"Pirateria": la repressione non servirà a niente

di Wu Ming 1
9 giugno 2003

Di recente si è fatto molto sensazionalismo intorno alle retate contro la "pirateria" musicale on line orchestrate dalla Guardia di Finanza. Migliaia di cittadini/e della Repubblica hanno temuto di finire nel mirino di operazioni repressive su vasta scala. A detta degli inquirenti, l'operazione non mirava a colpire chiunque metta files in condivisione peer-to-peer: sarebbe impossibile, trattandosi di milioni di persone. L'obiettivo erano alcuni centri di distribuzione massiva di materiale illegale. Grandi numeri, insomma: dischi rigidi con cento o più gigabytes di MP3. Tuttavia, la campagna allarmistica è sembrata muoversi di concerto con le retate. Molti sospettano che la vera finalità fosse spaventare la moltitudine di utenti del file sharing. "Uccidi il gallo per spaventare la scimmia" (proverbio cinese).
Appare comunque sintomatico di un disagio degli stessi inquirenti un passaggio dell'intervista di un ufficiale della GdF a La Repubblica (31/05/2003): "Studenti, impiegati, professionisti, gente comune neanche tanto esperta di Internet che mai avrebbe pensato di finire nei guai per qualche canzone" (corsivo nostro).
Secondo dati della FPM (Federazione contro la Pirateria Musicale), il 37% degli italiani si fa masterizzare i cd dagli amici, un altro 16% lo fa da sé. Nessuno di costoro, è evidente, percepisce ciò che fa come un reato. Se scompare la percezione del reato da parte della maggioranza delle persone, è la sfera giuridica a doversi adeguare, come già accaduto col mostrare le caviglie delle donne, col baciarsi in pubblico e in innumerevoli altri casi. E' tale inesorabile adeguamento a spaventare i boss delle multinazionali. E' questa "pirateria" a diffondere il panico in quegli uffici, non quella organizzata e para-mafiosa. Confondere a bella posta l'una con l'altra è una strategia che non funziona più.


Americanate

Le retate sono prevedibili conseguenze del decreto in vigore dal 29 aprile u.s., a recepimento della famigerata EUCD (Direttiva Europea sul Copyright). Ne abbiamo parlato su L'Unità del 30 aprile, articolo leggibile qui.
L'EUCD è un calco del DMCA statunitense (Digital Millennium Copyright Act), in vigore dal 1998. Proprio quell'esperienza ci fa capire che la repressione non serve. La storia dell'applicazione del DMCA è fatta di disastri ed effetti boomerang: la "pirateria" non è stata fermata né rallentata; in compenso, si sono arrecati gravi danni al settore informatico e tecnologico, intralciandone l'innovazione con un'applicazione pedestre e oltremodo estensiva delle leggi sul copyright.
Inoltre, applicando il DMCA si è spesso attentato alla libertà d'espressione. Il semplice sospetto che un sito ospiti materiali illegali (espresso in una lettera di diffida da parte del soggetto che si ritiene leso) basta a costringere il provider a chiudere quel sito. Non servono prove, verifiche, indagini della magistratura, niente del genere. Per il DMCA, è sufficiente la "buona fede" di chi diffida.
Che
succede negli States sul versante della lotta alla "pirateria"? Succede che le corporations stanno perdendo la testa, offrendo al mondo uno spettacolo indecoroso. Le direzioni imboccate si riducono essenzialmente a due: repressione (denunce, minaccia del carcere o di risarcimenti abnormi) ed espedienti tecnologici.


Le "vie legali"

I tribunali d'Oltreoceano ci appaiono ingolfati di procedimenti relativi al copyright, a Internet e alla "pirateria". Ecco alcune linee avanzate del conflitto:

1. L'obbligo da parte dei providers di rivelare le generalità degli utenti sospettati di "pirateria". Si è appena concluso il primo round del caso Verizon: questo provider dovrà consegnare alla RIAA (l'associazione nazionale dei discografici) i nominativi di due suoi utenti accusati di aver scambiato grandi quantità di brani protetti da copyright.
Decisioni come questa, unite alla "giustificazione per sola buona fede", caricano sulle spalle di un provider oneri polizieschi che non gli competono, danneggiano la sua attività alimentando il clima di sospetto e censura preventiva, e rompono il vincolo di fiducia tra utente e fornitore.

