Premio Letterario Nazionale "Orient Express", nona edizione 1999

PREMIO DI NARRATIVA
"Q" di Luther Blissett, Einaudi 1999 (649 pp.)

La prima tentazione da evitare - nell'accostarsi a questo romanzo il cui titolo "Q" sta per l'iniziale di un famigerato inquisitore - è quella di cedere alla suggestione del "caso letterario". Chi è che si firma Luther Blissett? E' una persona o un'équipe? Ed è vero che ha la fama di compiere azioni sovversive via internet? Ma una o dieci persone cosa cambia? Il romanzo è qualcosa che vive di vita propria, indipendentemente dall'identità dell'autore. Si rischia altrimenti la contaminazione del vissuto?
La seconda tentazione da evitare è quella di considerarlo un romanzo "storico". Non esistono romanzi storici o gialli o psicologici o comunque li si voglia classificare, se non nelle schedature ossessive dei letterati in crisi d'identità creativa. E' già ozioso tentare di distingure tra pitture, letteratura, teatro e qualsivoglia altra forma di espressione; figuriamoci poi frantumare una medesima matrice come la scrittura in saggistica, poesia, narrativa e via dicendo; per non parlare della smania d'insistere fino a sezionare una soltanto di queste sottospecie di generi diversi.
"Q" è un romanzo e basta: un romanzo di nobilissima qualità letteraria, che non lascia spazio all'equivoco di doversi misurare sulla credibilità del contesto storico cui si riferisce. Poiché quando l'invenzione prende a pretesto la storia - penso nel migliore dei casi a Shakespeare - è del tutto irrilevante l'aderenza alla realtà dei fatti e l'onestà stessa delle impressioni che se ne traggono. E' la storia che si fa teatro, cinema, o romanzo - e non viceversa - acquistandone tutte le prerogative di libertà e manipolazione, inclusa la libertà di stravolgere, falsare, inquinare di fantasia propria il materiale del racconto. "Q" è meravigliosa invenzione, che da fatti reali di quattro secoli fa trae pretesto per elaborare un eccezionale impianto narrativo, nel quale le pulsioni umane della pietà e dell'orrore, della violenza e dell'urgenza del libero pensiero contro le farragini dell'ideologia e del fanatismo sono portate alle estreme conseguenze. Ecco, questo è il romanzo che premiamo: un affresco apocalittico delle guerre di religione in Europa, del tutto indipendente dall'attendibilità della prospettiva proposta. Con un apprezzamento particolare per certi pregi solitamente assenti nella tradizione del romanzo italiano, come la plausibilità del dialogo (nei romanzi italiani non si parla mai, e se si parla, si parla come scrivendo) e la tensione drammatica di un io narrante che senza inutili narcisismi sembra sfiorare talvolta lo stream of consciousness (il flusso di coscienza) di tradizione anglosassone.
Ne deriva che in termini narrativi "Q" non deve niente alla storia. Al contrario deve il suo pregio maggiore, forse, a quella spregiudicatezza con cui rimescola e capovolge i dati reali a misura della fantasia di chi scrive. Come quando Shakespeare mette mano alla tragedia di Macbeth, che era un buon re, facendone un tiranno per mero pregiudizio verso gli scozzesi. Anche qui chi si cela dietro lo pseudonimo di Luther Blissett ha i suoi pregiudizi, che come quelli di Shakespeare non scalfiscono la qualità dell'opera: splendida in termini letterari è la descrizione del massacro dei contadini da parte dei principi tedeschi, voluto ed esaltato da Lutero, ma qui descritto in modo da parer quasi addebitabile ai cattolici: il che, se la storia avesse un peso narrativo - e ripeto non lo ha - sarebbe un grave inconveniente. Restituiamo alla storia ciò ch'è della storia, senza nulla togliere al romanzo.
Da una lettera di Lutero ai principi: "Su, principi, ferite, trapassate: venuto è il momento meraviglioso che un principe possa, col trucidare villani, meritare il paradiso più facilmente che gli altri col pregare... Io dico che tutti i paesani debbano perire, perché attaccano principi e magistrati, dato che impugnano la spada senza l'autorità divina... Nessuna misericordia, nessuna tolleranza è dovuta ai paesani, ma l'indignazione degli uomini di Dio... I paesani sono al bando di Dio: si può trattarli come cani rabbiosi..."
Andava precisato, non per il romanzo, che vive di vita propria, ma per la storia.

FRANCO CUOMO