né Medusa, né la Fandango ci hanno mai chiesto di cambiare qualcosa della sceneggiatura, né del montaggio, né mi hanno mai imposto un solo attore. Hanno anche finito con l'accettare un titolo che ritenevano poco commerciale.
Anche a me piacerebbe fare dei film non finanziati dalla triade RAI/Fininvest/Ministero, ma in questo momento in Italia c'è questo o il ghetto dell'emarginazione. Finché mi lasceranno fare i film in cui credo, nei modi e con le persone che voglio, io non mi tirerò indietro.
Se mi tirerò indietro sarà solo perché nessuno vuole vedere i miei film. E, dato che mi piace pensare che il fine di questo lavoro è quello di comunicare con altroi/e da me, penso che, se smetterò di fare film, è per andare a zappare, piuttosto che abbaiare ingrato e rabbioso dal canile dell'isolamento.

 

10 settembre

Mentre sono a Fiuggi a vedere il concerto di Patti Smith e a darle la cassetta del film, Domenico Procacci mi chiama per comunicarmi che la giuria, dopo averci considerato fra i film premiabili, non essendo riuscita a trovare l'unanimità sul premio da assegnarci, ha optato per una Menzione Speciale, che non significa nulla se non che il film gli è piaciuto, ma non tanto dargli un premio. Ovviamente, a noi va benissimo così.

A proposito: Patti Smith as usual meravigliosa, sebbene in formazione solo chitarra e voce con il fidanzato Oliver Ray. Niente male anche Lou Reed in formazione a 2 chitarre e basso. Hanno quasi 60 anni a cranio, ma rimangono 100% punk. Lui presentando un repertorio di soli brani minori. Lei, tra una canzone e l'altra, sputando come dio comanda. Così, senza pensarci su.


11 settembre

Mentre sto facendo la spesa, Procacci mi telefona per comunicarmi che ci hanno dato uno dei premi ufficiali: il Mastroianni a Marco Luisi e Tommaso Ramenghi quali migliori attori esordienti. Sorpresa e gioia.
Il resto sono corse furibonde per assistere alla comicissima e pallosissima premiazione, partecipare a una cena poco appetitosa nonché sfarzosamente noiosa, infine godersi tutta l'assurdità del momento: in concorso a Venezia e pure premiati con un film chiamato Lavorare con lentezza ?!? Maodadaismo allo stato puro.
Il momento migliore della serata? Quando di fronte a un piatto di spaghetti all'una di notte (per riempirsi lo stomaco dopo gli stuzzichini miliardari della cena "ufficiale"), Marco Luisi ci dice: "Avete visto chi si è girato a guardarmi quando hanno annunciato il premio? Quello scemo della pubblicità... quello che dice Gianni, l'ottimismo...".
Procacci ed io ci siamo guardati e siamo scoppiati a ridere. Quello scemo è Tonino Guerra, sceneggiatore che ha fatto la storia del cinema italiano e mondiale. Ma per Marco, e tanti della sua età, è solo uno scemo che fa la pubblicità di un elettrodomestico.
Mao-dadaismo!


12 settembre

Leggo i giornali e mi riferiscono dei TG. La notizia e': nessun film italiano è stato premiato a Venezia, il cinema italiano è in lutto per la mancata assegnazione del premio al film di Gianni Amelio.
Vuol dire che noi non siamo un film italiano. Bene così.

L'unica sfida vera che ci attende: dimostrare, nelle sale e con il pubblico, che questo film ha un suo valore e una sua importanza.
Bye bye Venezia. Torniamo al mondo reale.


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IL TITOLO E': LAVORARE CON LENTEZZA - di WU MING

[WM4:] Nonostante il sottotitolo imposto dalla distribuzione, quello che abbiamo scritto insieme a Guido Chiesa non è un film su Radio Alice.
Non è una ricostruzione storica filologicamente corretta di fatti e circostanze (con la sola eccezione dell'omicidio Lorusso, per il quale ci siamo attenuti alla documentazione fornitaci dal legale della famiglia).
Non è nemmeno un film sugli anni Settanta.
Lavorare con lentezza è un film di rapina, ambientato negli anni Settanta, che ha le vicende di Radio Alice come sfondo. Personaggi ed eventi si ispirano ai racconti e alle testimonianze dirette, ma non pretendono di ricostruirli fedelmente. Il gioco del "quello sono io, quello sei tu..." sarebbe stato insostenibile, visto che i protagonisti di quella piccola epopea sono tutti qui.
Il 1977 che vedrete nel film è il "nostro" 1977, un'epoca in cui Guido, il più vecchio di noi, aveva sedici anni e il sottoscritto ne aveva quattro. Noi non c'eravamo, ma ci è piaciuto vederlo così.
Non c'è molto da aggiungere. La filmografia italiana negli ultimi tempi ci ha dato un'immagine degli anni Settanta schiacciata a forza dentro la morsa terzinternazionalista: Partito di governo/lotta armata, riformismo consociativo/rivoluzione a colpi di pistola e sequestri. Noi e Guido abbiamo scelto di mostrare dell'altro. "La Terza l'abbiamo già fatta... e pure la Quarta", avrebbero detto a Radio Alice.
Il perché e il percome l'ha spiegato Guido nelle molte interviste rilasciate e ne abbiamo scritto sul sito del film): la comunicazione, gli esperimenti semiotici, l'interattività, il flusso creativo, la comunità, il non lavoro, e tutti i molteplici motivi per cui l'esperienza di quel movimento e di quella radio da un lato segnò la fine di un decennio di rivolta, ma dall'altro fu anche germinale.
Ma c'è una cosa che nessuno dei commentatori ha fatto notare. Nel nostro film i carabinieri sono i cattivi. Dopo innumerevoli film e fiction televisive con poliziotti e carabinieri da fotoromanzo, "Lavorare con Lentezza" li restituisce al senso comune nella loro veste più tradizionale e immediata: quella di "guardie". Nel nostro film i ladri sono i buoni.

