Da “Il Piccolo”, 14 novembre 2000

CASI LETTERARI «Asce di guerra», il nuovo libro degli autori di «Q», viene presentato domani a Trieste

Ombre sui sentieri di Ho Chi Minh
La storia degli italiani che negli anni ’50 combatterono in Estremo Oriente

                

La Storia, per loro, è un pozzo senza fondo. Dal quale estrarre storie apparentemente marginali, molto spesso dimenticate, per non dire esorcizzate, che servono a guardare il passato, lontano e vicinissimo, da una prospettiva diversa. Inedita. E non importa se, dopo aver conquistato i lettori d’Italia, e il clan del Premio Strega, con un romanzo geniale e godibile come «Q», celandosi dietro il nome collettivo di Luther Blissett, adesso si divertono a spiazzare tutti ribattezzandosi Wu Ming.
Il nome non conta, la sostanza sì. E l’«impresa di produzioni narrative» formata da Roberto Bui, Giovanni Cattabriga, Luca Di Meo e Federico Guglielmi, ovvero Wu Ming (in cinese mandarino significa Senza Nome), a poco più di un  anno dall’uscita di «Q» ritorna a stupire con un romanzo poderoso e coraggioso. Si intitola «Asce di guerra» (pagg. 384, lire 29 mila) lo pubblica Marco Tropea Editore, racconta la storia vera di Vitaliano Ravagli, che compare come coautore. E insinua uno spiraglio di luce in una zona buia della Storia d’Italia.
Wu Ming trasporta il lettore negli anni Cinquanta. E gli fa scoprire una verità mai rivelata. Delusi dai troppi tradimenti architettati contro gli ideali della Resistenza, guardati con sospetto un po’ da tutti, eppure convinti che fosse ancora possibile cambiare il mondo, alcuni ex partigiani e comunisti italiani si arruolarono in una sorta di brigata internazionale per raggiungere l’Estremo Oriente, le giungle del Laos, le zone al confine con il Vietnam del Nord. I  sentieri di Ho Chi Minh. E combattere lì una guerra sporca, fatta di imboscate, saccheggi, stupri, per aiutare la guerriglia. Per sbarrare il passo alle truppe imperialiste.
Domani sera, Ravagli e Wu Ming saranno a Trieste. Alle 20 parleranno di «Asce di guerra», e di quella storia dimenticata dai libri di Storia, alla libreria «In Der Tat», di via Diaz 22, nell’ambito di «Cantieri aperti».
«Wu Ming, in pratica, è nato il primo gennaio del Duemila - spiega Wúmíng Sì, al secolo Federico Guglielmi – quando  noi quattro autori di ”Q” abbiamo deciso di uscire dal progetto Luther Blissett».


Perché abbandonare Luther Blissett?

«Era previsto così. Fin da quando il progetto Luther Blissett ha preso forma s’era deciso di farlo durare non più di cinque anni. Così, alla fine del 1999, abbiamo iniziato a pensare a qualcosa d’altro. Ed è nato Wu Ming».

Quando avete disotterrato queste «Asce di guerra»?

«Stavamo scrivendo un romanzo, ambientato negli anni Cinquanta. Una sera, durante una cena, Carlo Lucarelli, lo scrittore di ”Almost Blue”, ha cominciato a parlare di un tale che abitava dalle sue parti. E che aveva vissuto quel  periodo in maniera davvero originale».

Le vostre orecchie si sono drizzate?

«Prima Lucarelli ci ha fatto leggere i due libri autobiografici fatti stampare da Ravagli. Poi, affascinati da questa storia incredibile, abbiamo deciso di lasciar perdere il romanzo che stavamo scrivendo per incontrare Vitaliano».


Il progetto, poi, s’è allargato.


«Sì, ha formato una serie di cerchi concentrici. Scrivendo la storia di Ravagli ci siamo accorti che andava inserita nella Storia degli anni Cinquanta. E scavando nel passato, cercando di metterlo a fuoco, ci siamo accorti che finiva  per collegarsi perfettamente con il presente».

Verità e finzione miscelate in che proporzione?

«La finzione, in ”Asce di guerra”, ha un ruolo marginale. Certo, il personaggio dell’avvocato Daniele Zani, che si mette sulle tracce di Vitaliano Ravagli, esce dalla nostra fantasia. Così come altri dettagli. Ma tutto il resto, comprese le testimonianze dei partigiani interpellati per ricostruire i movimenti di Ravagli, è vita vissuta».

Più difficile scrivere «Q»?

«No, perchè ”Asce di guerra” racconta storie, oltre che vere, vive: i protagonisti sono ancora qui, tra noi. È un romanzo ibrido: un esperimento. ”Q” si svolgeva in un’epoca molto lontana. E già questo rendeva tutto molto  fantastico».

Amate infiltrarvi nei coni d’ombra della Storia...

«Riempire i coni d’ombra della Storia è una delle nostre parole d’ordine. In questo caso abbiamo portato alla luce una zona buia dei nostri anni Cinquanta. Che, nell’immaginario collettivo, passano per l’epoca mitica della grande  ricostruzione d’Italia».

E invece?

«Quel tempo, a leggerlo attentamente, si rivela una specie di Far West del Ventesimo secolo. ”Asce di guerra” tenta di rimettere in prospettiva la Storia».

Anche questa volta avete passato mesi interi a consultare libri, documenti?

«Non è stata una faticaccia come ai tempi di ”Q”. Perchè i testimoni, le fonti, le avevamo a portata di mano. Certo, abbiamo dovuto scavare a fondo negli archivi. E lo stupore che, nel libro, coglie l’avvocato Zani nello scoprire la storia di Ravagli, è perfettamente uguale a quello che abbiamo provato noi».


Il successo di «Q» vi ha viziati?


«”Q” ha venduto attorno alle 70 mila copie. Ma, non per questo ci siamo montati la testa. Ha cambiato la nostra vita solo in un senso: prima facevamo lavori precari e improvvisati per campare. Adesso, possiamo concentrarci sui nostri progetti di scrittura. Non siamo diventati nè ricchi nè benestanti».

Progetti?

«Stiamo lavorando al nostro terzo romanzo. Riccardo Pedrini, entrato nel gruppo subito dopo l’uscita di ”Q”, è invece concentrato sul suo secondo libro. Tutti insieme, poi, vogliamo produrre una serie di ”plot”, che potrebbero  trasformarsi in altrettanti romanzi. O ispirare soggetti cinematografici».

Preferite restare Senza Nome?

«È una scelta filosofica, politica. Le storie vengono prima dell’autore. I nostri nomi non contano».


Alessandro Mezzena Lona


Asce di guerra
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