da Il Nuovo, quotidiano on-line piuttosto destrorso, già propagatore di veline da Min.Cul.Pop. prima, durante e dopo Genova, una recensione del normalmente sagace e divertente Diego Gabutti ( l'ex-bordighista ex-collaboratore de Il Giornale) , recensione che immaginiamo ironica, altrimenti dovremmo dirla isterica. Sembra scritta a sei mani da Guy Banister, Jack Ruby, Giuseppe Genna e il segretario del SAP! :-)

Havana glam
, l'ultima rivolta

L'ultimo romanzo in uscita dai laboratori del collettivo di Q e d'Asce di guerra , racconta un'America immaginaria che trama nell'ombra contro un nemico invisibile.

di Diego Gabutti

MILANO - Siamo in un'America futura, capitalistica che più non si può, cinica, ripugnante, demoplutogiudaica, guerrafondaia, l'America delle fanzine guevariste e dei black block, che solo a guardarla vien voglia di spezzarle le reni. È colpa sua, di quest'America abominevole, lovecraftiana, sfrenata eppur bigotta, troppo permissiva, schifosamente autoritaria, l'America insomma secondo Dario Fo e Jovanotti; è tutta colpa sua (sua dell'America, che Allah e il Genoa social forum la stramaledicano) se il mondo e l'umanità sono alla frutta, ciulati, kaput.

Una guerra ha fatto tabula rasa della superficie terrestre, ormai spazzata per quant'è lunga e larga da venti atomici rombanti e da legioni di mutanti furiosi, come pure ha spazzato via, ed è sempre colpa massima colpa dei brutti americani, qualsivoglia avvenire genetico per la specie umana, poveraccia. Fine della corsa. Game over. Qui il lettore di Havana glam , l'ultimo romanzo in uscita dai laboratori del "collettivo di Q e d'Asce di guerra", s'asciuga la lacrimuccia neorifondatoria, inghiotte un singhiozzo postsituazionista, poi si lecca il dito e volta pagina. Avanti, ché no pasaran.

Guerra e rovina, rovina e guerra. Che fare? È presto detto. Gli americani, da quei catechisti del male metafisico che sono, e sapendone perciò una più del diavolo, decidono lì per lì di paracadutare nel passato, come truppe speciali quantistiche, nientemeno che dei viaggiatori del tempo, all'imperialistico e disumanistico fine d'eliminare il santo socialismo alla radice, spianando cioè l'Unione Sovietica già nel 1945, con la bomba atomica ancora fresca di brevetto.

C'è lì un presidente americano, dopotutto, che si dà del fascista da solo, come manco più er Pecora e Tremaglia. Volete che non tenti, un simile figuro, di sconquassare lo spaziotempo da un orizzonte all'altro? Pensate che uno così arrossisca anche soltanto un po' al pensiero di mettere a ferro e fuoco gli alfa e gli omega cosmici? Be', lui (il fascista soi disant) ci prova. Ma c'è un ma: il passato non si può cambiare, purtroppo, ché il passato è come la teoria marxista hard, cioè invariante, ma si possono almeno provocare, in compenso, delle perturbazioni nel tessuto nel continuum e, per farla breve, mettere in circuito degli universi paralleli dove l'umanità sopravvive, sì, ma non da sola.

Essa sopravvive (sempre che la vada e non la spacchi) insieme ai perfidi, anzi osceni, anzi agghiaccianti principi famosi di democrazia, libero mercato, due pasti al giorno, diritto, libertà d'opinione, quattro salti in discoteca eccetera: il peggio insomma del modello di vita occidentale. Si sa (chiedetelo agli autori) che sarebbe di gran lunga preferibile tramandare il Gulag e le code per il pane e i kamikaze e i discorsi televisivi di dodici ore del leader maximo di qui alla fine dei tempi e oltre. Ma l'America è fetente, l'America è senza cuore, perciò non intende tramandare i campi di lavoro e la poesia della Lubyanka ma Hollywood e gli hamburger delle multinazionali.

A questo scopo, dopo che il proposito di spianare l'Urss (nel 1945, con le atomiche) e quello d'assassinare Franklin Delano Roosevelt (per via del new deal, roba troppo socialista) fallisce di brutto, senza che per la verità si capisca bene perché o come, i viaggiatori imperialisti del tempo, agenti d'una Cia futura ancor più infame e apocalittica di quella a noi contemporanea, ci provano unendosi alla Cia assassina del nostro tempo disgraziato. Ne risultano azioni malvagissime ma scarsi frutti. Allora tentano d'infettare il socialismo cubano col rock and roll. Infiltrano David Bowie in persona (alieno com'è, e sessualmente ambiguo) tra i giovani barbudos dell'Avana.

Coglioni! Mal gliene incoglierebbe se questa tattica risultasse vincente. Infatti un castrismo gegegé butterebbe certissimamente al tappeto le multinazionali. Castro più la samba più il "settantesette italiano" (ma sì, ficchiamocelo dentro, si son detti gli autori, che tutto fa sugo) più il rock and roll (agli autori piace il rock and roll, musica globalizzata finché volete epperò movimentista, ragazzi). Vincerebbe il socialismo di David Bowie e il capitalismo di Bruce Springsteen potrebbe andare a nascondersi! Via! Non ci sarebbe gara! Tuttavia il piano non riesce. O riesce. O ne riesce un altro. Qui non si capisce bene. Anzi non si capisce in generale un accidente, né qui né altrove, in dirittura d'arrivo come lungo il percorso.

Havana glam mica è un libro, del resto. È un'insalata di capitoletti in corsivo, quale in prima persona, quale in terza, poi di capitoletti a tutto tondo, quale ambientato adesso, quale ambientato poi, per non parlare delle epigrafi a valanga, del gergo da centro sociale e dei paroloni. È roba mistica, come il Corano e il Capitale. È un volantino ermetico. Non si legge. Si suda, pedalando a vuoto, e per di più in salita. (Arridatece Philip José Farmer e i Cavalieri Jedi).

Wu Ming 5
Havana glam
Fanucci, Roma 2001
pp. 416, lire 29.000

(24 OTTOBRE 2001, ORE 12:15)