Le realtà che diffondono: Wu Ming
Intervista rilasciata all'inizio del 2005 e inclusa nel libro Permesso d'autore,
a cura di Antonella Beccaria, Libera Cultura/Stampa Alternativa, 2006


Ci sono alcune leggende in rete che nascono, si diffondono e acquistano così tanto fiato da diventare voci in grado di zittire giornalisti, politici e tromboni vari. È il caso, a partire dal 1994, del Luther Blissett Project, personalità senza persona, pseudonimo collettivo adottato da menti effervescenti, hacker, intellettuali sui generis, sbeffeggiatori che agivano sotto l'identità di un giocatore di calcio britannico con ascendenze asiatiche.
E proprio alcune di quelle menti, quelle che vivevano in Italia e dalle quali, oltre a Wu Ming, sono scaturiti gruppi come 0100101110101101.org, Rekombinant, Guerrigliamarketing.it per citarne solo alcuni, hanno firmato burle da consacrarle alla storia della dissacrazione. Come quella volta in cui il viterbese pullulò di satanisti disseminando il territorio dei resti dei loro riti. O quando la stampa lacrimò cerimoniosamente per la morte del grande artista balcanico Darko Maver, ovviamente mai esistito. E questi sono solo due dei numerosi scherzi tirati alla cultura ufficiale che, con quell'ingenuità un po' idiota figlia della sicumera che caratterizza l'establishment intellettuale, è puntualmente caduta nei tranelli orditi da tale Luther Blissett. Ma questo Signor Nessuno ha firmato anche altro e con tutt'altro tono. Basti ricordare il pamphlet Lasciate che i bimbi - “ Pedofilia. Un pretesto per la caccia alle streghe in cui, facendo dettagliati riferimenti a lapidazioni mediatiche e invocazioni al taglione chimico o chirurgico, faceva "coraggiosamente, perché nel 1997 non c'erano verità giudiziare, ma solo il buon senso a cui affidarsi - per primo il punto sulla montatura ordita contro la setta bolognese dei Bambini di Satana e contro il suo leader, Marco Dimitri.
E venne poi il 1999 e con esso Q, storia ambientata nel sedicesimo secolo tra principi, straccioni, cavalieri ed emissari papali. Un'opera monumentale, storicamente accurata, accolta dalla critica in termini celebrativi e ancora oggi presente in bella vista sugli scaffali delle librerie malgrado non rientri più da un pezzo nelle novità editoriali. Ma il merito di Q non va solo alla sua valenza letteraria. Il libro rompe un tabù che sembrava inviolabile: quello di "tutti i diritti riservatiâ". Perché è stato il primo romanzo a uscire con una nota di copyright che ha fatto impallidire, valutata dal volgo che nutre le fila dell'editoria italiana come l'ennesima bizzarria di un gruppo di intellettuali fuori dalle righe, degli originali che occultano nomi e volti ma non rinunciano a quelle stranezze tipiche di chi abbraccia atteggiamenti scandalosetti agli occhi delle cariatidi della cultura. Eppure...
Eppure Q, oltre a vendere ancora oggi, anni dopo la sua uscita, ha aperto un varco, ha fatto da pioniere anche sulla carta stampata di una tendenza che oggi che si sta rinforzando: quella del copyleft letterario. Una delle realtà a cui Luther Blissett in seguito ha passato il testimone è Wu Ming, un gruppo a cinque teste (quattro delle quali passate da un nome collettivo all'altro e una quinta che si è aggiunta sotto la nuova egida) che ha preso a rappresentarlo un'espressione derivante dal Mandarino e che significa "anonimo". Ma sono sempre quelle le teste, sempre quella l'anima del nome collettivo. E sempre quella è la nota di copyright: «è consentita la riproduzione, parziale o totale dell'opera e la sia diffusione per via telematica ad uso personale dei lettori, purché non a scopo commerciale». Agganciando anche la battaglia ecologista in nome della quale si utilizza per stampare carta ecosostenibile prodotta con fibre riciclate e sbiancate senza uso di cloro. Con queste modalità sono usciti i libri successivi: 54, Asce di guerra, Guerra agli umani, New thing e tutti gli altri. Per il sito, invece, la licenza adottata è stata la Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 1.0.
Un sito ricchissimo, da perdercisi, localizzato in una dozzina abbondante di lingue, che raccoglie presentazione del gruppo, scritti non usciti in libreria (ma anche quelli che nutrono i cataloghi di editori come Einaudi e Fanucci), materiale del più vario e gli archivi della newsletter Giap. Le risposte all'intervista che segue sono a più voci: è Wu Ming che parla, non uno dei suoi componenti, e traccia la storia del gruppo, il percorso intrapreso per arrivare all'affermazione delle proprie convinzioni e dei propri principi.