[WM1:] Lavoriamo con l'editoria, quindi abbiamo esperienza diretta dell'ideologia "titolista". Attenzione, non "titoista": titolista. Le case editrici son piene di sedicenti "esperti" del titolo che "tira", pronti a calarti sulla zucca teorie, indagini di mercato, fondi di tè, quadri astrali del lettore medio etc. c'è chi dice: "nel titolo ci va un verbo", oppure: "il titolo deve descrivere un'azione", oppure non dev'esserci riferimento a questa o quell'altra cosa perché X non è più di moda, nemmeno Y è di moda ma sta per tornare alla grande, invece per Z non c'è proprio speranza, e via blaterando.
Bene, nel cinema è peggio. Un esempio? A un certo punto gli esperti hanno detto che nei titoli del film tirava la parola "amore". Il risultato? Tutto l'amore che c'è, Primo amore, Amore senza fine, Le conseguenze dell'amore, L'amore ritorna, L'amore è eterno finché dura, Nel mio amore, Come se fosse amore, Il tempo dell'amore. Tutti questi solo negli ultimi due-tre anni! L'expertise titolista provoca ondate di ridicolo conformismo.
Quando abbiamo proposto il titolo Lavorare con lentezza, come la canzone di Del Re, un po' tutti gli addetti ai lavori hanno fatto commenti tipo: "Non funziona", "Suona male", "Nei titoli dei film non bisogna mettere riferimenti al lavoro", "Oggi la lentezza è un'idea perdente". Va dato atto a Domenico Procacci (un cognome e un congiuntivo esortativo) di aver tenuto duro e difeso il titolo… fino a pochi giorni fa, quando ha deciso di dare un contentino agli "esperti", aggiungendo un sottotitolo: "Radio Alice 100.6 Mhz".
Così, mentre nei giorni della Mostra a Venezia il nostro titolo diventava - come si dice in inglese - una household word, cioè un'espressione familiare, tanto da essere parodiato o citato (l'instant-manifesto neo-yuppie "Lavorare con sveltezza" pompato dal quotidiano "Il Riformista", oppure il titolo de "L'Unità" "Mostra con lentezza", sui vari ritardi e disguidi che hanno funestato quest'edizione), insomma, mentre succedeva tutto questo… la produzione cambiava il titolo!
Ora il film, in teoria, si chiama Lavorare con lentezza. Radio Alice 100.6 Mhz. Sottotitolo sconsiderato e allitterante ("alicece", "ezz… ertz"), brutto anche dal punto di vista ritmico: "radio alice cento punto sei megahertz".
Bene, fate come volete, per noi il film si chiama Lavorare con lentezza e basta. Inviteremo le persone ad andare a vedere Lavorare con lentezza. L'url del sito è lavorareconlentezza.com, non lavorareconlentezzaradioalice1006mhz.com. Non abbiamo altro da dire se non: "Lavorare con lentezza", "Lavorare con lentezza", "Lavorare con lentezza".
P.S. "Lavorare con lentezza".