2. La creazione di software che permetta di copiare i DVD e, in generale, di mezzi per aggirare le protezioni tecnologiche (cfr. il paragrafo "Espedienti"), esplicitamente proibiti tanto dal DMCA quanto dall'EUCD.
Il principale nemico è il DeCSS, codice che permette di leggere un DVD in tutte le "zone". Per chi non lo sapesse, oggi un DVD comprato negli USA non è visibile in Europa, e viceversa. La protezione che impediscono di farlo si chiamano "CSS", Content Scrambling System ("sistema per strapazzare i contenuti"). Il fine è impedire che un film diventi disponibile in un paese prima della sua uscita nelle sale, ma il risultato è una vera e propria truffa ai danni di chi compra DVD in vacanza etc. Mentre scriviamo, la Corte Suprema della California deve decidere se impedire la diffusione su web del DeCSS (cioè limitare la conoscenza di un'innovazione tecnologica) è o meno una violazione della libertà d'espressione. Negli ultimi tempi, diversi utenti e providers sono stati denunciati per aver reso disponibile il codice. Ma Hollywood rema contro la stessa innovazione tecnologica che ha contribuito a stimolare. A tutt'oggi, il DeCSS è facilmente reperibile su centinaia di siti.
I casi più recenti riguardano invece i software che permettono di copiare i DVD. La Paramount e la Fox hanno appena trascinato in tribunale cinque diversi produttori (RDestiny, Internet Enteprises, HowtocopyDVDs.com, DVDSqueeze.com e DVDBackupbuddy.com). Questi ultimi si difendono sostenenendo che i loro software garantiscono ai clienti il diritto alla copia privata e alla copia di sicurezza dei loro DVD.

3. La responsabilità di aziende e università nel caso le loro reti vengano utilizzate a fini di "pirateria".
Su pressione della RIAA, la Sun Microsystems ha diffuso tra i dipendenti una circolare che definisce il download di materiali protetti da copyright "una violazione delle politiche di comportamento dell'azienda". Le pressioni della RIAA sulle aziende fanno capire quanto diffuse siano queste pratiche. Inoltre, la scelta della circolare rivela che la Sun non ha modo di estirpare il reato senza la collaborazione dei "colpevoli".
Un altro caso interessante vede la prestigiosa Università di Princeton e altri tre atenei scavalcati a pie' pari dalla RIAA, che senza consultare i rettorati ha denunciato quattro studenti rei di utilizzare la rete universitaria a scopo di "pirateria". Dapprincipio la RIAA ha chiesto agli studenti risarcimenti "da far girare la testa": 150.000 dollari per ogni canzone messa in condivisione. A suo dire, si trattava di un milione di brani. Totale: centocinquanta miliardi di dollari. La cifra ha fatto tanto scalpore che i discografici hanno dovuto abbassare di molto le loro pretese: ora chiedono dai 12.000 ai 17.000 dollari, rateizzabili fino al 2006.

4. La liceità del peer-to-peer e il conflitto tra leggi statunitensi e leggi internazionali.
Da Napster in avanti, le sentenze sfavorevoli al peer-to-peer sono valide soltanto negli States. Sherman Networks, la ditta che produce Kazaa, ha sede in Olanda. Un anno fa, un tribunale olandese ha sentenziato che la compagnia si limita a fornire un sistema di scambio tra utenti, e non è responsabile dei contenuti illegali scambiati più di quanto la Piaggio sia responsabile della condotta di malviventi che fuggano in Vespa dal luogo del reato (quest'ultima aggiunta è mia). Ciò ha permesso a Kazaa di diventare il software più scaricato al mondo: a tutt'oggi si contano 230 milioni di downloads (2,7 milioni solo nell'ultima settimana).
Una sentenza analoga l'ha emessa anche una corte federale statunitense: il 25 aprile u.s. il giudice Stephen Wilson ha stabilito che le ditte Grokster e StreamCast Networks (quest'ultima produce il software Morpheus) non sono colpevoli di violazioni del copyright. Wilson ha paragonato le due compagnie a quelle che inventarono i registratori a cassette: nessuno si sognò mai di ritenerli responsabili delle duplicazioni abusive.
Nella guerra alla "pirateria" si rispecchia la guerra (economica e tout court) degli USA contro il mondo intero. Anche qui ci sono gli "stati-canaglia", e i relativi embargos. Al momento, non potendo prendersela con gli olandesi senza aggiungere motivi di tensione alla "guerra tiepida" interatlantica, gli USA hanno in piedi sanzioni contro Ucraina, Bahamas, Bolivia, Kuwait, Lituania, Polonia, Corea del Sud, Pakistan, Tailandia e Sudafrica. Le sanzioni ammontano a 75 milioni di dollari all'anno. Bruscolini, paragonati a quanto risparmiano ogni giorno i consumatori di tutto il mondo evitando di infilare banconote nei portafogli di superstar e nababbi.
In questo quadro si inserisce una dichiarazione - risalente al 30 maggio scorso - del viceministro del commercio della Malaysia, Datuk S. Subramaniam, che ha invitato i suoi connazionali a non comprare più CD, per protesta contro i prezzi gonfiati.


