da www.quintostato.it, 6 maggio 2003

Quinto Stato intervista Wu Ming 1: Dal copyright al copyfight
di Stefano Porro


Imbruglia, Natalie.

Da alcuni giorni acquistare un cd vergine costa di più, e portarne a casa uno pirata è addirittura un reato, così come effettuare "file sharing in rete". Che piaccia o meno, sono gli effetti della nuova normativa sul copyright, entrata in vigore lo scorso 29 aprile come applicazione della direttiva europea EUCD (a sua volta ispirata al DMCA statunitense). Cambia la sigla, ma il risultato è sempre lo stesso, ed è sconfortante. Le grandi corporation high tech, supportate da governi che non vedono l'ora di regolamentare, irregimentandola, la libertà della rete, stanno lanciando un attacco a tutto campo contro quella che pochi potenti interessati definiscono "pirateria", e che invece è un "grande processo di riappropriazione dal basso dei mezzi di produzione della cultura". A pensarla così, durante l'intervista rilasciata a QS, è Wu Ming 1, una delle teste pensanti del più famoso laboratorio culturale e creativo italiano, che da vario tempo ha elaborato una teoria originale sulla necessaria evoluzione del diritto d'autore e sul valore intrinseco del copyleft.
Secondo i Wu Ming sarà possibile opporsi alle limitazioni in atto solo se i soggetti collettivi coinvolti sapranno dare vita a un'egemonia culturale che favorisca, imponendolo dal basso, un mutamento del copyright.

D: Le nuove normative italiane sul copyright, al pari del Digital Millennium Copyright Act (DMCA) statunitense, impongono ulteriori restrizioni al "fair use" dei prodotti culturali. Secondo alcuni si tratta di una battaglia già persa, in quanto il concetto di copyleft è ormai entrato a far parte dei bisogni sociali ed è quindi un fenomeno inarrestabile. Cosa ne pensi?

R: I colpi di coda sono molto pericolosi, la disperazione dell'industria dell'entertainment non è cosa da tenere sotto gamba, ma alcune tendenze sono irreversibili, è ben difficile che una qualsiasi legge riesca a soffocare o anche soltanto limitare il fenomeno della "pirateria", che è in realtà un grande processo di riappropriazione dal basso dei mezzi di produzione della cultura. Questa è una delle logiche conseguenze del processo iniziato con la rivoluzione microelettronica e con la scoperta dei semiconduttori, che ha permesso un decentramento del "computing" e quindi una democratizzazione dell'accesso alle tecnologie informatiche, mettendo in moto un gigantesco processo sociale, e la formazione delle reti che conosciamo oggi. Le fotocopiatrici di cinquant'anni fa erano grandi come intere stanze, i computer occupavano interi piani di edifici, le tecnologie per l'incisione discografica erano in mano a pochissima gente, i primi scheletri di reti telematiche sono di quarant'anni fa ed erano sotto il controllo dei militari. Oggi la maggior parte dei civili delle nostre società (quelle del nord del mondo) ha accesso a un sistema integrato di tutte queste tecnologie, e le usa. Il copyright riflette le esigenze della società che descrivevo poco sopra, dove pochi controllavano le poche tecnologie di produzione culturale esistenti (tipografie e rotative, sale d'incisione etc.). Il copyright è tutta una faccenda interna agli "inclusi", i produttori di cultura e intrattenimento, laddove per "esclusi" intendo il grande pubblico, i consumatori visti come soggetti passivi che raramente venivano in contatto con questioni di diritto commerciale e diritto d'autore. Poteva violare il copyright solo chi aveva accesso agli scarsi mezzi di produzione esistenti.

D: Oggi invece la situazione è ben diversa...