[WM5:] Nel 1977 avevo tredici anni. I miei ricordi sono vividi: è il momento nella vita di un uomo in cui le immagini si imprimono con più forza nella coscienza. Sono gli anni della formazione, gli anni in cui una visione embrionale del mondo cerca di svilupparsi, e lo fa per scarti, per contrasti, per sottrazioni. La consapevolezza del conflitto in atto -del movimento che abbatte lo stato di cose presente- era generale. Onde concentriche di energia si allargavano dal centro di Bologna alle periferie, e le periferie rispondevano a modo loro. La situazione era feconda, grande era la confusione sotto il cielo: la trasmissione energetica non avveniva in una sola direzione.
L'idea che sprecare la vita lavorando fosse un crimine contro se stessi era diffusa, in qualche modo prepolitica. Il senso di disillusione e di disinganno nei confronti di tutto quello che la cultura dei genitori e dei nonni aveva trasmesso come "valori" era generale.
Poiché quella Bologna aveva contorni assai definiti e faceva parte in maniera decisiva della mia storia personale -il punk è la prosecuzione di quella fase- nutrivo la sensazione che la filologia, la resa perfetta di volti, gestualità, corpi, abbigliamento, musica fosse altrettanto decisiva. Magari in chiave iperrealistica, magari azzardando un cote' espressionista. Ritenevo indispensabile, in tutti i casi, avviare una macchina del tempo formalmente impeccabile.
Bene, sbagliavo. Le scelte stilistiche di Guido, che privilegiano la fluidità, la continuità, il senso di lontana familiarità con i contesti, si sono rivelate quelle giuste. Calcare la mano sull'estraneità spaziotemporale di quei momenti si sarebbe rivelata un'arma a doppio taglio. L'esperienza sarebbe stata straniante, il film non avrebbe parlato dell'oggi con la stessa naturalezza, con la stessa carica di suggestione. I volti dei protagonisti avrebbero sofferto sotto una maschera troppo rigida. Il senso di vita vissuta (gli interni proletari del film sono magistrali, a mio parere) sarebbe andato perduto. I momenti drammatici sarebbero stati all'interno di una teca stilistica troppo asettica. La disperazione, la rabbia, la paura, la frustrazione, la gioia, la speranza non avrebbero bucato lo schermo.
Personalmente sono pronto a lavorare di nuovo con Guido, da subito.

[WM1:] Nonostante l'immortale precetto messo in pratica dal non-fratello di Rino Gaetano, c'è gente che critica il film senza averlo visto, basandosi su resoconti di terza o quarta mano, fatti da persone a cui stavamo sul cazzo già prima.
Il film che costoro criticano (opera puramente nostalgica, coi compagni senza macchia e senza paura che sfidano il Potere, con apologia della Bologna eternamente freak e rinfocolamento del mito di questa città) esiste solo nella loro mente, nulla a che vedere con la sceneggiatura che abbiamo scritto e col film che Guido ha girato.
Non abbiamo mai scritto romanzi dove i "buoni" fossero solo buoni e i "cattivi" fossero solo cattivi. Di norma, abbiamo cercato sì di lavorare sull'epos delle lotte e sulla ricchezza dei movimenti, ma al contempo esplorandone i limiti, le contraddizioni interne, le velleità, la brevimiranza, i conformismi e gli errori, tutte cose da cui nessuno di noi può tirarsi fuori e che costituiscono il nostro fardello storico.
Lo abbiamo fatto in Q, in Asce di guerra e in 54. Wu Ming 2 lo ha fatto in Guerra agli Umani, un libro sulle contraddizioni che nascono da scelte individuali che vorremmo definitive. Lo abbiamo fatto anche in Lavorare con lentezza: c'è un personaggio che vive un'alienazione all'epoca molto diffusa, quella causata dalla coazione ad apparire il meno "borghese" possibile; c'è la contraddizione tra libertarismo erotico e pretesa alla proprietà sessuale della partner; c'è il pregiudizio reciproco tra giovani del movimento e famiglie dell'aristocrazia operaia pciista; c'è un modello bolognese non più in grado di far convivere le diverse anime della città etc. etc.
Quanto a un altro mito (nell'accezione meno positiva del termine), quello pacificato e semi-istituzionale di una Bologna eternamente creativa, giovanilista e studentile, quella è una narrazione postuma, che si affermò in seguito, sulle ceneri di esperienze come Radio Alice e i cadaveri di persone come Francesca Alinovi e più tardi Andrea Pazienza.
Quell'immagine si è eclissata nella smorta Bologna vital-guazzalochiana. Ben lungi dal cercare di ricomporla, nel film restituiamo contraddizioni, e non c'è happy end. Siamo ben memori del fatto che il nostro percorso comune partì, anni fa, proprio da una presa d'atto dei limiti di quell'immagine. L'editoriale del primo numero di River Phoenix, storica fanza su cui scrivevano i non ancora WM2 e WM4, s'intitolava: "Il '68 non è mai esistito", come a dire: non dubito che ci sia stata, ma guardandomi intorno mi è difficile vederla, questa cazzo di "sedimentazione delle lotte". Figuratevi voi se con quell'umore si poteva credere alla Bologna-tipo-Saranno-famosi! :-P

