Da "Letture - Mensile di informazione culturale", anno 60°, Quaderno 614, febbraio 2005:

Intervista a Wu Ming 1 su editoria e diritto d'autore

di Jacopo Guerriero


Su wumingfoundation.com voi rendete disponibili (nei giorni stessi dell’approdo in libreria) i vostri romanzi in diversi formati elettronici. Come reagisce il vostro editore? E’ vera l’equazione copia scaricata = copia invenduta?

Il nostro editore reagisce piuttosto bene, anche perché è tutta pubblicità aggiuntiva, mantice che soffia sulle braci del passaparola. Che l'equazione scaricato = invenduto sia falsa lo dimostra la vicenda editoriale e commerciale dei nostri libri: Q è scaricabile gratis da cinque anni eppure continua a vendere e a essere ristampato. Idem per gli altri nostri romanzi e saggi. Addirittura, la raccolta di scritti e racconti intitolata Giap! (curata da Tommaso De Lorenzis) era pressoché interamente composta di materiale già presente in rete, eppure ha venduto molto bene. Più un'opera è libera di circolare, più conseguenze positive ne trarrà l'autore, in termini di celebrità, di interazione coi lettori, di affetto, e quindi anche di disponibilità a regalare i suoi libri. Di solito chi scarica i nostri libri, se arriva a capirli e amarli, dopo li regala, e chiaramente regala l'edizione presente in libreria. Ovviamente, è importante la qualità. Definisco "qualità" qualcosa che va oltre i gusti soggettivi (dei quali non est disputandum). La "qualità" è l'impegno che ci ha messo l'autore, un impegno che dev'essere riconoscibile in qualunque modo. Se l'opera è di qualità, se piace o interessa, se ne parlerà in giro, la si donerà, presterà etc. Se l'opera è sciatta, non si avvierà alcun circolo virtuoso.

Allarghiamo il campo del dibattito. Proviamo a delineare, nell’era dell’avvenuto accesso di massa alle potenzialità della rete, un nuovo diritto d’autore..

Si stanno già sperimentando nuove formule e licenze. Guardiamo con interesse al tentativo di Creative Commons di disciplinare le eccezioni al divieto di riproduzione e riutilizzo. Siamo soltanto all'inizio di una lunga fase di transizione. Il copyright è ormai lontanissimo dalle proprie origini, è un istituto nato in società storiche molto diverse dalle nostre, in cui l'accesso alle tecnologie di riproduzione era limitato a una minuscola percentuale della popolazione. Probabilmente, il nuovo diritto d'autore si affermerà in una società che sarà già abbastanza diversa da quella in cui viviamo noi. E' un processo molto lungo.

Ridurre il dibattito copyright/anticopyright al mondo dell’editoria sarebbe semplicistico. L’utilizzo di tecnologie di compressione, il files sharing, permettono oggi a molte persone di violare le legislazioni sul diritto d’autore. Dato che il fenomeno avviene su scala mondiale è giusto dire che la pirateria informatica sta cambiando alla base il rapporto tra produttore e consumatore dell’industria culturale? Se così fosse mi sembra che sia necessaria una rivoluzione di pensiero in materia…

Esatto. Proprio l'altro giorno Marco Mueller, direttore del Festival di Venezia, ha parlato della pirateria audiovisiva come un dato positivo, che ha permesso a molto nostro cinema (snobbato e ritenuto "minore" in patria) di varcare le frontiere e, "rippato" e copiato e ricopiato e scaricato, arrivare in terre lontanissime, come la Cina. Mueller faceva l'esempio de "L'odore del sangue" di Martone. Stessa cosa per la musica: cosa è meglio, essere un signor nessuno ma incassare percentuali micragnose sui due-tre cd che riesci a vendere, o essere famoso perché la tua musica viaggia, viene conosciuta, i cd vengono masterizzati e quando fai i concerti viene più gente? L'industria dell'entertainment non ha ancora capito che è da qui che dobbiamo cominciare a ragionare. Non è più il supporto (il cd, il dvd) il perno di tutto. La cultura è un flusso continuo che percorre un reticolo policentrico, il supporto è qualcosa di incidentale. A meno che non ci si impegni a produrre supporti di alta qualità, ricchi di materiali aggiuntivi e che siano anche begli oggetti da collezionare. Ci sarà sempre bisogno di qualcosa di tangibile, ma solo se varrà la pena.

Cosa pensate del bookcrossing?

Ne abbiamo sempre parlato bene e ci fa piacere che l'Italia, con tutti i record negativi che di solito la contraddistinguono, in questo sia un po' una reginetta. Assieme agli USA, è il Paese in cui si bookcrossa di più, anche per merito della trasmissione "Fahreneit" di Radio 3.

Il campo semantico che bisogna aver presente per affrontare il dibattito di cui parliamo rimanda indubbiamente ad alcune speculazioni filosofiche emozionanti. Tommaso Moro da una parte, Proudhon e Saint Simon dall’altra.. C’è un rapporto tra utopia -o socialismo utopista- e il nuovo movimento per il copyleft?

Esistono assonanze, certo, ma non si va molto più in là di questo. Tutti i grandi cambiamenti sociali hanno assonanze con certe teorie e riflessioni. Più che Proudhon e Saint-Simon, però, parlerei di certo utopismo americano dell'Ottocento, visionari come Josiah Warren che cercarono di fondare comunità basate sulla proprietà comune, sul dono etc. Poi, ovviamente, parlerei di Marx. Tant'è che in America la teoria sul copyleft e sulle licenze creative commons viene chiamata "Marxism-Lessigism" (Marx + il net-giurista Lawrence Lessig). Quando Marx scriveva che nel comunismo tutti possono essere artisti, mi viene in mente questa inebriante nuova cultura del DIY iniziato col punk e l'hip-hop, del cut'n'mix, del campionamento, della grande ricombinazione, la musica fatta anche da non-musicisti, l'idea che diede il nome alla "house music" etc. Tutti fenomeni che non avrebbero preso piede senza quella che l'industria dell'entertainment definisce "pirateria" e basta.

 

Omnia sunt communia
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