Prima Luther Blissettt e poi Wu Ming. Per entrambe le esperienze, la possibilità che i contenuti circolassero, anche quando a pubblicarli erano editori delle dimensioni di Einaudi, è stata voluta e preservata. Siete stati tra i pochi autori ad avercela fatta. Da dove trae origine la vostra scelta nel rilascio del testi? Quando vi siete avvicinati a questo mondo e per quali vie?



Nella seconda metà degli anni Ottanta e nella prima metà degli anni Novanta, in Occidente e soprattutto in Italia, c'è molto interesse per il concetto di "no copyright". Con quel titolo, la ShaKe di Milano pubblica anche un'antologia di materiali sull'argomento, a cura di Raf Valvola. È un sottobosco dalle mille radici: la cultura "do it yourself" del punk-rock (su tutte le copertine dei dischi hardcore-punk italiani c'è lo slogan "Fuck SIAE"); il mondo delle autoproduzioni e delle fanzine (di fotocopia in fotocopia, sono le fanzine a diffondere il celebre détournement del logo dei discografici inglesi, la musicassetta-teschio con lo slogan: "Home Taping is Killing Music, and It's Illegal" che diventa: "Home Taping is Killing Business, and It's Easy"); il networking dell'arte underground, della xerox art, della mail art, del "neoismo" (nel 1988-89 Stewart Home e Florian Cramer organizzano i cosiddetti "festival del plagiarismo"); il mondo del cut'n'mix che dal dub e dal primo hip-hop arriva alla "house music" in senso lato, musica fatta-in-casa, con campionatori e altre tecnologie finalmente disponibili per il mercato di massa. Il Luther Blissettt Project nasce nel 1994 all'incrocio di tutte queste influenze e con suggestioni che risalgono più indietro (il proto-surrealista Lautréamont disse che "il plagio è necessario, il progresso lo implica"), e ancora più indietro, addirittura alla cultura popolare d'epoca feudale, e prima ancora alla classicità e all'antichità, insomma, a prima che esistessero gli istituti della proprietà intellettuale.



Come avete messo "internamente" a punto la vostra strategia di rilascio? Quali sono stati gli argomenti si cui vi siete confrontati? E come siete riusciti a imporre la vostra visione agli editori?



Il rilascio delle nostre produzioni è una scelta naturale, scontata. Al momento di iniziare l'attività, è un punto sul quale non vi è alcuna discussione, si farà così e basta. Due anni dopo firmiamo il contratto per Q con la neonata collana Einaudi Stile Libero. Paolo Repetti e Severino Cesari ci contattano tramite la nostra amica Loredana Lipperini, attirati dalla celebrità di Luther Blissettt come molteplice eroe popolare. In quel momento, la collana non è ancora partita, nessun titolo è ancora arrivato in libreria. Vogliono un libro di Luther. Già da qualche mese noi abbiamo messo in cantiere un romanzo che si svolge nel Cinquecento. Facciamo subito presente che qualunque opera firmata "Luther Blissettt" dev'essere liberamente riproducibile. Loro sono d'accordo, l'ufficio legale Einaudi è un po' perplesso, c'è un po' di tira e molla e alla fine troviamo insieme la dicitura adatta. Mutatis mutandis, nonché ante litteram, si tratta della licenza Creative Commons "Attribution-NonCommercial-ShareAlike". All'epoca Creative Commons non esisteva ancora, forse lo stesso Lessig si occupava ancora d'altro.



Sul sito Wumingfoundation.com c'è una sottosezione della vostra bibliografia che riporta i dati di vendita dei vostri libri. Sembra che la possibilità di riprodurre i testi per scopi non commerciali non abbia intaccato, almeno più di tanto, l'acquisto dei volumi. Da parte degli editori, ci sono stati commenti in proposito? Avete mai ricevuto richieste perché la vostra impostazione cambiasse?