[WM4:] Non siamo andati a Venezia, ma siamo contenti che il film sia stato accolto bene dal pubblico (svariati minuti di applausi sui titoli di coda e dopo), dalla critica (cfr. la sezione "Stampa" sul sito del film) e dai giurati (complimenti di Spike Lee a Guido, Premio Mastroianni a Tommaso Ramenghi e Marco Luisi).
Ovviamente non è piaciuto a tutti, com'è naturale, né era quella l'intenzione di chi l'ha scritto. Ma anche alcuni dei critici più freddi hanno dovuto riconoscerne l'elemento di novità e di originalità nello stantio panorama nostrano (con una sola eccezione, che già ci aspettavamo e che poco ci tange). Inutile dire che il disappunto di Marcello Veneziani e della moglie di Giuliano Ferrara ci inorgogliscono.
Ora la palla passa al pubblico in sala. E questo chiama in causa direttamente voi, la comunità dei Giapster. I film italiani infatti escono con una spada di Damocle sul collo: i primi due week-end.
Detta in maniera brutale: se un film italiano non incassa una certa cifra entro i primi due week-end, i cinema lo tolgono dalla programmazione. Non pensiate che sia un obiettivo scontato, non lo è affatto. Non sappiamo ancora in quante copie il film verrà distribuito, né in quante città.
Quindi la nostra richiesta di supporto è semplice: se avete intenzione di andare a vedere Lavorare con lentezza, andateci subito, possibilmente il primo week-end di programmazione, cioè l'8-9-10 ottobre, e non andateci da soli. Portate quanti più amici e parenti possibile. Se non potete portarli, telefonategli, consigliate il film, spiegate i fatti come ve li stiamo spiegando noi. A ridosso dell'uscita forniremo l'elenco di tutte le sale in cui il film verrà proiettato.
c'è assolutamente bisogno di uno sforzo collettivo, e voi siete la nostra maggiore forza d'urto.

[WM2:] Il conduttore del Tg1 annuncia il servizio su Venezia come se si trattasse del nuovo 11 settembre. "Delusione per l'Italia. Nemmeno un premio per Amelio". Mollica dedica un minuto a una carrellata sui vincitori di Volpi e Leoni, poi ci dà dentro con l'orgoglio nazionale offeso, cerca toni indignati che non ha in repertorio, abituato com'è a parlare bene di qualunque cosa, piagnucola per Le chiavi di casa rimasto a mani vuote, nonostante otto minuti di applausi, nonostante l'ottimo responso al botteghino (il film è nelle sale da poco più di 24 ore), e nell'interminabile preficume si lascia scappare un "forse qualcosa non ha funzionato", che è molto più di un semplice lapsus.
Non ha funzionato, in effetti, il clima da "festa annunciata" messo su da Mamma Rai, con l'aiuto di svariati luogotenenti della carta stampata e leccaculo di regime.
Non hanno funzionato l'arroganza, la pressione psicologica, la classica strategia delle parole al posto dei fatti, il tentativo di trasformare una giuria con Spike Lee, Dusan Makavejev e altri anarchici della peggior specie negli Amici della Domenica del Premio Strega.
Non hanno funzionato. Anzi, no, hanno funzionato, ma al contrario, creando antipatia colossale e finendo per danneggiare un film che magari meritava davvero.
Ci dispiace per Amelio, per carità, ma come fai a non gongolare per questo golpe comunista, alla faccia di Cattaneo, della Rai e di Natalia Aspesi? Si gode, come quando perde la Nazionale dei Fighetti, sempre lì a dire che siamo i favoriti, che ci mangiamo tutti, poi si gioca con squadre di seconda e terza fascia e ci va fatta bene se vinciamo con l'Ecuador e Vieri non si rovina l'acconciatura.
Avete presente quanto l'hanno menata con la vittoria del greco agli anelli, quando Chechi è arrivato terzo? Scandalo, la Grecia si compra le giurie, è tutto un magna magna, la solita sudditanza verso il paese ospite. Passa neanche un mese, e ci proviamo noialtri: stessa mossa, cambia il risultato. Un bravo ai greci che almeno i manini li sanno fare.
Qui da noi, gli unici manini che riescono sono quelli a posteriori, le ripicchette da quattro soldi, le notizie false tipo "Italia a bocca asciutta", l'oscuramento mediatico (a giudicare dalle interviste sembra davvero che abbia vinto Le chiavi di casa e che Mike Leigh non fosse nemmeno in concorso), la voce messa in giro da qualche sgherro dell'ufficio stampa Rai che il premio Mastroianni lo dovevano dare al ragazzino del film di Amelio, solo che il regista si sarebbe offeso per il misero contentino, e allora l'hanno girato a Ramenghi e Luisi di Lavorare con Lentezza, che da bravi poveracci hanno accettato e sorriso. Smentita totale dello stesso Amelio, che senz'altro si è reso conto dell'imbarazzante zavorra rovesciatagli sulle spalle dalla Rai dei berluscones.
Tutte cose che ci appunteremo sul bavero in formato medaglia. Anche perché, a conti fatti, è proprio vero che l'Italia non è stata premiata. Come diceva Gaber, "io non mi sento italiano" - e in fondo al cuore nemmeno lo sono. Come non lo è questo film, che ha senz'altro svariati difetti, ma certo non strizza l'occhio alla fiction televisiva - Rai o Mediaset che sia - e tenta due o tre cose che nel cinema italiano non vedevo ormai da molti anni - colori, montaggio, colonna sonora, contenuto e - vivaddio - carabiniere carogna e bastardo dentro. Con buona pace dei cinefili con metri cubi di puzza sotto il naso, penso proprio che Boorman & Co abbiano premiato Lavorare con Lentezza - unico tra i film italiani in concorso - proprio perché è un film coraggioso, senza Accorsi, senza fine prima puntata, senza buoni sentimenti.
Un film tutt'altro che italiano.