Espedienti tecnologici

Il 5 maggio scorso il New York Times rivelava che le major della discografia hanno ingaggiato hackers per avviare un programma di sabotaggio del peer-to-peer. La strategia sarà quella di diffondere -.camuffati tra milioni di files in condivisione - brani "infettati", i cui virus sarebbero in grado di rallentare la connessione del malcapitato, o addirittura di bloccare il suo PC. Il fatto che grandi multinazionali scendessero a questo livello è stato commentato sfavorevolmente ai quattro angoli del pianeta. L'ennesimo segnale di debolezza.
Più o meno negli stessi giorni, la pop-star Madonna tentava un esperimento del genere, e non ne usciva granché bene. Falsi MP3 del suo ultimo singolo "American Life", scaricati da migliaia di persone, si sono rivelati registrazioni della voce di Madonna che diceva: "What the fuck do you think you're doing?" ("Che cazzo credi di fare?"). Dopo qualche giorno, ignoti penetravano nello spazio web del sito ufficiale della cantante, rendevano colà scaricabile il medesimo singolo, e "deturpavano" la home page con la frase: "This is what the fuck I'm doing" ("Ecco che cazzo sto facendo").
Ma Lorsignori sono indefessi, e ne inventano una al giorno: le ultime news riguardano la Disney, che ha annunciato la messa in commercio - a scopo di noleggio - di DVD di fabbricazione giapponese, che diventano illeggibili dopo 48 ore.
Quanti soldi e quante risorse andranno sperperate per diffondere cultura usa-e-getta destinata a far crescere montagne di spazzatura non degradabile?


Post-scriptum

Lorsignori vogliono una società dove si paghi un balzello anche quando si canta "Tanti auguri a te" alle feste di compleanno. Non è una boutade: la celeberrima canzone non è di pubblico dominio. I diritti per l'Italia sono della Emi-Sugar, come hanno scoperto Elio e le storie tese, che all'ultimo momento hanno dovuto scartare dall'ultimo album un brano che ne citava il testo.
Comunque, anche nell'industria dell'entertainment esistono persone intelligenti, soggetti imprenditoriali (come la Apple di Steve Jobs) che cercano di correggere la rotta, di investire sulla musica on line a prezzi non irragionevoli anziché sulla repressione e lo squadrismo telematico. Ci sono timidi ma interessanti segnali in tal senso. Esistono anche progetti (come quelli dell'organizzazione internazionale IP Justice, o del progetto Creative Commons di Lawrence Lessig) di riforma della proprietà intellettuale in senso più elastico, adeguato ai tempi e rispettoso della libertà dei cittadini. Staremo a vedere.
Nel frattempo, i "pirati" sono dappertutto, persino nella commissione selezionatrice degli Oscar. All'inizio dell'anno sono apparsi per le strade e sulla Rete i DVD "pirata" di alcuni film americani nuovi di pacca, i cui DVD regolari ancora non esistevano. Qual era la spiegazione? Semplice: ogni quarto d'ora compariva la scritta "For your consideration". Si trattava infatti delle copie digitali date in visione alla giuria che vota per le candidature e l'assegnazione dell'Academy Award. Tale giuria è interamente composta di addetti ai lavori, grossi nomi (attori, registi etc.).
E' come nelle guerre etniche in Jugoslavia: quando si comincia a combattere casa per casa, ci va di mezzo anche la casa di chi ha dato l'ordine.

Fonti:

http://www.punto-informatico.it
http://www.zeusnews.it
http://www.quintostato.it
http://www.apogeonline.com
http://www.ipjustice.org/

 


Omnia sunt communia
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