R: Diciamo che l'estensione delle reti ha creato la figura del "prosumer", del produttore/consumatore, e il copyright è un ostacolo alle sue attività, ai suoi interessi e desideri. Sono sempre di più i soggetti che rimangono invischiati nelle questioni giudiziarie relative al diritto d'autore, perché come ti muovi commetti una violazione. Il problema non è la "pirateria", quella è una conseguenza naturale dell'innovazione tecnologica. Il problema è il copyright, che così com'è ancora concepito risulta obsoleto e nocivo, perché continua a vedere una società di "inclusi" ed "esclusi", ma oggi la distinzione è molto sfumata. Presto o tardi anche il potere legislativo (nazionale e sovranazionale) dovrà rendersene conto. Le forze sociali che vogliono imporre il "copyleft" ed estendere il "fair use" possono esprimere il potere legislativo di domani, ma occorre combattere perché ciò avvenga.

D: A fronte delle attuali normative, caratterizzate da un impeto restrittivo, il "rovesciamento" del copyright preconizzato da Stallman è ancora un principio efficace?

R: Assolutamente sì, e lo sarà sempre di più. Visto che per ora la legiferazione è ispirata a principi conservatori se non reazionari, quello che stiamo facendo è penetrare e scavare dall'interno le leggi esistenti. A volte applicare una legge alla lettera equivale a produrre un paradosso, come succede per lo "sciopero al contrario", che consiste nell'applicare certosinamente i regolamenti, rallentando tutte le procedure sul luogo di lavoro, e nessuno può rivalersi su chi lo adotta perché tecnicamente non sta facendo nulla di male. Ecco, se - come recitano le pappardelle contenute nei libri britannici - le leggi sul copyright tutelano il diritto di Tizio o di Caio di essere moralmente accreditato come autore della tale opera, e questo è un diritto inalienabile, bene, tale credito morale e tale diritto possono essere utilizzati in modo diverso dall'usuale, per consentire la libera riproduzione e circolazione dell'opera, anziché per ostacolarla.

D: Pensi che gli autori avranno un effettivo vantaggio dall'inasprimento delle norme, oppure le ulteriori tassazioni sono solo una "gabella" in più imposta dal sistema, che ricade sulle spalle dell'acquirente)?


Metallica

R: Un autore o un artista non trae alcun vantaggio dalla limitazione della diffusione delle sue opere. O meglio, può forse trarne un effimero vantaggio immediato, che però si rovescia in svantaggio, come pare stia succedendo coi CD-"anticopia", la cui tutela è uno degli scopi principali dell'EUCD. Quei CD sono una truffa ai danni dei consumatori, quindi creano malcontento e rancore verso l'artista di turno. Nella migliore delle ipotesi, finisce che si parla più del supporto che del prodotto: lo sanno tutti cos'e' successo due anni fa col primo CD-"anticopia", il secondo album di Natalie Imbruglia: proteste e denunce a non finire, ma quanti sanno che canzoni ci fossero là sopra? Lo sputtanamento giunge all'apice se l'artista decide di impegnarsi in prima persona nella crociata, come hanno fatto i Metallica, e come sta facendo Madonna in questi giorni, con notevole danno per la sua immagine: la sua campagna contro il file sharing ha prodotto un effetto boomerang, con atti di defacing contro il suo sito e persone che hanno messo a disposizione il nuovo singolo anche se di Madonna non gliene frega niente, per sfregio, per rappresaglia. Per fortuna molti artisti si stanno rendendo conto che i processi in corso vanno assecondati e cavalcati, che è meglio togliere il dito dal buchino sulla diga. Penso agli Einsturzende Neubauten: nel loro prossimo tour registreranno e masterizzeranno on demand i concerti in tempo reale, serata dopo serata. Gli spettatori non dovranno più sperare che esca il disco live di quel concerto che hanno tanto apprezzato: potranno comprare subito la registrazione, a un prezzo risibile. Questa è una soluzione creativa, che va nella giusta direzione, perché valorizza l'esibizione dal vivo e relativizza l'importanza della commercializzazione del supporto. Più "socialdemocratica" e meno interessante la soluzione dei Pearl Jam, che mettono in commercio (non nei negozi, ma attraverso il loro sito) l'album live di ogni loro concerto, praticamente dei bootleg legali. Mi sembra un approccio vecchio, non ancora all'altezza della sfida.