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UNA NOTA SUL REGIME TRASH

[WM1:] In merito a quanto affermato da Guido sull'apologia del trash (cioè che non se ne può più), riporto frammento d'un testo che vado scrivendo, la prefazione all'edizione italiana di Psychotic Reactions and Carburetor Dung, celebre antologia degli scritti del critico rock Lester Bangs (1949-1982) che Minimum Fax darà alle stampe in autunno:

Ormai il trash è di regime - regime fascista. Gerarchi a panza nuda fingono di combattere rivoluzioni contro chissà quali Anziani Savi, per scongiurare complotti ai danni del Gusto Popolare. E' da un pezzo che s'è finito di combatterla, 'sta guerra: Apocalittici e integrati è di quarant'anni fa, ormai si "rivaluta" pure l'ultimo scampolo di subculturame. Dove sono mai i guardiani imbronciati di un'ortodossa divisione tra cultura "alta" e cultura "bassa"? Suvvìa, abbiamo vinto, si vorrebbe stravincere, "stroppiare"? Ma che mi vuoi dire, che la merda è buona da mangiare?
Es. oggidì la vera destra culturale di questo paese è la masnada dei cinéphiles, gente rovinata dal Dams, intellettualità di massa che si crede bastiancontraria mentre è conformista, conformistissima, ci dice che Spiderman 2 è un capolavoro assoluto, descrivendo un kolossal (imposto in mille sale con strategie tipo "Shock & Awe") come fosse un prodotto trash, un B-movie che va protetto dalla critica parruccona e trombona e scoreggiona.
I got news for ya, pals: siete voi la critica scoreggiona, ormai lontani sono i tempi in cui ci si sentiva eretici a far l'apologia di Tanio Boccia o Nando Cicero. Siete i più flatulenti di tutti. Petando, venite a dirmi che Michael Moore è un reazionario, e giù a spiegare gli astrusi motivi estetici per cui lo è fuor di dubbio, mentre Enzo G. Castellari sarebbe il più grande sovversivo della storia del cinema.
Così, a furia di épater les camarades (o cercare vanamente di farlo) vi ritrovate in balotta con la maggioranza ex-silenziosa, gli elementi più retrivi e obnubilati, e tra un po' definirete Panariello un genio della comicità. Che schifo. Aridatece er puzzone! [Er puzzone = Theodor Wiesengrund Adorno, 1903-1969]


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L'ANNOSA QUESTIONE MONDADORI: APPUNTI 2004 - di WU MING 1

Recentemente, con molta cortesia e disponibilità al dialogo, i frequentatori del forum telematico di un noto settimanale musicale mi hanno invitato a dire la mia/la nostra sul ronzino di battaglia di alcuni pubblicisti, vale a dire: pubblicare con Einaudi (che è nel gruppo Mondadori) equivarrebbe di per se' a fare il gioco di B*******. Su questa cosa abbiamo risposto diverse dozzine di volte, su vari livelli, in forma scritta e in forma orale, fino ad annoiarci e ad annoiare. Sinceramente, mi si rivoltava lo stomaco a ripetere tutto il discorso, ma ho pensato: magari è un'occasione migliore di altre. Magari puoi farlo una volta per tutte. Con notevole sforzo di sintesi, ho cercato di spiegare i motivi per cui noi (noi Wu Ming, ma vale anche per altri autori) non la pensiamo affatto come quei pubblicisti. Quello che segue è un montaggio dei miei interventi.

http://www.carmillaonline.com/archives/2004/09/000955.html


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HARRY POTTER E IL CASO BATTISTI - di WU MING 4

"[...] 7 Aprile '79, Cesare Battisti, Adriano Sofri. Solo per citare alcuni casi piuttosto noti in cui i pentiti hanno segnato la sorte di altre persone (a volte decine). Quanto quei pentimenti fossero sinceri o quanto piuttosto indotti dalla tentazione di evitare la galera, non è possibile saperlo. Se c'è chi per non andare dentro si è dato alla latitanza all'estero, non è impensabile che qualcun altro, magari meno svelto, abbia scelto di farsi venire una memoria di ferro; considerando anche che laddove la memoria non arriva, può sempre giungere la fantasia. Una prassi giudiziaria che lascia aperto questo margine di manovra è già di per se' pericolosa: oltre a creare mostri, può addirittura addomesticarli e tenerli al guinzaglio pronti a mordere a comando. Proprio come nelle storie di Harry Potter [...]"