La nostra conclusione, a sette anni dall'uscita di Q, è che senza la possibilità di scaricarli i nostri libri venderebbero meno. Più li si scarica, più li si conosce. Più li si conosce, più li si regala. Noi siamo in contatto stretto con un gran numero di lettori, coi quali discutiamo di molte questioni. Molti di loro hanno comprato/regalato i nostri libri dopo averne scaricato i testi. L'atto di acquistarli può essere visto come un "equo compenso" per averli resi disponibili gratis (una specie di shareware, insomma) o come una scelta di comodità (quello cartaceo resta il miglior supporto su cui leggere narrativa) o di possesso feticistico/collezionistico o un po' tutte queste cose. Fatto sta che funziona così. A tutt'oggi, però, siamo tra i pochissimi a renderci conto di questo. La stragrande maggioranza degli editori continua a ritenerla una bizzarria. Capita addirittura che editori, parlando di noi, liquidino sbrigativamente il copyleft definendolo "marketing" o "una furbata". Ma certo che è anche marketing, che discorsi. Noi con le royalty ci campiamo. La contraddizione, infatti, non è questa, bensì il fatto che un editore, il quale in teoria sarebbe un imprenditore, di fronte a un esempio di marketing che non soltanto ha successo ma crea comunità, lo disprezzi con toni "puristici" (!) anziché prendere esempio. Quanto all'essere furbi: ma perché, è meglio essere stupidi? Boh.



Oltre a opere firmate da voi collettivamente o singolarmente, tra i vostri lavori disponibili online compaiono anche le firme di personaggi celebri della cultura italiana, come Valerio Evangelisti, Carlo Lucarelli, Enrico Brizzi, Tommaso De Lorenzis o Vitaliano Ravagli. Come applicate l'ottica di apertura e condivisione nelle opere che riguardano o comprendono altri autori? E incontrate difficoltà nel collaborare sotto i termini del permesso d'autore? Quali sono le reazioni di chi viene coinvolto?



Chi intraprende un progetto di scrittura insieme a noi, soprattutto se avviato da noi, sa già che il risultato sarà sotto copyleft. Nessuno ha mai posto problemi, è vista come una cosa naturale, ovvia. Se entri in una sauna, prima ti togli i vestiti.



Avete invece statistiche relative allo scaricamento dei libri e dei racconti dal sito? Riuscite a stimare il numero di lettori che ha una versione elettronica dei vostri lavori? Che tipo di feedback ricevete dai lettori? Sono più concentrati su trama, contenuti e personaggi o c'è chi anche si esprime in merito alle politiche di rilascio?



Dal gennaio 2000 a oggi Q (edizione italiana) è stato scaricato da oltre ventimila visitatori unici. La media è di oltre quattromila all'anno. Più o meno la stessa media per quanto riguarda 54 e Asce di guerra. Eppure sono libri che continuano a vendere e a essere ristampati. Quanto al feedback, si discute di tutto, dal contenuto allo stile alle politiche di rilascio alla politica nazionale e internazionale, fino a questioni teologiche e cosmogoniche! :-)



Giap e il suo numero di iscritti (più di ottomila al momento), 250 incontri e presentazioni in sei anni, i progetti di scrittura collaborativa. La Wu Ming Foundation si configura come la più attiva e la più frequentata tra le iniziative su web. Quali sono i canali che utilizzate per mantenere e alimentare la comunità che si è creata intorno al vostro progetto? Quanto le comunicazioni virtuali vanno a integrarsi con quelle reali? E quanto invece le superano?



Il livello di interazione tra comunicazioni virtuali e face-to-face varia da periodo a periodo, da progetto a progetto, da soggetti a soggetti, però non viene mai a mancare. Abbiamo bisogno di stringere mani, abbracciare le persone, mettere in movimento il corpo, esperire la comunità. Senza corporeità, senza confronto diretto - de visu - coi lettori, il nostro progetto non è, non può essere completo. Per questo giriamo il Paese in lungo e in largo e facciamo tutte quelle presentazioni. Detto questo, il mezzo di scambio più impiegato è senz'altro ancora l'e-mail, poi ci sono i vari forum tematici su web (quello sul film Lavorare con lentezza, quello sul romanzo New Thing).



La ballata del Corazza 1.3.0, WM2 + Giapsters, è definito racconto open source. In che modo lo è? Quante mani ci hanno lavorato? E siete a conoscenza di opere che, partendo da un vostro lavoro, hanno preso il largo diventando un progetto autonomo?