D: Cosa ne pensi dei progetti sul diritto d'autore portati avanti dal professor Lawrence Lessig, quali Creative Commons e l'evoluzione del copyright nella formula "Some rights reserved"?

R: Li seguo con molto interesse e ammirazione, anche se con qualche riserva.
Diciamo che riflettono molto bene certe caratteristiche della società americana, dove qualunque rapporto sociale e civile è mediato dal diritto commerciale, pensa all'importanza che hanno i contratti pre-matrimoniali, anche tra gente che non possiede un cazzo! Quest'onnipervasività del diritto commerciale produce un vero e proprio paradigma epistemologico, porta a cercare le soluzioni ai problemi in un contesto generale di spoliticizzazione e scarso protagonismo degli attori sociali collettivi, così si pone l'accento su lunghe e cavillosissime licenze scritte in avvocatese, che effettivamente prevedono e regolamentano ogni forma di tutela, cessione dei diritti etc. ma che mi sembra molto complicato imporre a editori o discografici recalcitranti. Noi - intendo non soltanto "noi Wu Ming", ma anche Noi che veniamo dall'underground digitale e non, e anche Noi europei, per molti versi - abbiamo un altro tipo di approccio, pensiamo che la soluzione debba imporsi non tanto a livello di diritto commerciale quanto a livello di egemonia culturale, di guerra di posizione, di protagonismo dei soggetti collettivi, per questo valorizziamo movimenti come il Free Software Movement anche più di quanto loro valorizzino se stessi, e cerchiamo di "politicizzare" (brutta parola, ma facciamo a capirci) la cosiddetta "pirateria".

D: La situazione in cui ci troviamo è quella di un muro contro muro che vede una volontà di regolamentazione e controllo opposta a un idem sentire libertario, collaborativo e anarchico. Sarà scontro totale, oppure secondo te si arriverà a una mediazione tra le parti?

R: Lo scenario è aperto, quel che io mi auspico è che le forze in campo prendano atto che sta cambiando la costituzione materiale, e trovino l'accordo per formalizzarne l'esistenza, ma il processo è lungo, passa comunque per un periodo di scontro frontale, e non deve avvenire con mediazioni al ribasso ma "al rialzo", come fanno gli Einsturzende Neubauten.

D: Cosa ne pensi della pratica del bookcrossing? La giudichi innovativa, oppure è solo un uso riservato a pochi eletti?

R: L'abbiamo appoggiata e promossa fin dai remoti inizi, ci convince e ci stimola. Non crediamo affatto che sia "per pochi eletti", anzi, allarga a una comunità aperta una pratica che sinora è stata privata, quella del prestarsi i libri... senza che facciano ritorno. Va detto che l'Italia è uno dei paesi dove si "bookcrossa" di più, grazie all'impegno della trasmissione Fahrenheit di Radio 3.

D: Il copyleft può essere considerato, secondo te, come principio cardine e rivoluzionario di una nuova forma di comunitarismo?

R: Assolutamente sì, e infatti sto cercando di riflettere sulle analogie tra le comunità aperte create dal copyleft e pratiche consimili, e le comunità utopiche (ristrette ma il più delle volte inclusive) dell'esperienza protosocialista, di quella anarchica e di quella protestante (alcune esperienze, come quella Loista di Anversa, le abbiamo raccontate in Q). Sto leggendo un libro, pubblicato anni fa dalla Elèuthera (casa editrice spesso trascurata ma fondamentale, e non solo nel panorama di movimento), si chiama Laboratori d'utopia, di Ronald Creagh, e passa in rassegna le comunità utopiche sorte negli USA tra XIX e XX secolo. Ogni volta che apro il libro mi vengono in mente analogie e differenze, comunque è presto per esporle.


Omnia sunt communia
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