http://www.carmillaonline.com/archives/2004/07/000904.html#000904

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FUGA DELL'ACCUSATO E MENTALITA' INQUISITORIA - di WU MING 1

"[...]Un riflesso condizionato - diffuso anche tra persone che si definiscono 'laiche e 'progressiste' - porta a interpretare la fuga di un accusato come una sorta di 'prova morale' della sua colpevolezza, benché la storia, la cronaca e l'arte offrano innumerevoli esempi di innocenti che scappano. Ennesima riprova del persistere, in Italia, di una mentalità da Inquisizione. Fu infatti il Sant'Uffizio, rompendo con la tradizione del diritto romano codificata nel Digesto, a trasformare fuga e contumacia in elementi di 'lievitazione del sospetto', sospetto che in realtà equivaleva già a una condanna [...]"

http://www.carmillaonline.com/archives/2004/08/000947.html#000947


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Ecco l'intervista che abbiamo rilasciato a Ernesto Assante in occasione del decennale del Luther Blissett Project, uscita a tutta pagina su Repubblica il 24 agosto 2004. L'intervista è una forma d'arte, questa l'abbiamo usata per fare il punto della situazione.

http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/assante.htm


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OPERAZIONE TRASPARENZA - IL VENDUTO 1999-2003

Sovente - in pubblico e in privato - ci tocca rispondere a domande del tipo: ma quanto ha venduto il tal libro, quanto ha venduto il tal altro, qual è andato meglio tra questo e quello etc. Di solito, poiché non ci portiamo appresso rendiconti annuali e documenti vari, rispondiamo approssimando, facendo cifra tonda, elencando il numero di ristampe e - sempre approssimando - di copie per ristampa.
Tempo fa ci siam detti: che diamine, facciamoli, 'sti conti, e diamo la cifra esatta per quanto possibile. Operazione trasparenza. Un lettore/lettrice dovrebbe avere il diritto di sapere esattamente quante altre persone hanno comprato (e forse letto) un libro a cui tiene, al di là delle fregnacce che si leggono sulle fascette o nei riquadri pubblicitari: "300.000 copie in un solo giorno!", "Un successo da un milione di copie!" e frottole del genere. Non credete MAI alle fascette, nemmeno alle nostre.
Siamo in possesso dei dati di vendita italiani, aggiornati (nominalmente) al 31 dicembre 2003, un po' meno di un anno fa. I dati relativi al 2004 arriveranno nella prima metà del 2005. Ovviamente, quindi, non c'è Guerra agli Umani, uscito nell'aprile di quest'anno (by the way, sta andando molto bene, è alla terza ristampa, dovrebbe aver superato le ventimila copie di venduto).

Com'è logico, partiamo da Q. La prima edizione Einaudi (con l'imperscrutabile copertina disegnata da Pericoli e Cerri) arrivò in libreria il 2 marzo 1999.
Alla fine di quell'anno, aveva venduto esattamente 31.469 copie.
Nel 2000, ne vendette altre 17.675.
Va segnalato che nel corso di quell'anno, su nostra proposta e spinta, uscì l'edizione attualmente in libreria, con "Q" di De Pacioli in copertina, formato che preannunciava quello della sottocollana "Stile Libero Big" (ancora di là da venire) e appendice di immagini commentate. Il dato del 2000 e quello del 2001 è dunque "misto", cioè somma copie residue della prima edizione e copie del "quasi-fuoricollana". Va altresì segnalato che all'inizio del 2000 il file di Q venne messo scaricabile sul nostro sito e su liberliber.it, donde lo si continua a scaricare.
Nel 2001, Q vendette 12.322 copie. Nel 2002, altre 17.345. Nel 2003, altre 12.876.
Tirando le somme: 91.687 copie vendute in 57 mesi di presenza in libreria (media 1608 al mese).
Tenendo conto che nel 2004 il "quasi-fuoricollana" (o proto-"Big") è stato ristampato per la sesta volta e che quest'ultimo non è mai sceso sotto le diecimila all'anno, possiamo concludere con sicurezza che dalla sua uscita a oggi il nostro romanzo d'esordio ha superato le centomila copie di venduto.
Nel frattempo, però, c'è stata un'edizione del book club Mondolibri (tiratura: 3000 copie) e, soprattutto, c'è stata l'edizione "one shot" de I Miti ["one shot" significa che, una volta esaurita, non viene ristampata]. Noi siamo stati pagati in anticipo per una tiratura di 120.000 copie. Non sappiamo se siano state stampate tutte (di recente, qualcuno ci ha detto che forse ne hanno stampato la metà, benché la cosa ci suoni un po' strana). Di certo, l'edizione è andata esaurita in libreria. Possiamo dunque azzardare che nel periodo 1999-2003 Q, in tutte le sue edizioni, abbia venduto da un minimo di 160.000 a un massimo di 220.000 copie.