La Ballata del Corazza era "open source" nel senso che il "codice-sorgente" del racconto era aperto e modificabile. Per "codice-sorgente" del racconto intendiamo il pretesto, la location, i personaggi, l'antefatto e un certo stile country & western apocalittico. Ci ha messo le mani una ventina di persone. Questo per quanto riguarda il testo, ma il progetto comprendeva anche una colonna sonora orchestrale composta dall'ensemble Quadrivium (altrettanto open-source: lo spartito era scaricabile e modificabile), una lettura scenica dal vivo e infine un fumetto, uscito da poco, con disegni di Onofrio Catacchio. Non è l'unico caso in cui da un nostro lavoro sono nati altri progetti, del tutto autonomi. Da 54 sono nati l'omonimo CD degli Yo Yo Mundi e uno spettacolo teatrale. Da Q un altro spettacolo teatrale. Dai nostri progetti di scrittura collaborativa (noi la definiamo "comunitaria" sono addirittura nati altri collettivi di scrittura, come Kai Zen.



Qual è la vostra opinione sulle organizzazioni che, per professione, lavorano sulla condivisione dei contenuti? Nello specifico la Free Software Foundation per le opere funzionali come il software e Creative Commons per le opere espressive. Quanto della vostra impostazione, al di là delle licenze, si richiama a queste esperienze?



Le seguiamo con rispetto e attenzione. Certo Richard Stallman e il movimento per il software libero ci hanno regalato la parolina magica, "copyleft", e Creative Commons ci ha permesso di definire in modo più preciso e rigoroso una prassi che già adottavamo. Tuttavia, il nostro percorso è diverso, è quello che "tagliando con la scure" abbiamo descritto nella prima risposta.



I libri che si trovano in libreria vengono stampati su carta ecosostenibile e che non ha subito processi di sbiancatura a base di cloro. Altra scelta singolare che, al momento, viene perorata da una minoranza di chi pubblica. Come la sensibilità ecologica si coniuga con una sensibilità verso la libera veicolazione dei contenuti? C'è una matrice comune tra le due caratteristiche della vostra produzione?



È esattamente la stessa battaglia, quella contro un principio proprietario divenuto pretesa paranoide ed esteso al mondo intero, alle storie, alle culture, agli ecosistemi. Al pari delle idee, il pianeta, la sua atmosfera, il suo "volto" (la crosta terrestre) e le forme di vita che lo popolano non sono né dovrebbero essere possedimento esclusivo di nessuno. Noi siamo gli usufruttuari della terra, dell'acqua, dell'aria, ma non ne siamo i proprietari. Qualunque idea del genere è un'empia illusione. Non ricordiamo chi lo ha detto, ma in realtà... la proprietà non esiste: quando muori non ti porti dietro niente, rimane tutto qui. Appunto, la terra rimane qui, l'acqua rimane qui, noi abbiamo ricevuto il pianeta in prestito dai posteri, ai quali dovremmo restituirlo nelle migliori condizioni possibili. Se io ti presto qualcosa e tu me lo restituisci distrutto, ho il diritto di incazzarmi o no? Al momento, tutto fa credere che i posteri ci malediranno. Oltre a ciò, in tempi di brevetti sul DNA di flora, fauna e consorzio umano, non è possibile disgiungere la lotta per il dis-inquinamento da quella per la riforma della proprietà intellettuale.



Tecnicamente, come è stato creato e come viene mantenuto il vostro sito? Utilizzate un sistema di aggiornamento dei contenuti? Oppure le pagine vengono create manualmente? Quanto le licenze con cui sono rilasciati gli strumenti tecnici che utilizzate incide sulla loro scelta?



Alcune sezioni del sito, come quella dedicata a New Thing, sono realizzate in e107, sistema di gestione dei contenuti scritto in PHP e funzionante con database MySQL, tutto open source. Il resto del sito è produzione d'artigianato, creato manualmente da noi stessi (compresi fotomontaggi eccetera) e continuamente ritoccato. All'inizio inizio faceva schifo, poi siam diventati più bravi, oggi ci sembra decente. Per mailing list e newsletter usiamo Mailman. Il server che ci ospitava in passato girava su Apache mentre quello attuale, messo a disposizione da Link.it, è installato con Petra, una distribuzione di GNU/Linux creata da Link.it stessa. Insomma, il ricorso al software proprietario tradizionale è limitato al minimo essenziale. Certo, i libri sono ancora scaricabili in formati proprietari (RTF, PDF), per cause di forza maggiore: gran parte delle persone che visitano il sito usano Windows, Office e compagnia bella. A questi stiamo affiancando il formato SXW della suite OpenOffice.org.