Passiamo ad Asce di guerra, scritto insieme a Vitaliano Ravagli e uscito per Tropea il 20 settembre 2000.
Questa è una storia più complicata, bizzarro caso di un libro boicottato dal proprio editore: la prima edizione ebbe un successo incredibile, con 14.220 copie vendute dall'uscita alla fine dell'anno (una stupefacente media di oltre 3500 al mese). Ci fu subito una ristampa, ma poi l'editore smise di spingerlo, la ristampa fu distribuita poco e male (nei tre anni successivi ha venduto solo altre 1.518 copie!), scazzammo di brutto e ci riprendemmo i diritti per inadempienza contrattuale (cioè non lo ristampava più). [Lo ripubblicherà l'Einaudi nel 2005]
Il totale è quindi 15.738 copie. Impossibile calcolare la media mensile dell'intero periodo 2000-2003.

Havana Glam, il romanzo solista di Wu Ming 5, fu pubblicato a metà settembre del 2001 per un piccolo-medio editore indipendente, Fanucci.
Alla fine del 2003, poco più di due anni dopo, aveva venduto 8609 copie così ripartite: 6542 dell'edizione hardcover, 2067 della riedizione in tascabile.
La media mensile è 307 copie al mese. Per un romanzo di fantascienza (benché non solo) pubblicato da un piccolo editore, si tratta di una cifra di tutto rispetto.

54 è in libreria dal 6 marzo 2002.
Abbiamo a disposizione soltanto i dati del 2002 e del 2003, rispettivamente 29.198 e 2.600 copie.
Il totale è di 31.798 copie in 21 mesi di presenza in libreria. La media è 1514 al mese, di poco inferiore a quella tenuta da Q.
[Sappiamo che nel 2004, complice anche il cd degli Yo Yo Mundi (4000 copie vendute, e figurarsi quante ne sono state masterizzate o scaricate!), il libro ha ripreso a vendere bene, ma dobbiamo fermare il conto a nove mesi fa]

L'antologia Giap! a cura di Tommaso De Lorenzis è uscita nel marzo 2003.
Alla fine dell'anno aveva venduto 12.160 copie. La media è 1216 al mese. Ci dicono che è altissima, per un saggio.
[L'antologia precedente, Totò, Peppino e la guerra psichica 2.0 (uscita per Einaudi nella primavera del 2000) ha venduto 9.141 copie nell'intero periodo 2000-2003 (media: 203 al mese)]

Quanti avessero dei dubbi sull'onestà dei suddetti calcoli possono richiederci fotocopia della documentazione, da ricevere in contrassegno.


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Ottobre è il mese-culmine di 'sto 2004 vissuto lancia in resta. Dopo il film nelle sale, arriverà in libreria New Thing, romanzo solista di WM1. Qui potete vedere la copertina e leggere i testi della quarta e dei risvolti: http://www.wumingfoundation.com/italiano/anticipazioni.htm
Duecentoventi pagine. Non dovrebbe costare più di 13 euro.
A partire da novembre, oltre alle "normali" presentazioni del libro, WM1 girerà l'Italia con gli Switters (Gianni Gebbia al sax, Vincenzo Vasi al basso, Francesco Cusa alla batteria). Trattasi di reading/performance/jam-session. Il debutto è previsto l'1 novembre a Roma, al club La Palma. Chi era alla Cuba di Palermo nel gennaio scorso, ha una vaga idea di cosa aspettarsi.
Le date verranno riportate con largo anticipo sul calendario di wumingfoundation.com


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VARIE ED EVENTUALI

Ci sono novità dal fronte statunitense: nonostante la prima ondata di critiche acide e sminuitorie, pare che Q non stia andando affatto male, e la seconda ondata di recensioni (scritte da gente che presumibilmente l'ha letto) ci ha riservato alcune sorprese. Ne parleremo sul prossimo numero di Giap.

[BACKGROUND
Q: l'America, il conflitto e noi
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap9_Va.htm#appuntiamericani ]

***

In seguito alla pubblicazione sul numero scorso di Giap dei nostri "Appunti napoletani", la compagnia "Il pozzo e il pendolo" ha ricevuto svariati inviti a mettere in scena Q. Finora si sono mosse le situazioni "di movimento" (centri sociali etc.). Sarebbe d'uopo si muovessero anche persone che collaborano con teatri o festival, rassegne etc. perché il teatro è la dimensione naturale per questo spettacolo. Ricordiamo che trattasi di Q - dedicato a Luther Blissett, tratto dal nostro primo romanzo, scritto da Annamaria Russo e Ciro Sabatino. In scena ci sono Paolo Cresta, Nico Ciliberti e Lisa Falzarano. Gli autori rispondono a quest'indirizzo e-mail: samspade@tin.it, e a questo numero di telefono: 0815422088

[BACKGROUND
Presentazione degli autori e note di regia:
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap6_Va.html#napoli
Appunti napoletani di WM1 e WM2:
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap9_Va.htm#appuntinapoletani ]

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Abbiamo deciso di eliminare i numeri bis di Nandropausa, la nostra webzine semestrale di segnalazioni letterarie. D'ora in avanti, i commenti dei giapsters ai libri che consigliamo in un numero verranno pubblicati direttamente in coda al numero successivo. Ricordiamo che i libri segnalati nel numero di giugno erano: Massimo Carlotto, L'oscura immensità della morte; Girolamo De Michele, Tre uomini paradossali; Emidio Clementi, L'ultimo dio; Edward Abbey, Fuoco sulla montagna; Cesare Battisti, L'ultimo sparo; Tommaso Didimo, Il re operaio; Jutta Richter, Quando imparai a addomesticare i ragni; Johannes Hösle, Prima di tutti i secoli; Matteo Melchiorre, Requiem per un albero.
I nostri commenti sono qui:
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/nandropausa6.html
Spediteci i vostri, li pubblicheremo nel numero di dicembre


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Riceviamo e volentieri diffondiamo:

http://www.babelteka.org/

BabelTeka è un sistema ideato per favorire il prestito e lo scambio di opere materiali (libri, video e musica) tra persone, privilegiando gli utenti territorialmente più vicini. In pratica se inserisci sul sito di Babelteka, il tuo recapito - anche una via vicina alla tua, se vuoi maggiore privacy - ed il tuo cap, permetterai ad un utente di sapere quanto gli sei vicino, in chilometri. Il sistema su cui è basato il sito provvederà a mettere in contatto chi vuole prestare, per esempio, un libro e chi vuole riceverlo in prestito e quindi con una semplice passeggiata nel tuo quartiere potrai incontrare la persona a cui prestare il libro!
Generalizzando un pò, Babelteka è un piccolo contributo alla ricostruzione dei legami tra persone sul territorio usando come strumento le affinita di interessi. Ma tra le intenzioni di chi ha dato vita a questo progetto, c'è anche quella di dare una prima risposta politica al decreto Urbani, come espressione di un attacco generalizzato alla libera condivisione della conoscenza.
Ma Babelteka, comunque, si sforza di guardare ancora più lontano. Un obiettivo, non nascosto, del progetto è di provare a pensare questo progetto come una biblioteca pubblica non-statale, formata dalle biblioteche (in senso lato: libri, ma anche fumetti, riviste, cd, dvd, vinile e videocassette, dispense universitarie e libri scolastici...chi piu ne ha piu ne metta!) di tutti i singoli utenti che partecipano al sistema. Babelteka, ovvero la Biblioteca di Babele :)
Perché una biblioteca pubblica non-statale? In assenza di una politica che sappia misurarsi con bisogni e problemi reali dei cittadini, tocca imparare a fare da soli! Fino a dieci o quindici anni fa sarebbe stato del tutto scontato pensare una iniziativa come questa come appartenente all'interesse pubblico generale. Ma oggi, in tempi di privatizzazione totale e di smantellamento dello stato sociale, sempre più raramente lo Stato tutela l'interesse comune, prono com'è agli interessi delle grandi multinazionali e dei potenti del mondo. Così, delle iniziative del tutto ovvie, di facile ideazione e manutenzione e la cui utilità sociale è evidente e incontestabile, non vengono nemmeno prese in considerazione o vengono esplicitamente osteggiate. E questo nonostante la retorica melensa e le decine di miliardi di euro spesi ogni anno per presunti obiettivi sociali. Fortunatamente, non viene meno lo _spirito pubblico_ che, in quanto tale, non è mai un'esclusiva dello stato, ma il lievito dell'intelligenza delle comunità umane, quelle che, dal Cro-Magnon ad oggi, hanno imparato ad organizzarsi e a combattere per tutelare i loro interessi e la qualità della propria vita.

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"Ho sempre rivolto a Dio una preghiera, che è molto breve: 'Signore, rendete ridicoli i miei nemicì. E Dio l'ha esaudita." (Voltaire, lettera a Damilaville)

"Adlatres licet usque nos et usque / et gannitibus inprobis lacessas, / certum est hanc tibi pernegare famam, / olim quam petis, in meis libellis / qualiscumque legaris ut per orbem. / nam te cur aliquis sciat fuisse? / ignotus pereas, miser, necesse est. / non derunt tamen hac in urbe forsan / unus vel duo tresve quattuorve, / pellem rodere qui velin caninam: / nos hac a scabie tenemus ungues."[*] (Marziale, Libro V, epigramma LX)

<http://www.wumingfoundation.com/>

--NOTA BENE---

Per non ricevere più Giap o per riceverlo a un altro indirizzo:
<http://www.wumingfoundation.com/mailman/listinfo/giapmail>

Per favore, NON chiedete di farlo a noi, la procedura è completamente autogestita dagli iscritti.

In data 14 settembre 2004, Giap conta 6380 iscritt*.


[*] Latra pure contro di me e provocami senza tregua coi tuoi guaiti. è certo che io intendo negarti la fama che cerchi da tempo: esser letto nei miei libelli, comparendovi in qualunque modo, e così girare il mondo. Perché mai qualcuno dovrebbe sapere che sei esistito? Miserabile, è necessario che tu muoia ignoto. In questa città non mancherà uno, o due, tre, quattro che abbian voglia di rodere la tua pellaccia di cane. Io tengo le unghie lontane da questa rogna.


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